il commento al vangelo della domenica

MENTRE GESU’, RICEVUTO IL BATTESIMO, STAVA IN PREGHIERA, IL CIELO SI APRI’

 commento al vangelo della domenica del Battesimo del Signore (10 gennaio 2016) di p. Alberto Maggi:

p. Maggi

Lc 3,15-16.21-22

In quel tempo, poiché il popolo era in attesa e tutti, riguardo a Giovanni, si domandavano in cuor loro se non fosse lui il Cristo, Giovanni rispose a tutti dicendo: «Io vi battezzo con acqua; ma viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco».
Ed ecco, mentre tutto il popolo veniva battezzato e Gesù, ricevuto anche lui il battesimo, stava in preghiera, il cielo si aprì e discese sopra di lui lo Spirito Santo in forma corporea, come una colomba, e venne una voce dal cielo: «Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento». 

Giovanni Battista nel deserto aveva annunziato un battesimo in segno di conversione, cioè cambiamento di vita, per il perdono dei peccati. La risposta è inaspettata: tutto il popolo accorre a lui. Il popolo ha compreso che il perdono dei peccati non può avvenire al tempio, con un atto liturgico, con un sacrificio al Signore, ma attraverso un cambiamento di vita.
Ma se il popolo ha creduto e accorre a Giovanni Battista, le autorità religiose, i capi no, sempre refrattari a qualunque invito al cambiamento.
Allora leggiamo il vangelo di questa domenica, il capitolo 3 di Luca, dal versetto 15. Poiché il popolo era in attesa e tutti, riguardo a Giovanni, si domandavano in cuor loro se non fosse lui il Cristo, cioè il messia.
Il popolo crede di aver individuato in questo profeta nel deserto l’atteso liberatore di Israele. Ma Giovanni chiarisce subito che lui non lo è. Giovanni rispose a tutti dicendo “Io vi battezzo con acqua”, cioè vi immergo in un liquido che è esterno all’uomo, che è un segno di cambiamento di vita per ottenere il perdono dei peccati. “Ma viene colui che è più forte di me”, e qui l’evangelista adopera un’espressione che va inserita nel contesto che va inserita nel contesto culturale dell’epoca per comprenderla. “Non sono degno di slegare i lacci dei sandali”.
Cosa vuol dire Giovanni Battista con questa espressione? C’era una legge nell’istituzione matrimoniale del tempo, che si chiamava “del levirato”. In cosa consisteva questa legge? Quando una donna rimaneva vedova senza figli, il cognato aveva l’obbligo di metterla incinta. Il bambino nato avrebbe portato il nome del marito defunto.
Era la maniera per perpetuare il nome della persona. Quando il cognato si rifiutava di mettere incinta questa donna probabilmente per motivi di interesse perché la donna senza figli, senza prole, veniva rimandata al suo clan familiare. Colui che nella scala sociale, giuridica, aveva il diritto dopo di lui, procedeva alla cerimonia dello scalzamento, sfilava i sandali di questa persona, li prendeva, ci sputava sopra. Era un gesto simbolico che significava “il tuo diritto di mettere incinta questa vedova, spetta a me”.
Ecco allora il significato di questa espressione di Giovanni Battista, che ritroviamo nell’antico testamento, nelle storie di Ruth e nei vari libri. Non sono degno di slegare i legacci dei sandali quindi significa “non sono io che devo fecondare questa vedova”, il popolo di Israele veniva considerato come una vedova, “ma colui che viene dopo di me”.
Perché “Egli vi battezzerà in Spirito Santo”. Mentre io vi ho immerso nell’acqua, simbolo di un cambiamento di vita, lui vi inzupperà, vi immergerà, vi impregnerà della stessa vita divina. “E fuoco”.
Poi qui la liturgia taglia dei versetti che indicano l’eliminazione di Giovanni Battista. E’ la risposta del potere alla conversione. I potenti non vogliono mai cambiare. Ma è anche la stupidità del potere perché la persecuzione fa sempre fiorire la vita, non la estingue. Ogni volta che i potenti vogliono spegnere una voce, ecco che ne sorge una ancora più potente, più forte.
Ecco riprendiamo la nostra lettura al versetto 21. Ed ecco, mentre tutto il popolo veniva battezzato … quindi il popolo ha compreso, tra Gerusalemme, il tempio dove, attraverso un sacrificio al Signore si otteneva il perdono dei peccati, e il deserto attraverso un rito di immersione, il popolo ha compreso che lì c’è la verità.
Ecco che compare Gesù, che va anche lui a farsi battezzare. Ma perché Gesù si battezza? Il battesimo era un simbolo di morte per la gente. Morire al passato, a quello che era uno stato, per iniziare una vita nuova. Anche per Gesù il battesimo è un segno di morte, non ad un passato di peccato che lui non ha, ma l’accettazione di morte nel futuro. Gesù dirà più avanti in questo stesso vangelo che c’è un battesimo nel quale deve essere battezzato ed è angosciato finché non arriverà questo momento.
Si tratta della sua morte. Quindi per Gesù andare a farsi battezzare significa: per la fedeltà all’amore di Dio accettare la persecuzione e anche la morte. Gesù, ricevuto anche lui il battesimo, stava in preghiera, il cielo si aprì. Cosa significa questo cielo che si apre? E’ la comunicazione permanente e definitiva dell’uomo con Dio. Il cielo indica la realtà divina.
Quando c’è un uomo che si impegna a manifestare fedelmente l’amore di Dio, ecco che la comunicazione tra Dio e l’uomo è continua. Con Gesù questa comunicazione sarà ininterrotta. 
E discese sopra di lui lo Spirito Santo, l’articolo determinativo indica la totalità. Lo Spirito è la forza, l’energia dell’amore di Dio, che scende su Gesù. Perché l’evangelista indica in forma corporea? Per dire realmente, pienamente; come una colomba. L’immagine della colomba richiama vari elementi, riguarda la creazione quando lo Spirito di Dio aleggiava sopra le acque e nell’interpretazione rabbinica si diceva che era come una colomba, quindi in Gesù c’è la nuova creazione. Richiama soprattutto la colomba che esce dall’arca di Noè, dopo il diluvio, in segno di perdono.
Gesù è il perdono di Dio. Ma richiama anche un proverbio palestinese che dice: “come amor di colomba al suo nido”. La colomba è quell’animale che rimane affezionato, attaccatissimo al suo nido originario. Gli si può cambiare il nido, farne uno nuovo, ma lei non ne vuole sapere. Quindi Gesù è il nido dello Spirito, è là dove si manifesta la pienezza dell’amore di Dio.
E, venne una voce dal cielo, quindi da Dio. E qui l’evangelista fa un collage di vari testi dell’antico testamento, dal profeta Isaia, un salmo, il libro della Genesi: “Tu sei il Figlio mio, l’amato – l’amato indica l’erede, colui che eredita tutto dal padre – “in te ho posto il mio compiacimento”. 
Quindi Dio conferma che in Gesù c’è tutta la sua stessa realtà, e il popolo lo deve soltanto accogliere.

