gli auguri di buona pasqua da un ‘campo rom’

 

 

 

Buona Pasqua 2015

p. Agostino Rota Martir, dal campo rom di Coltano – Pi, così contempla la croce e la risurrezione di Gesù  sollecitando in particolare i credenti ad attivarsi “a deporre dalla croce i crocefissi di oggi”:

 

croce fiorita
  la ‘croce fiorita’ fatta dai bambini rom del campo di Coltano
La tua Croce continuiamo a vederla anche oggi. L‘esistenza di tanti poveri “appaltati”, strumentalizzati è la Croce che viene caricata ingiustamente sulle loro spalle. Tu vuoi che la nostra Fede in Te, morto crocifisso e Risorto, aiuti a deporre dalla croce i crocefissi di oggi. La Croce dei poveri non si appalta ad altri..
È vero non sempre ci poniamo convintamente al loro fianco, proprio come fece Simone di Cirene, a volte come cristiani scegliamo di stare in disparte,  spettatori indifferenti o sostenitori di quei poteri forti che producono e moltiplicano, oggi come ieri i poveri Cristi, crocefissi sul Golgota dei nostri
 privilegi e interessi. Di fatto complici di miserie e tragedie che ornano le nostre società e giustificano il mito della sicurezza. Fino a poco tempo fa, assistevamo ai drammi di chi fugge dalle guerre e persecuzioni in silenzio, ma partecipi della loro sofferenza. Ora invece il silenzio è sostituito dall’ipocrisia, che è il contrario della “parresia“: parlare con franchezza, con chiarezza.
La Croce dei poveri Cristi di oggi riesce a parlarci con chiarezza? Riesce a rivelarci il tuo Mistero nascosto nella carne dei poveri Cristi di oggi
Solo deponendo i poveri dalla Croce riusciremo a  vedere i fiori colorati e sentire il profumo della tua Pasqua che il Risorto spande ovunque, liberamente ..semi di una nuova umanità in gestazione.
Buon profumo di Pasqua!
Ago
p. agostino
Campo Rom – Coltano (Pisa)

 

 

 

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il commento al vangelo di pasqua

 

 EGLI DOVEVA RISUSCITARE DAI MORTI

commento al Vangelo di Pasqua (5 aprile 2015) di p. Alberto Maggi 

p. Maggi

Gv 20,1-9

 

Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro.
Corse allora e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!».
Pietro allora uscì insieme all’altro discepolo e si recarono al sepolcro. Correvano insieme tutti e due, ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò.
Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là, e il sudario – che era stato sul suo capo – non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte.
Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. Infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti.

Se Maria di Magdala si fosse recata al sepolcro un giorno prima, avremmo celebrato la Pasqua un giorno prima. Scrive Giovanni nel capitolo  20: “Il primo giorno della settimana”, letteralmente  “nel primo dopo il sabato”, “Maria di Magdala si recò al sepolcro”. Perché  Maria di Magdala non si è recata al sepolcro subito dopo la sepoltura di Gesù, ma ha atteso  il primo giorno dopo il sabato?
Perché è ancora condizionata dall’osservanza della legge, il riposo del sabato.  E quindi l’osservanza della legge ha impedito di sperimentare subito la potenza della vita che c’era in Gesù, una vita capace di superare la morte.
L’evangelista, attraverso questa indicazione, vuole  segnalare ai suoi lettori che l’osservanza della legge ritarda l’esperienza della nuova creazione che viene inaugurata da Gesù. L’espressione  “il primo giorno della settimana richiama infatti il primo giorno della  creazione, in Gesù c’è la nuova creazione, quella che veramente  è creata da Dio e come tale non conosce la morte, non conosce la fine.
 
