in difesa degli ‘accattoni’

gli accattoni, le multe e i doveri verso i poveri

di Gian Antonio Stella

in “Corriere della Sera” del 14 dicembre 2016

 

«L’abbietto mestiere dell’accattone è una piaga sociale che è sempre esistita sin dal tempo delle repubbliche greche. (…) I legislatori hanno sempre cercato di risanare questa piaga, tentando di porre un argine all’accattonaggio nell’interesse della pubblica decenza, del buon costume e della pubblica sicurezza…».

Lo scriveva l’«Enciclopedia di polizia», di Luigi Salerno, «Ad uso dei funzionari e impiegati di P.S., ufficiali e sottufficiali dei carabinieri, degli agenti di polizia e della Guardia di finanza, magistrati, avvocati, sindaci e segretari comunali», edizioni Hoepli, 1952. Erede del fascismo, citava il rischio, lasciando in giro i questuanti, di «una menomazione del decoro nazionale».

Ecco, il sindaco forzista di Trieste Roberto Dipiazza e il suo vice leghista Pierpaolo Roberti, decisi a mostrare i muscoli vietando la pubblica carità e fissando una multa da 150 a 900 euro perfino per chi fa l’elemosina, anteponendo gli inviti evangelici a quelli securitari, potrebbero trarre ulteriori ispirazioni dalla lettura del codice Rocco e dell’enciclopedia citata, la quale liquida la «plebaglia» che «spesso non ha camicia addosso, né scarpe ai piedi, né tetto sotto cui riparare» spiegando che «il risparmio e la previdenza le sono sconosciuti».

Se poi volessero andare fino in fondo, i guardiani del decoro triestino potrebbero fare un esposto contro Bergoglio Jorge Mario, extracomunitario, nato a Buenos Aires, alias Papa Francesco, per «istigazione recidiva all’elemosina». Nell’udienza giubilare del 9 aprile 2016, infatti, dopo aver ricordato che «elemosina, deriva dal greco e significa proprio misericordia», ha detto: «Il dovere dell’elemosina è antico quanto la Bibbia. Il sacrificio e l’elemosina erano due doveri a cui una persona religiosa doveva attenersi».

E insistito che è un dovere verso «il bisognoso, la vedova, lo straniero, l’orfano…». Non bastasse, ha detto che sì, «dobbiamo distinguere tra i poveri e le varie forme di accattonaggio che non rendono un buon servizio ai veri poveri», ma non è accettabile fare di ogni erba un fascio: «Quanta gente giustifica se stessa per non dare l’elemosina dicendo: “Ma come sarà questo? Questo a cui io darò, forse andrà a comprare vino per ubriacarsi”. Ma se lui si ubriaca, è perché non ha un’altra strada! E tu, cosa fai di nascosto? E tu sei giudice di quel povero uomo che ti chiede una moneta per un bicchiere di vino?». Conclusione: «Non distogliere lo sguardo da ogni povero e Dio non distoglierà da te il suo». Ma si sa, il Papa non deve raccattare voti…

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nei confronti delle persone lgbt non tutti i vescovi sono uguali

viaggio tra i vescovi cattolici che sostengono apertamente l’inclusione delle persone lgbt

Articolo pubblicato sul blog Cristianos Gay (Spagna) il 13 ottobre 2016, liberamente tradotto da Sara C.

Tra i vescovi cattolici spicca il Vescovo Johan Bonny che si fa notare ancora una volta per la sua posizione a favore delle persone LGBT.
Lo fa attraverso un libro che è stato pubblicato l’11 ottobre scorso in Belgio e che raccoglie una serie di interviste con il teologo Roger Burggraeve e la giornalista Isle Van Halst, della rivista fiamminga Kerk & Leven. Il titolo evoca una celebre dichiarazione di Papa Francesco sulle tre parabole dedicate alla famiglia: “Posso? Grazie. Mi spiace. Dialoghi audaci sulla relazione, sul matrimonio e sulla famiglia” (Mag ik? Dank je. Sorry. Vrijmoedige dialoog over relaties, huwelijk en gezin).

