Rita e Carla – una vita intera condivisa e vissuta tra i sinti ei rom

Torino
La comunità delle Suore da quarant’anni vive tra i sinti e rom

una presenza ecclesiale profetica

una testimonianza di Pio Caon:

Sono passati quasi 40 anni da quando la Comunità delle Suore Luigine di Alba ha deciso di vivere direttamente tra i Sinti e Rom nelle periferie torinesi.
La loro prima dimora è stata una vecchia carovana.
Era la fine degli anni 80. Poi a seguire altre sistemazioni in roulottes e baracche. Infine, in questi ultimi anni, una modesta casetta in muratura, nell’accampamento di Via Germagnano.
Una presenza di Chiesa profetica : accoglienza e rispetto del diverso.
Ogni giorno le suore hanno sperimentato, nell’incontro con i Sinti e Rom, il desiderio di rappresentare il Gesù che accoglie, che non allontana, che ascolta, perdona e non condanna.
Una presenza che non separa i buoni dai cattivi, i giusti da chi sbaglia.
Quarant’anni vissuti all’insegna dell’ accoglienza e della concreta attenzione con chi vive la sofferenza dell’emarginazione, con chi si trova in carcere, con chi è legato alle dipendenze, con chi vive situazioni di dolore e fatica.
Condivisione della cultura, lingua e tradizione del popolo sinto e rom
Vivendo tra i Sinti e Rom, le suore hanno fatto propria e rispettato la cultura nomade assumendone in pieno sfaccettature, valori e contraddizioni.
” Comunità – ponte ” tra due culture e mentalità.
La loro presenza è stata quella che il ministero missionario richiede: partecipare pienamente alla vita di un popolo vivendone le medesime condizioni sociali e culturali per poi rendere sensibili le comunità civili e cristiane a partire dal loro incontro.
Le suore infatti, oltre a vivere la vita nomade, hanno partecipato attivamente alla vita ecclesiale torinese. Le loro dimore hanno accolto indistintamente cattolici, ortodossi, mussulmani, atei.
Le porte delle loro baracche sono state aperte a tutti coloro che si avvicinavano, dal nomade al sedentario, ricco o povero, dal Sindaco di una grande città al cittadino comune, dal Vescovo all’ ultimo cristiano. Chiunque entrava nella loro carovana ne usciva beneficiato. Ciascuna persona ha sperimentato l’accoglienza, il dialogo, il confronto e la fiducia.
Chi si è seduto alla loro tavola non è uscito senza un caffè, un thè, un pasto o semplicemente un assaggio del loro cibo o un bicchiere d’acqua. Ma soprattutto attingendo dalla loro esperienza e arricchendosi della loro testimonianza.
Quarant ‘ anni all’insegna della sobrietà
Fin dall’inizio suor Carla e suor Rita hanno avvertito l’esigenza di vivere tra Sinti e Rom con uno stile di vita essenziale, esigente e sobrio.
Hanno sperimentato la povertà come scelta di libertà che riduce il consumo, le cose e i beni.
Il loro stile di vita silenzioso condannava l’ostentazione della ricchezza, sia dei Rom sia dei gagè, quando questa si esprimeva in beni di lusso, privilegi o scelte di potere.
Le diversità possono vivere insieme
La presenza di queste suore nel campo, in questi quarant’anni, lascia a chi le ha conosciute e a tutta la comunità civile e religiosa un grande messaggio: l’incontro con il diverso è possibile.
La loro vita è un segno concreto di speranza. Eppure non sono mancati momenti di tensione che hanno messo in crisi la loro scelta quando tra i nomadi sono esplosi momenti di rabbia e frustrazione scatenati da chi ha perso ogni prospettiva nel futuro e si abbandona alla violenza.
Nel campo non sempre le istituzioni sono presenti e la giustizia non è assicurata.
Ma ogni volta le suore hanno saputo ricominciare, come l’erba che si piega al vento, anche se a volte il prezzo da pagare è stato alto.
Le vostre idee camminano
Dalle righe di questo giornale vorremmo dire grazie alla Comunità delle Suore perché le loro idee camminano e vanno oltre l’esperienza, che la loro presenza ha fatto riflettere i Sinti e Rom perchè si sono sentiti amati, che la loro scelta ha incoraggiato tanti sedentari a mettersi in gioco e molti cristiani a verificare la via del confronto e dell’impegno, senza lasciarsi prendere dallo scoraggiamento.
Suor Rita e Suor Carla ci hanno insegnato che realizzare un “sogno” è ancora possibile
Pio Caon

