‘romano dives’, la giornata internazionale di rom e sinti

La giornata internazionale di Rom e Sinti

L’8 aprile è il Romano Dives, la giornata internazionale dei rom e sinti, che ricorda il primo congresso di intellettuali romanì avvenuto a Londra nel 1971. Stabilì il termine “rom” (uomo) come denominazione ufficiale, l’inno Djelem Djelem in memoria del genocidio nei lager nazifascisti e la bandiera con ruota indiana su sfondo per metà verde, a simboleggiare la terra coperta d’erba, e per metà azzurra come il cielo. Ha senso oggi questa Giornata? La risposta sta in un’altra domanda: conosciamo la complessità di questa presenza o ne abbiamo un’immagine stereotipata?

In Italia i rom e sinti sono pochi: lo 0,23 della popolazione, una delle percentuali più basse d’Europa. La metà sono di cittadinanza italiana, 160mila vivono in casa, solo 40mila in campi e baraccopoli. Quasi nessuno pratica più il nomadismo, con l’eccezione di alcune famiglie circensi come i Togni e gli Orfei. Il 60% è minorenne, sono un popolo di bambini. E ancora: chi oggi sente parte della nostra memoria collettiva i nomi di Agnone, Boiano e Prignano? Questi e altri sono campi di concentramento in Italia, dove sono stati detenuti rom e sinti con cognomi italiani, poi deportati in Germania e Polonia. Ad Auschwitz c’era lo Zigeunerlager, 32 baracche circondate di filo spinato dedicate ai rom e sinti. I loro bambini divennero le cavie del dottor Mengele, che sperimentava le sue teorie eugenetiche iniettando inchiostri negli occhi per cambiare il colore dell’iride.

Proprio dalla memoria dimenticata del genocidio di almeno 500mila rom e sinti parte il progetto “Giving memory a future” (www.romsintimemory.it) del Centro di Ricerca sulle relazioni interculturali dell’Università Cattolica di Milano e della Shoah Foundation, l’istituzione di Los Angeles voluta da Steven Spielberg. Questa risorsa multimediale è stata presentata al convegno “International Roma Day 2015. Rom e Sinti dalla scuola al lavoro” alla Presidenza del Consiglio di Largo Chigi ed è alla base del percorso di formazione “Porrajmos, lo sterminio dimenticato” del Ministero dell’Istruzione. Il sito è composto da tre sezioni. Nella prima sono ricostruite le fasi che nell’Europa nazifascista hanno segnato l’ostilità contro i rom e sinti, con documenti e saggi storici, foto e videoclip di sopravvissuti ai lager. La crescita del pregiudizio e dell’odio fu progressiva.

Quando il 30 gennaio 1933 Adolf Hitler divenne Cancelliere, i rom e sinti erano una piccola minoranza (26.000) per la quale il gruppo dirigente nazista mostrava scarso interesse. L’indifferenza iniziale cambiò in seguito alle “pulsioni” antizigane dell’opinione pubblica, della gente comune come degli accademici e degli amministratori locali. Negli anni Trenta, fu un crescendo di controlli, custodie preventive di polizia, sgomberi, fotografie e impronte digitali, espulsioni dalle case popolari, limitazioni delle licenze per il commercio ambulante, condanne per “essersi spostati in orda”, espulsioni di “elementi turbolenti” e retate contro i mendicanti. Fin da subito, l’allarme sociale si intrecciò al discorso razziale. Psichiatri e antropologi come Robert Ritter e Eva Justin effettuarono misurazioni antropometriche per definire i geni dell’inferiorità degli zingari. Individuarono la tara ereditaria nel wandertrieb, “l’istinto al nomadismo”, che giustificava “l’asocialità zingara” su base razziale.

Dall’erosione dei diritti in nome della pubblica sicurezza si arrivò alla deportazione e ai camini di Auschwitz. Le altre sezioni di “Giving memory a future” si spostano invece sul presente. La seconda aiuta a capire chi sono i rom e sinti e a conoscere la loro storia, mentre la terza affronta i diritti alla scuola, casa, lavoro e salute, la sfida del convivere tra pregiudizi e stereotipi, buone prassi e veri e propri pogrom in Italia (Opera, Torino, Ponticelli) e in Europa (Francia, Ungheria, i paesi dell’Est). Il sito unisce quindi passato e presente. Non significa voler inchiodare la realtà odierna a un semplicistico e sterile rimando al passato. È la proposta della memoria non come retorica ma come impegno per la tutela dei diritti umani nel presente.

Come guardiamo oggi ai rom e sinti? Un esempio: lo Stato di Emergenza Nomadi proclamato dal 2008 al 2011 in cinque Regioni, che prevedeva misure giuridiche «straordinarie» per gruppi, italiani e stranieri, individuati su base etnica. Era la prima volta che accadeva dalle Leggi Razziali del 1938. Secondo l’ordinamento italiano, lo Stato di emergenza si attua per «una calamità, una catastrofe» o eventi «che per intensità ed estensione debbano essere fronteggiati con mezzi e poteri straordinari». Ecco come abbiamo guardato alla presenza di rom e sinti negli ultimi anni, come al terremoto in Abruzzo o ai rifiuti in Campania. Del resto, i ghetti in cui confiniamo i rom delle nostre città non sono solo quelli fisici, i campi e le baraccopoli. Ci sono anche quelli mentali. Per l’Eurobarometro solo il 7% degli italiani risponde positivamente alla domanda «Sei disponibile ad avere amici rom?». È uno dei valori più bassi in tutta Europa.

