per l’ONU l’Italia discrimina i rom

ora lo dice anche l’Onu

‘le comunità rom in Italia sono discriminate’

Ora lo dice anche l’Onu: ‘Le comunità rom in Italia sono discriminate’
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Presidente Associazione 21 luglio
In Italia continua le segregazione abitativa dei rom: non solo si registrano sgomberi illegali, ma le autorità proseguono nella costruzione di aree isolate e realizzate su base etnica. Insomma, la Strategia nazionale per l’inclusione dei Rom è solo un elenco di belle intenzioni. A dirlo non sono organizzazioni di settore, centri sociali o attivisti vicini alla sinistra. Lo certifica piuttosto il più antico e autorevole Comitato della Nazioni unite quando, “tirando le orecchie” al governo denuncia a chiare lettere: le comunità rom in Italia sono discriminate.E’ proprio in materia di discriminazione verso le comunità rom che il Palazzo di Vetro esprime la sua più profonda preoccupazione e condanna nei confronti delle azioni promosse dal governo italiano e dalle amministrazioni locali chiedendo con urgenza interventi concreti volti a ricondurle all’interno dei valori fondamentali riportati nella Convenzione internazionale sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale redatta il 21 dicembre 1965.

 

Gli Stati che hanno sottoscritto la Convenzione, 177 tra i quali l’Italia, si sono infatti formalmente impegnati a perseguire con tutti i mezzi adeguati una politica nazionale tesa a eliminare ogni forma di discriminazione fondata sull’etnia e, come organismo di sorveglianza, le Nazioni unite hanno creato il Cerd, il Comitato per l’eliminazione della discriminazione razziale (Committee on the elimination of racial discrimination) che da quasi 40 anni vigila sull’osservanza della Convenzione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale.

Periodicamente gli Stati firmatari devono rendere conto ai loro cittadini e all’opinione pubblica mondiale in merito alla concretizzazione, all’interno del proprio Paese, dei valori fondamentali della Convenzione e sottoporsi a un esame critico. Ogni Stato è tenuto a presentare rapporti all’interno dei quali dettagliare i provvedimenti legislativi, giudiziari, amministrativi presi illustrando la situazione del Paese in materia di discriminazione. Il Comitato esamina periodicamente i rapporti presentati accogliendo anche i “rapporti ombra” di organizzazioni indipendenti che spesso presentano quadri e descrivono scenari sensibilmente difformi da quelli illustrati dai governi nazionali.

 

Quest’anno è stata la volta dell’Italia e il Comitato, riguardo la cosiddetta “questione rom” non ha fatto sconti, recependo buona parte delle informazioni inviate dalle diverse organizzazioni, in primis quelle di Associazione 21 luglio.

Le preoccupazioni del Comitato investono tre ambiti fondamentali: la pratica degli sgomberi forzati che ha un impatto particolarmente negativo sulla continuità scolastica dei bambini; il fatto che molte comunità rom continuino a vivere in baraccopoli segreganti e in spazi abitativi distanti dai servizi essenziali e al di sotto degli standard; la volontà espressa da alcune amministrazioni locali interessate a progettare e creare nuovi insediamenti per soli rom.

Non è una novità che gli sgomberi forzati registrati negli ultimi tre anni nelle città di Milano e Roma – azioni di “bonifica” preparatorie ai grandi eventi di Expo e del Giubileo della Misericordia – abbiano raggiunto, per intensità e modalità operative gli stessi picchi segnalati durante il triennio della cosiddetta “emergenza nomadi”.

Non lo è neanche che in Italia siano almeno 20.000 i rom presenti negli insediamenti istituzionali, realizzati e gestiti con denaro pubblico. Stupisce invece come, anche dopo le inchieste di Mafia Capitale, alcune città, prima fra tutte la Capitale, continuino a perseverare nella costruzione di nuovi ghetti etnici (chiamati nelle forme più bucoliche e soft), ormai certificati come “buchi neri” dove le risorse economiche, così come i diritti fondamentali, vengono inghiottiti nella vergognosa macchina messa su dalle amministrazioni.

Ma il Cerd non si limita a formulare preoccupazioni. Questa volta va oltre indicando precise linee guida alle quali il governo italiano dovrà dare conto fra 12 mesi: fermare subito gli sgomberi forzati, arrestare ogni costruzione di nuovi “campi per soli rom”, assicurare ai minori rom un’istruzione di qualità e un’accessibilità all’istituzione scolastica, rivitalizzare la Strategia nazionale per l’inclusione dei rom.