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un grido dal carcere di Firenze

la lettera-denuncia delle detenute di Sollicciano

“viviamo peggio degli animali

celle fredde, “dormiamo con i vestiti addosso”, tra umidità e topi. “Ci hanno tolto la dignità”

 il grido di allarme è stato consegnato al Garante per i diritti dei detenuti

 

di LAURA MONTANARI

Firenze, la lettera-denuncia delle detenute di Sollicciano: "Viviamo peggio degli animali"

“Vi scriviamo dal carcere di Sollicciano”, a mano, su un foglio protocollo a righe. Ultimo giorno dell’anno 2015. Le detenute del più grande istituto di detenzione della Toscana denunciano il freddo, le carenze igieniche e la vita impossibile in quelle celle: “Viviamo peggio degli animali” si legge. “Abbiamo celle invivibili, piene di muffa e ci piove dentro e ci tengono senza riscaldamento e senza acqua calda, la sera siamo costrette a dormire con i panni addosso perché dal freddo non riusciamo a mettere il pigiama”. Denunciano le celle infestate dai topi e una scarsa assistenza medica. La lettera porta in fondo i nomi di Maria, Florence, Andreea, Ilaria e molte altre , fino ad arrivare a una quarantina di firme. E’ stata consegnata al Garante del Comune di Firenze per i diritti dei detenuti, Eros Cruccolini che l’ha diffusa. Più che una lettera è un urlo che fa riflettere. E’ stata consegnata nell’ultimo giorno dell’anno mentre tutti si preparano alla festa e ai brindisi.

“Siamo infestati dai topi infatti alcune detenute nella notte sono state morse e non hanno avuto assistenza medica, cioè in ritardo. Siamo state costrette a dormire con una sola coperta e alcuni sono senza il cambio delle lenzuola che avviene ogni 15 giorni ma dobbiamo essere fortunate e la rifornitura che comprende 4 rotoli di carta igienica a testa, due flaconi di detersivo per lavare i pavimenti, saponette per lavare i panni una volta al mese. Ci sono detenute – prosegue la lettera – con problemi psichici, con epilessia e attacchi di panico e alcune asmatiche e sono rinchiuse da sole, abbandonate a se stesse peggio del manicomio di Montelupo fiorentino (si riferiscono all’Ospedale Psichiatrico Giudiziario che è in fase di dismissione ma che qualche anno fa finì sulle cronache per le pessime condizioni in cui vivevano i detenuti ndr), assistenza medica solo nell’orario della terapia, se si dovessero chiamare con urgenza, fuori orario non ti assistono”.

La denuncia prosegue: “Ci hanno tolto la dignità, viviamo in un modo disumano. Su tutti i fronti noi abbiamo sbagliato e siamo qui per pagare, ma non con la vita, spero che vogliate prenderci in considerazione e si faccia al più presto qualcosa, vi ringraziamo per l’attenzione con la speranza – ribadiscono le donne di Sollicciano – che qualcuno ci prenda in considerazione”. Seguono le firme e i “distinti saluti”. Mancano gli auguri, ma il buon anno da lì è difficile vederlo.

Il giorno di Natale nel carcere fiorentino di Sollicciano era andata una delegazione di Radicali con Marco Pannella. Restano “molte situazioni critiche e di rilevanza strutturale, già evidenziati in precedenti visite: forti carenze igieniche, mancanza di acqua calda nelle celle, estese infiltrazioni di acqua provenienti dai tetti, diffusa presenza di letti a castello a tre piani, nonostante siano pericolosi e da tempo vietati dai regolamenti” avevano detto Massimo Lensi e Maurizio Buzzegoli, presidente e segretario dell’associazione per l’iniziativa radicale “Andrea Tamburi” di Firenze che facevano parte della delegazione radicale con Marco Pannella e con l’ex deputata Rita Bernardini. “Sono stati constatati anche alcuni miglioramenti – avevano detto gli esponenti radicali -, riconducibili soprattutto a un minor grado di sovraffollamento, grazie al quale i servizi interni alla struttura carceraria sono finalmente oggetto di maggiore attenzione”. “Due gravi questioni sono però tuttora aperte – aggiungevano -. La presenza all’interno del carcere della Casa di Cura e Custodia (l’OPG femminile) con cinque internate. Sono passati nove mesi dall’approvazione della legge 81, che dando il via al superamento degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari, ha imposto la chiusura di tali istituzioni; ciò nonostante la presenza di cinque internate evidenzia, ancora una volta, gravi carenze nell’applicazione della legge, ai limiti dell’illegalità. La presenza nel nido di una bimba di pochi mesi con la madre in esecuzione di pena interna. Anche in questo caso è doveroso segnalare che Firenze attende da troppi anni l’attivazione di un istituto a custodia attenuata (ICAM) per madri detenute”.