come calpestare spudoratamente la sofferenza di due suore generose per demonizzare il popolo rom

 ogni giornalista lo sa: un messaggio si fa passare mettendo un titolo ad effetto anche se non rispondente al vero e una conclusione che ribadisca il messaggio desiderato (come il calcio dell’asino!): è perfetto a questo scopo l’articolo di ‘secoloditalia’ sulle due suore che a Torino dopo una vita dedicata ai rom, ricevendone reciprocamente stima e affetto, lasciano ora il campo per una situazione di grave abbandono da parte delle istituzioni amministrative e dell’ordine pubblico: articolo che strumentalizza spudoratamente  questa situazione per far passare il messaggio che le due suore tirino i remi in barca deluse e frustrate dal popolo rom che pensavano redimibile e invece si rendono conto – finalmente . che tutto era e resta “inutile”! La conclusione  dell’articolo non è che la ciliegina che dà il tocco di completezza al messaggio!
di seguito l’articolo uscito su ‘secoloditalia’:

anche le suore si arrendono:

“non aiuteremo più i rom, è inutile…”

Anche le suore si arrendono: “Non aiuteremo più i rom, è inutile…”

La loro storia mette tristezza e allo stesso tempo fa riflettere. Dopo 38 anni di volontariato nei campi rom di Torino, due suore, ormai anziane ma ancora attivissime, hanno deciso di ritirarsi, di non aiutare più i nomadi in quell’ambiente diventato pericoloso e ingestibile. Troppa prepotenza, arroganza, bugie su bambini mandati a scuola e invece tenuti al pascolo, risate contro i volontari, considerati intrusi. La vicenda, raccontata dalla Stampa, riguarda le suore Luigine, religiose, sorelle, 78 e 77 anni, dedite per una vita ad aiutare i sinti e i rom, negli ultimi quindici anni in via Germagnano, nel campo più importante di Torino.

“Troppe prepotenze e nessun ruolo dei genitori”

«Lì vivono 30 famiglie con la residenza, da cinque-sei anni quel campo vive un momento brutto. Le pietre lanciate di notte contro la roulotte di un poveretto da ragazzi, sono il segno che mancano i genitori, che non c’è più autorevolezza. La scuola è trascurata, i ragazzi non ci vanno, i genitori non insistono. Il pulmino che li portava non c’è più e per le famiglie è difficile accompagnarli: se li mettono sul furgone capita che appena usciti dal campo prendano la multa. Poi, l’impressione è che il diploma di terza media venga dato con una facilità che non è educativa”, è la sintesi del pensiero delle due suore raccolto dalla Stampa. Ma cos’è accaduto di così grave da far allontanare le due religiose? “Cinque-sei anni fa è arrivata gente che minacciava, bruciava le case, poi le occupava. Ora piazzano i camper dentro l’area, se ci sono controlli se ne vanno. Alcune famiglie in regola se ne sono andate. Noi – tengono a ribadire – non siamo andate via per i rom, ma per l’abbandono: nonostante questa situazione che colpisce i deboli, là non vanno più né vigili, né cooperative. I volontari vengono derisi. Ci avevano detto, in caso di necessità di chiamare la polizia, finito l’orario dei vigili, ma in sei mesi non è mai arrivata”.

