la grande pocrisia di troppi ‘cristiani’

MONITO ALL’OCCIDENTE

«dirsi cristiani e cacciare i rifugiati è pura ipocrisia»

 il papa riceve in udienza i Luterani in pellegrinaggio a Roma. E invita tutti a cercare una unità basata sulla misericordia, sulla carità, sull’aiuto ai più bisognosi. Poi, rispondendo a una domanda, graffia certi atteggiamenti che di religioso hanno solo la facciata, ma sono lontani dal Vangelo…

«Il proselitismo è il veleno più forte contro il cammino ecumenico».

Papa Francesco ne aveva già parlato nel corso del suo viaggio in Georgia affrontando il tema dei rapporti tra cattolici e ortodossi. E ripete quasi le stesse frasi anche ricevendo in udienza il pellegrinaggio dei luterani. In attesa di incontrarli in Svezia, a  fine mese, dove parteciperà alle celebrazioni per i 500 anni della riforma, Bergoglio invita tutti a cercare quello che ci unisce e non quello che ci divide, a lasciare a teologi ed esperti il dialogo su questioni dottrinali e a vivere, intanto, da fratelli nella prassi concreta della carità e della condivisione. Sapendo che «è la misericordia di Dio ciò che ci unisce».  Il Papa ringrazia per il cammino fatto, «perché oggi, luterani e cattolici, stiamo camminando sulla via che va dal conflitto alla comunione. Abbiamo percorso insieme già un importante tratto di strada. Lungo il cammino proviamo sentimenti contrastanti: dolore per la divisione che ancora esiste tra noi, ma anche gioia per la fraternità già ritrovata. La vostra presenza così numerosa ed entusiasta è un segno evidente di questa fraternità, e ci riempie della speranza che possa continuare a crescere la reciproca comprensione».

Ripete, come già aveva fatto nella messa a Santa Marta, l’identikit del cristiano che è scelto, perdonato e che è in cammino. E chiama protestanti e cattolici a sentire che, come dice l’Apostolo Paolo «in virtù del nostro battesimo, tutti formiamo l’unico Corpo di Cristo».

Rispondendo alle domande dei presenti che chiedevano cosa non piace al Papa dei luterani e quali siano secondo lui i più grandi riformatori Bergoglio ha chiarito che «non mi piacciono i luterani tiepidi come non mi piacciono i cattolici tiepidi» e che  «i più grandi riformatori della Chiesa sono i santi, cioè gli uomini e le donne che seguono la parola del Signore e la praticano. Questo riforma la Chiesa, Forse non sono teologi, forse non hanno studiato, sono gente umile o sono grandi, questi che hanno l’anima bagnata, che sono pieni del Vangelo questi riformano la Chiesa».

E ancora ha ricordato che «non è lecito convincere della propria fede, bisogna dare testimonianza. La testimonianza inquieta il cuore e dall’inquietudine nasce la domanda e lo Spirito Santo agisce».

E «la testimonianza che il mondo si aspetta da noi è soprattutto quella di rendere visibile la misericordia che Dio ha nei nostri confronti attraverso il servizio ai più poveri, agli ammalati, a chi ha abbandonato la propria terra per cercare un futuro migliore per sé e per i propri cari. Dunque, l’unione delle due Chiese si riflette innanzitutto nella carità e nel mettersi a servizio dei più bisognosi». Il Papa ha incoraggiato i giovani a continuare «a cercare con insistenza occasioni per incontrarvi, conoscervi meglio, pregare insieme e offrire il vostro aiuto gli uni agli altri e a tutti coloro che sono nel bisogno. Così, liberi da ogni pregiudizio e fidandovi solo del Vangelo di Gesù Cristo, che annuncia la pace e la riconciliazione, sarete veri protagonisti di una nuova stagione di questo cammino, che, con l’aiuto di Dio, condurrà alla piena comunione».