In questo libro, come riportato nel quotidiano La Libre Belgique (tradizionalmente vicino al Cattolicesimo Belga), il Vescovo Johan Bonny afferma il primato del matrimonio eterosessuale e respinge l’equiparazione con quello tra le persone dello stesso sesso e le unioni civili. Tuttavia, il Vescovo Johan Bonny afferma che essi e le loro unioni debbano trovare posto all’interno della comunità cattolica mediante la liturgia. Proprio a questo proposito fa la sua proposta più audace: l’introduzione di un rituale di benedizione per le coppie di fatto (diverso dal sacramento del matrimonio inteso come unione di due persone eterosessuali) che abbracci anche le persone dello stesso sesso.

Il Vescovo di Anversa e le sue dichiarazioni a favore delle persone LGBT

Questa non è la prima volta che il vescovo d’Anversa si distingue per le sue dichiarazioni circa le persone LGBT, già nel settembre del 2014 ha indirizzato una lettera al Vaticano, durante la celebrazione del Sinodo straordinario sulla Famiglia, chiedendo maggior rispetto e un linguaggio più armonioso di fronte a quelle realtà considerate “diverse”; sostenendo, inoltre, che la Chiesa cattolica dovrebbe “abbandonare il suo atteggiamento difensivo” su questioni come l’accettazione degli omosessuali, divorziati e risposati o sui giovani che vivono con un partner senza essere uniti in matrimonio, sottolineando che queste situazioni “meritano maggiore rispetto e un giudizio meno duro”.

Qualche mese dopo, dicembre 2014 , lo stesso Vescovo ha sostenuto la necessità di un riconoscimento liturgico delle coppie omosessuali, atteggiamento che gli è costato l’opposizione dei settori fondamentalisti . “Dobbiamo trovare nel seno della Chiesa un riconoscimento formale per la relazione intesa come unione sia delle persone omosessuali sia di quelle eterosessuali. Come nella società esistono dei riconoscimenti giuridici per le coppie  altrettanto dovrebbero esistere all’interno della Chiesa stessa”, ha affermato senza però specificare se questo “riconoscimento formale” dovrebbe avere o meno carattere liturgico.

Un piccolo e insistente gruppo di vescovi aperturisti

La verità è che il Vescovo Bonny non è del tutto solo ma fa parte di un gruppo di vescovi che hanno avanzato diverse posizioni sulle persone LGTB, rispetto alla maggior parte della gerarchia cattolica. Si tratta di un piccolo ma notevole gruppo in quanto sta mantenendo la stessa linea ormai da diversi anni. Tra di loro troviamo il Vescovo di Osnabrück (Germania), Franz-Josef Bode, il quale, nel mese di settembre 2015, si mostrò favorevole a benedire, in privato e non attraverso una cerimonia pubblica, le coppie omosessuali unite da una relazione stabile.

Tra di loro, spicca anche il cardinale  Reinhard Marx , presidente della Conferenza Episcopale Tedesca nonché arcivescovo di Monaco e Frisinga e stretto collaboratore di Papa Francesco. È stato lui il primo ad affermare che la Chiesa cattolica dovrebbe chiedere scusa per come ha trattato gli omosessuali, dando così origine alle dichiarazioni che il Papa stesso fece a tal proposito. Il Cardinale affermò che “La storia degli omosessuali nella nostra società è una storia terribile; li abbiamo emarginati e pertanto dobbiamo chiedere loro perdono, sia come Chiesa sia come società”. Il cardinale tedesco ha anche osservato che il rapporto di fedeltà tra le persone dello stesso sesso deve valorizzarsi positivamente: “Dobbiamo rispettare le decisioni degli individui. Come ho già affermato nel primo Sinodo – dove alcuni sono stati costernati, ma penso che sia normale – non si può dire che una relazione fedele tra due uomini o due donne non sia nulla, che non abbia alcun valore”.