Se si sono arrese loro, figuriamoci chi non ha l’aiuto della fede…

fonte: secoloditalia

le ‘suore luigine’ lasciano a Torino il campo rom ma non i rom

le suore lasciano i campi rom

“troppi prepotenti, costrette a mollare dopo trentotto anni”

le religiose:
“in via Germagnano serve la presenza delle forze dell’ordine e degli educatori”

suor Rita e suor Carla sono suore Luigine, una congregazione nata nel 1915 ad Alba

dal 1979 sono vissute prima tra i sinti e poi tra i rom della ex Jugoslavia

maria teresa martinengo

«vi chiudiamo dentro, così non andate via. Se ve ne andate questo campo non sarà più come prima»,

ha detto un capofamiglia rom a Rita e a Carla. Ma loro, le suore Luigine che hanno vissuto 38 anni nei campi nomadi di Torino, con le lacrime agli occhi un mese fa hanno lasciato la loro casetta di via Germagnano. «Avremmo voluto restare, ma la nostra età e le condizioni del campo non lo permettevano più», raccontano le religiose, sorelle, 78 e 77 anni. Una frase a testa, con serenità e malinconia insieme, le suore Luigine che ai sinti e ai rom hanno dedicato la vita, dando una mano con i bambini, con le medicazioni, con la burocrazia, raccontano.  

PRESENZA AMICA  

«La nostra è stata e continua ad essere, perché siamo già tornate più volte, una presenza di amicizia, condivisione di vita». Dal 1979 in via Lega, tra i sinti, poi all’Arrivore, gli ultimi quindici anni in via Germagnano. «Ma il campo comunale di via Germagnano, dove vivono 30 famiglie con la residenza, da cinque-sei anni vive un momento brutto. L’abbiamo detto in Comune: l’abbandono in cui versa è un segnale negativo per i rom prima di tutto». Le suore, che raramente si sono espresse in tutti questi anni, ammettono che «le pietre lanciate di notte contro la roulotte di un poveretto da ragazzi, sono il segno che mancano i genitori, che non c’è più autorevolezza». La scuola è trascurata. «I ragazzi non ci vanno, i genitori non insistono. Il pulmino che li portava non c’è più e per le famiglie è difficile accompagnarli: se li mettono sul furgone capita che appena usciti dal campo prendano la multa. Poi, l’impressione è che il diploma di terza media venga dato con una facilità che non è educativa».   

TROPPI PREPOTENTI  

Rita e Carla hanno pianto. «Saremmo rimaste, ma non aveva più senso stare in un posto di cui non si cura più nessuno. Per un po’ ci siamo fermate a pensare alla proposta che i sinti di via Lega, di fronte a via Germagnano, ci hanno fatto. Ci volevano di nuovo con loro, si sarebbero accollati la spesa per comperarci una casa mobile. Ma alla nostra età non avrebbe avuto senso. Così abbiamo accettato la casa che don Ciotti ci ha offerto», spiega Rita. «Certo – aggiunge la sorella, guardandosi intorno nell’appartamento dove si trovano provvisoriamente – per noi come per i rom è difficile abituarci a una casa. Il campo è un’altra vita. Al mattino presto là c’era sempre qualcuno che gridava se volevamo un caffè…».  

I problemi sono arrivati dai prepotenti. «Cinque-sei anni fa è arrivata gente che minacciava, bruciava le case, poi le occupava. Ora piazzano i camper dentro l’area, se ci sono controlli se ne vanno. Alcune famiglie in regola se ne sono andate. Noi – tengono a ribadire – non siamo andate via per i rom, ma per l’abbandono: nonostante questa situazione che colpisce i deboli, là non vanno più né vigili, né cooperative. I volontari vengono derisi. Ci avevano detto, in caso di necessità di chiamare la polizia, finito l’orario dei vigili, ma in sei mesi non è mai arrivata».  