Graffiando l’Occidente dei muri e delle muove frontiere, sempre più vittima della paura,  chiuso al prossimo, Jorge Mario Bergoglio ha detto tra l’altro:

 «La malattia o, possiamo dire, il peccato che Gesù condanna di più è l’ipocrisia. E’ un atteggiamento ipocrita dirsi cristiani e cacciare via un rifugiato, uno che cerca aiuto, un’affamato, un assetato, cacciare via quello che ha bisogno del mio aiuto»

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il migrante Gesù di Nazareth

Gesù era un migrante

un libro per riflettere sulla vita dei migranti in rapporto alla vita cristiana
michelangelo nasca

«Migranti e immigrati sono stati per me fonte di benedizione». Una rivelazione, questa, che nell’attuale momento storico, potrebbe apparire persino blasfema, oltre che politicamente scomoda. Tuttavia, Deirdre Cornell – autrice di «Gesù era un migrante», recentemente pubblicato dal Messaggero di Padova – ne va invece molto fiera, ricordando gli anni di volontariato trascorsi in Messico insieme al marito, grata per aver «beneficiato immensamente di queste relazioni, […] per ciò che mi hanno dato e insegnato».

Il libro della Cornell – che da decenni assiste lavoratori migranti nel nord dello stato di New York, dove vive con il marito Kenny e cinque figli – si propone come principale obiettivo quello di attualizzare i racconti evangelici sul significato profondo e universale della migrazione. «Ancor prima dell’inizio di una memoria storica – scrive l’autrice – già il libro della Genesi è segnato dalle migrazioni». Nella cacciata di Adamo ed Eva dal giardino dell’Eden, infatti, i nostri primi progenitori sono costretti all’esilio; «L’immagine della migrazione come simbolo del cammino spirituale prosegue nella figura di Abramo», tra i primi episodi destinati a crescere nei millenni di storia sacra, fino alla fuga in Egitto che fa di Gesù il primo migrante dell’era cristiana. 

Con una forma narrativa semplice e accessibile a tutti, il testo edito dal Messaggero di Padova attraversa sinteticamente l’itinerario migratorio presentato nell’Antico e nel Nuovo Testamento; grazie anche alle competenze messe a frutto dall’autrice, capace di coniugare esperienze personali, teologia e spiritualità cristiana, e riflettere sulla vita dei migranti in rapporto alla vita cristiana, e su come le tribolazioni che accompagnano il viaggio dei migranti possano anche essere fonte di benedizione, per loro stessi e per la società che li accoglie.  

I racconti e le riflessioni tratte dai Vangeli s’intrecciano con i racconti di vita vissuta dell’autrice: storie di un’umanità in fuga e alla ricerca di stabilità incontrate e accolte in seno alla propria famiglia. «La trama più fondamentale della Sacra Scrittura – precisa Deirdre Cornell – la storia della salvezza, si dipana attraverso storie di migrazione. Con tutti i suoi disagi e le sue tribolazioni, la mobilità umana funge da paradigma della fede religiosa. I cristiani credono in un Salvatore che durante la sua vita terrena ha incarnato la migrazione – e che come Signore risorto continua ad attraversare frontiere. Nella migrazione, tutti noi possiamo trovare una fonte di benedizione».

Fermamente convinta che è possibile rinnovare la propria fede, meditando sulla vita e la missione di Gesù in relazione alla migrazione, Deirdre Cornell ritiene con decisa fermezza che «a differenza delle nostre politiche, i nostri cuori possono elevarsi, purificarsi. I nostri confini possono non aprirsi… ma i nostri cuori sì. Il nostro paese continua a ricevere nuovi cittadini. Le nostre città, paesi, quartieri accolgono nuovi abitanti. Le nostre chiese e le altre comunità religiose fungono da case spirituali. Anche noi possiamo “migrare”, avvicinandoci alla visione evangelica di giustizia e pace». 

Il nostro mondo è pieno di migranti e rifugiati le cui storie drammatiche non possono essere ignorate. Questo libro su spiritualità e migrazione – lo intuisce bene l’autrice – descrive di fatto un cammino di fede, e suggerisce «passi verso Cristo presente nello straniero».

 

Deirdre Cornell, «Gesù era un migrante», Messaggero di Padova 2017, pp. 208.