Ma la comunità, rappresentata da Maria di Magdala,  ancora è condizionata dall’osservanza della legge,. Questo ritarda l’esperienza  della risurrezione. “Si reca al sepolcro di mattino quando era ancora buio”. Le tenebre  sono  immagine dell’incomprensione della comunità che ancora non ha compreso Gesù che si è definito “luce del mondo”, il suo messaggio, la sua verità.
“E vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro”. Ebbene la prima reazione di Maria di Magdala è correre da Simon Pietro e dall’altro discepolo.
Gesù aveva detto: “Viene l’ora in cui vi disperderete ciascuno per conto suo”. Ebbene  l’evangelista attribuisce a questa donna , Maria di Magdala, il ruolo del pastore che raduna  le pecore che si erano disperse.
E annuncia loro: “«Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto»”. Non parla di un corpo, ma parla del Signore, quindi c’è già l’allusione che è vivo questo Gesù. Ebbene cosa fanno Pietro e l’altro discepolo? “Si recano al sepolcro”.L’unico posto dove non dovevano andare. Nel vangelo  di Luca sarà espresso molto chiaramente dagli uomini  che frenano le donne che vanno al sepolcro, “Perchè cercate tra i morti colui che è vivo?”
Pietro e l’altro discepolo vanno in cerca del Signore nell’unico posto dove lui non c’è, cioè nel luogo della morte. Come Maria , per l’osservanza del sabato ha ritardato l’esperienza di una vita più forte della morte, perché Gesù non può essere trattenuto nel sepolcro, luogo di morte – lui è il vivente – così i discepoli  vanno al sepolcro, l’unico posto dove non si può trovare Gesù.
Se si piange la persona come morta, cioè se ci si rivolge al sepolcro, non la si può sperimentare viva e vivificante nella propria esistenza.  Entrambi i discepoli corrono, giunge prima il discepolo amato , quello che ha l’esperienza dell’amore di Gesù. Pietro, che ha rifiutato di farsi lavare i piedi e quindi non ha voluto accettare l’amore  che Gesù ha espresso nel servizio,  arriva più tardi.
Ma l’altro discepolo si ferma e permette che sia Pietro il primo  ad entrare. Perché? E’ importante che il discepolo che ha tradito Gesù e per il quale la morte è la fine di tutto – e questo era il motivo del tradimento – faccia per primo l’esperienza  della vita.
E poi entra anche l’altro discepolo. “Vide e credete”. Ma il monito fondamentale dell’evangelista , “non avevano compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti”. La preoccupazione di Giovanni è che si possa credere  alla  risurrezione di Gesù solo vedendo i segni  della sua vittoria sulla morte. No!
La risurrezione di Gesù non è un privilegio concesso  a qualche personaggio duemila anni fa, ma una possibilità per tutti i credenti. Come? Lo dice l’evangelista. “Non avevano compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti”. L’accoglienza della scrittura, la parola del Signore,  nel discepolo, la radicalizzazione  di questo messaggio nella sua vita, la sua trasformazione, permettono al discepolo  di avere una vita di una qualità tale  che gli fa poi sperimentare il risorto nella sua  esistenza.
Non si crede che Gesù è risorto perché c’è un sepolcro vuoto, ma soltanto  se lo si incontra vivo e vivificante  nella propria vita.

 

 

 

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in memoria di Ortensio da Spinetoli

 

 

 

 

 ricordando il grande Ortensio da Spinetoli,  biblista e teologo, oggi deceduto,  che ha sempre saputo interpretare autenticamente e profeticamente i “segni dei tempi”

IN CRISTO C’È UNA NOVITÀ PER OGNI UOMO

 

Premessa
 
Il titolo potrebbe essere ridato anche in altri termini: “La proposta di Gesù di Nazareth”. Chi egli è veramente stato per gli uomini della sua generazione e ciò che può ancora essere per quelli della nostra.
 
Dopo venti secoli di cristianesimo c’è motivo di fare appello a Gesù Cristo. Quale soluzione può offrire pertanto ai problemi dell’uomo di oggi un profeta di duemila anni fa?
 
Perché la predicazione, l’educazione cristiana non ha dato e non dà i benefici desiderati? Il catechismo, la scuola di religione, i corsi speciali sembrano non avere una grande incidenza nella formazione dell’alunno, del giovane, dell’adulto. Rimangono o sembrano rimanere due cose distinte. Quello che si sente in chiesa o nelle ore di catechesi, di istruzione cristiana, se per caso riesce a interessare l’ascoltatore, rimane spesso una pura notizia, un dato se si vuole usare questo termine, culturale, meno o affatto un programma pratico, un messaggio, un’esperienza, una testimonianza che può essere ripresa e fatta propria nella vita.
 