L’anno scorso il dodicenne A. camminava per andare a scuola su una strada di Milano. Una macchina nera gli si accostò, il guidatore abbassò il finestrino e gli sputò in faccia: aveva riconosciuto che il ragazzino era rom. Quella mattina A. buttò lo zaino a terra e non riuscì a entrare in classe. Sempre nel capoluogo lombardo, V. accoglierà i visitatori di Expo nell’hotel a 5 stelle in cui lavora. Ai colleghi non ha mai rivelato di essere rom (V. è biondo con occhi azzurri) e che fino l’anno scorso viveva in una baracca. Suo fratello F. ha 18 anni e lavora come giardiniere in una cooperativa. Ha una bambina di due anni, ma ha rinunciato a chiedere gli assegni familiari che gli spetterebbero. «Se il mio capo venisse a sapere che ho avuto una figlia da giovane – dice – capirebbe subito che sono rom e mi licenzierebbe».

Ha senso la Giornata dell’8 aprile? Forse sì. Almeno finché non potremo pubblicare le foto di A., finché non si potrà scrivere per intero il nome di V. e finché F. non potrà chiedere l’assegno familiare per la figlia senza paura di ritorsioni.

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rapporto 2014 su Rom e Sinti

 

i ‘campi’ di Torino, Palermo, Roma e Napoli definiti dall’ ‘associazione 21 luglio’ “luoghi di sospensione dei diritti umani”

 “Solo 1 rom su 5 vive nei campi”

rom Torre del Lago

 

 

una delegazione dell’ ‘associazione 21 luglio’ insieme a 12 donne rom, ha presentato lo studio alla presidente della Camera Laura Boldrini in occasione della Giornata Internazione dei Rom e dei Sinti. L’approccio emergenziale resta quello più utilizzato dall’amministrazione. Campi di Torino, Palermo, Roma e Napoli definiti “luoghi di sospensione dei diritti umani”

Sono circa 180mila i rom e i sinti che vivono in Italia e rappresentano lo 0,25% della popolazione presente sul territorio nazionale. Questo il dato dell’Associazione 21 luglio che in occasione della Giornata Internazionale dei rom e dei sinti ha presentato il suo Rapporto annuale 2014 e ha incontrato Laura Boldrini alla Camera con un gruppo di dodici donne rom. Della totalità dei Rom e sinti presenti sul territorio, il 50% ha la cittadinanza italiana e 4 di loro su 5 vivono in regolari abitazioni: studiano, lavorano e conducono una vita simile a quella di ogni altro cittadino italiano o straniero. Solo uno su cinque dei rom del paese vivono nei cosiddetti “campi”, per un totale di 40mila persone. Ma la loro vita – sottolinea il rapporto – è ben più esposta agli occhi dell’opinione pubblica e dei commenti degli esponenti politici di quella dei restanti 140mila.

Per coloro che vivono nel Paese in condizioni di emergenza abitativa, sembra che la Strategia Nazionale per l’Inclusione dei Rom, dei Sinti e dei Camminanti non abbia portato ad un sostanziale cambiamento delle condizioni di vita. Il leitmotiv di ogni azione pubblica è rimasto quello dell’approccio emergenziale, che nei propositi doveva essere abbandanato, e che si è declinato in azioni di sgombero forzato (più di 230 nelle città di Roma e Milano) e nell’ideazione e progettazione di nuovi campi nomadi. La questione abitativa resta quindi centrale nelle politiche delle amministrazioni locali. Negli ultimi tre anni sono stati costruiti nuovi insediamenti a Roma, Milano, Giugliano e Carpi e in molte città italiane del centro-sud sono in discussione progetti relativi alla costruzione di nuovi insediamenti per finanziamenti che superano 20 milioni di euro.

Molte le criticità emerse in numerosi campi italiani, anche tra quelli organizzati e gestiti dalle autorità, che da Torino a Palermo, passando per Roma e Napoli, sono stati definiti luoghi di sospensione dei diritti umani. Non semplice anche il quadro registrato per la qualità della vita dei minori, per cui la probabilità di accedere un giorno a un percorso universitario è tendente allo zero e quella di accedere alle scuole superiori si attesta all’1%. In un caso su cinque non verrà mai intrapreso un percorso scolastico. Anche l’aspettativa di vita è più bassa, circa 10 anni in meno rispetto al resto della popolazione e la possibilità di sentirsi discriminato raggiunta la maggiore età a causa della propria etnia è del 70%. Per quanto riguarda gli atti di violenza: gli episodi di odio registrati dall’Osservatorio di Associazione 21  luglio sono 443 e l’87% dei casi risulta riconducibile a esponenti politici. Nel 2014 è emerso un forte nesso tra le politiche discriminatorie e segregative e un radicato antizingarismo.

Il Rapporto fotografa la situazione di Roma, considerata “cartina al tornasole” della situazione del Paese, facendo riferimento al “gioco dell’oca” degli sgomberi  – 34 solo nel 2014 – che hanno spinto le comunità rom a spostarsi da un punto all’altro della città subendo una violazione dei diritti umani e provocando sperpero del denaro pubblico.
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