“siete trattati da far vergogna!”

Rom

la denuncia di Vallini:

“Una vergogna come vi trattano”

il Cardinale vicario del Papa lo dice nella visita all’insediamento romano al 26° km della via Pontina

«Il riscatto parte da di chi vive qui, ma bisogna liberarsi dai pregiudizi»

il cardinale Vallini

«Sento il dovere di sollecitare le istituzioni a superare al più presto questa vergogna»

Com queste parole, una denuncia ma anche una promessa, si è conclusa la visita del cardinale vicario di Roma, Agostino Vallini, all’insediamento al 26° chilometro della via Pontina, tra fango, topi e baracche rattoppate con legno e nastro adesivo. Il Cardinale vicario parla di «vergogna» e «abbandono» da superare: «Il riscatto parte dall’impegno di chi vive qui, ma i cittadini devono liberarsi dai pregiudizi», afferma a «Roma 7», il supplemento di Avvenire per la diocesi di Roma.  

«Provo una grande sofferenza nel vedere tante persone, genitori e soprattutto bambini, in una condizione di degrado inaccettabile. Ho visto però anche la volontà di riscatto e il loro desiderio di superare questa condizione. Si sentono abbandonati e lo sono. Quindi, dobbiamo prenderci carico di loro». 

Il racconto della visita di ieri, durata più di tre ore, all’insediamento al 26° chilometro della via Pontina, a poco più di venti chilometri dal centro di Roma, fotografa la drammatica situazione del campo, tra «”vie” fangose, topi e baracche rattoppate con legno e nastro adesivo». «Una situazione che fa vergogna al mondo, indegna di una città come Roma – afferma il Cardinale vicario – neanche dopo la guerra ho visto una cosa simile». Vallini, che ha parlato con molte famiglie del campo e si è informato sulla loro condizione, era accompagnato da monsignor Pierpaolo Felicolo, direttore dell’Ufficio diocesano per la pastorale delle migrazioni, e da alcuni volontari (Comunità di Sant’Egidio e parrocchie) impegnati accanto alle famiglie rom del campo. 

«Il riscatto – conclude il Vicario del Papa – parte dall’impegno di chi vive in questi campi, facendo in modo che non si trasformino in discariche, ma le istituzioni e i cittadini devono liberarsi dai preconcetti e dai pregiudizi».  

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i censori di papa Francesco

critica alla ‘amoris laetitia’ di 45 teologi e filosofi cattolici di tutto il mondo

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 Un gruppo di 45 teologi, filosofi e pastori di anime di diverse nazionalità ha consegnato nei giorni scorsi al Cardinale Angelo Sodano, Decano del Sacro Collegio, una forte critica dell’Esortazione Apostolica post-sinodale Amoris laetitia . Nelle prossime settimane il documento, in diverse lingue, sarà fatto pervenire ai 218 Cardinali e ai Patriarchi delle Chiese Orientali, chiedendo loro di intervenire presso Papa Francesco per ritirare o correggere le proposizioni erronee del documento.

La notizia è stata diffusa da Edward Pentin

Nel descrivere l’esortazione come contenente “una serie di affermazioni che possono essere comprese in un senso contrario alla fede e alla morale cattoliche“, i firmatari hanno presentato insieme all’appello una lista di censure teologiche applicabili al documento, specificando “la natura e il grado degli errori che potrebbero essere imputati ad Amoris laetitia”.

Tra i 45 firmatari vi sono prelati cattolici, studiosi, professori, autori e sacerdoti di varie università pontificie, seminari, collegi, istituti teologici, ordini religiosi e diocesi di tutto il mondo.  Essi hanno chiesto al Collegio dei Cardinali che, nella loro veste di consiglieri ufficiali del Papa, rivolgano al Santo Padre la richiesta di respingere “gli errori elencati nel documento, in maniera definitiva e finale e di affermare con autorità che Amoris Lætitia non esige che alcuna di esse sia creduta o considerata come possibilmente vera“.

“Non accusiamo il papa di eresia“, ha detto il portavoce degli autori, “ma riteniamo che numerose proposizioni in Amoris lætitia possano essere interpretate come eretiche sulla base di una semplice lettura del testo. Ulteriori affermazioni ricadrebbero sotto altre censure teologiche precise, quali, fra l’altro, “scandalosa”, “erronea nella fede” e “ambigua”.”

