gli auguri natalizi … ma ‘sovversivi’ del vescovo Hélder Càmara

 

«Quando io do da mangiare a un povero, tutti mi chiamano santo. Ma quando chiedo perché i poveri non hanno cibo, allora tutti mi chiamano comunista.»
dom Hélder Câmara

“Mi piace pensare al Natale come ad un atto di sovversione… Un bambino povero, una ragazza madre, un papá adottivo…

Chi assiste alla sua nascita é gente messa ai margini della societá, i pastori. Riceve doni da persone di “altre religioni”.

La sua famiglia deve fuggire e cosí diventa un rifugiato politico, un profugo.

Poi ritornano, e vanno a vivere in periferia.

Il resto della storia noi la celebriamo nella Pasqua…ma con lo stesso carattere sovversivo.

La rivoluzione verrá dai poveri. Solo da loro potrá venire la salvezza.

BUON NATALE

Buona Sovversione…

Erber Camara

natale è ‘stupore’ e speranza di fronte al mistero e alla responsabilità della vita, non infantile ‘poesia’

per un
NATALE
di stupore e di speranza

Come sarebbe bello se questo Natale ci riaprisse gli occhi e smascherasse le nostre ipocrisie e le nostre prudenze, ci restituisse un orizzonte più vasto del nostro piccolo ombelico e del nostro personale benessere e tornaconto e ridesse stupore e speranza alle nostre vite

Lo stupore nell’accorgersi che Natale è la festa di un Dio fuori da sé, che esce dal suo spazio sacro per riproporsi a tutto e a tutti come uomo tra gli uomini.

Lo stupore nello scoprire che soltanto fuori dai recinti delle nostre città, dagli spazi ristretti dei nostri spauriti cenacoli, si può rinascere alla vita.

Lo stupore nel vedere che la stella si poggia lontano e fuori dai palazzi dei detentori del potere, dalle chiese dei funzionari del sacro, dalle fortezze di carta degli imbonitori di turno e va nelle case dei semplici e dei poveri, dove pianto, dolore, sogno e amore si intrecciano di continuo.

Lo stupore di un annuncio di cose nuove ai pastori, a coloro che, anche se segnati dalla stanchezza e dalla delusione dell’esclusione, continuano a vegliare la notte e ad ascoltare la luna.

Lo stupore del ritrovare il senso dell’essenziale, del gratuito, delle cose minute: una carezza di tenerezza, un sorso di vino bevuto in compagnia, una fontana d’acqua dove risvegliarci alla vita, un gioco allegro di bimbi, un canto di lotta e di passione, uno stare insieme dove ognuno vive perché l’altro viva, senza più voler accaparrarsi, possedersi, comprarsi.

 

 

che per tutti e per tutte noi sia un Natale così

Buon Natale

di Alessandro prete della Comunità delle Piagge

auguri di buon natale a …

 

da TG ROM   

Buon Natale agli ultimi,
ai dimenticati, a chi ha lottato per tutta la vita contro la sorte ed oggi lotta contro l’indifferenza.
A chi ha perso il treno giusto e la vita non gli ha concesso una seconda possibilità.


A chi non ha nessun posto dove andare, nessuno da abbracciare e nessuno con cui parlare.
A chi chiude la porta al mondo e in silenzio piange la sua solitudine, sperando solo che questo Natale passi in fretta.
Perché vedere gli altri felici fa male, quando sai che anche tu meriteresti un briciolo di felicità.
Buon Natale a chi si ricorderà di queste persone, e con un gesto, una parola, un abbraccio o un invito a sorpresa accenderà la luce nei loro occhi.
Buon Natale a chi crede alla famiglia e, se ci crede, ha il dovere di pensare anche a chi non ha famiglia.

auguri ad Hans Küng per i suoi 90 anni

Laici e credenti festeggiano i 90 anni di Hans Küng, gigante della teologia post conciliare

laici e credenti festeggiano i 90 anni di Hans Küng, gigante della teologia post conciliare

 
 da: Adista Notizie n° 10 del 17/03/2018

 Compie 90 anni, il 19 marzo, uno dei più grandi teologi del Novecento, certamente colui che ha suscitato il più intenso (e fecondo) dibattito nella Chiesa dal post-Concilio: si tratta di Hans Küng (nato a Sursee, in Svizzera, il 19 marzo 1928), prete, teologo, docente universitario costretto, sin dal dicembre 1979, a lasciare l’insegnamento alla Facoltà teologica di Tubinga per le sue tesi contro l’infallibilità papale.

La revoca della missio canonica, l’autorizzazione cioè ad insegnare negli atenei cattolici, fu uno dei primi atti del pontificato di Giovanni Paolo II. Certo, non si piò ascrivere a Wojtyla tutta la responsabilità di quella sanzione. Il processo canonico contro Küng era iniziato infatti sin dalla fase successiva alla pubblicazione (1970) del suo libro Infallibile? Una domanda, avvenuta sotto il pontificato di Paolo VI. Ma il fatto che l’atto finale sia stato firmato ed avallato da Giovanni Paolo II rendeva ad alcuni già all’epoca chiaro quale sarebbe stato il tratto distintivo degli anni a venire, ossia la restaurazione vaticanocentrica di ogni aspetto teologico e l’accentramento nel governo della Chiesa che, sotto i pontificati di Wojtyla prima e di Ratzinger poi, si sarebbero pienamente realizzati.

Ed è altrettanto sintomatico che tra le prime vittime di questo processo involutivo del Concilio fosse proprio Küng, che alla temperie culturale ed ecclesiale seguita alla svolta del Vaticano II aveva così intensamente partecipato e che era considerato tra i teologi di punta di quella stagione di rinnovamento.

Dopo gli studi liceali compiuti a Lucerna, Küng si era recato a Roma, per studiare filosofia e teologia presso la Pontificia Università Gregoriana. Ordinato prete nel 1954, aveva poi proseguito gli studi a Parigi, conseguendo il Dottorato in teologia presso l’Institut Catholique con una tesi sulla dottrina della giustificazione del teologo riformato Karl Barth. Poi, a soli 32 anni, nel 1960, venne nominato professore ordinario presso la Facoltà di Teologia cattolica all’Università di Tubinga in Germania, dove fonderà successivamente anche l’Istituto per la ricerca ecumenica. Arrivò quindi, nel 1962, il momento dell’apertura del Concilio cui Küng, giovanissimo, prese parte direttamente, nelle file degli esperti nominati da papa Giovanni XXIII. Tornato a Tubinga, invitò l’università ad assumere Joseph Ratzinger, che aveva conosciuto alla fine degli anni ’50 e ritrovato a Roma durante i lavori dell’ultima sessione del Concilio. Küng voleva che i suoi studenti ascoltassero le lezioni di un professore colto e di tendenza conciliare, seppure distante da lui su diverse questioni. Come spiegò a Gianni Valente (30giorni, maggio 2005) un altro teologo, professore a Tubinga di Teologia fondamentale, Max Seckler, «Küng sapeva che lui e Ratzinger su molte cose la pensavano diversamente, ma diceva: coi migliori si può trattare e collaborare, sono i meschini che creano problemi». Ratzinger, che era professore di teologia dogmatica a Münster, venne così assunto a Tubinga; la cooperazione tra lui e Küng terminò però bruscamente nel 1969; Ratzinger lasciò infatti la prestigiosa facoltà teologica del Baden-Württemberg, scossa dai movimenti studenteschi, per il più tranquillo ateneo di Ratisbona.

Nel secondo volume delle sue memorie Umstrittene Wahrheit. Erinnerungen (“Verità controverse. Ricordi”), che parte dal 1968, è contenuto un autentico atto d’accusa contro il futuro papa Benedetto XVI: «Ratzinger era professore di teologia con me – scrive Küng – ma poi si rivelò figlio di un gendarme, quale era. Si piegò alla Curia, mi denunciò come “non cattolico” e mi fece condannare. E lo fecefacendo il doppio gioco: mi scriveva lettere di riconciliazione e intanto preparava le sanzioni contro di me».