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i primi tre anni di papa Francesco

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un “overview effect” del pontificato di Francesco

di Luis Badilla
in “ilsismografo.blogspot.it” del 4 gennaio 2016

“Overview effect” è la dicitura inglese utilizzata per descrivere lo stato d’animo e la percezione degli astronauti quando, sospesi a migliaia di chilometri al di fuori dall’atmosfera terrestre, possono vedere dall’esterno il pianeta e percepirlo nella sua interezza e unità organica e panoramica. L’espressione, coniata da Frank White (1987 – “The Panoramica Effect”) ha ovviamente un senso molto preciso: effetti percettivi nel singolo e dunque il concetto include emozioni, sentimenti, empatie ed elaborazioni personali. A quasi tre anni di distanza dal suo inizio forse è possibile un “overview effect” del pontificato di Francesco. A nostro avviso, provando a “planare” su 33 mesi di pontificato sono questi, elencati sotto, alcuni dei punti principali seppure non gli unici:

(1) La dottrina e la riforma

La Chiesa Cattolica transita – con Papa Francesco – all’interno di un tempo cruciale e di un percorso che potrebbero profilare le sue caratteristiche essenziali per i prossimi decenni. Papa Francesco ha avviato una graduale ma ferma riforma che, se portata fino a determinati punti di non-ritorno, farà del processo in corso un cambiamento epocale irreversibile. Per questo “programma” non esiste un modello o progetto bergogliano. L’orizzonte e i binari sono semplici: ritorno all’essenzialità, a Gesù e al suo Vangelo. Francesco lo ha detto con queste parole: “La dottrina cristiana non è un sistema chiuso incapace di generare domande, dubbi, interrogativi, ma è viva, sa inquietare, sa animare. Ha volto non rigido, ha corpo che si muove e si sviluppa, ha carne tenera: la dottrina cristiana si chiama Gesù Cristo.” (Firenze, 10 novembre 2015). Ecco dunque la grande vera riforma di Papa Francesco e se non si percepisce globalmente nella sua totale interezza quest’orizzonte non è possibile capire il pontificato di Francesco; anzi, si rischia di prendere sentieri fuorvianti raccontando cose marginali e senza vera importanza, e soprattutto si rischia di confondere la forma con il fondo.

(2) La misericordia e l’umanesimo

L’anima di questo tentativo del Papa ha un solo nome e questo nome svela il suo spirito ultimo e integrale: la Misericordia del Padre, “che perdona tutto e sempre”. Francesco dice: “Nella luce di questo Giudice di misericordia, le nostre ginocchia si piegano in adorazione, e le nostre mani e i nostri piedi si rinvigoriscono. Possiamo parlare di umanesimo solamente a partire dalla centralità di Gesù, scoprendo in Lui i tratti del volto autentico dell’uomo. È la contemplazione del volto di Gesù morto e risorto che ricompone la nostra umanità, anche di quella frammentata per le fatiche della vita, o segnata dal peccato. Non dobbiamo addomesticare la potenza del volto di Cristo. Il volto è l’immagine della sua trascendenza. È il misericordiae vultus. Lasciamoci guardare da Lui. Gesù è il nostro umanesimo. Facciamoci inquietare sempre dalla sua domanda: «Voi, chi dite che io sia?» (Mt 16,15).” (Firenze, 10 novembre 2015).

(3) Le beatitudini e il samaritano

Per il Papa la credibilità dell’annuncio e del messaggio evangelici si trova solo nella coerenza tra vita e fede di ogni singolo cristiano, dal primo all’ultimo, di tutta la Chiesa, e non vi sono eccezioni, scorciatoie o alibi. Ogni cristiano, se autentico seppure peccatore – ma mai di cartapesta o da salotto – è chiamato a riflettere nella sua piccolezza, addirittura nel suo essere peccatore, il volto di Gesù. La vita del cristiano samaritano vero si realizza nelle Beatitudini e così, ognuno diventa discepolo e missionario. Il samaritano mette in pratica la volontà di Dio e solo così può risplendere la credibilità del Vangelo. In quest’ambito le Meditazioni mattutine del Papa a Santa Marta, le sue brevi omelie (che
qualcuno ha voluto declassare a pensieri del giorno), ormai sono un punto fermo del magistero di Francesco, del suo pontificato. La loro rilevanza determinante non può essere sottovalutata. Da Santa Marta il Papa dialoga con i fedeli, con ogni singolo cattolico ovunque si trovi.

(4) Famiglia luogo specifico dell’Uomo e della Chiesa

Papa Francesco, ormai è chiarissimo, considera la “famiglia”, in quanto luogo privilegiato dell’uomo e della Chiesa, il passaggio ineludibile di una nuova evangelizzazione. Concludendo il Sinodo ordinario sulla famiglia, Francesco sottolineò: “Anche attraverso la ricchezza della nostra diversità, che la sfida che abbiamo davanti è sempre la stessa: annunciare il Vangelo all’uomo di oggi, difendendo la famiglia da tutti gli attacchi ideologici e individualistici.” (24 ottobre 2015). Lo scorso 18 novembre Francesco sottolineò nel corso dell’Udienza generale: “Le famiglie cristiane facciano della loro soglia di casa un piccolo grande segno della Porta della misericordia e dell’accoglienza di Dio. E’ proprio così che la Chiesa dovrà essere riconosciuta, in ogni angolo della terra: come la custode di un Dio che bussa, come l’accoglienza di un Dio che non ti chiude la porta in faccia, con la scusa che non sei di casa.” “Una Chiesa che presenta questi tre tratti – umiltà, disinteresse, beatitudine – è una Chiesa che sa riconoscere l’azione del Signore nel mondo, nella cultura, nella vita quotidiana della gente. L’ho detto più di una volta e lo ripeto ancora oggi a voi: «preferisco una Chiesa accidentata, ferita e sporca per essere uscita per le strade, piuttosto che una Chiesa malata per la chiusura e la comodità di aggrapparsi alle proprie sicurezze. Non voglio una Chiesa preoccupata di essere il centro e che finisce rinchiusa in un groviglio di ossessioni e procedimenti» (Evangelii gaudium, 49).” (Firenze, 10 novembre 2015).

(5) Vescovo di Roma in cammino con il suo popolo: contenuto e forma.