Perché questo distacco, questa dissociazione? Eppure la testimonianza di Gesù è sempre la provocazione più sconvolgente che la storia possa registrare e il vangelo non è un libro devozionale ma rivoluzionario. Se lo si prende sul serio non si può rimanere a dormire nelle chiese o nei conventi, ma si diventa perturbatori dell’ordine ingiustamente costituito. S. Francesco è stato definito un vangelo vivente non perché ne ha dato una sapiente interpretazione, ma una personale, coraggiosa attuazione avviando una convivenza di eguali e di fratelli (fratres) tra e con gli ultimi della società (minores). Anche Gandhi è sulla linea di Cristo perché ha dato come lui la vita per il bene di molti.
 
1. Cominciare dalla storia
 
Se pertanto l’annunzio di Cristo non trova le reazioni e adesioni dovute in chi l’ascolta può darsi che provenga innanzitutto dalla presentazione inadeguata, impropria o infelice che ne viene fatta. Ancora continuano i titoli trionfalistici della primitiva apologetica cristiana. Davanti ai giudei che rifiutavano il carpentiere nazaretano su cui si era posata la chiamata profetica e davanti ai gentili, greci e romani, che non sapevano conciliare la rivendicazione di un presunto messo divino con la morte di croce, la più infamante che si potesse avere, i primi cristiani hanno sentito il bisogno di “riabilitare” la sua figura facendo leva sui titoli più prestigiosi che la tradizione biblica aveva coniato per il futuro, atteso liberatore: “messia”, “figlio di David”, “re”, “Signore”, “figlio di Dio”. E sono rimasti più nascosti, quando non sono stati dimenticati del tutto, i dati, gli aspetti più umani della persona di Gesù. Egli nell’istituzione e nella predicazione cristiana appare soprattutto o solo un essere superiore, calato dal cielo. L’uomo Gesù non è cancellato ma è presentato e concepito come una persona al di sopra della statura dei comuni esseri mortali.
 
È uno della famiglia umana, ma non è uno di noi. Non ha i nostri limiti, le debolezze, la fallibilità della comune creatura. Egli è santo e impeccabile per nascita. C’è passato accanto per osservarci da vicino, conoscerci meglio, avere pietà di noi ma non si è affatto impelagato nello stesso mare di melma che cerca di affogare tutti.
 
Questo Gesù esoterico, extraterrestre che non è della nostra condizione creaturale, che nasce in una stalla ma non è un mandriano, è povero ma stringe in pugno tutti i regni della terra non è un personaggio, meno ancora un profeta convincente.
 
Se si vuole ancora continuare a presentare Gesù quale testimonianza di vita per l’uomo d’oggi bisogna rinnovare la catechesi cristiana, l’approccio dell’uomo con lui. Invece di cominciare dall’alto, dai grandi appellativi, bisogna cominciare dal basso, dalla sua reale condizione umana, in una parola da ciò che l’avvicina e non da ciò che lo allontana dall’uomo. Non dalle sue perfezioni, ma dalle sue eventuali imperfezioni; dai suoi limiti che però è riuscito a superare con l’aiuto del Padre e insieme o più ancora con la sua buona volontà e con il suo coraggio.
 
Gesù non ha accettato il modello socioreligioso nel quale si è trovato a vivere. Ha dubitato della sua validità, per questo l’ha contestato proponendone uno proprio del tutto opposto. Non è stata un’impresa facile sia la progettazione, sia l’attuazione di un nuovo disegno ma non si è arreso davanti alle difficoltà incontrate.
 
Bisogna arrivare a capire se Gesù è un uomo, un profeta che si è costruito lentamente e faticosamente contro le resistenze personali e contestuali che tutti incontrano o è un essere privilegiato che ha vissuto sì un’esperienza umana ma con la forze e la chiaroveggenza di un Dio. Finché non rispondiamo a questi interrogativi la testimonianza di Cristo rimane inattiva.
 