Dopo la revoca della missio canonica (continuerà comunque ad essere prete cattolico, mantenendo anche una cattedra presso il suo Istituto, separato però dalla facoltà teologica cattolica), Küng divenne tra i più lucidi e coerenti critici del pontificato di Giovanni Paolo II e del ruolo svolto, sotto quel papato, dal suo ex collega Ratzinger, che dal 1981 era frattanto diventato prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede. Proprio dal dicastero che aveva rimosso Küng dall’insegnamento partirono le condanne, le censure, le rimozioni che colpirono la parte più matura e avanzata del mondo teologico e dell’episcopato progressista cattolico.

Clima di sospetto. E i teologi tacciono

Dopo la morte di Wojtyla, Küng scrisse un articolo, pubblicato in Germania ed in Italia (Corriere della Sera, 2/1/2006) in cui evidenziava le tante, enormi contraddizioni del pontificato che si era appena concluso: «Come Pio XII fece perseguitare i più importanti teologi del suo tempo, allo stesso modo si comportano Giovanni Paolo II e il suo Grande Inquisitore Ratzinger con Schillebeeckx, Balasuriya, Boff, Bulányi, Curran, Fox, Drewermann e anche il vescovo di Evreux Gaillot e l’arcivescovo di Seattle Hunthausen. Nella vita pubblica mancano oggi intellettuali e teologi cattolici della levatura della generazione del Concilio. Questo è il risultato di un clima di sospetto, che circonda i pensatori critici di questo pontificato. I vescovi si sentono governatori romani invece che servitori del popolo della Chiesa. E troppi teologi scrivono in modo conformista oppure tacciono». «Quando verrà il momento – proseguiva l’articolo – il nuovo papa dovrà decidere di affrontare un cambio di rotta e dare alla Chiesa il coraggio di nuove spaccature, recuperando lo spirito di Giovanni XXIII e l’impulso riformistico del Concilio Vaticano II».

Cena per due

E chissà che Küng non abbia pensato che quel pontefice, nonostante tutto, potesse essere proprio il teologo suo ex collega a Tubinga, divenuto papa col nome di Benedetto XVI, quel Ratzinger che il Concilio lo aveva inizialmente abbracciato per poi cambiare decisamente rotta. Molti ipotizzarono questa possibile svolta nel rapporto tra i due il giorno che (24 settembre 2006) Küng accettò l’invito a cena di Benedetto XVI nella residenza estiva di Castel Gandolfo, conversando con lui per oltre due ore. In quella occasione, presentò al papa i risultati della sua ricerca degli ultimi anni, quella su un’etica mondiale

gli auguri di L. Boff per i 90 anni di mons. Casaldàliga

  
Come lui nessuno mai. L'omaggio del mondo a Pedro Casaldàliga

 da: Adista Documenti n° 9 del 10/03/2018
Di tutti i modi esistenti per definire Pedro Casaldàliga, non uno è andato perso nella celebrazione del suo novantesimo compleanno: vescovo dei poveri, santo, profeta, poeta, mistico… E, soprattutto, patrimonio dell’umanità intera, a cominciare da quella povera, a cui ha dedicato l’intera sua esistenza, ricevendo per questo innumerevoli omaggi e riconoscimenti, tra cui anche un film, uscito nel 2013, Descalzo sobre la Tierra Roja, che, tratto dall’omonimo libro di Françes Escribano del 2002, racconta la vita di dom Pedro seguendo il filo rosso delle grandi cause della sua esistenza. Per i suoi 90 anni (16 /2) è stato creato anche un portale, destinato, come spiega l’équipe di Servicios Koinonía che ne dà notizia,  a mettere a disposizione di tutti le sue opere, in forma digitale e gratuita, «per volontà espressa dello stesso autore» (dopo una sola settimana, il portale aveva già ricevuto 10mila visite: si può visitarlo all’indirizzo https://independent.academia.edu/PedroCASALDALIGA). E se è impossibile citare tutti gli articoli che sono stati scritti in occasione del suo compleanno – qui di seguito ne riportiamo, in una nostra traduzione dal portoghese, solo due, quelli dell’ecoteologo della liberazione brasiliano Leonardo Boff e del leader del Movimento dei Senza Terra João Pedro Stédile -, vale la pena citare perlomeno quello di Antonio Gil, canonico della cattedrale di Cordova, in Spagna, il quale, sul sito di Reflexión y Liberación (16/2) riporta un recente e meraviglioso messaggio di quello che egli definisce come «un vescovo unico, speciale, della stirpe dei grandi vescovi latinoamericani, di quelli che hanno conquistato il cuore delle persone». Un messaggio pronunciato da São Félix do Araguaia, dove dom Pedro è voluto restare anche dopo il pensionamento, nel 2005, malgrado le sue condizioni di salute (da 25 anni convive con “fratello Parkinson”), che avrebbero richiesto un luogo più accessibile di un municipio distante 16 ore dal più vicino aeroporto. Queste le parole di don Pedro: «Alla mia età, tutto rientra in una preghiera». E ancora: «Oggi, da pensionato, contemplo la vita relativizzando ciò che è relativo in me, nella società e nella Chiesa, e assolutizzando ciò che è assoluto: Dio e l’umanità». 

particolare del fronte di copertina del libro di Francesc Escribano Descalzo sobre la tierra roja. Vida del obispo Pere Casaldàliga (Barcelona 2010), immagine tratta dal sito delle edizioni Península-PlanetadeLibros

i 90 anni di dom Pedro Casaldàliga

povertà e liberazione

Leonardo Boff

In occasione del suo 90.mo compleanno, il 16 febbraio, vorrei rendere omaggio a dom Pedro Casaldàliga, pastore, profeta e poeta, con alcune riflessioni relative a ciò che costituisce, credo, il filo rosso di tutta la sua vita di cristiano e di vescovo: la relazione che ha stabilito tra la povertà e la liberazione. Rischiando la vita, ha vissuto e testimoniato tanto la povertà quanto la liberazione dei più oppressi, che sono gli indigeni e i contadini, espulsi dal latifondo nelle terre di São Félix do Araguaia, in Mato Grosso. La povertà è un fatto che ha sempre interpellato la prassi umana, sfidando ogni tipo di interpretazione. Il povero in carne e ossa rappresenta per noi una tale sfida che l’atteggiamento nei suoi confronti finisce per definire la nostra situazione definitiva dinanzi a Dio, come testimonia tanto il Libro dei morti degli antichi egizi quanto la tradizione giudaico-cristiana che culmina nel testo del vangelo di Matteo 25, 31ss. Forse il più grande merito del vescovo Pedro Casaldàliga liga è stato quello di aver preso assolutamente sul serio le sfide che ci lanciano i poveri del mondo intero, specialmente quelli dell’America Latina, e la loro liberazione.

Prima di qualunque riflessione o strategia di aiuto, la prima reazione è di profonda umanità: lasciarsi commuovere e riempirsi di compassione. Come evitare di rispondere alla supplica del povero o non capire cosa vogliono dire le sue mani tese? Quando la povertà appare come miseria, in tutte le persone sensibili, come lo è dom Pedro, irrompe un sentimento di indignazione e di sacra ira, come si nota chiaramente nei suoi testi profetici, specialmente quelli contro il sistema capitalista e imperialista che produce continuamente povertà e miseria. L’amore e l’indignazione sono alla base delle pratiche che mirano ad abolire o mitigare la povertà. È concretamente dalla parte del povero solo chi, prima di tutto, lo ama profondamente e non accetta la sua condizione inumana. E dom Pedro ha testimoniato questo amore senza condizioni.