In molti lo hanno chiamato “stile Bergoglio” e tutto cominciò la sera de 13 marzo 2013, quando l’arcivescovo di Buenos Aires dalla Loggia Centrale della Basilica Vaticano si presentò così: “Voi sapete che il dovere del Conclave era di dare un Vescovo a Roma. Sembra che i miei fratelli Cardinali siano andati a prenderlo quasi alla fine del mondo … ma siamo qui … Vi ringrazio dell’accoglienza. (…) E adesso, incominciamo questo cammino: Vescovo e popolo. Questo cammino della Chiesa di Roma, che è quella che presiede nella carità tutte le Chiese. Un cammino di fratellanza, di amore, di fiducia tra noi. Preghiamo sempre per noi: l’uno per l’altro. Preghiamo per tutto il mondo, perché ci sia una grande fratellanza.” Papa Francesco in questi 21 mesi ha proposto uno stile dell’esercizio del primato di Pietro, centrato nella semplicità evangelica più volte richiamata nei documenti del Concilio ma spesso snobbata perché scomoda alla chiesapotere. In questo caso lo stile è sostanza.

(6) I sentimenti di Gesù e il potere

Sempre a Firenze, nel novembre scorso, Papa Francesco, parlando a tutta la Chiesa e non solo a quella in Italia, ha voluto ribadire una sua esortazione: “Non dobbiamo essere ossessionati dal “potere”, anche quando questo prende il volto di un potere utile e funzionale all’immagine sociale della Chiesa. Se la Chiesa non assume i sentimenti di Gesù, si disorienta, perde il senso. Se li assume, invece, sa essere all’altezza della sua missione. I sentimenti di Gesù ci dicono che una Chiesa che pensa a sé stessa e ai propri interessi sarebbe triste. Le beatitudini, infine, sono lo specchio in cui guardarci, quello che ci permette di sapere se stiamo camminando sul sentiero giusto: è uno specchio che non mente.” Poi, la seconda e ultima volta che in quest’allocuzione il Papa pronunciò la parola “potere” aggiunse: “Che Dio protegga la Chiesa (italiana) da ogni surrogato di potere, d’immagine, di denaro. La povertà evangelica è creativa, accoglie, sostiene ed è ricca di speranza.” Francesco è certo, sostenuto dalle evidenze della storia che il potere porta la “Chiesa a non essere umile, disinteressata e beata”. A Firenze, il Santo Padre si domandò: “Ma allora che cosa dobbiamo fare, padre? – direte voi. Che cosa ci sta chiedendo il Papa?” Ecco la sua risposta: “Spetta a voi decidere: popolo e pastori insieme.”

(7) La sinodalità, dimensione costitutiva della Chiesa

Per Papa Francesco, “quello che il Signore ci chiede, in un certo senso, è già tutto contenuto nella parola Sinodo. Camminare insieme – Laici, Pastori, Vescovo di Roma – è un concetto facile da esprimere a parole, ma non così facile da mettere in pratica.” Così spiegò Papa Francesco il 17 ottobre, in occasione della Commemorazione del 50.mo dell’istituzione del Sinodo per decisione di Paolo VI, la sua convinzione sulla importanza determinante della sinodalità. Poi Francesco osservò: “Fin dall’inizio del mio ministero come Vescovo di Roma ho inteso valorizzare il Sinodo, che costituisce una delle eredità più preziose dell’ultima assise conciliare. Per il Beato Paolo VI, il Sinodo dei Vescovi doveva riproporre l’immagine del Concilio ecumenico e rifletterne lo spirito e il metodo. Lo stesso Pontefice prospettava che l’organismo sinodale «col passare del tempo potrà essere maggiormente perfezionato».” Francesco ha detto a più riprese, e in diversi contesti, che “una Chiesa sinodale è una Chiesa dell’ascolto, nella consapevolezza che ascoltare «è più che sentire»”, spiegando che si tratta di “un ascolto reciproco in cui ciascuno ha qualcosa da imparare. Popolo fedele, Collegio episcopale, Vescovo di Roma: l’uno in ascolto degli altri; e tutti in ascolto dello Spirito Santo, lo «Spirito della verità» (Gv 14,17), per conoscere ciò che Egli «dice alle Chiese» (Ap 2,7).” Il Papa non si è limitato a prospettare un sentiero sottolineando, “proprio il cammino della sinodalità è il cammino che Dio si aspetta dalla Chiesa del terzo millennio”, ha voluto anche trarre le conseguenze in modo chiaro e trasparente onde evitare ambiguità e parole inutili. “Il primo livello di esercizio della sinodalità si realizza nelle Chiese particolari. (…) Il secondo livello è quello delle Province e delle Regioni Ecclesiastiche, dei Concili Particolari e in modo speciale delle Conferenze Episcopali. (…) L’ultimo livello è quello della Chiesa universale. Qui il Sinodo dei Vescovi, rappresentando l’episcopato cattolico, diventa espressione della collegialità episcopale all’interno di una Chiesa tutta sinodale. Due parole diverse: “collegialità episcopale” e “Chiesa tutta sinodale”. Esso manifesta la collegialitas affectiva, la quale può pure divenire in alcune circostanze “effettiva”, che congiunge i Vescovi fra loro e con il Papa nella sollecitudine per il Popolo di Dio”. In questo contesto Papa Francesco conclude: “Mentre ribadisco la necessità e l’urgenza di pensare a «una conversione del papato», volentieri ripeto le parole del mio predecessore il Papa Giovanni Paolo II: «Quale Vescovo di Roma so bene […] che la comunione piena e visibile di tutte le comunità, nelle quali in virtù della fedeltà di Dio abita il suo Spirito, è il desiderio ardente di Cristo. Sono convinto di avere a questo riguardo una responsabilità particolare, soprattutto nel constatare l’aspirazione ecumenica della maggior parte delle Comunità cristiane e ascoltando la domanda che mi è rivolta di trovare una forma di esercizio del primato che, pur non rinunciando in nessun modo all’essenziale della sua missione, si apra ad una situazione nuova».”

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Dio o le religioni con il mitra?