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la marcia delle trentamila in Israele per la pace

Israele

trentamila musulmane, ebree, cristiane, laiche…

in marcia per la pace

«Nei nostri incontri a volte ci abbracciamo e piangiamo di commozione le une sulle spalle delle altre, senza bisogno di dirci nulla. Molte di noi hanno infatti perso un figlio, un marito, un familiare. Ogni famiglia israeliana e palestinese ha almeno un morto fra i propri cari, perso a causa del conflitto. I media ci hanno abituato alle liste numeriche di morti. Ma quando ascolti le testimonianze dal vivo di chi invece ha perso un affetto, ti rendi conto che i morti non sono “numeri anonimi”, e che dietro ogni morto c’è tutto un mondo di sofferenza, di famiglie spezzate».

Ha raccontato così la scrittrice di religione ebraica Shazarahel RI, referente del Movimento World Wage Peace, “Donne costruttrici di pace”, vicepresidente della Confederazione internazionale laica interreligiosa (Cili-Italia) e coordinatrice del Dipartimento Donne di Uniti per Unire, le emozioni che hanno accompagnato la marcia per la pace organizzata in Israele, dal 24 settembre al 10 ottobre 2017.

Trentamila musulmane, ebree, cristiane, laiche, di colori politici diversi, hanno camminato fianco a fianco, percorrendo quattro rotte – sud, nord, ovest, est – fino a convergere tutte a Gerusalemme; con loro anche uomini, bambini, laici, religiosi. La mattina del 24 settembre a Sderot – città del distretto meridionale di Israele, ad un chilometro da Gaza, spesso bersaglio degli attacchi dei razzi Qassam provenienti dalla Striscia -, e la sera presso il kibbutz Tze’elim, situato nel deserto del Negev, in passato utilizzato come base militare, è stato dato il via alla manifestazione con la cerimonia inaugurale.

L’itinerario ha attraversato città e località quali Kissufim, Zeelim, Yeruham, Rahat, Beer Sheva, Arad, Gush Etzion, Dimona, Nazareth, Jaffa. L’8 ottobre il corteo si è fermato nel villaggio di pace di Agar e Sara, costruito nella pianura accanto al Mar Morto, dove sono stati organizzati gruppi di discussione, mostre, eventi musicali. Quindi, dopo essersi riunite a Gerusalemme, le donne sono state accolte da Adir Bat Shalom, figlia del grande rabbino sefardita Rav Ovadia Yossef z’al, che è intervenuto sui temi della pace. Il 9 e 10 ottobre le donne hanno costruito una grande “capanna della pace” (Sukkàt Shalom – كوخ السلام) e il 10 ottobre hanno inaugurato un Parlamento femminile. Tutta l’iniziativa, organizzata in collaborazione con Uniti per Unire e la Confederazione internazionale laica interreligiosa (Cili-Italia), è stata accompagnata da un Manifesto congiunto per israeliani e palestinesi, co-firmato da tante delle donne in marcia, che sarà presentato alla Knesset, il parlamento israeliano. «Vogliamo alzare la nostra voce per arrivare ad un accordo politico per una soluzione del conflitto israelo-palestinese, che garantirà la sicurezza a lungo termine – ha spiegato Shazarahel RI -. È possibile. Sono state già trovate soluzioni per risolvere altri conflitti in altre parti del mondo. Allo stesso modo anche il lungo conflitto che stiamo vivendo può e deve essere risolto».

«Queste donne hanno coinvolto trasversalmente diverse realtà in Terra Santa, con grande volontà e impegno per concretizzare una proposta di pace vera e duratura, facendo cadere il muro della paura, della diffidenza, del silenzio e delle false illusioni. Trentamila grazie a tutte quante hanno marciato per la pace e stanno così scrivendo una nuova pagina della storia del dialogo in Medio Oriente», ha concluso Foad Aodi, fondatore di Cili-Italia e del Movimento Uniti per Unire.

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Europa genocida – parola di Leoluca Orlando

il sindaco di Palermo 

“denuncerò la Ue per genocidio”

l’Europa riconosce il diritto all’asilo dei siriani, ma poi non li mette in condizione di raggiungere le nostre terre

Leoluca Orlando

Leoluca Orlando

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i vescovi polacchi e il rosario come arma ideologica

Immagine pezzo principale

«la chiesa polacca su una strada pericolosa,

sostiene il governo e dimentica il papa»

L’ex Segretario generale della Conferenza episcopale polacca denuncia l’appoggio di una parte dei vescovi alla deriva razzista del Governo di Varsavia:

“Il rosario non è un’arma ideologica”.