Ci avverte, realisticamente, il libro del Deuteronomio: «i bisognosi non mancheranno mai nel paese; perciò io ti do questo comando e ti dico: Apri generosamente la mano al tuo fratello povero e bisognoso nel tuo paese» (15,11). La Chiesa primitiva a Gerusalemme era nota per il fatto che «nessuno tra loro era bisognoso» (At 4,34), in quanto tutto veniva messo in comune. Questi sentimenti di compassione e indignazione hanno spinto dom Pedro a lasciare la Spagna, ad andare in Africa e, infine, a sbarcare non semplicemente in Brasile, ma nel Paese profondo, dove contadini e indigeni soffrono la voracità del capitale nazionale e internazionale.

1. Letture dello scandalo della povertà

In funzione di una comprensione più adeguata dell’anti-realtà della povertà, conviene chiarire alcuni aspetti che ci aiuteranno a definire la nostra presenza effettiva accanto ai poveri. Tre diverse visioni del povero sono ancora oggi presenti nel dibattito. La prima, quella tradizionale, intende il povero come colui che non ha. Che non ha mezzi, non ha un reddito sufficiente, non ha casa, in una parola non ha beni. Sopravvive nella disoccupazione o nella sottooccupazione e con un basso salario. Il sistema dominante lo considera uno zero economico, uno scarto. La strategia è allora quella di mobilitare chi ha perché aiuti chi non ha. In nome di questa visione si è organizzata, per secoli, un’ampia opera di assistenza. E una politica di beneficenza, ma non partecipativa. Un atteggiamento e una strategia che mantengono i poveri nella dipendenza: ancora non è stato scoperto il loro potenziale trasformatore.

La seconda, progressista, ha scoperto il potenziale dei poveri e si è resa conto che tale potenziale non viene utilizzato. Attraverso l’educazione e la professionalizzazione, il povero riceverà qualificazione e autonomia. Così i poveri si inseriscono nel processo produttivo. Rafforzano il sistema, si trasformano in consumatori, per quanto a una scala ridotta, e aiutano a perpetuare le relazioni sociali ingiuste che continuano a produrre poveri. Si assegna allo Stato la parte principale del compito di creare posti di lavoro per questi poveri sociali. La società moderna, liberale e progressista ha fatto propria questa visione. La lettura tradizionale vede il povero, ma non ne coglie il carattere collettivo. La lettura progressista scopre sì il suo carattere collettivo, ma non il suo carattere conflittuale. Analiticamente considerato, il povero è il risultato di meccanismi di sfruttamento che lo hanno impoverito, generando così un grave conflitto sociale. Mostrare tali meccanismi è stato e continua a essere il merito storico di Karl Marx. Previamente all’integrazione del povero nel processo produttivo vigente, si dovrà procedere a una critica del tipo di società che produce e riproduce costantemente poveri ed esclusi.

La terza posizione è quella liberatrice, che afferma: i poveri hanno realmente potenzialità, e non solo per ingrossare la forza lavoro e rafforzare il sistema, ma principalmente per trasformarlo nei suoi meccanismi e nella sua logica. I poveri, coscientizzati, autoorganizzati e coordinati con altri alleati, possono essere i costruttori di un altro tipo di società. Possono non solo progettare ma anche mettere in marcia la costruzione di una democrazia partecipativa, economica ed ecologico-sociale. L’universalizzazione e la pienezza di questa democrazia senza fine si chiama socialismo. Questa prospettiva non è né assistenzialista né progressista. È autenticamente liberatrice, perché fa dell’oppresso il principale soggetto della sua liberazione e il creatore di un progetto alternativo di società.

La teologia della liberazione ha assunto questa concezione di povero. L’ha tradotta nell’opzione per i poveri, contro la povertà e in favore della vita e della libertà. Farsi poveri in solidarietà con i poveri significa un impegno contro la povertà materiale, economica, politica, culturale e religiosa. L’opposto di questa povertà non è la ricchezza, ma la giustizia e l’equità.

È quest’ultima prospettiva quella che è stata ed è testimoniata e praticata da dom Pedro Casaldàliga in tutta la sua attività pastorale. Anche a rischio della sua vita, ha appoggiato i contadini espulsi dai grandi latifondisti. Insieme alle Piccole Sorelle di Gesù di p. Foucauld, ha collaborato al riscatto biologico dei tapirapés, minacciati di estinzione. Non c’è movimento sociale e popolare che non sia stato sostenuto da questo pastore di eccezionale qualità umana e spirituale.

2. L’altra povertà: quella evangelica ed essenziale

Vi sono ancora due dimensioni della povertà che sono presenti nella vita di don Pedro: la povertà essenziale e la povertà evangelica. La povertà essenziale è il risultato della nostra condizione di creature, una povertà che ha, pertanto, una base ontologica, indipendente dalla nostra volontà. Parte dal fatto che non ci siamo dati noi l’esistenza. Esistiamo, ma dipendendo da un piatto di cibo, da un po’ d’acqua e dalle condizioni ecologiche della Terra. In questo senso radicale, siamo poveri. La Terra non è nostra né l’abbiamo creata noi. Siamo suoi ospiti, passeggeri di un viaggio che va oltre. Di più: umanamente dipendiamo da persone che ci accolgono e che convivono con noi, con gli alti e i bassi propri della condizione umana. Siamo tutti interdipendenti. Nessuno vive in sé e per sé. Siamo sempre intrecciati in una rete di relazioni che garantiscono la nostra vita materiale, psicologica e spirituale. Per questo siamo poveri e dipendenti gli uni dagli altri.

Accogliere questa condition humaine ci rende umili e umani. L’arroganza e l’eccessiva auto-affermazione non trovano spazio qui perché non hanno una base che le sostenga. Questa situazione ci invita a essere generosi. Se riceviamo l’essere dagli altri, dobbiamo a nostra volta darlo agli altri. Questa dipendenza essenziale ci rende grati a Dio, all’Universo, alla Terra e alle persone che ci accettano così come siamo. È la povertà essenziale. Questo tipo di povertà ha reso dom Pedro un vescovo mistico, grato per tutte le cose. Esiste anche la povertà evangelica, proclamata da Gesù como una delle beatitudini. Nella versione del vangelo di Matteo si dice: «Beati i poveri in spirito perché di essi è il Regno dei cieli» (5,3). Questo tipo di povertà non è direttamente vincolato all’avere o al non avere, ma a un modo di essere, a un atteggiamento che potremmo tradurre con infanzia spirituale. Povertà qui è sinonimo di umiltà, distacco, vuoto interiore, rinuncia a ogni volontà di potere e di auto-affermazione. Implica la capacità di svuotarsi per accogliere Dio, e il riconoscimento della natura della creatura, dinanzi alla ricchezza dell’amore di Dio che si comunica gratuitamente. L’opposto di questa povertà è l’orgoglio, la fanfaroneria, l’inflazione dell’ego e la chiusura in se stessi dinanzi agli altri e a Dio.

Questa povertà ha significato l’esperienza spirituale del Gesù storico: non solo è stato povero materialmente e ha assunto la causa dei poveri, ma si è fatto anche povero in spirito, poiché «spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce» (Fil 2,7-9). Questa povertà è il cammino del vangelo, per questo si chiama anche povertà evangelica, secondo il suggerimento di San Paolo: «Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù» (Fil 2,5).

