riviste missionarie reagiscono duramente per l’uccisione del nigeriano da parte di un ultrà

difende la compagna da insulti razzisti

nigeriano picchiato a morte da ultrà locale

Fermo, difende la compagna da insulti razzisti. Nigeriano picchiato a morte da ultrà locale
Emmanuel Chidi Namdi e la compagna Chinyery 

Emmanuel Chidi Namdi, 36 anni, era fuggito con la 24enne Chinyery da Boko Haram, trovando ospitalità presso il seminario della cittadina marchigiana. Martedì l’aggressore si è rivolto alla donna chiamandola “scimmia”. Don Albanesi: “Stesso giro delle bombe davanti alle chiese”. Renzi: il governo a Fermo contro odio, razzismo e violenza

di PAOLO GALLORI e CHIARA NARDINOCCHI

Morto, ammazzato di botte. Un nigeriano di 36 anni, Emmanuel Chidi Namdi, richiedente asilo, è stato aggredito nel pomeriggio di ieri, martedì 5 luglio, da un fermano di 38 anni, ultrà della squadra di calcio locale. Camminava in via XX Settembre insieme alla compagna Chinyery, 24 anni, non lontano dal seminario arcivescovile di Fermo dove la coppia era ospite.

La dinamica di quanto accaduto non è ancora stata accertata. Stando a una prima ricostruzione della polizia, Namdi stava camminando con la ragazza quando due residenti del posto hanno iniziato a insultarla chiamandola “scimmia”. Emmanuel ha reagito, mossa che ha scatenato la violenza. Non è chiaro chi tra Namdi e l’ultrà 38enne abbia sradicato un palo della segnaletica usandolo come arma. L’unica cosa certa è che alla fine della rissa, il richiedente asilo è caduto a terra, poi è stato finito a calci e pugni. Uno dei colpi ha causato un’emorragia cerebrale che l’ha portato in coma irreversibile. Anche lei è stata picchiata, ha riportato escoriazioni alle braccia e a una gamba guaribili in sette giorni. 
 
Nel pomeriggio i medici hanno decretato la morte cerebrale di Namdi. Chinyery ha chiesto la donazione degli organi, ma il suo desiderio non è stato esaudito per la mancanza dei documenti necessari.

L’autore del pestaggio era già noto alle forze dell’ordine per altri episodi di violenza che gli sono costati un Daspo di quattro anni. 

La difesa dell’ultrà e del suo amico – secondo il racconto della donna – è stata in un primo momento dire che avevano visto la coppia guardare in modo sospetto dentro le macchine parcheggiate sulla via. Ma ci sono molti testimoni, e saranno ascolati dalla procura. L’ultrà diffidato è stato denunciato a piede libero per lesioni gravissime. Ma dopo la morte di Emmanuel probabilmente la procura formulerà un nuovo capo d’imputazione.

Emmanuel Chidi Namdi e la compagna Chinyery erano arrivati al seminario vescovile di Fermo lo scorso settembre, fuggiti dalla Nigeria dopo l’assalto di Boko Haram a una chiesa. Nell’esplosione erano morti i genitori della coppia e una figlioletta. Prima di sbarcare a Palermo, avevano attraversato la Libia, dove erano stati aggrediti e picchiati da malviventi del posto. Durante la traversata, Chinyery aveva abortito. 

E adesso don Vinicio Albanesi, presidente della Comunità di Capodarco, accusa: “E’ stata una provocazione gratuita e a freddo, ritengo che si tratti dello stesso giro delle bombe davanti alle chiese“. Riferimento ai quattro ordigni piazzati nei mesi scorsi di fronte a edifici di culto di Fermo. Don Albanesi, anche presidente della fondazione Caritas in Veritate che assiste migranti e profughi, si costituirà parte civile.