Dio con il mitra

Charlie un anno dopo la strage

vescovi e islamici contro

a me non sembra affatto trattarsi di una vignetta blasfema ma un invito forte, perfino ‘violento’ a tutte le religioni a purificare la loro immagine di Dio che troppi disastri nella storia del passato ha fatto e che continua a fare col mitra o con ogni forma di integralismo

VIGNETTA DI CHARLIE HEBDO UN ANNO DOPO LA STRAGE

 

irriverente, libera, dissacrante, la satira di Charlie Hebdo non rinuncia a pungere la religione. A un anno dall’attentato dell’Isis nella sua redazione, in cui vennero massacrate dodici persone, domani la rivista celebra il terribile anniversario con un numero speciale – tiratura un milione di copie – dalla copertina corrosiva: sotto il titolo Un anno dopo-L’assassino ancora in fuga, si staglia l’immagine di un Dio barbuto, con un kalashnikov in spalla. Il tratto è in bianco e nero, con la sola eccezione del rosso del sangue sulla tunica divina

Il disegnatore Riis, responsabile della redazione, ferito alla spalla durante l’assalto e oggi nel mirino di una fatwa, dedica il suo editoriale all’importanza della laicità e della possibilità di ridere della fede. Il numero speciale ospita anche alcuni disegni dei caricaturisiti deceduti nell’attacco: Charb, Cabu, Walinski, Tignous e Honoré. «Ci sentiamo terribilmente soli, speriamo che anche altri facciano satira – spiega Eric Portheault, il direttore finanziario di Charlie Hebdo, sopravvissuto alla strage nascondendosi sotto una scrivania –. Nessuno vuole unirsi a noi in questa battaglia, con la sola arma della satira, contro i mali del mondo, perché è pericoloso, si può morire facendolo». O comunque si può innescare lo sdegno unanime dei vertici religiosi.

I vescovi francesi in un tweet bollano come «provocazione» l’iniziativa della rivista: «È il genere di polemiche di cui la Francia ha bisogno?». Dal canto suo il presidente del Consiglio francese del culto musulmano, Anouar Kbibech, a Le Parisien si dice «ferito» dalla copertina che «colpisce tutti i credenti delle diverse religioni». Fede e satira, provocazione e indignazione. Un copione già visto.

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il commento al vangelo dell’Epifania

SIAMO VENUTI DALL’ORIENTE PER ADORARE IL RE

commento al vangelo della festa dell’epifania (6 gennaio 2016) di fra Alberto MAGGI: 

p. Maggi

l’evangelista vuole significare che l’amore universale di Dio si estende ovunque, non soltanto per la sua estensione, appunto, ma anche per la sua qualità: l’amore di Dio è per tutti, anche per le categorie che possiamo pensare come più lontane o disprezzate

Nato Gesù a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode, ecco, alcuni Magi vennero da oriente a Gerusalemme e dicevano: «Dov’è colui che è nato, il re dei Giudei? Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo». All’udire questo, il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme.
Riuniti tutti i capi dei sacerdoti e gli scribi del popolo, si informava da loro sul luogo in cui doveva nascere il Cristo. Gli risposero: «A Betlemme di Giudea, perché così è scritto per mezzo del profeta: “E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei davvero l’ultima delle città principali di Giuda: da te infatti uscirà un capo che sarà il pastore del mio popolo, Israele”».
Allora Erode, chiamati segretamente i Magi, si fece dire da loro con esattezza il tempo in cui era apparsa la stella e li inviò a Betlemme dicendo: «Andate e informatevi accuratamente sul bambino e, quando l’avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch’io venga ad adorarlo».
Udito il re, essi partirono. Ed ecco, la stella, che avevano visto spuntare, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. Al vedere la stella, provarono una gioia grandissima. Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra. Avvertiti in sogno di non tornare da Erode, per un’altra strada fecero ritorno al loro paese.

