un prete italiano scrive al papa sul celibato

Francesco papa
Un prete aquilano scrive a Papa Bergoglio “Il celibato non è dogma, concedici il matrimonio” Un sacerdote affida ad una ‘lettera al direttore’ de ‘il centro’ il suo appello: “Caro Francesco, modernizza la Chiesa di Roma”
Caro direttore, chieda al Papa a nome mio e di tanti altri preti, quando la Chiesa si sveglierà nell’approvare il celibato facoltativo dei sacerdoti! il Cardinale Martini aveva ragione a dire che la Chiesa è indiet…ro di 200 anni. Apprezzo il celibato, ma la Bibbia, soprattutto le lettere pastorali di Paolo, ci fa capire che il celibato non va imposto. San Paolo attacca chi vieta il matrimonio definendolo falso profeta…. San Paolo scrive che i preti, vescovi e diaconi dovevano essere uomini di una sola moglie. Quindi sposati una sola volta. Rimasti vedovi, penso potevano risposarsi. Così mi insegnò pure un mio prof della facoltà teologica. La chiesa cattolica di rito bizantino e maronita permette ai seminaristi di sposarsi, ma devono decidere prima del diaconato. Abbiamo infatti preti bizantini e maroniti sposati! Caro Papa Francesco, ti voglio bene e mi commuovi perché parli col cuore libero…allora ti chiedo: perché la chiesa cattolica romana di rito latino non rivede la norma sul celibato obbligatorio? La trovo una norma stupida, anti biblica! Il celibato deve essere facoltativo.
Alcuni miei amici preti bravissimi sono stati costretti a lasciare il sacerdozio perché si sono innamorati seriamente di una donna. Ora hanno famiglia, figli e sanno cosa è il sacrificio e la gioia di guidare la famiglia piccola chiesa domestica. Sono preti che potrebbero benissimo essere reinseriti nella Chiesa vista la crisi grave di vocazioni. Preti omosessuali, che rispetto e stimo, possono invece continuare a fare i preti. Convivono pure col compagno e nessuno dice nulla. Se invece ti vedono con una donna, subito la gente bigotta e fissata inizia a pensare male quando invece non c’è nulla di male se c’è amore vero!! Siamo indietro di 200 anni…
Caro cardinal Martini dal Cielo, aiuta Papa Francesco insieme allo Spirito Santo a portare la Chiesa verso nuovi orizzonti. Basta liberarsi dai pensieri farisaici e ipocriti. Il bello è che Papa Giovanni Paolo II parlò bene del matrimonio dei preti quando approvò il codice di diritto canonico per le chiese orientali. Bellissimo il libro di Donald Cozzens “Verso un volto nuovo del sacerdozio” (Queriniana). Cozzens, prete psicologo americano, scrisse questo libro dopo gli scandali dei preti pedofili. Il vescovo don Tonino Bello, morto in concetto di santità, nel libricino intervista “Chiesa di parte”, scrisse che il celibato è un dazio e ciò non va bene. Profetizzò che in futuro uomini sposati sarebbero diventati preti! Don Tonino Bello vescovo ha la stessa tempra del Papa. Peccato che pure don Tonino è salito al Cielo, ma Dio sa come fare. Don Andrea Gallo, nel suo libro “Come un cane in Chiesa” ci aiuta a riflettere su temi che danno fastidio a certi uomini di Chiesa ultra moralisti e retrogradi.
Non voglio fare polemica, ma questa mia lettera vuole essere una critica rispettosa e costruttiva verso la Santa Sede. L’Abbe Pierre, nel suo libro “Mio Dio perché”, ci aiuta come don Gallo ad aprire gli occhi pure sulla castità repressa e bloccante. Ben venga la castità, ma ben vengano pure i rapporti sessuali fatti con amore vero e vita! Ci vuole equilibrio e ci vuole una morale più aperta se no la scienza teologica viene meno! Ben vengano i valori e i principi! Ma sono stufo di difendere una teologia morale obsoleta e fossilizzata.Credo nell’amore infinito di Dio. Dio ci ama e questo è il tempo della Misericordia Infinita di Dio. Poi sarà la Fine!
Cara Chiesa, ritorna alle origini e apri gli occhi!! Caro Papa Francesco, grazie per aver scelto mons. Parolin come nuovo segretario di Stato: ha già detto che il celibato non è un dogma! E bravo pure il cardinale Hummes, ex prefetto della Congregazione per il clero che fu messo a tacere perché pure lui disse che il celibato dei preti non È un dogma.
Caro Papa Francesco grazie per aver parlato delle lobby gay del Vaticano. Sei un Papa eccezionale e senza peli sulla lingua. Non sono arrabbiato con i gay, li rispetto e li accolgo come fratelli. Sono arrabbiato con gli ipocriti e li affido alla potenza rinnovatrice di amore dello Spirito Santo.
Caro Papa se mi vuoi contattare chiama il direttore del giornale, ma non punirmi. Anzi ti chiedo scusa se mi sono sfogato così apertamente. Prega per me caro Papa e se mi chiami non dirò di questa nostra mail perché ho paura di certi monsignori, vescovi e cardinali che sono indietro di 200 anni. Ma di te caro Papa non ho paura e ti voglio tanto bene. Prega per me perché sono un po’ in crisi, ma ho tanta voglia di amare, di evangelizzare, di celebrare con amore e gioia L’Eucarestia fonte e culmine della vita cristiana. Sono in crisi perché non esiste più una Fede matura. Poca gente frequenta i sacramenti con sincerità. Gli altri lo fanno solo per tradizione ma i loro cuori sono lontani da Dio. Ogni giorno nella mia parrocchia e altrove devo lottare contro i farisei ipocriti o contro un certo fanatismo deviante. I cristiani veri sono pochi. Pazienza, meglio pochi ma buoni.
Un sacerdote aquilano
(ilcentro)
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Lettera aperta a papa Francesco di un vescovo