Il premier Matteo Renzi ha telefonato a don Albanesi per esprimere la sua solidarietà e vicinanza per la morte del cittadino nigeriano. Renzi, come lui stesso ha ricordato al telefono, aveva conosciuto don Albanesi quando faceva parte dei giovani scout. Il premier ha anticipato la presenza a Fermo domani del ministro dell’Interno Angelino Alfano.

Parla di “sgomento e indignazione” la presidente della Camera Laura Boldrini, appresa la notizia che “un uomo che era venuto via dal suo Paese per scampare alla ferocia dei terroristi di Boko Haram ha perso la vita qui da noi, in Italia, sotto i colpi dell’odio razzista e xenofobo”. “Mi addolora ancor di più – scrive Boldrini in una nota – che questo fatto orribile sia avvenuto nella mia regione, che è sempre stata terra di solidarietà e di accoglienza. Abbraccio nel modo più affettuoso la giovane compagna dell’uomo ucciso e mi auguro che dal territorio, già investito nei mesi scorsi da episodi inquietanti come gli attentati alle chiese della zona, arrivi la risposta più netta, capace di isolare ed espellere i violenti”.

Monsignor Albanesi aveva unito secondo un rituale risalente al medioevo Emmanuel e Chinyery poiché senza documenti non era possibile celebrare il matrimonio: “La ragazza era sua convivente stabile, ma non si erano ancora sposati. Se la legge lo permetterà, lei potrebbe donare gli organi”.

Fermo, difende la compagna da insulti razzisti. Nigeriano picchiato a morte da ultrà locale

Nelle stesse ore, quando la sorte del nigeriano era parsa segnata, il sindaco di Fermo, Paolo Calcinaro, in una nota, aveva espresso il suo dolore e condannato non solo il brutale episodio ma anche lo “strisciante razzismo che non può e non deve trovare spazio nel modo più assoluto nella nostra città”. “La comunità di Fermo – ribadisce Calcinato – è conosciuta come esempio virtuoso di integrazione e accoglienza anche rispetto a chi rifugge da drammi inenarrabili. Non merita di essere bollata per quanto emergerà da questo episodio, ma deve invece rivendicare con forza lo spirito che ha sempre contraddistinto la sua realtà, le etnie straniere, i nuovi cittadini italiani e i figli di tutti loro, che stanno crescendo insieme, senza discriminazione”.

Era intervenuta anche l’Anpi provinciale di Fermo, per ricordare come Emmanuel e Chinyery, “nostri fratelli e compagni, vittime delle persecuzioni e delle guerre civili nel loro Paese” sono anche “vittime della violenza fascista e razzista in Italia”. Perché, sottolinea l’Anpi, i “due cosiddetti cittadini italiani” coinvolti nella brutta vicenda sono “noti da tempo alle forze dell’ordine come ultras ed elementi della destra fascista”, “stupidi pericolosi sicari generati da un clima di intolleranza, di paura e d’odio innescato volutamente da quanti pensano di far leva sulle angosce e i timori della gente in difficoltà per avvantaggiarsene politicamente ed economicamente”.

Apparteniamo tutti alla stessa famiglia umana

Apparteniamo tutti alla stessa famiglia umana”. Così reagiscono “Missione Oggi” e “Missionari Saveriani”, le riviste dei Saveriani in Italia, alla barbara morte di Emmanuel Chidi Namdi, nigeriano 36enne, richiedente asilo, aggredito martedì 5 luglio, da un ultrà di Fermo, mentre camminava non lontano dal seminario arcivescovile dov’era ospite insieme alla compagna Chinyery. Ancora una volta, nel nostro paese ha preso forma la folle “gratuità” del male paradossalmente nello stesso luogo, via XX Settembre, in cui il richiedente asilo era stato toccato dalla “gratuità” del bene, l’ospitalità del seminario. Diciamo no alla follia del male “gratuito”, alimentato della cecità dell’odio, del razzismo e della violenza, che ci sta facendo perdere la fiducia in noi stessi come italiani, la fiducia nell’altro come straniero e la fiducia nel futuro del nostro bel paese.