Il giorno dell’Epifania la chiesa ci propone il capitolo 2 di Matteo, un capitolo che, per essere gustato a pieno, esige uno sforzo da parte nostra: prendere le distanze dalla tradizione e dal folclore e anche dall’immagine – bella di per sé – del presepio.
Vediamo infatti cosa ci scrive Matteo.
Nato Gesù a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode.
Erode è un re illegittimo, perché non aveva sangue ebraico nelle vene, e quindi non poteva essere re degli ebrei. Ed era talmente sospettoso che qualcuno gli potesse prendere il trono, che arrivò a uccidere i suoi stessi figli.
Ecco. Quando c’è questa espressione “ecco”, l’evangelista attira l’attenzione per qualcosa di imprevisto, qualcosa di improbabile che appare.
Ecco alcuni Magi che vennero da Oriente, letteralmente “maghi”. Chi sono questi maghi pagani?
Con il termine “mago” si intendeva a quel tempo l’indovino, ma anche l’ingannatore, l’astrologo ma anche il corruttore e ciarlatano. E comunque è un’attività che viene proibita nella Bibbia. Nel libro del Levitico (19,26) viene proibita severamente l’attività del mago, e anche nel cristianesimo non godrà di buon nome, tanto che nel primitivo catechismo della chiesa cristiana, che si chiama Didac» (Didaché) (2,2), l’esercizio del mago verrà collocato tra il divieto di rubare e quello di abortire.
Quindi abbiamo, in quanto maghi, persone disprezzate anche dalla Bibbia, e in quanto pagani i più lontani da Dio. L’evangelista vuole significare che l’amore universale di Dio si estende ovunque, non soltanto per la sua estensione, appunto, ma anche per la sua qualità: l’amore di Dio è per tutti, anche per le categorie che possiamo pensare come più lontane o disprezzate.
A Gerusalemme. Sbagliano posto. Vanno nel luogo meno adatto per trovare Gesù. A Gerusalemme, la città santa, Gesù non nasce. A Gerusalemme, il figlio di Dio sarà ammazzato, sarà messo a morte.
E dicevano: “Dov’è colui che è neonato, il re dei Giudei?” L’evangelista contrappone Erode, re dei Giudei, a Gesù, il neonato re dei Giudei.
Abbiamo visto spuntare la sua stella – letteralmente abbiamo visto la sua stella da Oriente).
Questa stella di cui parla Matteo non va cercata nel cielo, ma va cercata nella Bibbia. Infatti l’evangelista si rifà ad una profezia contenuta nel libro dei Numeri (24,17) dove Balaam, un indovino, profetizza “Una stella sorge da Giacobbe, uno scettro si eleva da Israele”. Quindi non è un avvenimento che accade nel cosmo, è un avvenimento teologico quello che l’evangelista ci vuole segnalare.
Più avanti ne avremo la conferma. A quel tempo si pensava che quando una persona nasceva, sorgeva anche una nuova stella che poi si sarebbe spenta il giorno della sua morte.
E siamo venuti ad adorarlo”. All’udire questo il re Erode restò turbato – e si capisce! Il re Erode è un uomo che ha usurpato il trono e ha paura di perderlo. Ma sorprende il seguito: – e con lui tutta Gerusalemme.
Anche Gerusalemme resta turbata, spaventata, perché Erode ha usurpato il trono, Gerusalemme ha usurpato il ruolo di Dio. Quindi Erode ha paura di perdere il trono, ma Gerusalemme ha paura di perdere il tempio dove presenta un’immagine di Dio falsa, che corrisponde per nulla al Padre che Gesù presenterà.
Riuniti tutti i capi dei sacerdoti e gli scribi del popolo, si informava da loro sul luogo in cui doveva nascere il Cristo, cioè il messia.
E’ questo che Erode teme, il messia liberatore. Erode lo teme e Gerusalemme non lo attende.
Gli risposero – i capi dei sacerdoti e gli scribi, quindi l’élite sacerdotale e teologica – “A Betlemme di Giudea perché così è scritto per mezzo del profeta”. Vediamo che l’evangelista è polemico. La conoscenza della scrittura non è garanzia di conoscenza del Signore. Una conoscenza che non si traduce nella vita è sterile, è nociva, come in questo caso.
E qui l’evangelista cita, modificandola, una profezia contenuta nel libro del profeta Michea, al capitolo 5, v. 1: “E tu Betlemme, terra di Giuda, non sei davvero l’ultima delle città principali di Giuda: da te infatti uscirà un capo” … Michea aveva scritto “dominatore”, ma l’evangelista censura questo termine.
Gesù non sarà un dominatore, allora sostituisce il termine con “capo”, colui che guida, che conduce.
E, per farlo comprendere meglio, aggiunge alla profezia di Michea un’espressione estratta dal secondo libro di Samuele (5,2), Che sarà il pastore del mio popolo Israele. Quindi Gesù non dominerà, ma sarà il pastore, colui che cura il bene del suo gregge.
Allora Erode, chiamati segretamente i Magi, si fece dire da loro con esattezza il tempo in cui era apparsa la stella.
E’ preoccupato che altri possano aver visto questo segno che indicava la nascita del re dei Giudei. E li inviò a Betlemme, e qui l’evangelista ci presenta un’immagine del potere che è sempre menzognero e assassino. E’ menzognero perché impone con la menzogna il suo potere, e assassino perché lo difende con la violenza.
Infatti Erode dice: “Andate e informatevi accuratamente sul bambino, e quando l’avrete trovato, fatemelo sapere perché anch’io venga ad adorarlo”. In realtà lo vuole eliminare. Il potere è sempre menzognero e assassino. L’evangelista ci invita a prenderne le distanze.
Udito il re, essi partirono. Ed ecco – qui c’è di nuovo la sorpresa – la stella che avevano visto in Oriente li precedeva.
Loro non hanno seguito la stella per andare a Gerusalemme, hanno visto sorgere la stella, ma hanno sbagliato strada. Sono andati nel luogo sbagliato, a Gerusalemme, dove Gesù sarà assassinato, e non a Betlemme dove Gesù è nato.
Allora questa volta la stella ha il ruolo come di Dio nel deserto che guida il suo popolo, come il pastore che guida il suo gregge. E’ la stella che li guida.
Li precedeva, finché giunse e si fermò, letteralmente, sopra dove si trovava il bambino.
E’ chiaro che l’evangelista non è così ingenuo da presentare un astro che si muove e si ferma in un luogo. E’ impossibile che una stella possa indicare dove sta un bambino. Quindi, come abbiamo detto all’inizio, questa stella non va ricercata in cielo, nel cosmo, ma nella Bibbia.
Al vedere la stella provarono una gioia grandissima. E’ la prima volta che appare l’espressione di una grande, incontenibile gioia. L’ultima volta apparirà nelle donne, nell’incontro con il risuscitato.
I pagani e le donne sono i più distanti da Dio, secondo la concezione dell’epoca, eppure sono quelli che lo riconoscono e lo accolgono.
Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre – l’evangelista presenta la coppia regale – si prostrarono e lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono …
I doni dei maghi sono simbolici e indicano che on c’è più un’esclusività di un popolo, Israele, ma una possibilità per tutta l’umanità.
• Infatti offrono ORO, che era simbolo della regalità. L’evangelista vuole anticipare il fatto che il regno di Dio sarà anche per i pagani. Non c’è più il regno di Israele, limitato a una nazione, a un popolo, a una religione, ma il regno di Dio, l’amore universale, è per tutti, anche per i pagani.
• Offrono INCENSO. L’offerta dell’incenso era riservata ai sacerdoti. La caratteristica esclusiva di Israele era di essere un popolo sacerdotale, cioè di avere contatto con Dio. Anche questa prerogativa non sarà più solo del popolo di Israele, ma essere popolo sacerdotale – nel senso di comunicazione diretta con Dio – sarà per tutta l’umanità.
• Infine offrono MIRRA, che era il profumo della sposa. La si trova nel Cantico dei Cantici. Ebbene il privilegio di Israele di essere considerato la sposa di Dio non è più soltanto per questa nazione, ma per tutta l’umanità.
Avvertiti in sogno di non tornare da Erode, per un’altra strada fecero ritorno al loro paese.
“Per un’altra strada” è un’espressione molto rara che troviamo nella Bibbia, nel primo libro dei Re , in cui indica il santuario di Betel dove veniva adorato il vitello d’oro. L’evangelista vuole indicare che ormai Gerusalemme è una città idolatrica dalla quale bisogna prendere le distanze