La strada è tracciata. Si tratta solo di seguirla. Del resto si sa, volenti o nolenti il trattamento che le istituzioni riservano alle comunità rom in condizione di povertà, rappresenta – insieme ad altri – il termometro che misura il nostro livello di democrazia e civiltà.

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a Venezia si vorrebbe creare un ghetto dei poveri per nasconderli dal resto della città

Venezia vuole nascondere i poveri

“Spostiamo le mense dal centro”

di Lorenzo Padovan
in “La Stampa”

Il Chilometro della cultura da una parte, la «Cittadella della povertà» dall’altra. In mezzo, una città, Mestre, da sempre sorellastra di Venezia, che si interroga sul proprio futuro e assiste allo scontro tra il sindaco Luigi Brugnaro e il Patriarca Francesco Moraglia sulla collocazione delle mense per gli indigenti, ora a due passi dalla zona dello strùscio.

A Mestre una serie di iniziative promozionali sta faticosamente cercando di garantire nuova linfa e opportunità socio-culturali ad un centro perennemente offuscato dalla Perla della laguna. È stato il vulcanico primo cittadino Brugnaro a lanciare la provocazione: «Spostiamo le tre mense che sono ricettacolo di disperazione: dobbiamo armonizzare la presenza di queste persone, liberando quell’area, comunque centrale, da un assembramento ormai insostenibile. Non solo refettori, ma ipotizziamo anche altri servizi complementari. Insomma, una “Cittadella della povertà” che concentri le opportunità per i senza tetto e offra solidarietà, non a scapito dei residenti». Un esercito di clochard che conta su almeno 200 unità: italiani e stranieri, con contaminazioni della delinquenza comune, che nel degrado sguazza e camuffa meglio i propri affari loschi.

Nessuna indicazione sull’ubicazione del «Quartiere dei poveri», ma numerosi indizi lo collocherebbero nei pressi del nuovo ospedale dell’Angelo. Peccato che le strutture in odore di trasloco siano di proprietà della Diocesi, che ha subito intimato l’altolà al progetto: «Sono rimasto un po’ sorpreso da questa iniziativa che immagino abbia buone intenzioni – è il pensiero del Patriarca di Venezia Moraglia -. Portare tutto in un luogo deputato alla carità, quasi come se ci fossero barriere divisive all’interno della comunità civica-sociale, non è solo nascondere la verità, è creare una disparità tra una società che crede di aver eliminato la sofferenza e una realtà che, per i suoi bisogni primari, vive ai suoi margini e la vede come un mondo proibito».
C’è apertura al dialogo, ma nessun preludio ad accordi che possano anche solo minimamente portare al rischio di ghettizzazione dei senzatetto: «Una riorganizzazione delle mense ci vede favorevoli, per scongiurare difficoltà anche a chi vive nel quotidiano», ha sottolineato il presule. Ma ha aggiunto: «Nello stesso tempo, dobbiamo prendere atto che la società è un corpo che comunica tra i suoi membri. Ci sono ricchezza, povertà, bambini, nonni, adulti, sani e malati e bisogna cercare, nel rispetto, di offrire servizi migliori a tutti, rimanendo attenti all’uomo concreto, alle sue stagioni e sofferenze».

Se la Chiesa stoppa il Comune, l’idea di Brugnaro – che a Mestre ha il suo feudo elettorale – è stata accolta dai residenti come un principio rivoluzionario: «Abito in zona da 50 anni – fa sapere Luciano Niero, portavoce del Comitato di via Querini, che già dieci anni fa chiese, invano, un intervento all’allora sindaco Massimo Cacciari -, ma adesso siamo al limite. Non si può uscire di casa senza imbattersi in chi urina sulla soglia, defeca sullo zerbino, bivacca per ore avvolto in qualche straccio. Nessuno più investe nel quartiere e le attività commerciali stanno scomparendo. Le parole del Patriarca mi sorprendono perché nel nobile sentimento della carità cristiana non ci sentiamo ricompresi: tutti protesi a stare vicini agli ultimi, ci si scorda dei cittadini invisibili che vivono una sofferenza silenziosa, in un’area che di fatto non è più casa loro».

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