Ci sembra più che mai pertinente il pensiero del pastore luterano tedesco, internato 9 anni a Dachau, Martin Niemöller, Berlino 1932:

Prima di tutto vennero

a prendere gli zingari

e fui contento

perché rubacchiavano.

Poi vennero a prendere

gli ebrei

e stetti zitto perché

mi stavano antipatici.

Poi vennero a prendere

gli omosessuali

e fui sollevato

perché mi erano fastidiosi.

Poi vennero a prendere

i comunisti

ed io non dissi niente

perché non ero comunista.

Un giorno vennero

a prendere me

e non c’era rimasto

nessuno a protestare.


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la dura vita in un bordello del Bangladesh

 

ecco cosa vuol dire lavorare nel bordello più antico del Bagladesh

Il Bangladesh è uno dei pochi paesi musulmani dove la prostituzione è legale e nel bordello più antico del paese, Kandapara, vivono oltre 700 donne.

Le ragazze vengono impiegate giovanissime, ancora bambine, dai 12 anni di età.

Spesso vengono vendute dalle loro famiglie, troppo povere per mantenerle; oppure, poverissime, entrano nel bordello per saldare dei debiti, ma dopo averli estinti non sono in grado di reintegrarsi nella società, ormai stigmatizzate come prostitute e impossibilitate a trovare un altro lavoro per il resto della loro vita.

Kandapara si trova in Bangladesh, nella regione di Tangail ed è in attività da più di 200 anni

Già dal dodicesimo anno di età le ragazze si prostituiscono, vendute dalle famiglie stesse, o per sfuggire al controllo del marito, oppure per saldare debiti che non possono pagare.

vengono pagate circa 10 euro al giorno e sono obbligate a soddisfare quotidianamente oltre i 15/20 clienti

Non hanno nessun diritto: da quando vengono vendute, diventano di proprietà del gestore del bordello, senza nessuna possibilità di un futuro diverso. Vengono infatti stigmatizzate come prostitute e, fuori da Kandapara, nessuno sarebbe disposto ad assumerle.

ci sono ragazze con figli, che spesso vivono con loro in condizioni misere, di estrema povertà

Sono malnutrite e costrette ad assumere l’Oraxedon, uno steroide che i contadini usano per far ingrassare i bovini, in modo da prendere peso ed avere un aspetto più sano ed attraente per i clienti. Secondo i dati, il 90% delle prostitute ricorre costantemente all’Oradexon, che comporta effetti negativi come il diabete, la pressione alta, gli sfoghi cutanei e il mal di testa.

all’interno del bordello è proibito l’uso del velo, che invece le ragazze sono obbligate ad indossare fuori

Numerose ragazze sono costrette a prostituirsi dal loro stesso marito, che ne gestisce gli affari e i clienti.
A volte hanno la “fortuna” di incontrare clienti che non chiedono di avere rapporti, ma si limitano a parlare, bere il tè o stringere la loro mano: tutte cose normali nella nostra società, ma che diventano una lussuriosa evasione nella rigida cultura bengalese.

il dilagare della prostituzione in Bangladesh è legato alla miseria: più del 50% del paese vive sotto la soglia di povertà

e le donne vendute come schiave del sesso, spesso non hanno nessuna alternativa

“Se riuscissi a fuggire”, dice una di loro, “dove potrei andare? I miei mi hanno sempre detestato e non mi rivogliono indietro. Noi tutte ci dobbiamo rassegnare al fatto che siamo delle schiave e come schiave dobbiamo morire”.
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l’ultratradizionalismo cattolico e i fanatici dell’iperliberismo economico i grandi nemici di papa Francesco

nella chiesa cresce il malumore per il “papa eretico”

dai cattolici tradizionalisti ai movimenti in difesa della famiglia, si diffonde l’opposizione alle nuove idee di Papa Bergoglio, accusato addirittura di non  essere cattolico