Gesù non ha risolto i problemi di nessuno; ha solo suggerito come riuscire a venirne fuori; ma se egli parte da condizioni diverse, avvantaggiato rispetto alla moltitudine dei fratelli, la sua proposta (“Imparate da me che sono povero e umile”: Mt 11, 29) sono irrisorie.
 
Gesù ha una novità per ogni uomo perché a tutti può dire, ci si può riuscire a bere il calice della vita, a portare avanti la propria missione nonostante le renitenze, le contrarietà, i contrasti che si debbono superare con le personali inclinazioni, aspirazioni, tendenze e più ancora con le opposizioni degli altri a cominciare dai propri familiari, concittadini, connazionali. Egli si è trovato a essere uno contro tutti, ma non si è lasciato intimidire.
 
Questo Gesù sconosciuto o dimenticato, innanzitutto uomo tra gli uomini, dovrebbe riprendere il suo posto nella vita degli individui e della società se si vuole che la storia di ciascuno e di tutti possa cambiare.
 
2. Le scelte di Cristo.
 
La notizia importante che Luca segnala al termine del suo “racconto” della nascita, infanzia e prima esistenza di Gesù è che egli era sottomesso ai suoi genitori (2, 51). Era il dodicesimo anno di età, in cui il giovane ebreo diventava suddito della legge, ma da allora in poi doveva anche incominciare a fare da solo. Scegliere un lavoro, una professione, una linea di comportamento. L’evangelista nota che non si rivelano in lui attitudini eccezionali, ma molta assennatezza. “Cresceva in sapienza e grazia”, è detto (Lc 2, 51).
 
Fino alla maturità è un operaio, un falegname che nulla lascia distinguere dagli altri. La prima volta che prende la parola nella sinagoga di Nazareth i suoi concittadini rimangono sorpresi e dicono: “Non è costui il falegname, il figlio di Maria e fratello di Giacomo, Joses e Simone e non sono tra noi le sue sorelle?” (Mc 6, 3). Se ciò è vero Gesù usciva da un grande anonimato, ma d’ora in poi la sua vita entra in un cammino arduo, scomodo, pericoloso come quello di Francesco d’Assisi dopo la conversione che da “re delle feste”, ammirato ed amato, sarà per i benpensanti, compreso il padre, un folle. Anche Gesù è ricercato dai familiari perché si era sparsa la voce che fosse fuori di sé (Mc 3, 21).
 
Gesù crede alla voce dello Spirito che lo chiama ad annunziare il regno ossia una convivenza nuova di amici, di eguali, di fratelli, in cui tutti dovevano avere un posto alla pari degli altri, ebrei e pagani, giusti e peccatori. Dove il grano poteva restare nello stesso campo con la zizzania e i pesci cattivi nella stessa rete con i pesci buoni (Mt 13, 29, 47).
 
Una comunità in cui al primo posto c’è l’uomo e prima di tutto chi è bisognoso, dimenticato, abbandonato: i poveri, i piccoli, gli umili, gli oppressi, gli ammalati, le donne. Gesù è un profeta coraggioso e più ancora coerente. Non fa bei discorsi, non lancia grandi messaggi, ma compie scelte insolite, onerose. Il suo impegno non è cambiare gli indirizzi nelle scuole ma modificare i comportamenti degli uomini; insegnare a rinnovarsi, a cambiare.
 
La scelta dei poveri, non della povertà, è reale. “Pur potendo essere ricco si è fatto per voi povero”, dirà Paolo ai Corinti (2 Cor 8, 9). Pur potendo essere un signore ha preferito essere un servo (Fil 2, 6-7). Si tratta di scelte concrete non per aumentare il numero degli indigenti, ma per infondere ad essi coraggio ed aiutarli ad uscire dal loro stato.
 
L’uguaglianza tra gli uomini (grandi e piccoli), tra i popoli non è un vago ideale, ma una prassi. Egli non solo riesce a dialogare con quanti incontra nel suo cammino, connazionali e stranieri, ma accorda a chiunque ha bisogno i suoi favori: all’arcisinagogo, un ebreo, all’ufficiale regio, un pagano, a Zaccheo, un publicano.
 