Il profeta Sofonia testimonia questa povertà di spirito quando scrive: «In quel giorno non avrai vergogna di tutti i misfatti commessi contro di me, perché allora eliminerò da te tutti i superbi millantatori e tu cesserai di inorgoglirti sopra il mio santo monte. Farò restare in mezzo a te un popolo umile e povero; confiderà nel nome del Signore il resto d’Israele» (3,11-13). Questa povertà evangelica e questa infanzia spirituale costituiscono uno dei riflessi più visibili e convincenti della personalità di dom Pedro Casaldàliga, che appare nel suo modo povero ma sempre pulito di vestire, nel suo linguaggio pieno di humor anche quando diventa fortemente critico nei confronti degli spropositi della globalizzazione economico-finanziaria e della prepotenza neoliberista, o quando profeticamente denuncia le visioni mediocri del governo centrale della Chiesa di fronte alle sfide dei condannati della Terra o a questioni che interessano tutta l’umanità. Questo atteggiamento di povertà si è manifestato in maniera esemplare quando negli incontri con i cristiani di base, generalmente poveri, si poneva in mezzo a loro e ascoltava attentamente quello che dicono, o quando si sedeva ai piedi dei relatori, fossero teologi, sociologi e portatori di un altro sapere qualificato, per ascoltarli, annotarne i pensieri e formulare umilmente domande. Questa apertura rivela uno svuotamento interiore che lo rende capace di imparare continuamente e di riflettere saggiamente sui cammini della Chiesa, dell’America Latina, del Brasile e del mondo.

Quando gli attuali tempi di stravolgimento saranno passati, quando i sospetti e le meschinità saranno stati divorati dalla voragine del tempo, quando ci volteremo indietro e valuteremo gli ultimi decenni del XXI secolo, identificheremo una stella nel cielo della nostra fede, splendente, dopo aver attraversato nubi, sopportato oscurità e superato tempeste: la figura semplice, povera, umile, spirituale e santa di un vescovo che, straniero, si è fatto compatriota, lontano, si è fatto vicino, e si è fatto fratello di tutti, fratello universale: dom Pedro Casaldàliga, che compie oggi novant’anni.

dipinto di Maximino Cerezo Barredo, per gentile concessione dell’autore

Italia, comportati con gentilezza e compassione verso gli immigrati – gli auguri della cantante Noa

le parole di Noa

io, straniera innamorata, dico: Italia, resta gentile..


Noa*
che cosa ti auguro, amata Italia, per l’avvento del nuovo anno? Che tu faccia tesoro dei doni che ti sono stati dati
Io, straniera innamorata, dico: Italia, resta gentile..

È un grande onore e un piacere essere oggi qui, grazie per l’invito; il mio cuore sta battendo molto forte mentre sto parlando. Il Parlamento è un luogo di legislazione, di dibattito e di lotta politica. È un luogo deputato a dare forma al futuro. Quando impariamo dal passato e osserviamo il presente, spesso tendiamo a giudicarci severamente. Vediamo chiaramente le nostre imperfezioni, lamentiamo la nostra debolezza e viviamo in uno stato costante di insoddisfazione e di frustazione. Credo che ciò sia una parte naturale del ciclo umano, che ci dà un incentivo a migliorarci e a svilupparci … ma anche molto spesso ci rende inconsapevoli della nostra bellezza … fino a quando arriva uno straniero innamorato, e ci ricorda quanto dobbiamo essere grati.

Oggi vorrei essere io quella straniera. Per venticinque anni, ho visto questo Paese con gli occhi dell’amore. Mi sono esibita in centinaia di concerti in ogni piccolo paese e grande città, in campi, festival, cattedrali, piazze e teatri dell’opera, e ho incontrato migliaia e migliaia di Italiani, ognuno dei quali ho voluto abbracciare personalmente. Ho cantato nei vostri festival, ascoltato le vostre storie, imparato le vostre canzoni, riso e pianto con i vostri film e ho adorato la vostra arte e la vostra cultura. Ho iniziato in Sicilia, la magnifica isola del sud, la cui gente è così tenace e ricca come la sua terra e la sua storia. I miei figli si sentono a casa nelle acque cristalline che abbracciano questa grande isola e quelle intorno a essa, in particolare le splendide Eolie… questo meraviglioso mare, come nessun altro al mondo, che vi prego, guardiani di questa grande terra, di fare in modo di proteggere per le future generazioni. Ho ammirato la selvaggia e splendida Sardegna, e ho adorato Napoli e i suoi dintorni, la sua gente e la sua cultura meravigliosa che ho adottato come mia propria.

La cantante Noa mentre si esibisce nell’Aula di Montecitorio per il concerto di Natale

la cantante Noa mentre si esibisce nell’Aula di Montecitorio per il concerto di Natale

E da lì, pian piano su, su, da una splendida regione ad un’altra, Calabria, Basilicata, Puglia, Molise, Lazio, Abruzzo, Umbria, Marche, Toscana, Emilia Romagna, Liguria, Piemonte, Lombardia, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Trentino e alla fine, il gioiello del nord, la Valle D’Aosta. Ogni regione, con la sua cultura, il suo patrimonio, la sua storia, la sua natura e unicità, mi ha abbagliato e ispirato fino a quando mi sono del tutto persa nella bellezza. Sì… mi sono persa e sono diventata una persona nuova. Ho perso, su questa terra, molte delle mie paure e della disperazione che spesso accompagnano la vita nel mio Paese, e le ho sostituite con l’ottimismo e la speranza.

Così cosa ti auguro, amata Italia, per l’avvento del nuovo anno? Che tu faccia tesoro dei doni che ti sono stati dati. Che non dia mai per scontata la tua democrazia conquistata con fatica, poiché conosci bene la strada dolorosa che hai percorso per ottenerla. Che tu continui a mettere in guardia e ad educare contro il razzismo e il fascismo, come fai per la Festa della Liberazione e la Giornata della Memoria, in modo che non  si ripeta mai più per nessuno la tragedia accaduta al mio popolo e al tuo. Che tu ti comporti con gentilezza e compassione verso gli immigrati, ricordando quanti del tuo popolo sono emigrati da questa terra e si sono sparsi per il mondo, alla ricerca di un futuro migliore.

Che tu protegga i tuoi splendidi e fragili tesori naturali e i siti storici dagli artigli dell’avidità e dell’avarizia. Che tu ti prenda cura dei tuoi poeti, musicisti, scrittori, pittori e filosofi, poiché essi sono il tuo cuore pulsante. Questa terra mi ha dato infinite opportunità di tirare fuori il meglio di me, di cantare per la pace, di abbattere muri e costruire ponti, di mettere la musica su un piedistallo, e di inginocchiarmi umilmente dinanzi ad essa, come si farebbe dinanzi all’altare, di vivere la vita come credo debba essere vissuta: con semplicità, onestà e passione, con molte risate e infinito amore. Grazie, grazie! Dio benedica l’Italia.

*La grande cantante Noa, ebrea di origine yemenita, israeliana impegnata da anni per la pace e la convivenza tra diversi, è stata la protagonista ieri sera di un intenso e bellissimo concerto di Natale nell’Aula di Montecitorio alla presenza della presidente della Camera Laura Boldrini e nel corso del quale ha dedicato una straordinaria ‘Ave Maria’ a papa Francesco. Questo è il discorso con cui l’artista ha introdotto l’evento

un augurio di buona pasqua con le parole di Tonino Bello

Cari amici,

come vorrei che il mio augurio, invece che giungervi con le formule consumate del vocabolario di circostanza, vi arrivasse con una stretta di mano, con uno sguardo profondo, con un sorriso senza parole!
Come vorrei togliervi dall’anima, quasi dall’imboccatura di un sepolcro, il macigno che ostruisce la vostra libertà, che non dà spiragli alla vostra letizia, che blocca la vostra pace!
Posso dirvi però una parola. Sillabandola con lentezza per farvi capire di quanto amore intendo caricarla: “coraggio”!
La Risurrezione di Gesù Cristo, nostro indistruttibile amore, è il paradigma dei nostri destini. La Risurrezione. Non la distruzione. Non la catastrofe. Non l’olocausto planetario. Non la fine. Non il precipitare nel nulla.
Coraggio, fratelli che siete avviliti, stanchi, sottomessi ai potenti che abusano di voi.
Coraggio, disoccupati.
Coraggio, giovani senza prospettive, amici che la vita ha costretto ad accorciare sogni a lungo cullati.
Coraggio, gente solitaria, turba dolente e senza volto.
Coraggio, fratelli che il peccato ha intristito, che la debolezza ha infangato, che la povertà morale ha avvilito.
Il Signore è Risorto proprio per dirvi che, di fronte a chi decide di “amare”, non c’è morte che tenga, non c’è tomba che chiuda, non c’è macigno sepolcrale che non rotoli via.
Auguri. La luce e la speranza allarghino le feritoie della vostra prigione.
Vostro don Tonino, vescovo

la felicità secondo papa Francesco

i commoventi auguri di papa Francesco

 

“Mi piacerebbe che ricordassi che essere felice, non è avere un cielo senza tempeste, una strada senza incidenti stradali, lavoro senza fatica, relazioni senza delusioni.