Papa

Le truppe ultra-tradizionaliste non hanno retto: il Papa venuto dalla fine del mondo non gli piace, non gli è mai piaciuto per la verità, solo che ora il brusio di fondo, il malcontento che si sentiva come un rumore in lontananza, è esploso. Il Papa non è cattolico, accusano, è quasi un eretico anzi; si avvicinano così alle classiche posizioni sedevantiste dei lefebrviani, la Fraternità di San Pio X che resta, per molti di loro, un punto di riferimento. Il punto di non ritorno è stato il sinodo sulla famiglia, anzi i due sinodi: a lungo l’ala conservatrice più intransigente ha coltivato l’obiettivo di mandare a monte il progetto riformista del Papa che metteva fuorigioco la dottrina concepita come ideologia: chi è in regola è dentro tutti gli altri fuori, altro che misericordia, altro che amore di Dio, altro che accoglienza: porte chiuse e non e ne parli più.

Su questa linea si asserragliava l’integralismo duro e puro che aveva più di una diramazione rosso porpora nei sacri palazzi, anche se certo i cardinali integralisti non usavano il linguaggio aggressivo e feroce di certi gruppi e siti internet. D’altro canto uno dei padri sinodali, l’arcivescovo Tomash Peta, di Astana (Kazakhstan), appartenente alla corrente più intransigente, è andato fino in fondo e ha detto senza giri di parole – riprendendo una celebre espressione di Paolo VI – che il «fumo di Satana» è entrato in Vaticano con il sinodo e «precisamente attraverso la proposta di ammettere alla sacra comunione chi è divorziato e vive in una nuova unione civile; l’affermazione che la convivenza è un’unione che può avere in se stessa alcuni valori; l’apertura all’omosessualità come qualcosa dato per normale».

A lungo l’ala conservatrice più intransigente ha coltivato l’obiettivo di mandare a monte il progetto riformista del Papa che metteva fuorigioco la dottrina concepita come ideologia: chi è in regola è dentro tutti gli altri fuori, altro che misericordia, altro che amore di Dio, altro che accoglienza: porte chiuse e non e ne parli più

Non meraviglia più di tanto allora che nel sottobosco del web, di gruppi e associazioni fondamentaliste, il Papa diventi una specie di anticristo, un diavolo che si è infiltrato al vertice della Chiesa cattolica; ambienti marginali dai quali trapela però un clima pesante, una pericolosa aggressività mal repressa. Non va dimenticato, tuttavia, che se l’estremismo religioso cattolico ce l’ha con Bergoglio, i primi a dargli del “comunista” sono stati i fanatici dell’iperliberismo economico a stelle e strisce, i capi del Tea Party, le falangi repubblicane aderenti al cristianesimo evangelico in salsa fondamentalista, quello della “bible belt” che si saldavano agli ideologi di Wall street: il Papa si occupasse di anime, il capitalismo finanziario in crisi di questi anni turbolenti, non poteva essere toccato, tanto meno era compito del vescovo di Roma parlare di diritti sociali.

In ogni caso se un’opposizione coerente al Papa non riesce a prender forma, e appare anzi piuttosto frastagliata e divisa, gruppi e sensibilità diverse convergono però in un malumore crescente contro Francesco e i suoi collaboratori. Solo che questo sommovimento ha dovuto fare i conto con l’immenso consenso che accompagnava il Papa argentino, da Manila a Rio de Janeiro, dove interi popoli cattolici, folle di “scartati”, di marginali, ritrovavano una guida e un riferimento in un mondo regolato dal potere di una economia che non aveva – negli slums filippni e brasiliani – un volto umano.

