il commento al vangelo della domenica

 

un amore così grande che squarcia anche i cieli


Un amore così grande che squarcia anche i cieli
il commento di Ermes Ronchi al vangelo della domenica del battesimo del Signore, Anno B (10 gennaio 2021):

In quel tempo, Giovanni proclamava: «Viene dopo di me colui che è più forte di me: io non sono degno di chinarmi per slegare i lacci dei suoi sandali. Io vi ho battezzato con acqua, ma egli vi battezzerà in Spirito Santo». Ed ecco, in quei giorni, Gesù venne da Nazaret di Galilea e fu battezzato nel Giordano da Giovanni. E, subito, uscendo dall’acqua, vide squarciarsi i cieli e lo Spirito discendere verso di lui come una colomba. […]

Sulle rive del Giordano, il Padre presenta Gesù al mondo, lo strappa all’anonimato dei trent’anni. Gesù non aveva alcun bisogno di farsi battezzare, è come se avesse lui invece battezzato il Giordano, santificato per contatto la creatura dell’acqua. Lo sa e lo ripete il celebrante nella preghiera eucaristica terza: «Tu che fai vivere e santifichi l’universo». Straordinaria teologia della creazione: Tu che non solo dai vita all’uomo ma all’universo intero; non solo dai vita alle cose, ma le rendi sante! Santità del cielo, dell’acqua, della terra, delle stelle, del filo d’erba, del creato… «E subito, uscendo dall’acqua vide squarciarsi i cieli e lo Spirito discendere verso di lui come una colomba». Sento tutta la bellezza e la potenza del verbo: si squarciano i cieli, come per un amore incontenibile; si lacerano, si strappano sotto la pressione di Dio, sotto l’urgenza di Adamo e dei poveri. Si spalancano come le braccia dell’amata per l’amato. Da questo cielo aperto e sonante di vita viene, come colomba, il respiro di Dio. Una danza dello Spirito sull’acqua è il primo movimento della Bibbia (Gen 1,2). Una danza nelle acque del grembo materno è il primo movimento di ogni figlio della terra. Una colomba che danza sul fiume è l’inizio della vita pubblica di Gesù. Venne una voce dal cielo e disse: “Tu sei il Figlio mio, l’amato, il mio compiacimento”. Tre parole potenti, ma primo viene il tu, la parola più importante del cosmo. Un io si rivolge a un tu. Il cielo non è vuoto, non è muto. E parla con le parole proprie di una nascita. Figlio è la prima parola, un termine potente per il cuore. E per la fede. Vertice della storia umana. Dio genera figli di Dio, genera figli secondo la propria specie. E i generati, io e tu, tutti abbiamo una sorgente nel cielo, il cromosoma divino in noi. Seconda parola: il mio nome non è solo figlio, ma amato. Lo sono da subito, da prima che io faccia qualsiasi cosa, prima che io risponda. Per quello che sono, così come sono, io sono amato. E che io sia amato dipende da lui, non dipende da me. La terza parola: in te ho posto il mio compiacimento. La Voce grida dall’alto del cielo, grida sul mondo e in mezzo al cuore, la gioia di Dio: è bello stare con te. Ti amo, figlio, e mi piaci. Sono contento di te. Prima che tu mi dica sì, prima ancora che tu apra il cuore, tu mi dai gioia, sei bello, un prodigio che guarda e respira e ama e si incanta. Ma che gioia posso dare a Dio, io con la mia vita accidentata e distratta, io che ho così poco da restituire? Con tutte le volte che mi dimentico di Lui? Eppure quelle tre parole sono per me, lampada ai miei passi, lume acceso sul mio sentiero: figlio, amato, gioia mia.
(Letture: Isaia 55,1-11; da Isaia 12,1-6; 1 Giovanni 5,1-9; Marco 1,7-11)

il commento al vangelo della domenica

Il cielo si apre

Siamo tutti figli di Dio nel Figlio


Il cielo si apre Siamo tutti figli di Dio nel Figlio
Ermes Ronchi
il commento di E. Ronchi al vangelo della domenica del Battesimo di Gesù (13 gennaio 2019):

In quel tempo, poiché il popolo era in attesa e tutti, riguardo a Giovanni, si domandavano in cuor loro se non fosse lui il Cristo, Giovanni rispose a tutti dicendo: «Io vi battezzo con acqua; ma viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco». Ed ecco, mentre tutto il popolo veniva battezzato e Gesù, ricevuto anche lui il Battesimo, stava in preghiera, il cielo si aprì e discese sopra di lui lo Spirito Santo in forma corporea, come una colomba, e venne una voce dal cielo: «Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento».