abbracio papale

Lettera aperta di Claude Dagens, vescovo di Angoulême a papa Francesco: grazie di averci consigliato non solo una pastorale dell’accoglienza ma del cammino, per formare una chiesa “capace di decifrare la notte contenuta nella fuga di tanti fratelli e sorelle da Gerusalemme”
in “La Croix” del 30 settembre 2013 (traduzione: www.finesettimana.org)

Caro papa Francesco, l’indomani della sua elezione, nel marzo 2013, il nostro amico cardinale francese Roger Etchegaray le ha inviato una poesia nella quale esprimeva con finezza la sua gioia e la sua fiducia. Mi permetta di esprimerle oggi la mia viva riconoscenza per le riflessioni che ha voluto affidare alle rivista dirette dai suoi fratelli gesuiti. Tutti percepiscono due insistenze particolarmente forti nelle sue parole: la priorità del rinnovamento della vita cristiana rispetto alla riforme istituzionali e l’appello a non mettere i problemi morali e le soluzioni disciplinari al posto dell’essenziale, che si trova nella Rivelazione di Gesù Cristo Salvatore. Queste due insistenze sono profondamente rivelatrici e anche molto tradizionali. Tutti coloro che hanno letto Vera e falsa riforma della Chiesa di padre Yves-Marie Congar  sanno bene che, in tutto il corso della storia, le riforme nella Chiesa sono inseparabili da un lavoro in profondità che ridà a Gesù Cristo il suo posto centrale nella fede e nella vita cristiana. Benedetto, Francesco, Ignazio e molti altri, sono stati donati da Dio per suscitare quel rinnovamento spirituale che prepara le trasformazioni di strutture. Grazie di ripeterci che “la prima riforma deve essere quella del modo di essere” e che “i ministri del Vangelo devono essere degli uomini capaci di riscaldare il cuore delle persone, di camminare nella notte con loro, di saper dialogare e anche di scendere nella loro notte, nel loro buio senza perdersi”. Che belle scoperte e che begli incontri ci aspettano allora, su quelle strade aperte! Quanto alla morale cristiana, a partire dal Vangelo e come nelle lettere dell’apostolo Paolo, essa deriva dalla Rivelazione di Cristo che “viene a cercare e a salvare ciò che era perduto” (Luca 19,10). Grazie, papa Francesco, di avercelo detto che chiarezza: “ Non possiamo insistere solo sulle questioni legate ad aborto, matrimonio omosessuale e uso dei metodi contraccettivi”, e “dobbiamo trovare un nuovo equilibrio, altrimenti anche l’edificio morale della Chiesa rischia di cadere come un castello di carte, di perdere la freschezza e il profumo del Vangelo”. Ma possiamo fin d’ora, come ha consigliato ai vescovi del Brasile, praticare la pastorale non solo dell’accoglienza, ma del cammino, alla luce della racconto dei pellegrini di Emmaus, formando “una Chiesa capace di decifrare la notte contenuta nella fuga di tanti fratelli e sorelle da Gerusalemme”. Grazie, caro papa Francesco, di incoraggiarci a questo lavoro continuo di presenza e di discernimento. Ma la cosa più bella delle sue riflessioni mi sembra ancor di più, non nell’apertura al mondo, come abbiamo detto talvolta in maniera ingenua, ma nel suo appello all’apertura esigente del cuore e dell’intelligenza, che impedisce ogni propensione al ripiegamento e alla diffidenza, e anche al sogno “occupare spazi di potere”. Mi auguro che il suo avvertimento sia ascoltato: “Le lamentele mai ci aiutano a trovare Dio. Le lamentele di oggi su come va il mondo ‘barbaro’ finiscono a volte per far nascere dentro la Chiesa desideri di ordine inteso come pura conservazione, difesa. No: Dio va incontrato nell’oggi”. Questa concezione così tradizionale della presenza di Dio nella storia mi fa pensare a padre de Lubac e alla sua Meditazione sulla Chiesa, scritta verso il 1953, in un’epoca in cui era messo a dura prova. Quell’uomo di cuore e di intelligenza ha attinto allora nelle fonti cristiane questo modo aperto di intendere la fede, che lascia spazio all’incertezza umana per dare tutte le sue chances a ciò che Dio ci rivela e ci dà. Caro papa Francesco, avrei ancora molte cose da dirle, ringraziandola per aver parlato di quei pittori, di quei musicisti e di quegli scrittori che lei ama. Spesso ho contemplato il quadro di Caravaggio a San Luigi dei Francesi, e quel raggio di luce che va da Gesù al pubblicano Matteo, “quel peccatore su cui si è posato lo sguardo di Gesù”. Mi piace anche molto, a poca distanza, nella chiesa di Sant’Agostino, la Madonna dei pellegrini, sempre di Caravaggio. Nelle braccia di
sua madre, il Bambino Gesù irradia luce, e Maria si rivolge a quell’uomo e a quella donna anziani che sono inginocchiati davanti a lei. L’uomo e la donna pregano entrambi, ma in modi diversi. L’uomo è curvo, implorante e si vedono i suoi piedi nudi a terra. La donna, invece, è come in dialogo con la Madonna, la guarda, la ringrazia, mentre l’uomo si rivolge piuttosto al Bambino che lo benedice. Il mistero della nostra umanità è lì rappresentato: la presenza illuminante di Gesù, l’amore di sua madre e quel bell’abbandono dell’uomo e della donna che vivono un momento di eternità. Ecco il mistero della Chiesa: nella notte da cui sorge la luce, continuiamo a camminare, e Dio è lì, e la sua benedizione ci accompagna! Grazie, caro papa Francesco, di essere con noi su questo cammino aperto! Che lo Spirito Santo le conceda di aprirlo ancor di più, in nome della misericordia di Cristo!