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non c’è pace per il piccolo sinto Joshua nato per primo a Lucca nel 2016

senza pace, senza accoglienza, confuso con la foto di un altro bambino …

 

tutti devono riconoscere che è il primo nato a Lucca, Joshua, il bambino nato da due genitori sinti  nella notte dell’ultimo dell’anno, e però sembra che faccia problema proprio il fatto che sia sinto, bello come Gesù bambino – tra l’altro ne porta anche il nome – ma sempre uno zingarello nei confronti del quale invece di rallegrarsi evangelicamente “perché è nato al mondo un uomo” ci si mette le mani nei capelli perché “è una bocca in più da sfamare” o si preferisce , nella necessità di dover dare la notizia come di dovere professionale per un giornale, mettere addirittura la foto di un altro bambino … Intendiamoci: tutti belli i bambini! ma ognuno ha la sua bellezza inconfondibile, da non confondere, quindi! si dirà: un semplice errore non voluto, e però anche qui o, proprio qui, sembra valere il detto del ‘saggio’ che “pensare male si fa peccato ma ci si indovina … “

così ‘il TirrenoLucca’ che per professionalità deve dare la notizia ma … mette una foto di un altro bambino ugualmente bello ma non confondibile con Joshua

 

 questa la foto di Joshua:

Joshua

di seguito la notizia data da ‘il TirrenoLucca’:

Lucca batte Barga: è Joshua il primo nato del 2016

Lucca batte barga nella corsa al primo vagito. E anche quest’anno la vittoria va al reparto di ostetricia del San Luca. Il primo nato del 2016 sul territorio dell’Asl 2 di Lucca si chiama… Lucca batte barga nella corsa al primo vagito. E anche quest’anno la vittoria va al reparto di ostetricia del San Luca. Il primo nato del 2016 sul territorio dell’Asl 2 di Lucca si chiama Joshua e ha visto la luce nel nuovo nosocomio lucchese. Si tratta di un bellissimo bimbo venuto alla luce ieri notte alle 2.25, all’ospedale San Luca di Lucca: pesa 3 chilogrammi e 80 grammi e sta bene, così come la madre.

I genitori sono lucchesi: Diego e Giada, entrambi di 19 anni, hanno accolto la notizia con grande gioia e ora sono pronti a darsi da fare per dare un futuro sereno al loro bimbo.

Per il momento, invece, a Barga non si sono registrati parti e così, per il secondo anno consecutivo, l’ostetricia lucchese batte sul tempo quella della Mediavalle.

L’ultimo nato, invece, si chiama Leonardo Lusori: ha emesso i primi vagiti alle 16,35 di giovedì e ora è coccolato dal papa Matteo, 31 anni, e dalla mamma Teresa, di 29 anni. Pargoli e famiglie stanno bene e sono pronti ad affrontare il nuovo anno con grande entusiamo.

©RIPRODUZIONE RISERVATA

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papa Francesco e la preghiera ‘incriminata’

“non siamo capomastri, ma manovali”

la preghiera del papa per la Curia sconcerta alcuni conservatori

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Tratto da: Adista Notizie n° 1 del 09/01/2016

Una preghiera, non molto nota, comunemente attribuita a mons. Oscar Romero ma composta da mons. Kenneth Edward Untener, vescovo di Saginaw dal 1980 al 2004, e pronunciata per la prima volta dal card. John Dearden, storico vescovo di Detroit (dal 1958 al 1980), ha concluso, il 21 dicembre scorso, il discorso natalizio di papa Francesco alla Curia Romana. Un discorso, come hanno riportato i media, improntato sulla metafora degli “antibiotici curiali” da opporre come rimedio alle malattie di cui la Curia soffre, perché «Ecclesia semper reformanda».

La preghiera pronunciata dal papa in quell’occasione è particolarmente significativa, sia per il contenuto – che consente di leggere in filigrana un riferimento al proprio pontificato – sia per la figura dalla quale è stata pronunciata per la prima volta, un cardinale che ha avuto un ruolo di rilievo nella Conferenza episcopale statunitense fino alla fine degli anni ’80 ma che, soprattutto, ha partecipato in qualità di padre conciliare ai lavori del Vaticano II, contribuendo alla stesura della Gaudium et spes e della Lumen gentium e ed è stato molto attivo nel campo della lotta alla discriminazione razziale negli Usa.

Ma non solo. La figura del card. Dearden ha un valore anche simbolico, e lo ha dimostrato il fatto che il riferimento da parte del papa abbia inquietato gli animi di un settore conservatore della Chiesa cattolica, soprattutto anglofona, come il blog inglese Torch of the Faith, che parla di un «sentimento di scoraggiamento» trasmesso dal papa con il suo discorso e del fatto che «i cattolici tradizionalisti del mondo aggrotterebbero le sopracciglia per questa “preghiera”, che suggerisce che “nessun credo porta la perfezione”». Ma soprattutto, è il riferimento stesso a Dearden a provocare sconcerto presso i cattolici più conservatori, i quali lo hanno sempre considerato un «progressista riservato» per il suo stile di governo basato sul consenso, quando fu primo presidente della Conferenza episcopale Usa (1966-1971): fu sotto la sua guida che negli Usa vennero autorizzati i ministri straordinari dell’Eucaristia e venne ripresa una pratica ormai abbandonata da secoli, l’ordinazione diaconale di laici sposati. Nel 1976, quando venne lanciata l’iniziativa “Call to Action” con lo scopo di coinvolgere la comunità cattolica statunitense nella ricerca della libertà e della giustizia (poi dando vita all’omonima associazione), Dearden ne fu alla guida, con una massiccia consultazione dei laici. Naturalmente, il suo coinvolgimento in quella che sarà poi giudicata dall’ala più tradizionalista della Chiesa un’associazione ai limiti dell’apostasia – per la critica al magistero sui temi delle donne prete, dell’aborto, della contraccezione e dei divorziati risposati; venne anche posto sotto inchiesta dal Vaticano nel 2006 – ne fece un “radicale”. Così come radicale è considerato, dalla stessa ala, papa Francesco, specialmente riguardo alla sua agenda sul clima: «Quella conferenza del 1976 – si legge sul blog Torch of the Faith – mostra alcuni interessanti paralleli con i giorni di papa Francesco e la saga che circonda il Sinodo di Roma sulla famiglia e l’agenda sul cambiamento climatico». In sintesi: «Alla luce di tutto questo possiamo solo chiederci se l’inclusione di quella “preghiera” del radicale John Francis Dearden indica qualcosa di più del semplice fantasma di un’idea».

Ecco di seguito il testo della preghiera “incriminata”, introducendo la quale il papa ha detto: «Ogni tanto ci aiuta il fare un passo indietro e vedere da lontano».