«Viene dopo di me colui che è più forte di me”. In che cosa consiste la forza di Gesù? Lui è il più forte perché parla al cuore. Tutte le altre sono voci che vengono da fuori, la sua è l’unica che suona in mezzo all’anima. E parla parole di vita.
«Lui vi battezzerà…» La sua forza è battezzare, che significa immergere l’uomo nell’oceano dell’Assoluto, e che sia imbevuto di Dio, intriso del suo respiro, e diventi figlio: a quanti l’hanno accolto ha dato il potere di diventare figli di Dio (Gv 1,12). La sua è una forza generatrice («sono venuto perché abbiano la vita in pienezza», Gv 10,10), forza liberante e creativa, come un vento che gonfia le vele, un fuoco che dona un calore impensato. «Vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco». Il respiro vitale e il fuoco di Dio entrano dentro di me, a poco a poco mi modellano, trasformano pensieri, affetti, progetti, speranze, secondo la legge dolce, esigente e rasserenante del vero amore. E poi mi incalzano a passare nel mondo portando a mia volta vento e fuoco, portando libertà e calore, energia e luce. Gesù stava in preghiera ed ecco, il cielo si aprì. La bellezza di questo particolare: il cielo che si apre. La bellezza della speranza! E noi che pensiamo e agiamo come se i cieli si fossero rinchiusi di nuovo sulla nostra terra. Ma i cieli sono aperti, e possiamo comunicare con Dio: alzi gli occhi e puoi ascoltare, parli e sei ascoltato.
E venne una voce dal cielo: «Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento». La voce annuncia tre cose, dette per Gesù e per ciascuno di noi: “Figlio” è la prima parola: Dio è forza di generazione, che come ogni seme genera secondo la propria specie. Siamo tutti figli di Dio nel Figlio, frammenti di Dio nel mondo, specie della sua specie, abbiamo Dio nel sangue e nel respiro.
“Amato” è la seconda parola. Prima che tu agisca, prima di ogni merito, che tu lo sappia o no, ogni giorno ad ogni risveglio, il tuo nome per Dio è “amato”. Immeritato amore, incondizionato, unilaterale, asimmetrico. Amore che anticipa e che prescinde da tutto.
“Mio compiacimento” è la terza parola. Che nella sua radice contiene l’idea di una gioia, un piacere che Dio riceve dai suoi figli. Come se dicesse a ognuno: figlio mio, ti guardo e sono felice. Se ogni mattina potessi immaginare di nuovo questa scena: il cielo che si apre sopra di me come un abbraccio, un soffio di vita e un calore che mi raggiungono, il Padre che mi dice con tenerezza e forza: figlio, amore mio, mia gioia, sarei molto più sereno, sarei sicuro che la mia vita è al sicuro nelle sue mani, mi sentirei davvero figlio prezioso, che vive della stessa vita indistruttibile e generante.

un bel libro per superare la crisi del clero


 
Michael Davide Semeraro
 
Preti senza battesimo?
Una provocazione, non un giudizio
San Paolo, Cinisello Balsamo (MI), 2018, pp. 156

recensione di Augusto Fontana
Fratel MichaelDavide Semeraro, monaco benedettino, Dottore in teologia, provoca, con un titolo ad effetto, la curiosità dei possibili lettori del suo breve saggio Preti senza battesimo? Una provocazione, non un giudizio, uscito recentemente dalle edizioni San Paolo.
Tesi centrale dell’autore: Cristo fu un “laico”, non appartenente alla casta e all’ordine di successione sacerdotale di Aronne. Lo possiamo credere e chiamare “sacerdote”, come scrive la Lettera agli ebrei (7,11), unicamente «secondo l’ordine di Melchisedek». Melchisedek diventa così icona simbolica e teologica attorno a cui si costruisce tutto il tessuto dell’argomentazione di Semeraro che non esita ad avvalersi di pubblicazioni e citazioni di autori vari tra cui Eugen Drewermann: «Oggi l’intero stato dei chierici potrà recuperare una certa credibilità» solo a patto che riesca a riposizionarsi sulle orme di Gesù «che non era né monaco né sacerdote; piuttosto era profeta, poeta, vagabondo, visionario, medico e persona degna di fiducia, predicatore ambulante e trovatore, arlecchino e incantatore dell’eterna e inesauribile misericordia di Dio».
Un’eccessiva sovra-estimazione della vocazione sacerdotale a discapito di quella battesimale rischia di imbalsamare il presbitero nel sarcofago del ruolo: «quando manca una personalità autentica formata alla scuola del Vangelo, è del tutto naturale che il ruolo diventi la maschera della propria fragilità non accolta e della propria incapacità a far fronte alle sfide più ordinarie e normali della vita».
Destinatari del saggio non sono solo i preti: la questione della qualità e quantità dei preti coinvolge tutto il popolo di Dio, i battezzati. Crisi di preti? Preti in crisi? Domande ricorrenti, nel testo, implicite o esplicite, come di fronte a un diluvio annunciato da decenni di tuoni e lampi. I tempi di Noè a volte ritornano: «E come avvenne ai tempi di Noè, così sarà nei giorni del Figlio dell’ uomo: si mangiava, si beveva, si prendeva moglie e si prendeva marito, fino al giorno in cui Noè entrò nell’ arca. Poi venne il diluvio e li spazzò via tutti» (Luca 17).
MichaelDavide non vuole certo fare il profeta di sventura o il menagramo. Offre, invece, un contributo ragionato e documentato a fronte di uno dei fenomeni ecclesiali di cui il popolo dei battezzati, e neppure i chierici, ne stanno cogliendo la portata potenzialmente riformatrice o rivoluzionaria.
I lettori sono avvertiti: «nel percorso di queste pagine non si può trovare nessuna soluzione, ma solo qualche provocazione che non vuole giudicare né, tantomeno destabilizzare… Siamo solo agli inizi di un cammino, che però non possiamo più rimandare e in cui dobbiamo appassionatamente coinvolgerci non semplicemente per limitare i danni, ma per ampliare le opportunità di crescita e di testimonianza».
La Prefazione del Vescovo emerito Luigi Bettazzi anticipa ed esplicita i problemi ecclesiali del rapporto tra clero e laici battezzati: «L’Ordinazione presbiterale non può essere qualcosa di prevalente, ma deve essere al servizio del battesimo, cioè dell’essere cristiano». È come se Bettazzi e più ancora il monaco Semeraro invitassero i preti, alla fine della loro giornata, a non a chiedersi se sono stati bravi preti, ma primariamente se sono stati bravi battezzati.
La prima e la terza parte dello scritto affrontano alcune fragilità presbiterali: pedofilia e omosessualità. La salvaguardia del ruolo, il “salvare la faccia” del clero non bastano: «la conversione non riguarda solo la morale a livello personale, ma tocca necessariamente l’impianto istituzionale». Ovviamente sia nel processo di formazione del clero che in quello di accompagnamento comunitario.
La seconda parte dello scritto raccoglie e sviluppa meglio la provocazione del titolo Preti senza battesimo? verso la proposta di una urgente conversione. Interiore e istituzionale. «Come Melchisedek, i presbiteri del Nuovo Testamento sono chiamati a diventare sacerdoti delle umane battaglie, disposti ad andare incontro ai difficili cammini dei propri fratelli senza aspettarli al varco sulle soglie dei templi – nuovi e antichi – che rischiano spesso di trasformarsi in mausolei di autoidolatria». In questa logica «il sacerdozio comune di cui siamo resi partecipi nel battesimo sta a fondamento del ministero presbiterale e non viceversa».
Alla fine resta una domanda; quella che giustifica la destinazione del libro di Semeraro non solo ai preti ma anche a tutta la comunità dei battezzati: «Mancano i preti per le comunità o, in realtà, mancano le comunità capaci di generare fino a indicare, sostenere e correggere i propri pastori?».