Del resto è lungo l’elenco delle cose che hanno fatto sobbalzare i gruppi tradizionalisti: dalla critica alla finanza mondiale al San Francesco ecologico, dall’attacco alla corruzione nella Chiesa alla richiesta di pastori “col puzzo di pecora” – in grado cioè di stare in mezzo al popolo – alla scomunica ai mafiosi diretta anche e forse soprattutto ai tanti silenzi interni di preti e vescovi conniventi, dalla riforma delle finanze vaticane al depotenziamento della corte pontificia. E poi c’è stata la sconfessione di ogni criterio gerarchico nelle nomine cardinalizie: la scelta non premiava più diocesi potenti e carriere costruite per arrivare a quello zucchetto rosso, ma uomini di Chiesa che abitano i luoghi complessi di un mondo reale: dalla Birmania alla lontana Tonga, da Motevideo ad Agrigento.

Se un’opposizione coerente al Papa non riesce a prender forma, e appare anzi piuttosto frastagliata e divisa, gruppi e sensibilità diverse convergono però in un malumore crescente contro Francesco e i suoi collaboratori

L’enciclica sull’ambiente, inoltre, ha mobilitato intorno al Papa mondi che prima guardavano solo con diffidenza alla Santa Sede, ma in modo particolare ha avvicinato al vertice della Chiesa dopo molto tempo una miriade di organizzazioni cattoliche che dal Brasile, all’Africa, all’Australia, hanno combattuto col Vangelo in mano battaglie non di rado disperate per difendere territori depredati e comunità umane fatte a pezzi. Così è lo stesso papa Francesco ha descrivere il modello di Chiesa che ha in mente come una piramide rovesciata, dove il popolo di Dio – secondo la definizione del Concilio Vaticano II – è il protagonista e non più il porporato di Curia con il codice di diritto canonico fra le mani.

Infine è arrivato il tema più grosso, la famiglia, dove Bergoglio ha dato indicazione, senza cambiare la dottrina, di aprire le porte a tutti: divorziati, conviventi, madri single, omosessuali. Non un’assenza di regole, ma il ritorno al fondamento della fede cristiana, il perdono e l’accoglienza. E su questo si è aperta una battaglia culturale cruciale nella Chiesa.

Il sinodo è diventato allora il momento nel quale i vari oppositori interni hanno provato a riunificare le forze per fare muro contro il Papa, per bloccarne il disegno. Ma certo cardinali come Gerhard Muller, prefetto della dottrina della fede, e Angelo Scola, arcivescovo di Milano, pure in dissenso, non potevano approvare un progetto di ‘guerra civile’ interna come quello scatenato dai circoli più oltranzisti, per altro le voci più oltranziste e forse finivano col danneggiare l’ala meno irruenta dei conservatori. Fiorivano intanto gli interventi del professor Roberto De Mattei, della Fondazione Lepanto, o quelli di Antonio Socci, commentatore cattolico tradizionalista, che evocava paragoni storici per parlare di eresia latente e di Papa in definitiva non cattolico o quasi.

È lo stesso papa Francesco ha descrivere il modello di Chiesa che ha in mente come una piramide rovesciata, dove il popolo di Dio – secondo la definizione del Concilio Vaticano II – è il protagonista e non più il porporato di Curia con il codice di diritto canonico fra le mani

Forze più organizzate, come la lobby ultra-tradizionalista “Voice of the family”, attaccavano le posizioni “aperturiste” presenti nel sinodo mentre accoglieva e pubblicava in bella evidenza il comunicato del Superiore dei lefebvriani, monsignor Bernard Fellay, che a proposito del testo finale del sinodo affermava: “Vi si possono leggere sicuramente dei richiami dottrinali sul matrimonio e la famiglia cattolica, ma si notano anche delle spiacevoli ambiguità e omissioni, e soprattutto delle brecce aperte nella disciplina nel nome di una misericordia pastorale relativista. L’impressione generale che si ricava da questo testo è quella di una confusione che non mancherà di essere sfruttata in un senso contrario all’insegnamento costante della Chiesa”. A canto a questi si muoveva anche il gruppo “Tradizione famiglia proprietà”, fondato in America Latina alla fine degli anni Cinquanta del secolo scorso da Plinio de Correa de Oliveira, e poi diffusosi in varie parti del mondo; il movimento entrò in conflitto con la conferenza episcopale brasiliana a causa del suo fondamentalismo estremista.