Il Codice di Diritto Canonico del 1983 afferma che “In modo proporzionato alla scienza, alla competenza e al prestigio di cui godono, essi [i fedeli] hanno il diritto, e anzi talvolta anche il dovere, di manifestare ai sacri Pastori il loro pensiero su ciò che riguarda il bene della Chiesa; e di renderlo noto agli altri fedeli” (CIC, can. 212 §3).

Il documento di 13 pagine cita 19 passaggi dell’esortazione che sarebbero in contrasto con le dottrine cattoliche. Queste dottrine includono la reale possibilità con la grazia di Dio di ubbidire a tutti i comandamenti; il fatto che alcune specie di atti sono errati in ogni circostanza; l’autorità maritale; la superiorità della verginità consacrata sulla vita coniugale; la legittimità della pena capitale in determinate circostanze. Il documento sostiene anche che l’esortazione pontificia mina l’insegnamento della Chiesa secondo il quale i cattolici divorziati e risposati che non s’impegnano a vivere in continenza non possono essere ammessi ai sacramenti finché permangono in quello stato.

Secondo gli autori, la vaghezza o l’ambiguità di molte affermazioni della Amoris laetitia permettono interpretazioni il cui significato naturale sembra essere contrario alla fede o alla morale. Per questo, il portavoce ha dichiarato:

“È nostra speranza che chiedendo al nostro Santo Padre una condanna definitiva di quegli errori possiamo aiutare a dissipare la confusione che Amoris laetitia ha già provocato tra i pastori e i fedeli laici. Tale confusione infatti può essere efficacemente dissipata solo da un’affermazione esplicita di autentico insegnamento cattolico da parte del Successore di Pietro .”

Le censure dei 45 teologi e filosofi non pretendono di elencare una lista esaustiva degli errori contenuti nella Amoris laetitia ma di identificare nel documento quelle che appaiono essere le peggiori minacce alla fede e morale cattoliche.

L’iniziativa si presenta come la più importante  critica fin qui espressa nei confronti dell’Amoris laetitia , dopo la sua promulgazione il 19 marzo 2016.

di Emmanuele Barbieri

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il commento al vangelo della domenica

MARTA LO OSPITO’. MARIA HA SCELTO LA PARTE MIGLIORE  

il  commento al vangelo della sedicesima domanica del tempo ordinario (17 luglio 2016) di p. Alberto Maggi:

Maggi

Lc 10,38-42

In quel tempo, mentre erano in cammino, Gesù entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo ospitò.
Ella aveva una sorella, di nome Maria, la quale, seduta ai piedi del Signore, ascoltava la sua parola. Marta invece era distolta per i molti servizi.
Allora si fece avanti e disse: «Signore, non t’importa nulla che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti». Ma il Signore le rispose: «Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una cosa sola c’è bisogno. Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta».