il commento al vangelo della domenica

“TU SEI IL FIGLIO MIO, L’AMATO: IN TE HO POSTO IL MIO COMPIACIMENTO”

BATTESIMO DEL SIGNORE 

7 gennaio 2018 

di Alberto Maggi 


Mc1,7-11
In quel tempo, Giovanni proclamava: «Viene dopo di me colui che è più forte di me: io non sono degno di chinarmi per slegare i lacci dei suoi sandali. Io vi ho battezzato con acqua, ma egli vi battezzerà in Spirito Santo».
Ed ecco, in quei giorni, Gesù venne da Nàzaret di Galilea e fu battezzato nel Giordano da Giovanni. E, subito, uscendo dall’acqua, vide squarciarsi i cieli e lo Spirito discendere verso di lui come una colomba. E venne una voce dal cielo: «Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento»
Tutti gli evangelisti sono concordi nell’indicare l’attività di Gesù, come quella di colui che battezza nello Spirito Santo. E questo è possibile perché in Gesù risiede la pienezza dello Spirito Santo, cioè la forza, la capacità e la potenza d’amore di Dio. Questa accoglienza dello Spirito da parte di Gesù viene indicata dagli evangelisti nell’episodio del battesimo. Leggiamo come ce la narra l’evangelista Marco.
“«Ed ecco, in quei giorni…»” – questa espressione “in quei giorni”, che appare per la prima volta in questo Vangelo, indica il compimento delle promesse di Dio – “«Gesù»” – il nome è lo stesso di Giosuè, in ebraico, colui che fece entrare il popolo nella terra promessa – ma poi le credenziali di questo Gesù sono veramente pessime
perché, ci scrive l’evangelista, che “«venne da Nàzaret di Galilea …»”.
La Galilea è la regione disprezzata, la regione dei facinorosi, dei rivoluzionari – al tempo di Gesù dire “galileo” significava dire “testa calda”, ”fanatico”– ebbene, Gesù viene proprio dalla Galilea. Ma si credeva che il Messia sarebbe dovuto venire dalla Giudea, dalla regione santa, e non dalla Galilea.
E per giunta viene proprio da Nazaret che era un borgo selvaggio, dalla brutta reputazione, che era un po’ il covo dove si rifugiavano gli zeloti, i rivoluzionari, contro di Roma. Non bisogna dimenticare che era ancora vivo il ricordo di Giuda il Galileo, che proveniva appunto dalla Galilea: si era proclamato Messia ed aveva iniziato una rivolta contro Roma, finita poi in un bagno di sangue.
“«E fu battezzato nel Giordano da Giovanni »”, Giovanni aveva annunziato un battesimo di conversione per il perdono dei peccati. Perché Gesù va a farsi battezzare? Il battesimo è un simbolo di morte: ci si immerge e si muore al proprio passato.
Anche per Gesù il battesimo sarà un simbolo di morte, ma non di un passato ingiusto, di peccato – che lui non ha da farsi perdonare – ma di accettazione di morte nel proprio futuro: una donazione del suo amore agli uomini, che può arrivare al punto di accogliere la morte. Infatti Gesù quando parlerà della sua morte, ne parlerà come di un battesimo: ”c’è un battesimo che io devo accogliere” .
E vediamo come ci descrive l’evangelista questo battesimo di Gesù, inserendo nella scena del battesimo gli stessi termini che poi collocherà al momento della morte, per indicare che battesimo e morte di Gesù sono una sola cosa.
“«E subito salendo dall’acqua …»” – scendere nell’acqua è un’immersione nella morte, ma la morte non trattiene Gesù – Gesù immediatamente sale dall’acqua. “«…vide squarciarsi…»”– è importante questo verbo squarciarsi -“«…i cieli…»”: si credeva che Dio era talmente arrabbiato con l’umanità che aveva come sigillato i cieli, non c’era più comunicazione tra Dio ed il suo popolo – basta pensare al desiderio di Isaia nel suo libro, quando scrive “ ah, se tu squarciassi i cieli e discendessi !”.
Quindi, c’era questa attesa che Dio squarciasse i cieli: ma i cieli erano chiusi, erano sigillati. Ebbene, nel momento in cui Gesù s’impegna a manifestare l’amore di Dio senza limiti, c’è una risposta da parte di Dio di un amore senza limiti. Ed i cieli non si aprono: qualcosa che si apre poi si può richiudere. I cieli si squarciano, si lacerano e quindi non possono più essere ricomposti : con Gesù la comunicazione di Dio con l’umanità sarà, da questo momento, continua, crescente ed ininterrotta.
Ebbene, questo verbo “squarciare” lo ritroviamo poi al momento della morte di Gesù, quando “il velo del Tempio si squarciò”, il velo nascondeva la stanza segreta dove si credeva ci fosse la presenza di Dio: nel momento in cui Gesù muore in croce, il velo si squarcia e rivela chi è Dio.
