le parole convincenti per farlo papa

 

 ecco il discorso di Bergoglio che convinse i cardinali ad eleggerlo
“la chiesa deve uscire da se stessa”
Ecco il discorso di Bergoglio che convinse i cardinali ad eleggerlo: "Chiesa deve uscire da se stessa"

reso pubblico dal cardinal Ortega

fu pronunciato alla congregazione generale, alla vigilia del conclave che elesse Francesco

di PAOLO RODARI

Il cardinale cubano Jaime Ortega, dopo che i contenuti erano già stati resi noti in passato, ha chiesto a Francesco una copia del testo originale ricevendo anche l’ok per la pubblicazione. Diramati in queste ore, a quattro anni di distanza dall’elezione, gli appunti ridestano stupore. In particolare, come scrive “Il sismografo”, il quarto punto. Bergoglio dice la sua sul futuro Papa, un uomo che, attraverso la contemplazione di Gesù e l’adorazione di Gesù, aiuti la Chiesa “a uscire da se stessa verso le periferie esistenziali, che la aiuti a essere la madre feconda che vive della dolce e confortante gioia dell’evangelizzare”.

Ecco il discorso di Bergoglio che convinse i cardinali ad eleggerlo: "Chiesa deve uscire da se stessa"

Francesco spiega cosa significa evangelizzare. Implica “zelo apostolico” e “presuppone nella Chiesa la ‘parresìa’ di uscire da se stessi”, per andare “verso le periferie, non solo quelle geografiche, ma anche quelle esistenziali: quelle del mistero del peccato, del dolore, dell’ingiustizia, quelle dell’ignoranza e dell’assenza di fede, quelle del pensiero, quelle di ogni forma di miseria”.

Bergoglio ricorda anche i mali che affliggono la Chiesa, in particolare l’autoreferenzialità, il “narcisismo teologico”. Il futuro Papa ricorda l’Apocalisse, dove è scritto che Gesù sta sulla soglia e chiama.

Evidentemente il testo si riferisce al fatto che “Lui sta fuori dalla porta e bussa per entrare…”. Però a volte “penso che Gesù bussi da dentro, perché lo lasciamo uscire. La Chiesa autoreferenziale pretende di tenere Gesù Cristo dentro di sé e non lo lascia uscire”.

E ancora: “La Chiesa, quando è autoreferenziale, senza rendersene conto, crede di avere luce propria; smette di essere il ‘mysterium lunae’ e dà luogo a quel male così grave che è la mondanità spirituale (secondo De Lubac, il male peggiore in cui può incorrere la Chiesa): quel vivere per darsi gloria gli uni con gli altri. Semplificando, ci sono due immagini di Chiesa: la Chiesa evangelizzatrice che esce da se stessa; quella del ‘Dei Verbum religiose audiens et fidenter proclamans’ – La Chiesa che religiosamente ascolta e fedelmente proclama la Parola di Dio -, o la Chiesa mondana che vive in sé, da sé, per sé. Questo deve illuminare i possibili cambiamenti e riforme da realizzare per la salvezza delle anime”.

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la battaglia contro il populismo si vince solo ripartendo dagli ultimi

Jürgen Habermas

“il populismo? si vince tornando vicino agli ultimi”

Il filosofo tedesco intervistato su “MicroMega” invita la sinistra europea a ripartire riscoprendo le battaglie delle origini

 

Dopo il 1989 si è parlato di una “fine della storia” nella democrazia e nell’economia di mercato, oggi assistiamo a un nuovo fenomeno: l’emergere – da Putin ed Erdogan fino a Donald Trump – di forme di leadership populiste e autoritarie. È ormai evidente che una nuova “internazionale autoritaria” riesce a determinare sempre di più il discorso pubblico.

Aveva ragione allora il suo coetaneo Ralf Dahrendorf quando prevedeva un XXI secolo sotto il segno dell’autoritarismo? Si può o si deve già parlare di una svolta dei tempi?