LAVORO PER LE DONNE  

Per Rita e Carla un’altra estate là non sarebbe più stata possibile. Se avessero lasciato la casetta per qualche settimana di riposo, al ritorno probabilmente avrebbero trovato brutte sorprese. Per far sì che il Comune potesse assegnarla a una famiglia in regola e bisognosa, e non venisse, al contrario, occupata da prepotenti, le suore sono rimaste fino all’ultimo: «Mentre uscivamo – ricordano – è entrata una giovane coppia in attesa di un bimbo». Così anche le famiglie vicine in regola sono state protette. «C’era chi ci diceva: se la vostra casa se la prendono “quelli là” noi dovremo andare via». Rita e Carla le loro idee per restituire a via Germagnano un po’ di dignità le hanno spiegate in Comune: «Presenza delle forze dell’ordine, subito, lavoro educativo nel campo. E lavoro per le donne». 

a Torino la consulta per idiritti dei rom conculcati

Torino

i rom formano una Consulta per i diritti

“dal Pd ai fascisti record di manifestazioni contro di noi”

“In città è in atto una caccia alle streghe: nessuno si preoccupa delle soluzioni abitative per superare i campi”

di JACOPO RICCA

I rom torinesi fondano una Consulta per rappresentare le loro istanze e denunciano: “La politica continua a organizzare manifestazioni contro gli insediamenti presenti in città”. Hanno scelto l’8 aprile, data fondamentale per la cultura nomade dove si ricorda il primo congresso mondiale svoltosi a Londra nel 1971 e si celebra il “Romano Dives”, la Giornata Internazionale del popolo rom, per lanciare la prima consulta torinese che riunirà i rappresentanti degli insediamenti e delle tante comunità rom e sinte presenti in città.

L’organo politico sarà ospitato nella sede dell’associazione Idea Rom, presieduta da Vesna Vuletic, che in questi anni ha portato avanti le battaglie anche legali, come la costituzione di parte civile nel processo contro gli autori del rogo della Continassa, del popolo rom. Gli organizzatori però raccontano una situazione difficile in città, con la politica, da destra a sinistra, che continua a battersi contro di loro: “La Consulta Rom di Torino nasce in un clima da caccia alle streghe – attaccano – Proprio nella settimana in cui ricorre il primo atto politico mai messo in atto dalle comunità Rom, è stato raggiunto un record tutto particolare e cioè ben cinque manifestazioni politiche contro di noi. Si è iniziato con un incontro del Movimento 5 Stelle sul tema dei roghi tossici e della sicurezza sul bus 69, per poi passare a un convegno del Partito democratico sull’inquinamento ambientale prodotto dai rom, poi un presidio dei comitati contro l’insediamento di via Germagnano, quindi una conferenza stampa di Alemanno all’interno di un campo nomadi, fino a concludere la settimana con una manifestazione fascista nuovamente a ridosso di un insediamento”.

Parole dure che denunciano un clima di ostilità diffusa: “Nessuno o quasi che affronti il tema delle tante risorse in questi anni gettate al vento anziché utilizzate per affrontare i problemi – continuano gli animatori della Consulta – Pochi a sfiorare il tema delle soluzioni abitative e del lavoro come possibile via d’uscita per il superamento dei campi nomadi e degli annessi problemi”.

Secondo la stima della consulta, che si è definisce “un organismo politico di auto-rappresentanza che darà voce a chi non viene mai ascoltato, smascherando gli interessi che finora hanno impedito la vera soluzione dei problemi”, a Torino le persone di origine rom e Sinte sono circa 2.800 persone, che salgono a 5mila nella provincia e arrivano a 7mila se si considera tutto il Piemonte. “Anche Torino è una delle tante città italiane in cui migliaia di rom vivono ammassati nelle baraccopoli, istituzionali e non, che ne punteggiano le aree più marginali e degradate – concludono – Si tratta di persone a cui in pochi riconoscono la dignità di esseri umani, percepiti e trattati piuttosto come problema o corpo estraneo da espellere”.

i bambini rom di Torino scrivono a papa Francesco

 

caro papa Francesco

 così si rivolgono a papa Francesco i bambini rom del ‘campo’ di via Germagnano di Torino esprimendogli il loro desiderio e la loro contentezza grande se venendo a Torino per vedere la Sindone trova il modo di fare una visitina anche a loro avendogli dia raccontargli tante cose a  partire dai ‘posti brutti’ in cui sono costretti a vivere e dai “razzisti che non ci sopportano e ci vogliono mandare via perché ci odiano”

rom Torre del Lago

 