Chi è Dio? E’ l’uomo che per amore ha donato la sua stessa vita.
“« E lo Spirito …»” – l’articolo determinativo, “lo”, indica la totalità – «… lo Spirito …»” – e Gesù, l’attività di Gesù sarà battezzare nello Spirito Santo, ma su Gesù non scende lo Spirito Santo, ma “lo Spirito” – perché “Santo” non indica soltanto la qualità di questo Spirito ma l’attività di consacrare, di separare l’uomo dal male – e Gesù non ha bisogno di essere separato dal male.
“« E lo Spirito …»” – quindi la totalità dell’amore di Dio – “« .. discendere verso di lui …»” : nel momento in cui Gesù sale dall’acqua, ecco un movimento che dal cielo, scende lo Spirito su Gesù.
Questo termine – “Spirito” – lo ritroviamo anch’esso poi nella morte di Gesù, quando Gesù “spirò”, che nel greco ha la stessa radice di “Spirito”: Gesù sulla croce, lo Spirito che ha ricevuto al momento del battesimo, lo comunica a quanti lo accolgono, e con lui e come lui vorranno dedicare la propria vita per il bene degli uomini.
Questo Spirito discende verso di lui “«… come una colomba … »”. Perché questa immagine della colomba? Era proverbiale l’amore della colomba per il proprio nido: alla colomba anche se gli si cambia il nido, lei torna sempre al suo nido originario.
Quindi, Gesù è il nido, è la dimora dello Spirito. In più l’immagine che c’è nel libro della Genesi, che lo Spirito del Signore si librava – al momento della creazione – sulle acque, veniva interpretata dai rabbini come il volo di una colomba sulla sua nidiata. Quindi, questo riferimento alla creazione fa vedere che in Gesù si realizza il compimento del progetto di Dio sull’umanità, il progetto della creazione.
“« E venne una voce dal cielo …»” – mentre Gesù vide squarciarsi i cieli, quindi fu una sua esperienza – qui la voce venne dal cielo, quindi è una dimostrazione per tutti. Ebbene, lo stesso termine “voce” – in greco “ fonè ” – lo ritroviamo al momento della morte di Gesù, quando – è strano che Gesù agonizzante, ormai morente – scrive l’evangelista – ”diede un grande grido“ : il termine “grido” e “voce”, in greco è lo stesso.
E’ un grido di vittoria perché l’amore è più forte della morte, l’amore è più forte del peccato: quando Pietro ha tradito Gesù, il gallo ha cantato ed il verbo nella lingua greca è lo stesso, è il “grido” . Ebbene, l’amore di Gesù è più forte del peccato del proprio discepolo: quindi è il “grido” di vittoria.
E qui la voce dal cielo – l’evangelista ci riporta una citazione del Salmo 2, il versetto 7 – “«Tu sei Figlio mio»”. Qui non indica tanto chi è Gesù, ma chi è Dio: se Gesù è intenzionato a dedicare tutta la propria esistenza per comunicare vita agli uomini – figlio è colui che assomiglia al padre nel suo comportamento – significa che questo è il lavoro di Dio.
Il lavoro di Dio è comunicare vita agli uomini perché l’abbiano in abbondanza.
“«Tu sei il Figlio mio»”- e questa espressione “il Figlio di Dio, Figlio mio” – la ritroviamo anch’essa al momento della morte di Gesù: l’unico che ha capito Gesù, non sono stati né i suoi familiari, né i discepoli, tanto meno i sacerdoti ed i farisei, ma un pagano, uno straniero, il centurione, il boia presente alla crocifissione.
Scrive l’evangelista che “vedendolo spirare in quel modo … “- in quel modo ricco d’amore – “… il centurione esclamò: « Veramente quest’uomo era Figlio di Dio! »”. Quindi, abbiamo visto come i termini del momento del battesimo, l’evangelista poi li ripropone al momento della morte di Gesù, per indicare che, per Gesù, il battesimo è l’accettazione di morte nel futuro: per essere fedele all’amore di Dio, per liberare gli uomini, Gesù andrà incontro alla morte.
Poi si conclude questo brano con l’espressione “«… l’amato …»” .
L’amato significa il figlio erede, colui che eredita tutto del Padre: non si può dividere Gesù da Dio, Dio e Gesù sono la stessa cosa.
In Gesù, Dio manifesta quello che è : Amore senza fine per tutta l’umanità.
“«… : in te ho posto il mio compiacimento».” : il compiacimento del Padre è stata la comunicazione di pienezza di vita – lo Spirito – che poi Gesù comunicherà a quanti lo accoglieranno.