Essere felici è trovare forza nel perdono, speranza nelle battaglie, sicurezza sul palcoscenico della paura, amore nei disaccordi.

Essere felici non è solo apprezzare il sorriso, ma anche riflettere sulla tristezza. Non è solo celebrare i successi, ma apprendere lezioni dai fallimenti. Non è solo sentirsi allegri con gli applausi, ma essere allegri nell’anonimato.

Essere felici è riconoscere che vale la pena vivere la vita, nonostante tutte le sfide, incomprensioni e periodi di crisi.

Essere felici non è una fatalità del destino, ma una conquista per coloro che sono in grado viaggiare dentro il proprio essere.

Essere felici è smettere di sentirsi vittima dei problemi e diventare attore della propria storia. È attraversare deserti fuori di sé, ma essere in grado di trovare un’oasi nei recessi della nostra anima. È ringraziare Dio ogni mattina per il miracolo della vita.

Essere felici non è avere paura dei propri sentimenti. È saper parlare di sé. È aver coraggio per ascoltare un “No”. È sentirsi sicuri nel ricevere una critica, anche se ingiusta. È baciare i figli, coccolare i genitori, vivere momenti poetici con gli amici, anche se ci feriscono.

Essere felici è lasciar vivere la creatura che vive in ognuno di noi, libera, gioiosa e semplice.

È aver la maturità per poter dire: “Mi sono sbagliato”. È avere il coraggio di dire: “Perdonami”. È avere la sensibilità per esprimere: “Ho bisogno di te”. È avere la capacità di dire: “Ti amo”.

Che la tua vita diventi un giardino di opportunità per essere felice … Che nelle tue primavere sii amante della gioia. Che nei tuoi inverni sii amico della saggezza. E che quando sbagli strada, inizi tutto daccapo. Poiché così sarai più appassionato per la vita …


E scoprirai che essere felice non è avere una vita perfetta. Ma usare le lacrime per irrigare la tolleranza. Utilizzare le perdite per affinare la pazienza. Utilizzare gli errori per scolpire la serenità. Utilizzare il dolore per lapidare il piacere. Utilizzare gli ostacoli per aprire le finestre dell’intelligenza. Non mollare mai …. Non rinunciare mai alle persone che ami. Non rinunciare mai alla felicità, poiché la vita è uno spettacolo incredibile!”

auguri come bastonate di papa Francesco ai cardinali della curia romana

«menti distorte», il papa striglia la Curia romana

di Luca Kocci
in “il manifesto”

Gattopardi, «menti distorte», «cuori impietriti»: se ne sono sentiti dire di tutti i colori i cardinali della Curia romana, convocati ieri da papa Francesco nel Palazzo apostolico vaticano per i tradizionali auguri natalizi. Ma invece delle parole soavi che solitamente si accompagnano al «buon Natale», Francesco ha impugnato la clava e ha colto l’occasione per denunciare e bastonare le resistenze – e i resistenti – alla riforma della Curia

«La logica del Natale è il capovolgimento della logica mondana, della logica del potere, del comando, della logica fariseistica», pertanto «ho scelto come argomento di questo nostro incontro annuale la riforma della Curia romana»

Non è la prima volta che Bergoglio utilizza l’appuntamento degli auguri alla Curia per parlare chiaro ai cardinali. Fece scalpore – anche perché fu il primo – il discorso del Natale 2014 sulle «quindici malattie» della Curia: potere, accumulazione di beni materiali, rivalità, carrierismo, opportunismo, ipocrisia, adulazione, indifferenza e via elencando. Il discorso di ieri non è stato meno forte. «La riforma sarà efficace solo se si attua con uomini “rinnovati” e non semplicemente con “nuovi” uomini», ha detto Francesco, non solo «con il cambiamento delle persone, che senz’altro avviene e avverrà, ma con la conversione nelle persone», perché «senza un mutamento di mentalità lo sforzo funzionale risulterebbe vano». Che in questo percorso vi siano delle «resistenze» è «normale, anzi salutare», ha aggiunto Francesco, che usa il bastone ma non rinuncia allo zuccherino. Quali resistenze? Le più sane sono «le resistenze aperte, che nascono spesso dalla buona volontà e dal dialogo sincero». Poi però ci sono quelle più diffuse nei sacri palazzi, «le resistenze nascoste, che nascono dai cuori impauriti o impietriti che si alimentano dalle parole vuote del “gattopardismo” spirituale di chi a parole si dice pronto al cambiamento, ma vuole che tutto resti come prima»; e «le resistenze malevole, che germogliano in menti distorte e si presentano quando il demonio ispira intenzioni cattive (spesso “in veste di agnelli”)». Facile pensare ad eventi recenti: i “corvi”, la fuga di documenti riservati dalle stanze vaticane (il Vatileaks), le false notizie lanciate a mezzo stampa (Bergoglio malato di tumore al cervello, quindi “fuori di testa”). Ci sarebbe da discutere su quanto siano state incisive e profonde le riforme di papa Francesco, che hanno ristrutturato ma non ricostruito l’edificio curiale: Ior più trasparente (ma ben saldo al proprio posto); maggior controllo sulle strutture finanziare vaticane; accorpamento e creazione di nuovi dicasteri (come la Segreteria per l’economia, affidata però al controverso cardinale Pell, e la Segreteria per la Comunicazione, per centralizzare i media vaticani); norme più severe contro i vescovi che coprono i preti pedofili; alcuni aggiornamenti pastorali e disciplinari, come la semplificazione delle procedure per la dichiarazione di nullità dei matrimoni, la possibilità di accesso ai sacramenti per i divorziati risposati distinguendo i singoli casi, la facoltà a tutti i preti di assolvere dal peccato di aborto. Anche se la cautela potrebbe essere imputata proprio alle resistenze incontrate, che evidentemente Francesco non vuole “asfaltare”. La prospettiva sembra chiara, perlomeno nelle dichiarazioni: la riforma non è un «lifting» o «un’operazione di chirurgia plastica per togliere le rughe», ha detto il papa ai cardinali, «non sono le rughe che nella Chiesa si devono temere, ma le macchie!». Dopo questo discorso, si vedrà come Francesco andrà avanti.

gli auguri di natale dei preti del Veneto

“Vivere la misericordia”

lettera di Natale 2015

la consueta lettera di Natale dei preti del Nordest

Al centro dell’edizione 2015, dal titolo “Vivere la misericordia”, le numerose sfide che l’attualità pone alla comunità cristiana e ai suoi pastori, interrogati anche dai grandi eventi ecclesiali che hanno contraddistinto l’anno: il Sinodo sulla famiglia, il Convegno ecclesiale nazionale di Firenze, il Giubileo della misericordia e le celebrazioni del cinquantenario del Patto delle catacombe. I preti invitano, in particolare, a riflettere su alcuni temi dirimenti: pace e nonviolenza, migranti, giustizia, detenzione, ambiente e clima.