 

 

 

qui sotto la lettera inviata e il testo trascritto:

“Torino, marzo 2015
Caro papa Francesco, siamo bambini rom del campo via Germagnano 10
ti scriviamo anche per i rom e i sinti che sono nelle case popolari o nei terreni. Noi ti vediamo e ti ascoltiamo per la televisione. Un giorno hanno detto che tu vieni a Torino per vedere la Sindone. Noi siamo molto contenti. Siamo ancora più contenti se vieni a vedere anche noi. Le suore Rita e Carla che vivono nel campo con noi da tanti anni ci hanno detto che tu vuoi tanto bene alle persone che vivono nelle periferie. Ci sono anche a Torino e dentro ci sono delle periferie che sono i campi rom, dove viviamo noi. Qualcuno dice che sono la vergogna di Torino. Noi diciamo che si può anche vivere bene. Adesso sono diventati dei posti brutti ma è anche colpa nostra che non andiamo d’accordo e non ci rispettiamo. E poi ci sono i razzisti che non ci sopportano e ci vogliono mandare via perché ci odiano. Ci sono anche persone che ci vogliono bene, vengono in campo per aiutarci, per la scuola e per le feste. Poi ci sono gli amici di Rita e Carla che vengono: facciamo la preghiera e preghiamo anche per te.
I Sinti fanno anche il pellegrinaggio sulla montagna dalla Madonna. Noi a Torino abbiamo il vescovo Cesare che ci vuole bene. E’ venuto due volte nel campo per Natale. Anche noi siamo andati da lui per la festa dei popoli con tanta musica e tanta felicità. E anche nella casa che si chiama Migrantes il vescovo Cesare ci ha detto che è anche la nostra casa. E’ stato molto bello. Abbiamo anche fatto il carnevale.
Il vescovo Cesare per noi ha anche scritto un piccolo libro che si chiama ‘Lettera Pastorale’.
Noi ti aspettiamo che vieni a mangiare con noi. Vogliamo fare con te una grande foto. Se non hai tempo per venire allora veniamo noi nella grande piazza o nella chiesa, se ci fanno passare perché c’è tanta polizia.
Noi speriamo che ci scrivi ma non mandare la lettera nel campo perché si perde. Mandala al vescovo Cesare.
Ciao papa Francesco da i bambini del campo con Carla e Rita”
    

lettera al papa         lettera al papa1

demolizione!!! … ma all’orizzonte ‘europeo’ una speranza!

 

demolizione della vita!

dissacrazione della vita!

profanazione della vita!

vorrei capire quando i ‘pro vita’ decideranno una loro presenza ‘resistente’ a tutela integrale della vita!

 

 

 

 ma, nel momento della massima depressione, una bella notizia: forse tutto è sospeso!
così leggo in questa bella ricostruzione di Sergio Bontempelli: “di fronte all’imminente sgombero, però, alcune famiglie hanno deciso di rivolgersi alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo la quale – è notizia di queste ore – ha deciso di sospendere la demolizione del campo” :

Torino, sgombero bloccato

Sergio Bontempelli

24 marzo 2015

lungosturaÈ uno strano paese, l’Italia: l’unico, forse, in cui gli enti locali fanno progetti per «superare la logica degli sgomberi» e poi continuano a mandare le ruspe nei campi rom. E’ inoltre, se non proprio l’unico, il più pervicace – almeno in Europa – nel violare le norme internazionali sui diritti umani: soprattutto se quelle norme riguardano, per l’appunto, i rom e i sinti.

L’ultimo esempio viene da Torino: qui, il Comune ha promosso un programma di inserimento abitativo per le famiglie dei campi e, contemporaneamente, ha avviato un nuovo ciclo di sgomberi. Così, mentre decine di nuclei possono lasciare le loro baracche e entrare in vere e proprie case, per altre centinaia di persone è ricominciato l’incubo delle ruspe. Sembra un paradosso, eppure non è la prima volta che accade. Ma a questo punto sarà bene andare con ordine e vedere da vicino quel che è successo.