La voce lo spinge ad andare contro corrente, a cambiare il concetto di prossimo che non è più il proprio vicino o parente o concittadino ma ogni uomo che ha esigenze di conforto e di aiuto (Lc 10, 36). È la scelta più onerosa e più contrastante con la propria formazione ed inclinazione; un’opera improba che se avesse dovuto dare ascolto alle sue “istintività” o al suo amor patrio non avrebbe mai compiuto, ma lascia prevalere la voce dello Spirito, rinunciando a se stesso e alle proprie ispirazioni.
 
Il racconto delle tentazioni si spiega in questa luce. Sentendosi portatore di un messaggio divino gli viene spontaneo atteggiarsi a grande taumaturgo (“Dì che queste pietre diventino pani”; “buttati giù dal pinnacolo del tempio che gli angeli ti raccoglieranno”) o a plenipotenziario divino investito di una potestà senza confini per avvallare le sue affermazioni (Mt 4, 1-11).
 
Un profeta senza bacchette magiche, senza un pulpito ben elevato o un trono non sembra destinato ad avere un grande successo. È la tentazione che riaffiora in ogni ipotetico inviato o rappresentante di Dio, ma Gesù ha ritenute tali aspirazioni come insinuazioni sataniche più che voci divine perché spingono all’egemonia sugli altri, all’oppressione più che all’aiuto dei propri simili.
 
Gesù è allergico al potere sacro (gerarchia)ma anche a qualsiasi forma di dominio. “I principi delle nazioni le signoreggiano; i grandi usano potestà sopra di essi, ma tra voi (ossia nella nuova comunità che egli sogna) non sarà così; anzi chiunque vuole essere il primo sia l’ultimo” (cfr. Mc 10, 42-45; Mt 20, 25-27; Lc 22, 25-26). E Giovanni che non riporta il testo lo sostituisce con il quadro della lavanda dei piedi (Gv 13, 1-15).
 
Gesù non ha ipotizzato una nuova società (v. “La repubblica” di Platone o “La città del sole” di Tommaso Campanella) ma l’ha avviata perché ha compiuto scelte concrete in tal senso, ha assunto atteggiamenti paritari con tutti, dando prova di una capacità di accoglienza e di perdono sovrumani. “Non grida nelle piazze, non spegne il lucignolo fumigante, non spezza la canna incrinata”, annota Matteo per ricordare il suo abituale approccio con gli uomini. Non opprime i suoi simili, ma neanche patteggia con il potere. “Dite a quella volpe”, fa ripetere a Erode (Lc 13, 32) ed entra nel tempio rovesciando i banchi dei commercianti e dei cambiavalute, provocando l’immediata reazione delle autorità competenti (Mc 11, 18).
 
L’uomo deve essere liberato dal terrore di Dio ma anche da quello del proprio simile. Il Sabato infatti è per l’uomo e non l’uomo per il Sabato (Mc 2, 27) e i potenti debbono essere tirati giù dai loro troni; i ricchi rimandati a mani vuote e innalzati gli umili (Lc 1, 51-52). È un impegno, un’iniziativa che minaccia di capovolgere il quadro socio-politico-religioso della Palestina. I minacciati, in pratica le autorità religiose, appena se ne accorgono, cercano di fermarlo e non potendolo contrastare con la comune dialettica ricorrono alla violenza.
 
È il cimento finale che il profeta deve affrontare con se stesso. Potrebbe scendere a un compromesso: una protesta in meno o una mezza intesa con gli oppositori. Ma non tradisce la sua coscienza, né la voce dello Spirito perciò pur tra titubanze (“Padre se è possibile passi da me questo calice, “la carne è debole”!) e amarezze e delusioni (“Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato?”) rimane sulla breccia fino alla fine, con la fede ma non con la certezza automatica della vittoria.
 
La morte di croce è la testimonianza di un grande dolore, ma soprattutto di un grande amore all’uomo e a Dio. È la proposta, la provocazione sempre attuale che egli lasciava a quanti avrebbero creduto in lui.
 