Ci rivolgiamo a voi per condividere nell’accoglienza e nell’amicizia reciproche esperienze, interrogativi, speranze, per cercare di contribuire con parole e segni a un’umanità più umana e a una Chiesa più evangelica. Condividiamo con tante persone la fede in Gesù di Nazareth e con tutte le donne e gli uomini di buona volontà l’anelito e la dedizione per un mondo di libertà, di giustizia e pace.

Un tempo particolare

Viviamo un tempo di particolare intensità e di cambiamenti straordinari che in pochi decenni renderanno il nostro mondo profondamente diverso, soprattutto per la presenza e la necessaria convivenza fra donne e uomini provenienti da tutti i luoghi del Pianeta e per l’urgenza drammatica di proteggere e custodire la Madre Terra e tutti gli esseri viventi. Come evidenzia papa Francesco nell’enciclica Laudato si’ in cui il grido dei poveri e il grido della terra “si uniscono in un unico grido” che ci provoca, ci interpella e ci chiede risposte urgenti, non più rinviabili. In tale contesto papa Francesco ha indetto “Il Giubileo straordinario della Misericordia” per la Chiesa come segno per tutta l’umanità, nel 50° anniversario della conclusione del Concilio Ecumenico Vaticano II.

La misericordia dimensione e pratica indispensabile per l’umanità

La Misericordia è la rivelazione e l’incarnazione dell’Amore di Dio: la sua presenza, il perdono per ogni persona, per l’umanità intera, con attenzione particolare ai poveri, ai deboli, ai sofferenti. La misericordia di Dio si è rivelata nella storia, nella persona, nelle parole e nei gesti di Gesù di Nazareth, che con la sua quotidiana presenza continua a coinvolgerci e a sollecitarci alla compassione.

Francesco, vescovo di Roma, segno di misericordia

Ancora una volta esprimiamo profonda gratitudine a Francesco per le sue parole e i suoi gesti in un momento particolarmente difficile per lui a causa delle vicende che riguardano il Vaticano e la lontananza di chi nella Chiesa si riferisce al suo insegnamento con distacco e arroganza. Francesco cerca di liberare la Chiesa dal potere nelle sue diverse espressioni, dall’apparato religioso che nasconde incoerenze, infedeltà e corruzione.

Il fondamento è il Vangelo

Nella complessità del momento storico, ribadiamo come fondamento e guida il Vangelo di Gesù di Nazareth, da cui ci sentiamo ogni giorno di ripartire e a cui sempre ritornare, sperimentandone lo straordinario e consolante coinvolgimento nelle scelte della nostra vita.

LA SOLA CHIESA CREDIBILE

La sola Chiesa credibile a cui ci sentiamo di appartenere è quella del Vangelo di Gesù, del Concilio Vaticano II, dei profeti e dei martiri, di tante donne e tanti uomini credenti, umili e credibili, di papa Francesco: misericordiosa perché cerca di seguire il Dio della Misericordia, di cui vive l’esperienza. Desideriamo condividere con voi alcuni momenti significativi di incontro.

Il Sinodo dei Vescovi sulla famiglia

La famiglia e la coppia umana, assunte nella molteplicità delle loro situazioni, sono le vere destinatarie della misericordia: i divorziati risposati non sono più considerati pubblici peccatori, ma “battezzati, sono fratelli e sorelle, lo Spirito Santo riversa in loro doni e carismi per il bene di tutti” mentre si vedrà come “possono essere superate le diverse forme di esclusione di cui oggi sono gravati” in ambito liturgico e in ogni altra dimensione ecclesiale. Nei confronti dei fratelli e sorelle omosessuali sono stati espressi attenzione, accoglienza, rispetto, valorizzazione.

L’assemblea della Chiesa italiana a Firenze

Il 10 novembre 2015 papa Francesco nella sua riflessione ha delineato le qualità imprescindibili della Chiesa italiana. Il primo sentimento è l’umiltà: l’ossessione di preservare la propria gloria, la propria ‘dignità’, la propria influenza non deve far parte dei nostri sentimenti. Un altro sentimento è il disinteresse: dobbiamo cercare la felicità di chi ci sta accanto. L’umanità del cristiano è sempre in uscita, non è narcisistica, autoreferenziale. “Evitiamo di rinchiuderci nelle strutture che ci danno una falsa protezione, nelle norme che ci trasformano in giudici implacabili, nelle abitudini in cui ci sentiamo tranquilli”. (Evangelii Gaudium, 49). Il nostro dovere è lavorare per rendere questo mondo un posto migliore e lottare. La nostra fede è rivoluzionaria, qualsiasi vita si decide sulla capacità di donarsi. Un ulteriore sentimento di Cristo Gesù è quello della beatitudine: il cristiano è un beato, ha in sé la gioia del Vangelo. Due sono le tentazioni che la Chiesa italiana deve affrontare. Coperta dall’apparenza di un benessere c’è la fiducia nelle strutture, nelle organizzazioni, nelle pianificazioni perfette perché astratte; nell’assunzione di uno stile di controllo, di durezza, di normalità. Davanti ai mali o ai problemi della Chiesa è inutile cercare soluzioni in conservatorismi e fondamentalismi, nella restaurazione di condotte e forme superate che neppure culturalmente hanno la capacità di essere significative. La dottrina cristiana non è un sistema chiuso, incapace di generare domande, dubbi, interrogativi, ma è viva, sa inquietare, sa animare. Non ha un volto rigido, ha un corpo che si muove e si sviluppa, ha carne tenera: la dottrina cristiana si chiama Gesù Cristo. È importante procedere con genio e creatività, mai in difensiva per timore di perdere qualcosa. La seconda tentazione è quella di confidare nel ragionamento logico e chiaro, il quale però perde la tenerezza della carne del fratello. Bisogna mettere in pratica; se non si conduce la Parola alla realtà, si costruisce sulla sabbia, si rimane nella pura idea, si degenera in intimismi che non danno frutto. Vicinanza alla gente e preghiera sono la chiave per vivere un umanesimo cristiano popolare, umile, generoso, lieto. Se perdiamo questo contatto con il popolo fedele di Dio perdiamo in umanità e non andiamo da nessuna parte. I due pilastri sono per noi le beatitudini e le parole del giudizio finale: ho avuto fame e sete, ero ammalato, carcerato, forestiero, denudato dai vestiti e della dignità e voi mi avete incontrato se siete stati solidali o non mi avete incontrato se siete stati indifferenti. Due raccomandazioni soprattutto: inclusione dei poveri e capacità di incontro e dialogo. Noi cerchiamo di vivere questa Chiesa.

Il patto delle catacombe

Rinnoviamo anche noi in questo Natale 2015 il patto delle catacombe che il 16 novembre 1965, pochi giorni prima della chiusura del Concilio Vaticano II, una cinquantina di padri conciliari hanno dichiarato nella celebrazione dell’Eucarestia nelle catacombe di Domitilla a Roma. Il 16 novembre 2015 a Napoli gruppi e comunità, donne e uomini fra cui anche padre Alex Zanotelli e don Luigi Ciotti hanno rinnovato questo patto a cui aderiamo e invitiamo ad aderire.

Prima di tutto, Signore, ti vogliamo chiedere perdono. Siamo consapevoli che, attraverso il nostro stile di vita, siamo causa di tanta sofferenza dei nostri fratelli e sorelle, dell’oppressa e devastata terra.

Ci impegniamo a fare l’opzione dei poveri, degli esclusi, degli ‘scarti’ della società, a riconoscere in loro la ‘carne di Cristo’, Sacramento vivo della sua Presenza, “a prestare ad essi la nostra voce nelle loro cause, ma anche ad essere loro amici, ad ascoltarli, a comprenderli e ad accogliere la misteriosa sapienza che Dio vuole comunicarci attraverso di loro.”