Il Regno non è solo oltre i nostri sforzi, è anche oltre le nostre visioni. / Nella nostra vita riusciamo a compiere solo una piccola parte di quella meravigliosa impresa che è l’opera di Dio. / Niente di ciò che noi facciamo è completo. Che è come dire che il Regno sta più in là di noi stessi. / Nessuna affermazione dice tutto quello che si può dire. / Nessuna preghiera esprime completamente la fede. / Nessun credo porta la perfezione. / Nessuna visita pastorale porta con sé tutte le soluzioni. / Nessun programma compie in pieno la missione della Chiesa. / Nessuna meta né obbiettivo raggiunge la completezza. Di questo si tratta: / noi piantiamo semi che un giorno nasceranno. / Noi innaffiamo semi già piantati, sapendo che altri li custodiranno. /Mettiamo le basi di qualcosa che si svilupperà. / Mettiamo il lievito che moltiplicherà le nostre capacità. / Non possiamo fare tutto, però dà un senso di liberazione l’iniziarlo. / Ci dà la forza di fare qualcosa e di farlo bene. / Può rimanere incompleto, però è un inizio, il passo di un cammino. / Una opportunità perché la grazia di Dio entri e faccia il resto. / Può darsi che mai vedremo il suo compimento, / ma questa è la differenza tra il capomastro e il manovale. / Siamo manovali, non capomastri, servitori, non messia. / Noi siamo profeti di un futuro che non ci appartiene. 

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il ‘nuovo anno’ a Lucca non è un ‘anno nuovo’: porta con sé ancora troppa vecchia spazzatura razzista

è Joshua il primo nato del 2016 al San Luca

porta il nome di Gesù e anche gli assomiglia, il bambino Joshua che è nato per primo nella notte che saluta l’anno 2015 e ci proietta nel 2016 che chiamiamo ‘anno nuovo’ ma sembra trascinare con sé i tratti vecchi, troppo vecchi, dell’intolleranza e del razzismo …

è l’innocenza e la bellezza incarnata Joshua, precisamente come Gesù bambino che tutti hanno celebrato in questi giorni natalizi, ha però, suo malgrado, un difetto: i suoi genitori hanno il grosso difetto, colpa e torto di essere ‘sinti’ e questo diventa un marchio negativo per lui che da dono grande all’umanità intera come dovrebbe esserlo ogni bambino che nasce e accogliamo nello stupore e gratitudine immensa, diventa immediatamente un peso insopportabile e ‘una  bocca in più da sfamare’

 qui sotto l’espressione della gioia immensa dei genitori con le loro dichiarazioni documentate dai media di ‘Lucca in diretta’ e la giusta  durissima reazione negativa a tanta insensibilità e cretineria da parte di Michele Sarti Magi del Comitato Scolastico Lucchese:

“Sono disgustato e schifato dai commenti postati sui social network da alcuni cittadinilucchesi riguardo la nascita di Joshua, il primo bambino nato nel 2016 al San Luca di Lucca. Commenti razzisti e offese gratuite alla dignità della famiglia e del bambino stesso. L’invito che faccio alla famiglia è quello di querelare per diffamazione queste persone”

 

 

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“Il nostro bambino è la nostra speranza per il futuro”

mamma e papà se lo tengono stretto nel reparto di ostetricia dell’ospedale San Luca dove Joshua ha visto la luce nella notte di Capodanno, alle 2,25 esatte. E’ lui il primo nato del 2016 tra la Lucchesia e la Valle del Serchio: ha emesso il primo vagito a poco più di due ore dallo scoccare della mezzanotte. E’ un bellissimo bambino del peso di 3 chili e 80 grammi, già l’orgoglio dei due genitori lucchesi e giovanissimi: Diego Balestra e Giada Satori, entrambi di 19 anni. In cerca di un lavoro, hanno accolto questa nascita invero molto attesa con grande entusiasmo.

“E’ un’emozione bellissima – racconta la mamma dal letto di ospedale -: sono felice, il mio bambino è stupendo. E’ molto particolare sentirsi la prima mamma del 2016 a Lucca”. “Non abbiamo ancora trovato un lavoro – racconta papà Diego – ma questo figlio per noi rappresenta anche la speranza nel futuro. E’ stato bellissimo vederlo nascere e non sono riuscito a chiudere quasi mai occhio stanotte”. Una benedizione per una giovanissima coppia che è già un primato che resterà scolpito sul calendario del 2016. E anche quest’anno Lucca batte Barga, dove nella notte e in mattinata non si sono registrate nascite.

 

la giusta indignazione di Sarti Magi

“Indignato dalle offese razziste”

“Sono disgustato e schifato dai commenti postati sui social network da alcuni cittadinilucchesi riguardo la nascita di Joshua, il primo bambino nato nel 2016 al San Luca di Lucca. Commenti razzisti e offese gratuite alla dignità della famiglia e del bambino stesso. L’invito che faccio alla famiglia è quello di querelare per diffamazione queste persone”. A dirlo è Michele Sarti Magi del Comitato Scolastico Lucchese che così commenta: “Queste persone, incredibilmente stomachevoli e prive di dignità – dice – si sono permesse di offendere questo splendido bambino con commenti deprimenti del tipo “un altro zingaro da mantenere”. Parole gravissime a mio avviso. Il fenomeno del razzismo purtroppo esiste, accompagnato da quello dell’ignoranza. Queste persone si sono dimostrate veramente primitive nel dire quelle cose e dovrebbero chiedere scusa pubblicamente. I genitori di Joshua hanno ricevuto, secondo me, il regalo più bello che gli potesse mai capitare e per lo più è il primo bambino dell’anno. Quello che voglio ricordare a tutti è che Joshua è un bambino appena nato, inerme. Che colpa ha? Cosa ha fatto per meritarsi ingiurie e offese di questo livello? E’ questa l’accoglienza che diamo ai nascituri?”.
“Si devono vergognare – conclude Sarti Magi – le persone che non arrivano con il proprio micro-cervello a capire una macro-meraviglia come la vita. Non siamo cittadini di noi stessi, ma siamo cittadini del mondo. Miglioriamo il mondo per tutti i nostri figli e auguriamo un meraviglioso anno anche al piccolo Joshua”.

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