Anche prima del pontificato di Papa Francesco, nel 2012, il Cardinale Rainer Woelki, Arcivescovo di Berlino, chiamò la Chiesa a riflettere sulla propria posizione nei confronti delle coppie omosessuali affermando, a questo proposito, che dovrebbero essere considerate come analoghe a quelle eterosessuali. Allo stesso modo, durante un’intervista avvenuta in seguito, ha denunciato il ” falso perfezionismo ” che, a parer suo, prevale nel seno della Chiesa. Tuttavia, poco dopo ha chiarito la sua posizione in modo curioso affermando, da un lato, che “dove ci sono individui inclini e disposti gli uni verso gli altri, questi meritano un riconoscimento” mentre, dall’altro, ha aggiunto che gli “atti”  omosessuali vanno “contro la legge naturale e quindi non possono essere accettati dalla Chiesa.”

A tal proposito, va menzionato il Vescovo di Saltillo (Messico), Raul Vera, che da anni si sta distinguendo per la difesa delle persone LGBT. Nel 2011 aveva sostenuto l’organizzazione del Forum sulla diversità sessuale, familiare e religiosa  da parte della Comunità di San Elredo (gruppo di cristiani LGBT) affermando che: “la società messicana non è ancora stata in grado di liberarsi dai pregiudizi, dall’intolleranza e dall’ostilità nei confronti delle persone gay, generando così atti di violenza e un rifiuto sociale e familiare”. Nel 2014, lo stesso Vescovo battezzò la figlia nata da una coppia di due donne che avevano contratto matrimonio nel Distretto Federale del Messico, primo territorio messicano ad approvare il matrimonio omosessuale.

Cattolicesimo tedesco, punta di diamante

Non deve sorprendere che la maggior parte degli esempi appena menzionati provengano proprio dalla Germania, Paese nel quale è presente una delle comunità cattoliche più aperte nei confronti delle persone LGTB. Nonostante tutto, però, le dichiarazioni di questi vescovi tedeschi sembrano timide in confronto a quelle dei laici. Nel dicembre 2015, la divisione locale della Confederazione Cattolica della Gioventù Tedesca (Bund der Deutschen Jugend Katholischen -BDK-) approvò un documento intitolato “Tutti sono i benvenuti”, in cui affermava che “l’amore di Dio non fa distinzioni” e ha riconosciuto che “le persone omosessuali” possono “vivere il sesso in modo responsabile”. Un altro esempio eloquente è stato il documento firmato nel 2011 da 144 teologi cattolici tedeschi (circa un terzo del totale), nel quale si sosteneva la necessità di una profonda riforma da parte della Chiesa stessa che comprendeva, tra le altre cose, la fine del “rigore morale” che condanna all’ostracismo le coppie omosessuali e le coppie di persone divorziate unite in seconde nozze.

A questa apertura corrisponde un atteggiamento progressista da parte del cattolicesimo tedesco su questioni come la contraccezione e il divorzio; temi sui quali la Germania già marcava differenze con i pontefici precedenti, in particolare con il tedesco Joseph Ratzinger.

In definitiva, all’interno delle dinamiche della Chiesa cattolica di alternare passi in avanti con altrettanti in dietro (come si è potuto ben notare dalle più recenti dichiarazioni del Papa), esiste un gruppo di vescovi che sembra premere in modo insistente. Non c’è bisogno di ricordare, purtroppo, in che posizione si trovino le voci dell’episcopato spagnolo, con qualche eccezione come il vescovo Vera. Sembra, comunque, che ai vescovi del Nord Europa vada aggiudicato ancora una volta il riconoscimento di avere una visione avanguardista su tal questione.