Ci impegniamo, affinché la nostra azione pastorale porti i poveri a sentirsi a ‘casa loro’ nelle nostre comunità, e a essere al centro della nostra attenzione.

Ci impegniamo, davanti a Te, Unico Signore, in questa società che adora l’idolo del denaro, a non arricchirci, a non possedere, a condividere quello che abbiamo.

Ci impegniamo, in questo momento storico, all’accoglienza dei fratelli e delle sorelle, che fuggono da situazioni di ingiustizia e di morte, perché fare spazio a loro è farlo a Cristo: mettendo a disposizione le nostre case, chiese e conventi.

Ci impegniamo quindi, a uno stile di vita sobrio in tutti gli ambiti della nostra vita, nell’abitazione, nel cibo, nell’abbigliamento, nei mezzi di trasporto e nelle nostre chiese: evitando l’usa e getta, privilegiando l’usato e il circuito corto e naturale, riciclando e recuperando i rifiuti.

Ci impegniamo, in solidarietà con i poveri, a rimettere in discussione il nostro sistema economico-finanziario, ‘nuova e spietata versione del feticismo del denaro’, i cui effetti devastanti tocchiamo con mano sostenendo in maniera nonviolenta, nella nostra azione pastorale, i movimenti popolari che si impegnano a favore dei diritti fondamentali dell’essere umano, ‘cibo, acqua, salute, lavoro, casa, terra, istruzione’, ma anche contro le enormi spese militari che producono sempre più guerre.

Ci impegniamo, a utilizzare nella nostra quotidianità fornitori di servizi bancari che scelgono la finanza etica e alternativa, che combattono la speculazione, che non favoriscono il riciclaggio dei capitali nei paradisi fiscali, frutto di criminalità o di evasione e che non investono in attività, come l’industria delle armi, che causano sofferenza e morte.

Ci impegniamo a ‘curare la nostra casa comune’ accettando la sfida di Papa Francesco che, di fronte alla ‘grave crisi ecologica’ causata dall’uomo e che sarà pagata dai poveri, ci chiama a una conversione ecologica basata su relazioni sane ‘con il mondo che ci circonda’.

Ci impegniamo a costruire comunità cristiane ‘in uscita’, aperte alla mondialità, all’inclusione, al dialogo ecumenico e interreligioso, profondamente missionarie e profetiche.

Ci impegniamo a lottare contro ogni forma di violenza, di sopraffazione e di cultura mafiosa che genera criminalità organizzata, corruzione, inquinamento ambientale e morte.

Ci impegniamo a far conoscere questo Patto chiedendo ai nostri fratelli e sorelle di vigilare su questa nostra scelta aiutandoci con la preghiera e la comprensione.

ALCUNE QUESTIONI DIRIMENTI

Desideriamo ancora approfondire e condividere con voi esperienze, dolori, speranze, convinzioni su alcune questioni decisive, dirimenti presenti nella storia attuale e anche nei vissuti delle nostre Regioni e delle nostre comunità.

Nonviolenza e costruzione della pace

Rinnoviamo la nostra scelta convinta della nonviolenza attiva e della costruzione lenta, operosa, indispensabile di una cultura e di una pratica della pace. Le armi e i bombardamenti non risolvono le gravi questioni aperte ma invece le alimentano e provocano rancore, odio, determinazione alla vendetta. Il terrorismo è frutto anche della guerra e quindi non può essere risolto con la guerra. Papa Francesco ci guida a giudicare le armi e la guerra come guadagno vantaggioso di alcuni e come morte di tanti altri. La spiritualità, la cultura, la trattativa, la politica, la cooperazione sono le strade della pace. L’isolamento dei terroristi, la perseveranza nella volontà e nelle decisioni di bene, sono state incoraggiate in modo luminoso per tutta l’umanità dagli atteggiamenti e dalle parole di familiari delle vittime di Parigi, all’opposto di altri speculatori perfino del dolore che hanno espresso parole e atteggiamenti indegni di un paese democratico e civile, identificando tutti i fedeli della religione musulmana in terroristi e distanziandosi da ogni possibilità di incontro, dialogo, convivenza. Per noi è fondamentale partire dalle vittime di Parigi e di ogni altro luogo del Pianeta e dal dolore straziante dei loro familiari e amici. Il dolore per tutte le vittime condiviso può favorire la cultura della pace.

I migranti

La questione dei flussi migratori ha assunto dimensioni e presenze di particolare intensità su tutto il Pianeta. Un fenomeno che ci provoca a guardare con verità le cause, cioè: guerre, povertà, cambiamenti climatici e ambientali, che ci sollecita a rompere le nostre complicità con queste cause e a favorire progressivamente situazioni di giustizia: nel contempo a progettare un’accoglienza dignitosa nei suoi diversi aspetti. Constatiamo con amarezza l’inesistenza dell’Europa dei popoli, l’assenza di cultura e di etica e come conseguenza di progettualità e di decisioni politiche e legislative: i muri, i fili spinati, le violenze sulle persone che abbiamo visto in questi mesi, e che continuano, contravvengono a ogni diritto umano. Anche nel nostro Paese è carente e parziale una progettualità sull’accoglienza. Ci sentiamo di esprimere gratitudine alle tante persone che nella Chiesa e nella società in genere in questi mesi hanno dimostrato il volto migliore del nostro Paese e delle nostre comunità cristiane; in particolare per quanto riguarda la Regione Friuli Venezia Giulia alle persone volontarie che a Udine, a Pordenone, a Trieste e a Gorizia durante tutti i giorni e tutte le notti di quest’anno 2015 si sono prodigate in modo ammirevole, con generosità e gratuità per accogliere, sostenere con gesti concreti per rispondere ai bisogni primari delle persone, di centinaia di profughi altrimenti abbandonati a se stessi, a dormire all’addiaccio. Se questa condizione conferma sempre una violazione dei diritti umani fondamentali, ora, con il periodo invernale, si aggrava a causa del freddo, con pericolo per la salute e la vita stessa. La presenza dei volontari evidenzia in modo clamoroso l’assenza delle istituzioni: il progetto di accoglienza diffusa della regione non può configurarsi in un documento scritto e in esortazioni generiche ai comuni ad accogliere maggiormente, ma dovrebbe diventare coinvolgimento di soggetti disponibili e competenti, programmazione sostenuta a livello culturale, etico e organizzativo. Per noi è inammissibile che persone italiane e straniere siano costrette a dormire all’addiaccio, in una regione ricca di possibilità economiche e professionali, di pratiche di buona accoglienza, di luoghi recettivi o da rendere tali in breve tempo. Nello stesso tempo si deve evidenziare con tristezza la scarsa disponibilità all’accoglienza dei comuni della Regione Friuli Venezia Giulia: pare proprio che la memoria storica dell’emigrazione poco o nulla insegni e neanche l’esperienza di solidarietà nel periodo successivo al terremoto, di cui nei prossimi mesi si vivrà il ricordo del 40° anniversario. In posizione difensiva gli esponenti della politica regionale affermano che il problema non esiste, perché le persone non accolte sono quelle che eccedono il numero stabilito dal piano di accoglienza del Ministero. Se questo programma fosse attuato non ci sarebbero persone in strada. Ci si permette di evidenziare l’incongruità umana ed etica di questa affermazione: le persone non sono mai numeri, né eccedenze e come tali devono essere trattate comunque e sempre, in qualsiasi situazione e per qualsiasi periodo. Siamo molto delusi e critici per questa incapacità e per questo atteggiamento difensivo, per la mancanza di confronto e per il rifiuto di suggerimenti. Non entriamo nel merito se e come le comunità parrocchiali della nostra regione abbiano accolto l’invito di papa Francesco rivolto a tutte quelle dell’Europa. Ciascuna, a cominciare da quelle in cui viviamo come preti, risponderà al Vangelo di Gesù: “Ero forestiero e mi avete, o non mi avete accolto”. La nostra società e la nostra Chiesa nei prossimi decenni saranno profondamente diverse soprattutto per la convivenza di tante persone di cultura e fede religiosa diversa: infatti stanno arrivando i rappresentanti non di una o di qualche comunità o popolo, ma dall’umanità intera. Dipenderanno da noi, dalla cultura, dall’etica, dalla politica, dalla legislazione che oggi e nei prossimi mesi e anni sapremo esprimere la configurazione e la qualità di questa convivenza. Un compito immenso, arduo, ma possibile: del resto l’unico degno dell’umanità. Si sono accese nuovamente polemiche sulla presenza di simboli religiosi nelle scuole. Noi esprimiamo la convinzione dell’importanza di affermare la laicità, come dimensione di partenza per tutte le persone nelle scuole, nella politica, nelle istituzioni. L’autentica laicità garantisce il pluralismo delle culture e delle fedi religiose diverse. Consideriamo una grande possibilità storica, in termini religiosi una ‘grazia’ che le aule scolastiche diventino un laboratorio permanente dell’incontro fra le diversità, nella conoscenza, nel rispetto, nella reciprocità che arricchisce. I simboli e i canti religiosi delle diverse culture e fedi possono quindi diventare un’educazione continua, con attenzione a ciascuno di essi nei diversi momenti dell’anno scolastico. Avvertiamo tutto il resto come povertà culturale e spirituale e anche come grossolana strumentalità.