fonte:/www.studibiblici.it

il commento al vangelo della domenica

battesimo

nascere di nuovo e con un ‘dna’ divino
padre Ermes Ronchi

battesimo del Signore

(anno B) (07/01/2018)

Visualizza Mc 1,7-11

Il racconto di Gesù al Giordano ci riporta alla Genesi, all’in principio, alle prime immagini della bibbia, quando lo spirito di Dio aleggiava sulle acque (Genesi 1,2) di un mare gonfio di vita inespressa. L’origine del creato, come quella di ognuno di noi, è scritta sull’acqua, nelle acque di un grembo materno.

Il rito del Battesimo porta impresso questo sigillo primordiale di nascite e di rinascite, di inizi e di ricominciamenti. Lo rivela un dettaglio prezioso: venne una voce dal cielo e disse: «Tu sei il Figlio mio, l’amato».

La voce dice le parole proprie di una nascita. Figlio è la prima parola, un termine potente per il cuore. E per la fede. Vertice della storia umana. Nel Battesimo anche per me la voce ripete: tu sei mio figlio. E nasco della specie di Dio, perché Dio genera figli di Dio, figli secondo la propria specie. E i generati, io e tu, tutti abbiamo una sorgente nel cielo, il cromosoma del Padre nelle cellule, il Dna divino seminato in noi.

La seconda parola è amato e la terza: mio compiacimento. Termine desueto, che non adoperiamo più, eppure bellissimo, che nel suo nucleo contiene l’idea di piacere, che si dovrebbe tradurre così: in te io ho provato piacere. La Voce grida dall’alto del cielo, grida sul mondo e in mezzo al cuore, la gioia di Dio: è bello stare con te. Tu, figlio, mi piaci. E quanta gioia sai darmi!

Io che non l’ho ascoltato, io che me ne sono andato, io che l’ho anche tradito sento dirmi: tu mi piaci. Ma che gioia può venire a Dio da questa canna fragile, da questo stoppino dalla fiamma smorta (Isaia 42,3) che sono io? Eppure è così, è Parola di Dio, rivelativa del suo cuore segreto. Per sempre.

Gesù fu battezzato e uscendo dall’acqua vide squarciarsi i cieli e lo Spirito discendere verso di lui come una colomba. Noto la bellezza e l’irruenza del verbo: si squarciano i cieli, come per un amore incontenibile; si lacerano, si strappano sotto la pressione di Dio, sotto l’urgenza del Signore. Si spalancano come le braccia dell’amata per l’amato. Da questo cielo aperto viene, come colomba, la vita stessa di Dio. Si posa su di te, ti avvolge, entra in te, a poco a poco ti modella, ti trasforma pensieri, affetti, speranze, secondo la legge dolce, esigente, rasserenante del vero amore.

Nel Battesimo è il movimento del Natale che si ripete: Dio scende ancora, entra in me, nasce in me perché io nasca in Lui, nasca nuovo e diverso, custodendo in me il respiro del cielo.

Ad ogni mattino, anche in quelli più oscuri, riascolta la voce del tuo Battesimo sussurrare: Figlio mio, amore mio, gioia mia. E sentirai il buio che si squarcia, e il coraggio che dispiega di nuovo le ali sopra l’intera tua storia.

la mentalità ottusa di tanti parroci – parola di papa Francesco

papa Francesco

Dio non è “un mucchio di prescrizioni”, ma amore gratuito

Francesco a Santa Marta: i parroci che non battezzano figli di ragazze madri hanno il cuore chiuso; no alla «mentalità ottusa» dell’«autosufficienza della salvezza» con la legge
domenico agasso jr

I parroci che non battezzano figli di ragazze madri hanno il cuore chiuso, senza la «chiave della conoscenza». Il Signore è amore gratuito, non un «mucchio di prescrizioni». Papa Francesco nella Messa di questa mattina, 19 ottobre 2017, a Casa Santa Marta, riflette sulla «gratuità» della salvezza, della vicinanza del Signore e della concretezza delle opere di misericordia che Cristo desidera da ogni uomo. Azioni di bene – materiali o spirituali – con cui si apre «la porta» a se stessi e agli altri. Inoltre mette in guardia dalla «mentalità ottusa» di chi crede «nell’autosufficienza della salvezza» attraverso la legge.    

Il Pontefice – informa Radio Vaticana – si basa sull’odierno brano evangelico da Luca, in cui si legge di scribi e farisei che si ritengono giusti, e il Figlio di Dio fa appurare che solo il Signore è giusto. Il Vescovo di Roma nota che i dottori della legge hanno «portato via la conoscenza: conseguenza»: il mancato ingresso «nel Regno», oltre a «neppure lasciare entrare gli altri».  