“Quando, dopo la svolta dell’89-90, Fukuyama riprese lo slogan della “po – Dst-storia” – che originariamente era legato a un feroce conservatorismo – questa sua reinterpretazione del concetto dava espressione al miope trionfalismo di élite occidentali che si affidavano alla fede liberale nell’armonia prestabilita tra democrazia ed economia di mercato. Questi due elementi plasmano la dinamica della modernizzazione sociale, ma sono connessi a imperativi funzionali che tendono continuamente a entrare in conflitto. Solo grazie a uno Stato democratico degno di questo nome è stato possibile conseguire un equilibrio tra crescita capitalistica e partecipazione della popolazione alla crescita media di economie altamente produttive: una partecipazione, questa, che veniva accettata, anche se solo in parte, in quanto socialmente equa. Storicamente, tuttavia, questo bilanciamento, che solo può giustificare il nome di “democrazia capitalistica”, è stato più l’eccezione che la regola. Già solo per questo si capisce come l’idea che il “sogno americano” si potesse consolidare su scala globale non fosse che un’illusione. Oggi destano preoccupazione il nuovo disordine mondiale e l’impotenza degli Stati Uniti e dell’Europa di fronte ai crescenti conflitti internazionali, e logorano i nostri nervi la catastrofe umanitaria in Siria o nel Sudan del Sud e gli atti terroristici di matrice islamista. E tuttavia, nella costellazione evocata nella domanda, non riesco a scorgere una tendenza unitaria diretta verso un nuovo autoritarismo: solo diverse cause strutturali e molte casualità. L’elemento unificante è il nazionalismo, che nel frattempo però abbiamo anche a casa nostra. Anche prima di Putin ed Erdogan, la Russia e la Turchia non erano certo “democrazie ineccepibili”. Con una politica occidentale solo un po’ più accorta forse avremmo potuto impostare relazioni diverse con questi paesi: saremmo forse riusciti a rafforzare anche le forze liberali presenti nelle popolazioni di questi paesi”.

Non si sopravvalutano così retrospettivamente le possibilità che erano in mano all’Occidente?

“Chiaramente per l’Occidente, già solo a causa dei suoi interessi divergenti, non era facile confrontarsi, in modo razionale e nel momento opportuno, con le pretese geopolitiche della retrocessa superpotenza russa oppure con le aspettative di politica europea dell’irascibile governo turco. Molto diversa è invece la situazione per quanto riguarda l’egomane Trump, un caso significativo per l’intero Occidente. Con la sua disastrosa campagna elettorale Trump ha portato alle estreme conseguenze una polarizzazione che i repubblicani, a tavolino e in modo sempre più sfacciato, hanno alimentato fin dagli anni Novanta; lo ha fatto però in una forma tale da far sì che questo stesso movimento alla fine sfuggisse totalmente di mano al Grand Old Party, che è pur sempre il partito di Abraham Lincoln. Questa mobilitazione del risentimento ha espresso anche le tensioni sociali che attraversano una superpotenza politicamente ed economicamente in declino. Ciò che trovo inquietante, quindi, non è tanto il nuovo modello di un’internazionale autoritaria, a cui si faceva riferimento nella domanda, quanto la destabilizzazione politica in tutti i nostri paesi occidentali. Nel valutare il passo indietro degli Stati Uniti dal ruolo di gendarmi globali sempre pronti a intervenire, non dobbiamo perdere di vista qual è il contesto strutturale in cui ciò avviene, contesto che concerne anche l’Europa. La globalizzazione economica, messa in moto negli anni Settanta da Washington con la sua agenda politica neoliberista, ha avuto come conseguenza un declino relativo dell’Occidente su scala globale rispetto alla Cina e agli altri paesi Brics in ascesa. Le nostre società devono elaborare la percezione di questo declino globale e insieme a ciò la complessi- tà sempre più esplosiva della nostra vita quotidiana, connessa agli sviluppi tecnologici. Le reazioni nazionalistiche si rafforzano negli strati sociali che non traggono alcun beneficio – o non ne traggono abbastanza – dall’aumento del benessere medio delle nostre economie”.

Stiamo assistendo a una sorta di processo di irrazionalizzazione politica dell’Occidente? C’è una parte della sinistra che ormai si professa a favore di un populismo di sinistra come reazione al populismo di destra.

“Prima di reagire in modo puramente tattico bisogna sciogliere un enigma: come è stato possibile giungere a una situazione nella quale il populismo di destra sottrae alla sinistra i suoi stessi temi?”.

Quale dovrebbe essere allora la risposta di sinistra alla sfida della destra?

“Ci si deve chiedere perché i partiti di sinistra non vogliono porsi alla guida di una lotta decisa contro la disuguaglianza sociale, che faccia leva su forme di coordinamento internazionale capaci di addomesticare i mercati non regolati. A mio avviso, infatti, l’unica alternativa ragionevole tanto allo status quo del capitalismo finanziario selvaggio quanto al programma del recupero di una presunta sovranità dello Stato nazionale, che in realtà è già erosa da tempo, è una cooperazione sovranazionale capace di dare una forma politica socialmente accettabile alla globalizzazione economica. L’Unione europea una volta mirava a questo – l’Unione politica europea potrebbe ancora esserlo”.

Oggi tuttavia sembra essere persino peggio del populismo di destra in sé il “pericolo di contagio” del populismo nel sistema dei partiti tradizionali, in tutta Europa.