La Città Possibile
Dunque, si diceva, l’Amministrazione Comunale ha promosso, nel Dicembre 2013, un programma di «superamento dei campi» chiamato La Città Possibile. «Lo scopo del Progetto – si legge nella locandina di presentazione curata dagli enti gestori – è quello di realizzare percorsi efficaci di integrazione per circa 1300 persone di etnia rom». In pratica, gli interventi consistono nell’inserimento in alloggi, nell’aiuto per la ricerca di un lavoro, nella regolarizzazione delle pratiche di soggiorno e di residenza. Per i rom romeni che intendono tornare nel loro paese è previsto anche il rimpatrio assistito.

Fin qui, si tratta di un progetto ambizioso, che punta al superamento dei campi nomadi. Il programma, però, è rivolto a 1300 persone, mentre i rom sul territorio sono almeno il doppio: 2250 tra uomini, donne e bambini, secondo una rilevazione dell’Associazione 21 Luglio aggiornata al 2013, anno di inizio del progetto [si veda il dossier Figli dei Campi, pag. 30].

Beneficiari ed esclusi
Come sono stati selezionati, dunque, i beneficiari del progetto? Con quali criteri si è deciso di includere alcune famiglie per escluderne altre? Ma soprattutto: che fine fanno gli esclusi, quelli che non rientrano negli interventi di inserimento? Per la verità, le risposte date dal Comune a queste domande sono state sempre molto vaghe. E hanno suscitato le critiche degli osservatori più attenti: come Carlo Stasolla, presidente dell’Associazione 21 Luglio, che ha seguito sin dall’inizio tutta la vicenda.

Tra i criteri individuati da Palazzo Civico per selezionare i beneficiari c’è quello della legalità (sono stati esclusi i rom che hanno commesso reati gravi) e quello del censimento (usufruiscono degli interventi solo i nuclei censiti dagli uffici comunali prima dell’avvio del progetto). «Si tratta di criteri molto discutibili – ci spiega Stasolla – Se un rom ha compiuto un reato, di fatto viene condannata tutta la sua famiglia, minori compresi. Quanto al censimento, si rischia di escludere alcune persone in modo casuale, magari perché al momento della rilevazione non erano a Torino».

Ma il punto più delicato sta nella sorte degli esclusi: già, perché tutti coloro che non rientrano nel progetto sono di fatto consegnati ai «soliti» sgomberi. Lo dimostra proprio la recentissima vicenda del Lungo Stura Lazio.

Lungo Stura Lazio, ripartono gli sgomberi
Il campo di «Lungo Stura Lazio» è uno dei maggiori insediamenti di Torino. Qui vivevano qualche mese fa più di 120 famiglie, per un totale di 850 persone: con l’avvio del programma Le Città Possibili, molti nuclei hanno lasciato il campo e si sono visti assegnare delle vere e proprie case. Ma, appunto, restava da capire il destino degli «esclusi».

«La risposta del Comune è stata chiarissima – ci spiega ancora il Presidente dell’Associazione 21 Luglio – tutte le famiglie non beneficiarie devono essere sgomberate, allontanate senza alternative: devono andarsene e basta». Gli sgomberi sono iniziati già nel mese di Febbraio, ma l’allontanamento definitivo era previsto entro il 31 Marzo. «La demolizione dei campi – si accalora Stasolla – è illegale se non vengono proposte delle alternative. Questi sgomberi sono una macchia indelebile, una luce oscura sull’intera azione del Comune di Torino».

Sulla stessa lunghezza d’onda anche l’eurodeputata Barbara Spinelli, che ha inviato una lettera al Prefetto di Torino: gli sgomberi, si legge nella missiva, non possono avvenire se non è rispettato «il diritto a un alloggio dignitoso per tutti».

