due bambini sono il segno del nostro fallimento ma riusciranno a salvare le nostre coscienze?

con Aylan e Orman abbiamo fallito

di Niccolò Zancan
in “La Stampa” del 20 agosto 2016

Omran
Due bambini con i calzoncini corti sono il simbolo del nostro fallimento. Due bambini incredibilmente composti nel disastro del mondo. Aylan di tre anni su una spiaggia di Bodrum, le braccia lungo i fianchi, spinto indietro dal mare mentre cercava di scappare dalla guerra in Siria con la sua famiglia. E poi Omran, cinque anni, vittima della stessa guerra, seduto sul sedile di un’autoambulanza ad Aleppo con la faccia incrostata di sangue e gli occhi enormi. 2 settembre 2015, 18 agosto 2016. Due frammenti. La stessa storia.

Certe fotografie sbucano dal rumore di fondo e si impongono all’attenzione, diventano virali. Rimbalzano su ogni schermo del pianeta. Tutti devono vederle. Ma poi, dopo averle viste, condivise e commentate, dopo l’indignazione, cosa resta? Sarebbe sbagliato sostenere che quest’anno tutto sia rimasto uguale. Le cose possono anche peggiorare. Ed è quello che è successo. Secondo una stima sempre aggiornata per difetto, altri quattrocento bambini sono affogati nel Mediterraneo dopo Aylan, gli ultimi due ieri mattina.Aylan1

Erano su una piccola barca di legno carica di famiglie siriane. Essendo chiusa la rotta balcanica, erano passate dall’Egitto prima di pagare i trafficanti ed affidarsi al mare. Scappavano ancora dalla stessa guerra. Cercavano sempre di arrivare in Europa. Anche se nessuno vedrà quella fotografia, erano due bambine di 6 anni e di 5 mesi. La realtà ci lascia un passo indietro, sfugge continuamente. Mentre qualcuno su Twitter commentava la storia della famiglia di Omran scampato al bombardamento, altre bombe cadevano sulle case di Aleppo. Potevi imbatterti in un video in cui due medici tentavano di fare il massaggio cardiaco ad un ragazzino, steso sul pavimento dell’ospedale davanti ai suoi genitori. Puoi vedere tutto, ma non serve a niente. Anche la politica sta abdicando al suo ruolo.Aylan

Dopo Aylan c’era stato un profluvio di dichiarazioni. Ogni capo di Stato si era dichiarato sconvolto. Sembrava davvero che potesse cambiare qualcosa in Europa. Che la morte di un bambino in fuga da Kobane non fosse inutile, e quella foto simbolica potesse davvero incidere nella realtà. Invece è stato un progressivo sgretolarsi di parole ed intenzioni. Con l’incapacità di sentire il mondo profondamente, si è perso anche il potere di renderlo diverso. È stato l’anno del terrore moltiplicato in diretta, della morte esibita, della paura cavalcata, dell’emotività veloce, dell’assuefazione lenta. Nella quantità enorme di immagini che passano ogni secondo davanti ai nostri occhi, solo alcune ormai riescono ad imporsi all’attenzione. Sono immagini rare. Non spiegano la vita e neppure la morte, la mostrano. Questa è la loro forza. Sono drammatiche ma perfette, perché contengono l’orrore e l’innocenza nella stessa inquadratura. Come se avessero già al loro interno la risposta che serve. Eppure le fotografie di Aylan Kurdi e Omran Daqneesh forse salveranno le nostre coscienze, ma non stanno cambiando la Storia.

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burkini sì, burkini no, un polverone inutile?

il problema esisteburkini3

probabilmente i casi di uso del burkini come costume da bagno sulle nostre spiagge italiane ma anche di altri paesi non sono molte, per cui numericamente il clamore mediatico e le reazioni politiche sono da considerare esagerate o sproporzionate ai casi realmente verificatesi, e tuttavia il problema esiste e ha forti radici culturali che non si cambiano con alcuni divieti o minacciando multe o carcereburkini2

 Come dice M. Marzano (cfe articolo nel link qui sotto) “Il problema allora, nel caso del burkini, non è tanto la libertà o meno della donna di vestirsi come meglio crede. Su questo siamo (o dovremmo) essere tutti d’accordo. Il problema sono le condizioni di esercizio della libertà delle donne musulmane. Cosa le spinge o meno a coprirsi? La paura del giudizio o delle sanzioni da parte dei familiari? I precetti religiosi? Il desiderio di opporsi ai valori occidentali? Il pudore? Certo, la libertà individuale è sempre sacra. Ma non ha ragione anche Lacordaire quando, nel XIX secolo, ci ricorda che “tra il forte e il debole è la libertà che opprime e la legge che affranca”?”burkini

qui sotto una piccola rassegna stampa tratta dalla sempre interessante e  benemerita pagina di ‘finesettimana’:

 

Bikini, burkini e senso del pudore di Michela Marzano in la Repubblica  del 19 agosto 2016

compatibilità

Il problema allora, nel caso del burkini, non è tanto la libertà o meno della donna di vestirsi come meglio crede. Su questo siamo (o dovremmo) essere tutti d’accordo. Il problema sono le condizioni di esercizio della libertà delle donne musulmane.
Il lungo percorso per la liberazione di Renzo Guolo in la Repubblica del 19 agosto 2016
Chiunque conosca la cultura islamica sa che le donne sono impegnate da tempo nell’erodere i divieti e le forme di controllo sociale maschile sulla loro vita. Anche il diffondersi del burkini fa parte di questo complicato, e lungo, percorso, molto più post- ideologico di quanto si pensi

Libertà non è il burkini di Giuliana Sgrena in il manifesto del 19 agosto 2016

Garantire, anche per legge, la parità, vuol dire respingere tutte quelle discriminazioni subite soprattutto nel mondo musulmano “Sostenere la «libertà» di portare il burkini vuol dire ignorare la condizione delle donne musulmane.
Laicità che assomiglia al fondamentalismo di Bia Sarasini in il manifesto del 19 agosto 2016
Vietarlo non aiuta le musulmane e la via del compromesso può ridurre il danno. Meglio fare il bagno o andare alle Olimpiadi che restare a casa “Sono i divieti che creano distanze, barriere, abissi. Perché impedire che lo sguardo reciproco conduca al libero pensiero, alle libere scelte?”
La perseveranza femminile e la «retorica occidentale» intervista a Layla M. Ammar a cura di Alessandra Pigliaru in il manifesto del 19 agosto 2016
“Personalmente sono ottimista e fiduciosa che possa essere proprio la perseveranza femminile (laica o anche religiosa), che esprime la forza delle donne, a superare le barriere che la logica maschile impone. Non è un problema religioso ma tutto politico.”
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