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«Il mondo è sull’orlo di un’apocalisse climatica»

l’apocalisse è a un passo ed è climatica

l’allarme dell’“Osservatore Romano”

Eletta Cucuzza

da: Adista Notizie n° 44 del 17/12/2016

 

«Il mondo è sull’orlo di un’apocalisse climatica». Lapidaria e disperante, la frase apre un articolo de L’Osservatore Romano del 2 dicembre (“Apocalisse climatica”), il cui scopo va al di là della semplice informazione, è insieme allerta e sprone, perché il «riscaldamento globale rischia di produrre cambiamenti radicali sulla società umana, in primis a livello geopolitico e demografico»

«Le previsioni più attendibili – scrive il quotidiano ufficioso della Santa Sede – parlano di almeno 350 milioni di “migranti ambientali” (ovvero migranti causati da rischi legati al clima) entro il 2050»; e «entro il 2020 ben sessanta milioni di persone potrebbero spostarsi dalle aree desertificate dell’Africa subsahariana verso il Nord Africa e l’Europa». Previsioni realistiche se si guarda ai dati più recenti riferiti dal quotidiano: «Secondo l’Organizzazione mondiale delle migrazioni (Iom), nel 2014 la probabilità di essere sfollati a causa di un disastro è salita del 60 per cento rispetto a quarant’anni fa. Per l’Internal Displacement Monitoring Centre del Norwegian Refugee Council, dal 2008 al 2015 ci sono stati 202,4 milioni di persone delocalizzate o sfollate, il 15 per cento per eventi geofisici come eruzioni vulcaniche e terremoti, e l’85 per eventi atmosferici. Nel solo 2015 gli sfollati interni allo stesso stato sono stati 27,8 milioni, di cui 8,6 milioni provocati da conflitti e violenze e 19,2 milioni da disastri naturali, intensi e violenti. L’Unhcr, nel Global Trend 2016 dà, invece, numeri ben più sostanziosi: 40,8 milioni di profughi interni o sfollati nel 2015». Da pochi giorni, «la Fao ha lanciato un nuovo allarme per le conseguenze dei cambiamenti climatici sulla lotta contro la fame. “Saranno 130 milioni le persone in più che soffriranno la fame e la malnutrizione come causa diretta dei cambiamenti climatici, se continuiamo con le politiche attuali”, ha detto Maria Helena Semedo, vicedirettrice generale della Fao». Secondo Semedo, «nei prossimi quindici anni vivremo un aumento della popolazione e, contemporaneamente, vedremo uno spostamento nelle città, dove è previsto che vivrà il 60% delle persone. Avremo quindi meno persone disponibili a produrre cibo», e sarà ancora più difficile, ha sottolineato la vicedirettrice della Fao, «raggiungere il nostro obiettivo di eliminare la fame nel mondo entro il 2030».

Eppure «la questione del legame tra cambiamenti climatici e migranti – evidenzia L’Osservatore – non ha ricevuto finora l’attenzione di molti ricercatori e dunque non esistono ancora ricerche approfondite su diverse questioni, tra cui anzitutto lo status di “migrante ambientale”. In effetti, i “migranti ambientali” non rientrano nei parametri della figura di rifugiato riconosciuta dalla convenzione di Ginevra. Per cui, a livello di protezione internazionale, non hanno alcun diritto. Bisognerebbe quindi, dicono numerosi esperti, superare la definizione di rifugiato e in questo l’Europa – sprona il quotidiano – potrebbe farsi promotrice presso l’Onu perché vengano riconosciuti diritti ai profughi economici e ambientali».

E poi «servono politiche incisive, basate su misure concrete, che possano favorire le popolazioni più deboli», suggerisce L’Osservatore, che fa eco ancora alla proposta di Maria Helena Semedo: «Dobbiamo – ha detto la vicedirettrice della Fao – modificare il nostro modo di produrre verso uno più sostenibile, come discusso nell’evento di oggi: è necessario un approccio più integrato, che aiuti le popolazioni a diventare resilienti rispetto ai cambiamenti climatici. Altrimenti diventeranno più povere e aumenterà l’insicurezza alimentare».

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