La decisione della Corte Europea
Di fronte all’imminente sgombero, però, alcune famiglie hanno deciso di rivolgersi alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo la quale – è notizia di queste ore – ha deciso di sospendere la demolizione del campo. A seguire il ricorso è Gianluca Vitale, avvocato torinese e dirigente dell’Asgi (l’Associazione di Studi Giuridici sull’Immigrazione), che abbiamo raggiunto per telefono. «È presto per cantare vittoria – spiega – la Corte non è entrata nel merito, cioè non ha detto se lo sgombero è legittimo o meno. Si è limitata a concedere una sospensione in attesa di chiarimenti».

Eppure, a vederlo dall’esterno, si tratta di un risultato in qualche modo storico: perché, se la memoria non ci inganna, è la prima volta che una corte internazionale interviene per bloccare uno sgombero (di solito, le sentenze venivano pronunciate ex post, a demolizione avvenuta). «Sicuramente è una buona premessa – spiega ancora Vitale – Nella nostra memoria difensiva abbiamo spiegato che lo sgombero viola il diritto alla vita privata e familiare, e comunque deve essere eseguito garantendo una qualche sistemazione alle persone coinvolte. Cosa che non è avvenuta nel caso di Lungo Stura Lazio. Vedremo come si pronuncerà la Corte nel merito».

Uomini e topi
Finché si parla del ricorso alla Corte Europea, Vitale ha una voce pacata, argomenta con calma, soppesa attentamente le parole. Poi però il discorso cade sulle polemiche cittadine che, inevitabilmente, hanno accompagnato le notizie degli ultimi giorni: qui, l’avvocato perde la sua flemma «sabauda» e non nasconde la sua rabbia.

«È stato detto che lo sgombero è necessario, perché gli esseri umani non possono vivere in mezzo ai topi – si accalora Vitale – e su questo siamo d’accordo: nessuno deve vivere in mezzo ai topi. Ma se sgomberi una famiglia e non garantisci delle alternative, dove andranno a vivere queste persone?».

La domanda è retorica e, infatti, Vitale ha già la risposta pronta: «è evidente che andranno a vivere sempre in mezzo ai topi, ma da un’altra parte, magari lontano dai nostri occhi…a me pare che questo sia uno sgombero Nimby, come dicono gli inglesi: voglio dire, c’è qualcuno che vuole i rom “Nimby”, cioè “Not In My BackYard”, non nel mio cortile di casa…questo mi pare il problema vero».

Sergio Bontempelli

un’altra rottamazione di … rom

 

 

rottamazione rom

Torino: il maxi sgombero forzato di 200 rom

 

“dacci oggi la nostra rottaamazione quotidiana di rom”

dal sito ’21 luglio’ la puntuale relazione documentata sul posto in diretta dello sgombero forzato di 51 famiglie, che l’Associazione stessa definisce “illegale secondo il diritto internazionale e non rispettosa degli standard e delle garanzie procedurali previste dal Comitato sui Diritti Economici, Sociali e Culturali delle Nazioni Unite”

Da questa mattina è in corso lo sgombero forzato di 51 famiglie rom dal Settore 1 dell’insediamento informale Lungo Stura Lazio a Torino. Per l’Associazione 21 luglio – da alcuni giorni presente sul posto con un osservatore – lo sgombero forzato si configura come un’azione illegale secondo il diritto internazionale e non rispettosa degli standard e delle garanzie procedurali previste dal Comitato sui Diritti Economici, Sociali e Culturali delle Nazioni Unite.

L’azione, inoltre, si pone in aperto contrasto con quanto affermato proprio nei giorni scorsi dalla Commissione Europea contro il razzismo e l’intolleranza del Consiglio d’Europa (ECRI), che aveva sottolineato come l’Italia stia continuando a realizzare sgomberi senza offrire le necessarie garanzie alle persone interessate.

Le operazioni di sgombero sono iniziate alle ore 7 di stamane e sono condotte da polizia locale e polizia di Stato con l’ausilio della Croce Rossa. Sul posto sono presenti due ruspe meccaniche che dalle ore 9 hanno dato inizio all’abbattimento delle abitazioni. Le operazioni coinvolgeranno nelle prossime ore 199 persone di cittadinanza rumena, pari a 51 nuclei familiari. Tra di loro 5 donne in stato di gravidanza e 62 minori, di cui 16 frequentanti la scuola dell’obbligo e uno la scuola dell’infanzia.