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contro l’indifferenza!

amici

una vera e propria ode alla partecipazione, al coinvolgimento, alla responsabilità di A. Gramsci

Odio gli indifferenti. Credo che vivere voglia dire essere partigiani. Chi vive veramente non può non essere cittadino e partigiano. L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti.

L’indifferenza è il peso morto della storia. L’indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera. È la fatalità; è ciò su cui non si può contare; è ciò che sconvolge i programmi, che rovescia i piani meglio costruiti; è la materia bruta che strozza l’intelligenza. Ciò che succede, il male che si abbatte su tutti, avviene perché la massa degli uomini abdica alla sua volontà, lascia promulgare le leggi che solo la rivolta potrà abrogare, lascia salire al potere uomini che poi solo un ammutinamento potrà rovesciare. Tra l’assenteismo e l’indifferenza poche mani, non sorvegliate da alcun controllo, tessono la tela della vita collettiva, e la massa ignora, perché non se ne preoccupa; e allora sembra sia la fatalità a travolgere tutto e tutti, sembra che la storia non sia altro che un enorme fenomeno naturale, un’eruzione, un terremoto del quale rimangono vittime tutti, chi ha voluto e chi non ha voluto, chi sapeva e chi non sapeva, chi era stato attivo e chi indifferente. Alcuni piagnucolano pietosamente, altri bestemmiano oscenamente, ma nessuno o pochi si domandano: se avessi fatto anch’io il mio dovere, se avessi cercato di far valere la mia volontà, sarebbe successo ciò che è successo?

Odio gli indifferenti anche per questo: perché mi dà fastidio il loro piagnisteo da eterni innocenti. Chiedo conto a ognuno di loro del come ha svolto il compito che la vita gli ha posto e gli pone quotidianamente, di ciò che ha fatto e specialmente di ciò che non ha fatto. E sento di poter essere inesorabile, di non dover sprecare la mia pietà, di non dover spartire con loro le mie lacrime.

Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti”.

11 febbraio 1917 Antonio Gramsci

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