La “memoria” che egli simbolicamente consegna ai suoi la vigilia della sua morte raccoglieva in dei segni lo “spezzamento” della sua vita e il versamento del suo sangue fino all’ultima goccia che egli aveva fatto per le moltitudini. “Fate questo” cioè spezzatevi anche voi e versate qualche goccia della vostra linfa per attuare questa convivenza di amici per cui egli dava la vita.
 
Conclusione
 
I cristiani non sono coloro che parlano come Cristo o parlano bene di Cristo, ma che sul suo esempio fanno qualcosa per agevolare la comprensione e la coesistenza tra gli uomini. E non si può stabilire in partenza ovvero in teoria chi lo è di più o di meno. I cristiani anonimi possono essere di più di quelli annotati nei registri battesimali.
 
Gesù per il credente assume proporzioni più ampie di quelle segnalate in questa ricostruzione, solo che il suo di più (la “filiazione divina” e la sua attuale condizione di gloria) non è oggetto di ricerca storica ma proposta e adesione di fede. Tuttavia non si può non ricordare che anche la relazione filiale con Dio è conosciuta e vissuta nella profondità e nell’intimità della sua coscienza umana.
 
  Ortensio da Spinetoli
 
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i bambini rom di Torino scrivono a papa Francesco

 

caro papa Francesco

 così si rivolgono a papa Francesco i bambini rom del ‘campo’ di via Germagnano di Torino esprimendogli il loro desiderio e la loro contentezza grande se venendo a Torino per vedere la Sindone trova il modo di fare una visitina anche a loro avendogli dia raccontargli tante cose a  partire dai ‘posti brutti’ in cui sono costretti a vivere e dai “razzisti che non ci sopportano e ci vogliono mandare via perché ci odiano”

rom Torre del Lago

 

 

 

 

qui sotto la lettera inviata e il testo trascritto:

“Torino, marzo 2015
Caro papa Francesco, siamo bambini rom del campo via Germagnano 10
ti scriviamo anche per i rom e i sinti che sono nelle case popolari o nei terreni. Noi ti vediamo e ti ascoltiamo per la televisione. Un giorno hanno detto che tu vieni a Torino per vedere la Sindone. Noi siamo molto contenti. Siamo ancora più contenti se vieni a vedere anche noi. Le suore Rita e Carla che vivono nel campo con noi da tanti anni ci hanno detto che tu vuoi tanto bene alle persone che vivono nelle periferie. Ci sono anche a Torino e dentro ci sono delle periferie che sono i campi rom, dove viviamo noi. Qualcuno dice che sono la vergogna di Torino. Noi diciamo che si può anche vivere bene. Adesso sono diventati dei posti brutti ma è anche colpa nostra che non andiamo d’accordo e non ci rispettiamo. E poi ci sono i razzisti che non ci sopportano e ci vogliono mandare via perché ci odiano. Ci sono anche persone che ci vogliono bene, vengono in campo per aiutarci, per la scuola e per le feste. Poi ci sono gli amici di Rita e Carla che vengono: facciamo la preghiera e preghiamo anche per te.
I Sinti fanno anche il pellegrinaggio sulla montagna dalla Madonna. Noi a Torino abbiamo il vescovo Cesare che ci vuole bene. E’ venuto due volte nel campo per Natale. Anche noi siamo andati da lui per la festa dei popoli con tanta musica e tanta felicità. E anche nella casa che si chiama Migrantes il vescovo Cesare ci ha detto che è anche la nostra casa. E’ stato molto bello. Abbiamo anche fatto il carnevale.
Il vescovo Cesare per noi ha anche scritto un piccolo libro che si chiama ‘Lettera Pastorale’.
Noi ti aspettiamo che vieni a mangiare con noi. Vogliamo fare con te una grande foto. Se non hai tempo per venire allora veniamo noi nella grande piazza o nella chiesa, se ci fanno passare perché c’è tanta polizia.
Noi speriamo che ci scrivi ma non mandare la lettera nel campo perché si perde. Mandala al vescovo Cesare.
Ciao papa Francesco da i bambini del campo con Carla e Rita”
    

lettera al papa         lettera al papa1

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