Spiega Francesco: «Questo portare via la capacità di capire la rivelazione di Dio, di capire il cuore di Dio, di capire la salvezza di Dio – la chiave della conoscenza -, possiamo dire che è una grave dimenticanza. Si dimentica la gratuità della salvezza; si dimentica la vicinanza di Dio e si dimentica la misericordia di Dio». E coloro che «dimenticano la gratuità della salvezza, la vicinanza di Dio e la misericordia di Dio, hanno portato via la chiave della conoscenza».   

Si trascura quindi la gratuità, che è «l’iniziativa di Dio a salvarci», mentre scribi e farisei «invece si schierano dalla parte della legge»: così la salvezza «è lì, per loro», giungendo in tal modo «ad un mucchio di prescrizioni» che di fatto vengono considerate la salvezza. Ma così «non ricevono la forza della giustizia di Dio», sottolinea il Papa.   

La legge è sempre «una risposta all’amore gratuito di Dio», che assume «l’iniziativa» di salvare ogni uomo e donna.  

Quando «si dimentica la gratuità della salvezza si cade, si perde la chiave dell’intelligenza della storia della salvezza», avverte il Pontefice, smarrendo «il senso della vicinanza di Dio».  

Per chi ragiona così «Dio è quello che ha fatto la legge. E questo non è il Dio della rivelazione. Il Dio della rivelazione è Dio che ha incominciato a camminare con noi da Abramo fino a Gesù Cristo, Dio che cammina con il suo popolo. E quando si perde questo rapporto vicino con il Signore, si cade in questa mentalità ottusa che crede nell’autosufficienza della salvezza con il compimento della legge. La vicinanza di Dio». 

 

Quando non si prega, «non si può insegnare la dottrina» e neanche «fare teologia», in particolare «teologia morale»: infatti – ribadisce Francesco – la teologia «si fa in ginocchio, sempre vicino a Dio».

La vicinanza di Dio c’è «al punto più alto di Gesù Cristo crocifisso». Perciò le opere di misericordia «sono la pietra di paragone del compimento della legge», dato che si va a toccare la carne sofferente di Cristo, «Cristo che soffre in una persona, sia corporalmente sia spiritualmente». 

E quando si perde la chiave della conoscenza, si rischia pure di cadere nella «corruzione». 

Francesco poi si concentra sulle «responsabilità» dei pastori nella Chiesa: quando perdono o mettono via «la chiave dell’intelligenza», sbarrando «la porta a noi e agli altri». Racconta Papa Bergoglio: «Nel mio Paese ho sentito parecchie volte di parroci che non battezzavano i figli delle ragazze madri, perché non erano nati nel matrimonio canonico. Chiudevano la porta, scandalizzavano il popolo di Dio, perché? Perché il cuore di questi parroci aveva perso la chiave della conoscenza».  

E senza «andare tanto lontano nel tempo e nello spazio, tre mesi fa, in un paese, in una città, una mamma voleva battezzare il figlio appena nato, ma lei era sposata civilmente con un divorziato. Il parroco ha detto: “Sì, sì. Battezzo il bambino. Ma tuo marito è divorziato. Rimanga fuori, non può essere presente alla cerimonia”. Questo succede oggi. I farisei, i dottori della legge non sono cose di quei tempi, anche oggi ce ne sono tante». 

Perciò «è necessario pregare per noi pastori. Pregare, perché non perdiamo la chiave della conoscenza e non chiudiamo la porta a noi e alla gente che vuole entrare».

il commento al vangelo della domenica

MENTRE GESU’, RICEVUTO IL BATTESIMO, STAVA IN PREGHIERA, IL CIELO SI APRI’

 commento al vangelo della domenica del Battesimo del Signore (10 gennaio 2016) di p. Alberto Maggi:

p. Maggi

Lc 3,15-16.21-22

In quel tempo, poiché il popolo era in attesa e tutti, riguardo a Giovanni, si domandavano in cuor loro se non fosse lui il Cristo, Giovanni rispose a tutti dicendo: «Io vi battezzo con acqua; ma viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco».
Ed ecco, mentre tutto il popolo veniva battezzato e Gesù, ricevuto anche lui il battesimo, stava in preghiera, il cielo si aprì e discese sopra di lui lo Spirito Santo in forma corporea, come una colomba, e venne una voce dal cielo: «Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento». 