“L’errore dei vecchi partiti consiste nel riconoscere il fronte che definisce il populismo di destra: ossia “Noi” contro il sistema. Solo una marginalizzazione tematica potrebbe togliere l’acqua al mulino del populismo di destra. Si dovrebbero quindi rendere di nuovo riconoscibili le opposizioni politiche, nonché la contrapposizione tra il cosmopolitismo di sinistra – “liberale” in senso culturale e politico – e il tanfo etnonazionalistico della critica di destra alla globalizzazione. In breve: la polarizzazione politica dovrebbe cristallizzarsi di nuovo tra i vecchi partiti attorno a opposizioni reali. I partiti che riservano attenzione al populismo di destra, piuttosto che disprezzarlo,  non possono aspettarsi poi che sia la società civile a mettere al bando slogan e violenze di destra”.

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il panzer-cardinale bugiardo sbugiardato dalla signora Marie Collins

l’incoerenza e la memoria corta del card. Müller

Marie Collins attacca il prefetto della Cdf

Ludovica Eugenio 

da: Adista Notizie n° 12 del 25/03/2017

 

«Ci sono alcune cose che Lei afferma alle quali sento il bisogno di rispondere»

con un tono solo apparentemente pacato Marie Collins, la vittima di abusi e attivista irlandese recentemente dimessasi da membro della Pontificia Commissione per la Tutela dei minori per contestare il boicottaggio della Commissione stessa in particolare da parte della Congregazione per la Dottrina della Fede (v. Adista Notizie n. 10/17), ha replicato al tono vagamente sprezzante e liquidatorio usato nei suoi confronti dal card. Gerhard Müller, prefetto della Congregazione. Müller, in un’intervista al Corriere della Sera del 5 marzo scorso, aveva rispedito al mittente tutte le obiezioni della Collins, mettendone in dubbio la veridicità (v. Adista Notizie n. 11/17). E così l’irlandese ha preso metaforicamente carta e penna e ha ribattuto attaccando e smentendo con grande forza, frase per frase, a tratti con sarcasmo, le affermazioni del cardinale in una lunga lettera aperta pubblicata in esclusiva dal settimanale statunitense National Catholic Reporter (14/3).

Ma quale collaborazione?

«Non posso capire che si parli di mancanza di collaborazione», aveva affermato Müller. «Forse un esempio può essere d’aiuto», ribatte pronta la Collins. «Nel 2015, alcuni gruppi di lavoro della Commissione invitarono la sua Congregazione a far partecipare un suo rappresentante agli incontri in programma a Roma per discutere questioni di comune interesse. Ma l’invito venne declinato, e i membri vennero informati dal Segretario della Commissione, mons. Robert Oliver, che tali incontri non sarebbero stati possibili e che non era possibile altra comunicazione se non per iscritto. Certo, le cose poi sono cambiate, ma c’è voluto più di un anno. Era settembre 2016 quando un rappresentante della Cdf ha partecipato agli incontri del gruppo di lavoro della Commissione».

A sentire Müller, poi, negli ultimi anni «c’è stato un contatto permanente» tra Cdf e Commissione: «Non so che forma abbia assunto questo contatto permanente», replica la Collins. «Tutto ciò che posso dire è che i membri della Commissione non hanno ricevuto resoconti formali né vi è stato alcun risultato positivo generato da tale contatto».

«Uno dei nostri collaboratori fa parte» della Commissione, insisteva il cardinale: certo, ne faceva parte, «ma è sorprendente, dato che lei afferma di essere sempre stato in contatto con la commissione – nota sarcastica la Collins – che non sapesse che questo membro, Claudio Papale, ha concluso il suo coinvolgimento attivo nella Commissione nel 2015 (anche se i membri lo hanno saputo solo a maggio 2016)».

Il tribunale per i vescovi negligenti è stato silurato

Riguardo poi al nuovo tribunale per i vescovi negligenti nella gestione dei casi di pedofilia, Müller, nell’intervista con il Corriere, aveva parlato di un «dialogo intenso fra vari Dicasteri coinvolti nella lotta contro la pedofilia nel clero» che avrebbe avuto luogo, e che tale tribunale sarebbe stato solo un «progetto»: «Era solo un progetto, dice?», attacca l’irlandese. «A rileggere l’annuncio pubblico del 10 giugno 2015, sembra molto di più. Azioni molto precise erano già state approvate e dotate di risorse dal Santo Padre», come la creazione di una nuova sezione giudiziaria nella Cdf, la nomina di personale per il Tribunale e la nomina di un segretario per i rapporti tra prefetto e tribunale. «Nonostante la stretta collaborazione con la Commissione di cui lei parla, questa non si estendeva alla discussione tra dicasteri vaticani».