“I vescovi polacchi si sono messi su una strada pericolosa”. Il giudizio sul “Rosario alle frontiere” di monsignor Tadeusz Pieronek, vescovo e segretario storico della Conferenza episcopale polacca negli anni Novanta e membro della Commissione che ha scritto la Costituzione post-comunista, è assai severo. La manifestazione alla quale hanno partecipato oltre la metà delle diocesi polacca è stata sostenuta anche dal vertice della Conferenza episcopale. Monsignor Pieronek è una sorta di coscienza critica della Chiesa polacca e spiega: “Il Rosario è una preghiera bellissima, ma i vescovi non hanno previsto né hanno capito per tempo che poteva essere usato come un’ arma ideologica dalla propaganda del governo”.

Sono stati strumentalizzati?

“Oggi in Polonia tutto viene trasformato in politica dal governo e dai media che sono quasi tutti praticamente controllati dal governo, il quale è contrario all’ accoglienza dei profughi e degli immigrati. Non accorgersi di questo da parte della Chiesa è stata per lo meno una ingenuità molto grave”.

Quante diocesi hanno partecipato all’ iniziativa?

“Ventidue su 42 diocesi. Ma la manifestazione ha avuto l’ appoggio del vertice della Conferenza episcopale. C’ è stata una grande mobilitazione, l’ appoggio di Radio Maria e della Televisione pubblica polacca”.

Con questa preghiera si è alzato un muro, per lo meno spirituale, contro gli immigrati e il resto dell’ Europa?

“E’ proprio quello che è accaduto, anche se non è stata usata questa formula. Ma è chiaro che tutti i polacchi che hanno partecipato al Rosario sono contro il pensiero e l’ insegnamento di papa Francesco. Purtroppo. In Polonia è in atto una battaglia per persuadere la gente che ogni profugo è un bandito che attenta all’ identità polacca ed è una minaccia grave e reale per la salute e la vita dei polacchi”.

Il Governo polacco è critico verso il Papa?

“Le posso dire che un ministro polacco ha detto esplicitamente che in questo caso specifico il Papa sta sbagliando”.

E la Chiesa cosa fa?

“Appoggia il Governo. Le voci critiche sono poche”.

Perché?

 

Tutta la Polonia è d’ accordo con le politiche del Governo?

“No. Il Governo può contare sul 40 per cento del consenso del popolo polacco. E’ sbagliato dire che tutta la Polonia è d’ accordo con il governo”.

Eppure è quello che appare.

“In Polonia ogni giorno ci sono manifestazioni contro le decisioni del governo e le leggi che sta approvando il Parlamento”.

L’ ultima è la riforma della scuola e dei testi scolatici dai quali oltre a Darwin è stato fatto sparire anche Lech Walesa e l’ esperienza di Solidarnosc.

“La riforma della scuola è una cosa tragica che ci riporta indietro ai tempi del regime comunista. Io ricordo quegli anni, quando i comunisti cambiarono la lettura della storia. Oggi il partito che governa la Polonia, il Pis, acronimo in italiano di ‘Legge e Giustizia’ , si sta comportando allo stesso modo, cancellando la storia recente della Polonia”.

E’ un tradimento anche dell’ insegnamento riguardo all’ Europa del grande Papa polacco san Giovanni Paolo II?

“Provo orrore solo a pensarlo. Vedremo. Per ora mi domando con preoccupazione fin dove il Governo oserà spingersi. A parole il Governo dice di voler restare in Europa. In realtà fa di tutto per uscirne”.

Le sue preoccupazioni cosa riguardano?

“La democrazia. Ogni giorno vediamo che il governo si applica a smontare un pezzo di democrazia. Tutto è organizzato per contrastare e superare alla fine la democrazia liberale per realizzare una sorta di democrazia populista. La direzione che il governo ha intrapreso sta riportando indietro la Polonia ai tempi del regime comunista”.

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