Giovanni Battista nel deserto aveva annunziato un battesimo in segno di conversione, cioè cambiamento di vita, per il perdono dei peccati. La risposta è inaspettata: tutto il popolo accorre a lui. Il popolo ha compreso che il perdono dei peccati non può avvenire al tempio, con un atto liturgico, con un sacrificio al Signore, ma attraverso un cambiamento di vita.
Ma se il popolo ha creduto e accorre a Giovanni Battista, le autorità religiose, i capi no, sempre refrattari a qualunque invito al cambiamento.
Allora leggiamo il vangelo di questa domenica, il capitolo 3 di Luca, dal versetto 15. Poiché il popolo era in attesa e tutti, riguardo a Giovanni, si domandavano in cuor loro se non fosse lui il Cristo, cioè il messia.
Il popolo crede di aver individuato in questo profeta nel deserto l’atteso liberatore di Israele. Ma Giovanni chiarisce subito che lui non lo è. Giovanni rispose a tutti dicendo “Io vi battezzo con acqua”, cioè vi immergo in un liquido che è esterno all’uomo, che è un segno di cambiamento di vita per ottenere il perdono dei peccati. “Ma viene colui che è più forte di me”, e qui l’evangelista adopera un’espressione che va inserita nel contesto che va inserita nel contesto culturale dell’epoca per comprenderla. “Non sono degno di slegare i lacci dei sandali”.
Cosa vuol dire Giovanni Battista con questa espressione? C’era una legge nell’istituzione matrimoniale del tempo, che si chiamava “del levirato”. In cosa consisteva questa legge? Quando una donna rimaneva vedova senza figli, il cognato aveva l’obbligo di metterla incinta. Il bambino nato avrebbe portato il nome del marito defunto.
Era la maniera per perpetuare il nome della persona. Quando il cognato si rifiutava di mettere incinta questa donna probabilmente per motivi di interesse perché la donna senza figli, senza prole, veniva rimandata al suo clan familiare. Colui che nella scala sociale, giuridica, aveva il diritto dopo di lui, procedeva alla cerimonia dello scalzamento, sfilava i sandali di questa persona, li prendeva, ci sputava sopra. Era un gesto simbolico che significava “il tuo diritto di mettere incinta questa vedova, spetta a me”.
Ecco allora il significato di questa espressione di Giovanni Battista, che ritroviamo nell’antico testamento, nelle storie di Ruth e nei vari libri. Non sono degno di slegare i legacci dei sandali quindi significa “non sono io che devo fecondare questa vedova”, il popolo di Israele veniva considerato come una vedova, “ma colui che viene dopo di me”.
Perché “Egli vi battezzerà in Spirito Santo”. Mentre io vi ho immerso nell’acqua, simbolo di un cambiamento di vita, lui vi inzupperà, vi immergerà, vi impregnerà della stessa vita divina. “E fuoco”.
Poi qui la liturgia taglia dei versetti che indicano l’eliminazione di Giovanni Battista. E’ la risposta del potere alla conversione. I potenti non vogliono mai cambiare. Ma è anche la stupidità del potere perché la persecuzione fa sempre fiorire la vita, non la estingue. Ogni volta che i potenti vogliono spegnere una voce, ecco che ne sorge una ancora più potente, più forte.
Ecco riprendiamo la nostra lettura al versetto 21. Ed ecco, mentre tutto il popolo veniva battezzato … quindi il popolo ha compreso, tra Gerusalemme, il tempio dove, attraverso un sacrificio al Signore si otteneva il perdono dei peccati, e il deserto attraverso un rito di immersione, il popolo ha compreso che lì c’è la verità.
Ecco che compare Gesù, che va anche lui a farsi battezzare. Ma perché Gesù si battezza? Il battesimo era un simbolo di morte per la gente. Morire al passato, a quello che era uno stato, per iniziare una vita nuova. Anche per Gesù il battesimo è un segno di morte, non ad un passato di peccato che lui non ha, ma l’accettazione di morte nel futuro. Gesù dirà più avanti in questo stesso vangelo che c’è un battesimo nel quale deve essere battezzato ed è angosciato finché non arriverà questo momento.
Si tratta della sua morte. Quindi per Gesù andare a farsi battezzare significa: per la fedeltà all’amore di Dio accettare la persecuzione e anche la morte. Gesù, ricevuto anche lui il battesimo, stava in preghiera, il cielo si aprì. Cosa significa questo cielo che si apre? E’ la comunicazione permanente e definitiva dell’uomo con Dio. Il cielo indica la realtà divina.
Quando c’è un uomo che si impegna a manifestare fedelmente l’amore di Dio, ecco che la comunicazione tra Dio e l’uomo è continua. Con Gesù questa comunicazione sarà ininterrotta. 
E discese sopra di lui lo Spirito Santo, l’articolo determinativo indica la totalità. Lo Spirito è la forza, l’energia dell’amore di Dio, che scende su Gesù. Perché l’evangelista indica in forma corporea? Per dire realmente, pienamente; come una colomba. L’immagine della colomba richiama vari elementi, riguarda la creazione quando lo Spirito di Dio aleggiava sopra le acque e nell’interpretazione rabbinica si diceva che era come una colomba, quindi in Gesù c’è la nuova creazione. Richiama soprattutto la colomba che esce dall’arca di Noè, dopo il diluvio, in segno di perdono.
Gesù è il perdono di Dio. Ma richiama anche un proverbio palestinese che dice: “come amor di colomba al suo nido”. La colomba è quell’animale che rimane affezionato, attaccatissimo al suo nido originario. Gli si può cambiare il nido, farne uno nuovo, ma lei non ne vuole sapere. Quindi Gesù è il nido dello Spirito, è là dove si manifesta la pienezza dell’amore di Dio.
E, venne una voce dal cielo, quindi da Dio. E qui l’evangelista fa un collage di vari testi dell’antico testamento, dal profeta Isaia, un salmo, il libro della Genesi: “Tu sei il Figlio mio, l’amato – l’amato indica l’erede, colui che eredita tutto dal padre – “in te ho posto il mio compiacimento”. 
Quindi Dio conferma che in Gesù c’è tutta la sua stessa realtà, e il popolo lo deve soltanto accogliere.