L’insediamento informale Lungo Stura Lazio è presente da diversi anni e al suo interno si sta organizzando il progetto del Comune di Torino denominato “La Città possibile”. L’obiettivo del progetto è realizzare percorsi efficaci di integrazione e di cittadinanza per circa un migliaio di persone rom selezionate, di comune accordo con i servizi della Città di Torino e con la Questura di Torino. Tale progetto include solo i soggetti beneficiari mentre per le famiglie classificate dalle autorità come “non beneficiarie” non è previsto alcun tipo di intervento volto all’inclusione.

Nelle settimane passate, alcuni rappresentanti della Polizia Municipale avevano comunicato verbalmente, in assenza di notifica scritta, l’imminente sgombero alle famiglie residenti non beneficiarie del progetto. Lo sgombero di oggi, oltre a comportare la distruzione delle abitazioni e l’allontanamento delle persone che le abitavano, avrà come conseguenza anche la probabile interruzione scolastica per i minori frequentanti la scuola dell’obbligo.

Lo sgombero, così così come pianificato e realizzato, si pone in violazione delle garanzie procedurali che devono essere rispettate nel condurre gli sgomberi, indicate dal Comitato sui Diritti Economici, Sociali e Culturali delle Nazioni Unite. Il suddetto Comitato stabilisce, tra i vari criteri, la necessità che lo sgombero sia accompagnato da una genuina consultazione con gli interessati e dalla valutazione di possibili alternative allo sgombero e che sia offerta agli interessati la possibilità di fare ricorso legale; che lo sgombero non abbia l’esito di rendere senza tetto le persone coinvolte, né di renderle vulnerabili a ulteriori violazioni di altri diritti umani; che qualora le persone coinvolte non siano in grado di provvedere a se stesse, a queste vengano offerte alternative abitative adeguate.

Il 23 febbraio 2015 l’Associazione 21 luglio – in una lettera inviata alle autorità torinesi – aveva scritto che «in assenza delle suddette garanzie l’operazione di sgombero forzato delle famiglie rom residenti nel Settore 1 dell’insediamento di Lungo Stura Lazio, oltre a comportare di per sé una grave violazione dei diritti umani, avrebbe l’esito non di risolvere l’attuale oggettiva inadeguatezza dell’alloggio, ma di reiterarla altrove esacerbando ulteriormente la condizione di vita e rendendo ulteriormente vulnerabili le famiglie coinvolte».

Nella missiva veniva chiesto un intervento urgente «volto a ricondurre tale operazione di sgombero entro un ambito di legalità, attraverso l’apertura di un dialogo con le famiglie rom coinvolte e attraverso l’identificazione preventiva all’operazione di sgombero dell’offerta di soluzioni abitative alternative adeguate rivolta a coloro che non siano in grado di provvedere a loro stessi».

Malgrado l’appello, nella giornata odierna le autorità locali hanno optato per lo sgombero forzato che, secondo l’Associazione 21 luglio oltre a rappresentare una grave violazione dei diritti umani, costituisce un innegabile passo indietro rispetto ai contenuti espressi all’interno della Strategia Nazionale di Inclusione dei Rom, Sinti e Caminanti adottata dal governo italiano in attuazione della Comunicazione della Commissione europea n.173/2011.

ma, intanto:

Corte Europea, stop a sgombero campo Rom

I giudici hanno accolto ricorso di cinque famiglie

 TORINO, 19 MAR – La Corte europea per i diritti dell’uomo ha sospeso lo sgombero del campo nomadi di Lungostura Lazio a Torino, abitato da rom di origine romena. I giudici, accogliendo un ricorso di cinque famiglie, ha bloccato le procedure fino al 26 marzo, ordinando al governo italiano di fornire informazioni sulla sistemazione degli occupanti.

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