La cura della Madre Terra

Ci troviamo in un momento critico ed estremo della storia nel quale l’umanità è chiamata a scegliere il suo futuro: o stringiamo un’alleanza globale per prenderci cura della terra e gli uni degli altri o potremo assistere alla distruzione della nostra specie e della biodiversità. Le conseguenze della padronanza assoluta e dell’utilizzo strumentale e devastante da parte dell’uomo sono drammatiche; l’enciclica Laudato si’ di papa Francesco è un messaggio straordinario di denuncia, di proposte, di coinvolgimento personale e comunitario, spirituale e politico per cambiare radicalmente il paradigma da quello della conquista, del dominio, dello sfruttamento a quello ormai imprescindibile, senza alcun alibi o rinvio, della relazione che sollecita alla cura e alla responsabilità. La proposta è di un’ecologia integrale che comprende le questioni sociali economiche ed ambientali, quelle spirituali e politiche, gli stili di vita e l’impegno al cambiamento. Siamo parti di un tutto, in una stretta interdipendenza fra persone e ogni espressione della vita.

La Giustizia

In questa ecologia integrale una dimensione fondamentale è la giustizia che deriva dalla dignità stessa delle persone, delle comunità, dei popoli. Senza giustizia non ci sono pace, libertà, uguaglianza, democrazia. “Ascoltiamo tanto il grido della terra, quanto il grido dei poveri perché i gemiti della terra si uniscono ai gemiti degli abbandonati del mondo” (Laudato si’, 53). La corruzione e l’evasione fiscale sono diffuse e ramificate in modo impressionante: condividiamo con voi tutti l’esigenza di essere noi giusti per pretendere e gridare giustizia per i poveri di questa società e di tutto il Pianeta; gridare contro la cultura dello scarto che non solo impoverisce ma che anche elimina i poveri come scarti: lo scarto delle persone, del cibo e di tanti altri elementi diventano un unico e terribile scarto.

I carcerati

Sentiamo che vivere la misericordia ci coinvolge nella storia di ogni persona che incontriamo, perché è stata ed è usata misericordia dal Dio di Gesù. Nella misericordia trovano un’attenzione particolare i detenuti nelle nostre carceri, proprio perché per loro non c’è misericordia. Nella nostra società si vive tendenzialmente una propensione all’esclusione di chi ha sbagliato, alla reclusione in un mondo separato, al disinteresse per le storie delle persone. Sembrano prevalere piuttosto l’odio, il desiderio di vendetta, la logica del capro espiatorio, la dichiarazione di insignificanza e di mancanza di futuro. Nel constatare il fallimento delle carceri per come sono strutturate condividiamo con voi l’esigenza di una nuova cultura nel rapporto con chi ha sbagliato e con le loro vittime; nel prefigurare e poi attuare pene alternative al carcere, riparative, significative per l’umanizzazione che portano.

La celebrazione del Giubileo

Se la misericordia è costitutiva e permanente l’anno del Giubileo ad essa dedicato può diventare un tempo favorevole di riflessione, preghiera e impegno aperti all’umanità tutta, per comunicare e condividere accoglienza, riconoscimento umano, ascolto, compassione, perdono. Abbiamo colto con gioia il segno di Francesco di aprire la porta del Giubileo nel cuore dell’Africa. E’ l’apertura all’Africa, alle sue popolazioni, alle violenze e alle morti, alle speranze di riconciliazione e di futuro, alla ricchezza delle culture e delle fedi religiose, delle resistenze e dei progetti. Una porta semplice, di legno, profondamente significativa. In questo suo ultimo viaggio papa Francesco ha continuamente esortato a trasformare le negatività in situazioni positive, l’odio in amore, la guerra in pace, il potere in servizio, i muri in orizzonti, gli ostacoli in opportunità. Questo significa aprire le porte agli altri. Nell’anno del Giubileo alcuni simboli chiameranno a riflessione e indicheranno percorsi. Speriamo che siano percepibili, coinvolgenti e comunque provocatori di riflessione, di incontri, di confronti, di scelte operative rispetto alle grandi questioni della giustizia, della pace, della accoglienza, del perdono, della salvaguardia del Creato. Ad esempio sarebbe importante che nelle nostre Diocesi le ‘Porte Sante’ non fossero solo quelle delle cattedrali e delle basiliche, importanti certo, ma prevedibili e quasi ‘scontate’ ma ad esempio quelle di un carcere, di un luogo di accoglienza per i migranti, come a Udine Casa Immacolata fondata da don Emilio De Roja, a Trieste la Risiera di San Sabba e il dormitorio gestito dalla Comunità di San Martino al Campo, a Gorizia il luogo dove passava il confine e quello in cui Franco Basaglia ha iniziato la sua straordinaria rivoluzione della psichiatria; a Pordenone quella di una cooperativa sociale, un’abitazione per disabili e la casa di accoglienza “Oasi 2” per carcerati, la porta della base di Aviano, ora inaccessibile ma indicata come esigenza di costruire la pace; a Vicenza la porta antistante la base militare statunitense di Longare, dove da trent’anni, tutte le domeniche, un gruppo di operatori di pace sosta in silenziosa preghiera per il disarmo, per la cessazione di tutte le inutili stragi e perché possa finalmente fiorire la pace. La Porta Santa può essere dovunque le persone vivono, amano, soffrono, sono disponibili, vivono disperazioni e speranze e sempre desiderio di accoglienza, amore e comprensione. La Misericordia ci viene da Dio ed è per tutte le persone; a noi il compito di esprimere parole e segni credibili, con fiducia e perseveranza. Desideriamo in conclusione, testimoniare ancora una volta la nostra totale adesione al Vangelo di Gesù, perché essa continua a donarci gioia e speranza, sentimenti che, seppur nella difficoltà del tempo presente, continuano ad illuminare la nostra strada. Cammino che vogliamo condividere, nella luce del Natale, con tutti gli uomini e con tutte le donne di buona volontà.

I preti firmatari:

Pierluigi Di Piazza, Franco Saccavini, Mario Vatta, Pierino Ruffato, Paolo Iannaccone, Giacomo Tolot, Piergiorgio Rigolo, Renzo De Ros, Luigi Fontanot, Alberto De Nadai

 

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