il primo battesimo di una coppia gay argentina

Udienza Generale del mercoledì di Papa Francesco

Argentina, ecco il primo battesimo per la figlia di una coppia gay

un collaboratore di Bergoglio a Buenos Aires spiega le motivazioni secondo le quali il Papa lotta per non escludere nessun bambino dal
Sacramento, prescindendo dalla situazione dei genitori

 «Se la persona viene a chiedere il battesimo, non c’è una mozione dello Spirito? E’ quello che in teologia chiamiamo grazia attuale ad aver mosso il cuore. Come l’etiope, negli Atti degli Apostoli, quando camminava e diceva: “Qua c’è dell’acqua. Perché non mi battezzi?”», ha spiegato. «Se un genitore chiede il battesimo per suo figlio, noi come facciamo? Non glielo diamo? Francesco dice che noi siamo ministri, non amministratori nel senso burocratico del termine. Nella mia parrocchia, qualsiasi giorno ci si può battezare, in qualsiasi messa. Sarebbe da matti non farlo. Poi nessuno può venire a criticare e dire che la gente non si battezza, perché anche questa è una contraddizione», ha detto. Ha raccontato che l’arcivescovo Bergoglio «si arrabbiava» quando veniva a sapere che in certe parrocchie, per qualche ragione, non si battezzava un bambino. Nel caso delle mamme single, soleva dire: «Se ha lottato per avere il figlio, per
non abortire, e poi noi non glielo battezziamo… Questa è una cultura che promuove immediatamente l’aborto: una mamma dice no all’aborto e quando vuole battezzarlo non ci riesce».

(Vatican Insider)

il primo battesimo per una coppia gay

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 Argentina, ecco il primo battesimo per la figlia di una coppia gay

 

Un collaboratore di Bergoglio a Buenos Aires spiega le motivazioni secondo le quali il Papa lotta per non escludere nessun bambino dal Sacramento, prescindendo dalla situazione dei genitori Andrés Beltramo Álvarez Città del Vaticano.

Si chiama Umma Azul ed è la figlia di una coppia composta tra da due donne. Il prossimo sabato, 5 aprile, sarà battezata nella cattedrale di Córdoba, città nel centro dell’Argentina. Secondo la stampa locale la madre e la compagna di lei, Soledad Ortiz e Karina Villaroel, dovrebbero ricevere anche la cresima lo stesso giorno,  prima del primo sacramento per la piccola, impartito dal parroco Carlos Varas.  

In questa chiesa i battesimi si celebrano le domeniche, ma questo sarà individuale, secondo le istruzioni del vescovo Carlos Ñáñez, che ha anche fornito delle indicazioni particolari riguardo all’atto battesimale. «Ho avuto un’udienza con il monsigniore e lui mi ha confermato che non ci sarà alcun problema in Cattedrale», ha detto Karina. Il religioso ha anche dato qualche consiglio riguardo i padrini (un amico della famiglia) e le due madrine (una di loro è la presidente argentina Cristina Fernández de Kirchner).

Il caso della coppia in questione ha sollevato diverse polemiche, sopratutto perché Villaroel, che non è la madre naturale, vuole che la polizia della provincia dove lei lavora (è una poliziotta), le riconosca un permesso di maternità per quattro mesi.

Loro, sposate poco più di un anno fa grazie alla legge del “matrimonio igualitario”, sono state la  prima coppia nel territorio di Córdoba. «Se Bergoglio non fosse stato eletto Papa, il battesimo sarebbe stato molto più difficile», hanno riconosciuto alcune fonti ecclesiastiche.

Quando era arcivescovo di Buenos Aites, l’attuale pontefice ha lottato per non escludere nessun bambino dal primo Sacramento, senza prendere in considerazione la situazione dei genitori. Questa richiesta è il risultato di una riflessione teologica profonda, ha spiegato a Vatican Insider il sacerdote Javier Klajner, responsabile della pastorale giovanile all’epoca e stretto collaboratore di Bergoglio come membro del Consiglio Presbiteriale.

«Se la persona viene a chiedere il battesimo, non c’è una mozione dello Spirito? E’ quello che in teologia chiamiamo grazia attuale ad aver mosso il cuore. Come l’etiope, negli Atti degli Apostoli, quando camminava e diceva: “Qua c’è dell’acqua. Perché non mi battezzi?”», ha spiegato.

«Se un genitore chiede il battesimo per suo figlio, noi  come facciamo? Non glielo diamo? Francesco dice che noi siamo ministri, non amministratori nel senso burocratico del termine. Nella mia parrocchia, qualsiasi giorno ci si può battezare, in qualsiasi messa. Sarebbe da matti non farlo. Poi nessuno può venire a criticare e dire che la gente non si battezza, perché anche questa è una contraddizione», ha detto.

Ha raccontato che l’arcivescovo Bergoglio «si arrabbiava» quando veniva a sapere che in certe parrocchie, per qualche ragione, non si battezzava un bambino. Nel caso delle mamme single, soleva dire: «Se ha lottato per avere il figlio, per non abortire, e poi noi non glielo battezziamo… Questa è una cultura che promuove immediatamente l’aborto: una mamma dice no all’aborto e quando vuole battezzarlo non ci riesce».

(Vatican Insider)

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