Alla rete di “Voice of the Family”, aderisce anche “Famiglia domani”, l’organizzazione italiana che ha indetto da qualche anno la marcia per la vita nella quale si ritrovano i settori integralisti del cattolicesimo italiano e che incontra il consenso di gruppi politici di estrema destra come “Forza Nuova”. In Curia le posizioni oltranziste sono state rappresentate in primo luogo da un cardinale americano, Raymond Leo Burke, fautore della messa preconciliare; e all’interno dello stesso sinodo una personalità come il cardinale Carlo Caffarra, ormai ex arcivescovo di Bologna, ha dato voce, insieme ad altri, alla fazione più intransigente. C’è poi un livello di discussione più articolato, quello promosso da settori del cattolicesimo conservatore d’Oltreoceano, che non gradiscono la dottrina sociale declinata dal papa e dai suoi sostenitori, giudicata troppo sensibile ai temi della giustizia sociale.

La lobby ultra-tradizionalista “Voice of the family” attaccava le posizioni “aperturiste” presenti nel sinodo mentre accoglieva e pubblicava in bella evidenza il comunicato del Superiore dei lefebvriani, monsignor Bernard Fellay, che affermava: “Vi si possono leggere sicuramente dei richiami dottrinali sul matrimonio e la famiglia cattolica, ma si notano anche delle spiacevoli ambiguità e omissioni”

D’ora in avanti, insomma, il cammino si fa più aspro per il Papa, come dimostra la vicenda grottesca della falsa malattia diffusa a poche ore dalla conclusione del sinodo. dietro le quinte s’intuisce un lavorìo che fa leva sulla suggestione del caos, sul disordine interno che avrebbe suscitato l’azione riformatrice di Bergoglio. Del resto non c’è rivoluzione che non crea conflitti, e questo il Papa lo sa bene. Così il prossimo sinodo, potrebbe avere per tema – lo ha ipotizzato il cardinale Oscar rodriguez Maradiaga, vicino al pontefice – il decentramento della Chiesa, ovvero il potenziamento del ruolo delle conferenze episcopali nazionali, delle singole diocesi, dei sinodi continentali. Una Chiesa in grado di discutere di tutto dunque, in cui il Papa sarebbe il garante dell’unità; in un progetto simile c’è certo poco spazio per i diktat della curia vaticana.

E poi – a sinodo appena concluso – sono arrivate due nomine importanti di vescovi in Italia, a Bologna e Palermo, città chiave per la chiesa italianam alla cui guida Francesco ha chiamato due pastori, nell’accezione bergogliana del termine: monsignor Matteo Zuppi, già vescovo ausiliare di Roma, e Corrado Lorefice, parroco e studioso. Da ultimo il Papa ha dato una stoccata indiretta ma ben assestata ai suoi detrattori parlando di Monsignor Oscar Arnulfo Romero, il vescovo assassinato da gruppi armati di estrema destra in Salvador nel 1980 e divenuto un simbolo della lotta evangelica contro l’oppressione dei più poveri. Il suo martirio, ha detto il Papa, è proseguito anche dopo la morte: «Una volta morto – ero giovane sacerdote e ne fui testimone – fu diffamato, calunniato, infangato. Il suo martirio continuò anche da parte di suoi fratelli nel sacerdozio e nell’episcopato. Non parlo per aver sentito dire. Ho ascoltato queste cose». Insomma Bergoglio comincia a levarsi qualche sassolino dalle scarpe e si prepara intanto al Giubileo della misericordia.

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