Ogni volta che leggiamo il vangelo dobbiamo sempre inserirlo nel contesto culturale del tempo. Se non lo facciamo rischiamo di prendere fischi per fiaschi e dare un’interpretazione che non è assolutamente nelle intenzioni dell’evangelista, come in questo brano, il capitolo 10 di Luca, versetti 38-42. Un brano dal quale è nata la distinzione tra la vita attiva, quelle delle persone comuni, normali, e la vita contemplativa, quelle che scelgono una vita monacale, la clausura, con una netta preferenza di Gesù per quest’ultima.
Nulla di tutto questo. Leggiamo. Mentre erano in cammino (Gesù e i discepoli), Gesù entrò … Ecco la prima incongruenza. Sono in cammino e soltanto Gesù entra. Perché? Gesù esclude i discepoli perché non sono ancora in grado di comprendere la lezione che ora starà dando.   Entrò in un villaggio. Quando nei vangeli troviamo l’espressione “villaggio” è una chiave di lettura che gli evangelisti ci danno per indicare resistenza, incomprensione oppure ostilità all’annunzio di Gesù, alla novità che Gesù porta, perché il villaggio è il luogo attaccato alla tradizione, al passato. Il villaggio è dove vige l’imperativo “Perché cambiare? Si è sempre fatto così!” 
Questo villaggio non ha nome appunto perché era rappresentativo di una mentalità attaccata al passato, che vede con sospetto ogni novità. E una donna, di nome Marta… Il nome è tutto un programma, Marta significa “signora, padrona di casa” …  lo ospitò.
Da qui si comprende che è lei la proprietaria della casa. Ella aveva una sorella, di nome Maria, la quale, seduta ai piedi del Signore, ascoltava la sua parola. Ecco questa immagine che l’evangelista ci dà di Maria, seduta ai piedi del Signore, va compresa nel contesto culturale dell’epoca. Non significa adorazione da parte di Maria o contemplazione o venerazione nei confronti del Signore. Maria si mette nella posizione del discepolo verso il maestro. C’è per esempio San Paolo che dice negli Atti che dice di essere stato istruito ai piedi di Gamaliele. Quindi sedersi ai piedi di qualcuno significava riconoscerlo come maestro.
E nel Talmud, il libro sacro si legge: Sia la tua casa un luogo di convegno per i dotti, impolverati della polvere dei loro piedi e bevi con sete la loro parola.
Allora l’atteggiamento di Maria non è un atteggiamento di adorazione, ma di ascolto, come un discepolo nei confronti di un maestro. Ma è qualcosa di strano quello che compie Maria, perché lei non può. E’ una donna e le donne non hanno gli stessi diritti e gli stessi privilegi degli uomini. La donna deve stare in cucina, deve rendersi invisibile. Sempre nel Talmud si legge che le parole della legge vengono distrutte dal fuoco piuttosto che essere insegnate alle donne. I rabbini si vantavano dicendo che Dio  mai aveva rivolto la parola ad una donna.
L’aveva fatto una volta sola, a Sara, ma poi si era pentito, per la bugia di Sara, e da quella volta non aveva più rivolto la parola ad una donna. Quindi Maria qui sta facendo qualcosa di scandaloso. Trasgredisce il ruolo dove la tradizione ha sempre confinato le donne e prende l’atteggiamento del maschio, dell’uomo, del discepolo.
Invece Marta è la fedele della tradizione. Marta invece era distolta per i molti servizi.
Marta addirittura arriva a rimproverare Gesù, ritenendolo responsabile dell’assenza della sorella. Allora si fece avanti e disse: “Signore, non t’importa nulla…. “ E qui è un moltiplicarsi del pronome personale “me, a me”, lei è tutta centrata su se stessa. “Non t’importa nulla che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire?” E poi, col verbo all’imperativo: “Dille dunque che mi aiuti”. Marta non sopporta che la sorella abbia trasgredito le regole, le norme che la tradizione e la morale hanno assegnato alle donne, che Maria faccia il ruolo di un uomo, di un discepolo, e chiede a Gesù di ricacciarla nel ruolo dove da sempre la tradizione ha posto le donne.
Ma Gesù, anziché rimproverare Maria, rimprovera la sorella.
Ma il Signore le rispose: “Marta, Marta…” La ripetizione del nome significa rimprovero, come quando Gesù vedendo la città dirà: “Gerusalemme, Gerusalemme”. Quindi è un’espressione di rimprovero. “Tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una cosa sola c’è bisogno”. Letteralmente di una sola c’è bisogno. Ed ecco la sentenza: “Maria ha scelto la parte migliore, (letteralmente la parte buona) che non le sarà tolta”.
Allora c’è da comprendere che cos’è che non può essere tolto. Cosa non può essere tolto a una persona? Perché può essere tolta ad una persona anche la vita. Perché Gesù dice che Maria ha scelto una parte che non può esserle tolta? Perché Maria ha scelto la libertà, attraverso la trasgressione delle regole e delle norme di comportamento. Un conto è la libertà quando ci viene concessa – quando viene concessa può anche essere ritirata – un contro è quando la libertà è frutto di una conquista personale, avendo il coraggio di trasgredire le regole della tradizione e le regole della religione.
Allora quando uno conquista questa libertà nessuno gliela può togliere. Allora quella di Gesù – come abbiamo detto all’inizio – non è una preferenza per una vita contemplativa a scapito di quella attiva, ma è un invito a fare la scelta della libertà. Ed è interessante che per fare questa scelta della libertà l’evangelista non ci ponga un uomo, ma una donna.

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