Ma il tribunale, secondo il prefetto, non era necessario, dal momento che qualsiasi negligenza poteva essere trattata con «la competenza», «gli strumenti» e i «mezzi giuridici» già in opera nella Congregazione per i vescovi; e se in qualche “caso speciale” ciò non fosse stato sufficiente, il papa avrebbe sempre potuto affidarlo, sosteneva Müller, alla Cdf. «Quindi non era necessario alcun cambiamento e non venne realizzato nulla. La ringrazio, Cardinale, per aver confermato, con le sue parole, che quello che avevo detto sul tribunale era vero», incalza la Collins. «La Commissione lo aveva raccomandato, il Consiglio dei cardinali e il papa lo avevano approvato, e poi è stato rigettato dalla sua congregazione». Ma se è vero che sono stati messi in opera tutti i mezzi necessari per trattare il caso di un vescovo negligente, perché allora «nessun vescovo è stato ufficialmente e pubblicamente sanzionato o rimosso per la sua negligenza? Se non è per mancanza di leggi, allora si tratta di mancanza di volontà? Sono certa, cardinale, che molte vittime, me compresa, sono interessate alla risposta a questa domanda».

Incoerenza e freddezza burocratica

La Collins prosegue con l’affermazione di Müller di non sapere nulla dei due “incidenti” – per non dire boicottaggi – da lei citati: il rifiuto della Cdf di collaborare sul fronte delle linee guida per la tutela dei minori e di rispondere alla corrispondenza inviata dalle vittime: «Se ha dubbi sulla natura di questi “incidenti” – afferma incastrandolo – può rinfrescarsi la memoria guardando la lettera formale di risposta inviata dalla sua Congregazione alla Commissione il 15 dicembre 2016. Nel primissimo paragrafo, la lettera cita esplicitamente le due richieste». Per quanto riguarda la seconda, ossia la richiesta a tutti i dicasteri di rispondere sempre alle lettere inviate dalle vittime, essa era già stata approvata dal papa e il rappresentante ufficiale della Cdf si era detto d’accordo, in un incontro del settembre 2016: «Invece, due mesi dopo, nella risposta formale della sua Congregazione, è stata rifiutata». «È difficile lavorare con un organismo – conclude la Collins – incoerente nel suo approccio, che non si sa dove si colloca in ogni momento specifico». Il cardinale aveva motivato questo rifiuto con il rispetto della sussidiarietà, ma ciò indica che «nella Chiesa il rispetto del sistema gerarchico ha ancora la meglio sul rispetto per l’individuo. Mi hanno insegnato che nella Chiesa tutti sono uguali, ma qui sembra che nella sua Congregazione non sia così, quando si tratta di un vescovo e di una vittima. Sembra che per lei la preoccupazione che il vescovo possa sentirsi scavalcato superi quella di non rispettare il sopravvissuto», e si tratta di considerazioni «anacronistiche, burocratiche, riguardanti la gerarchia». E se il punto è che la Cdf non vuole ingerenze di esperti “esterni” in un campo che ritiene di propria competenza, se ne può discutere. O no?

Penultimo punto affrontato dalla Collins: Müller afferma che vi sarebbe un fraintendimento sul ruolo della Cdf: «Come ex membro della Commissione, conosco molto bene la funzione della Cdf», ribatte; d’altronde, la Cdf avrebbe dovuto solo fare lo sforzo di confermare l’avvenuta recezione della lettera, trasmettendo così allo scrivente il messaggio che la sua storia non veniva ignorata, che sarebbe stata affrontata.

Mancanza di memoria o disfunzione? 

Infine, la Collins contesta l’affermazione di Müller che la riguarda: «Non ho mai avuto l’occasione di incontrarla», aveva affermato sul Corriere il prelato. «Cardinale, sembra che lei abbia scordato la serata trascorsa insieme, seduti a cena a Dublino dopo la mia nomina alla Commissione», attacca. «Durante la cena abbiamo discusso della nuova Commissione, della mia nomina e in generale dell’abuso nella Chiesa. Erano presenti altri rappresentanti della Cdf, tra cui mons. John Kennedy e l’allora p. Robert Oliver, che prima della nomina alla Commissione era promotore di giustizia alla Cdf».

La Collins chiude con una considerazione colma di amarezza: «Con tutto il rispetto, cardinale, non capisco il motivo delle difficoltà opposte alla Commissione. Tutto ciò che vuole è proteggere maggiormente minori e adulti vulnerabili là dove la Chiesa cattolica è presente. Se vi sono dei problemi, non si guadagna nulla a far finta che tutto vada bene. Vorrei che, quando viene espressa una critica come la mia, invece di ricadere nella posizione tipica della Chiesa di negazione e offuscamento – continua – si desse al popolo della Chiesa la risposta che merita di avere. Abbiamo diritto a trasparenza, onesta e chiarezza. La disfunzione non può più essere nascosta dietro porte chiuse istituzionali. Ciò accade soltanto quando chi conosce la verità vuole restare zitto».

*immagine di Presse.Nordelbien, tratta da Flickr, licenza e immagine originale.

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