l’Osservatore Romano ‘sdogana’ la teologia della liberazione

 

Gutierrez Gustavo Gutierrez

papa Francesco impone una svolta anche all’Osservatore Romano:

L’Osservatore Romano “sdogana”  addirittura la Teologia della liberazione

«Con un Papa latinoamericano, la teologia della liberazione non poteva rimanere a lungo nel cono d’ombra nel quale è stata relegata da alcuni anni, almeno in Europa».

Le parole di padre Ugo Sartorio sottolineano l’iniziativa dell’Osservatore Rimane da dare ampio spazio, nell’edizione di domani, a scritti del teologo peruviano padre Gustavo Gutierrez, domenicano, considerato il fondatore della teologia della liberazione.

Il quotidiano della Santa Sede, che «sdogana» così una corrente teologica a lungo emarginata per i casi di commistione con l’ideologia marxista, pubblica stralci del libro di Gutierrez «Dalla parte dei poveri. Teologia della liberazione, teologia della Chiesa» (Editrice Missionaria Italiana), dedicati ai poveri come «preferiti di Dio» e contro il «neoliberismo economico» e la «disumanizzazione dell’economia».

«I contributi di Gustavo Gutierrez hanno reso evidente a noi che siamo qui in Europa una cosa – sottolinea mons. Gerhard Ludwig Mueller, prefetto della Congregazione per la Dottrina della fede ed estimatore del teologo peruviano -, questa: l’ingiustizia nel mondo è un fattore che permane e che può essere superato solo con la disponibilità di tutti gli uomini a dirigere lo sguardo verso Cristo».

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le censure delcard. Cipriani

 

da Adista:

PERÙ: IL CARD. CIPRIANI CENSURA LA TEOLOGA FORCADES. MA CI RIESCE SOLO A METÀ

L’instancabile card. Juan Luis Cipriani, arcivescovo opusdeista di Lima e presidente della Conferenza episcopale del Perù, ha colpito ancora. Stavolta nel suo mirino è finita suor Teresa Forcades, monaca benedettina catalana, laureata in Medicina e in Teologia fondamentale, saggista nel campo della medicina sociale, della teologia trinitaria e di quella femminista: insomma senz’altro la persona giusta per un ciclo di conferenze sul tema della Trinità, come quello organizzato dalla Conferencia de Superiores Mayores Religiosos del Perú (Confer) presso la propria sede, a Lima, dal 12 al 14 agosto scorsi.

Non dello stesso avviso evidentemente il card. Cipriani che, in una lettera del 9 agosto indirizzata alla presidente della Confer, suor Lidia Aguilar (diffusa il 12 agosto da Infocatolica.com), ha negato a suor Forcades l’autorizzazione a partecipare a questo seminario. «Mi rivolgo a lei – scrive l’arcivescovo di Lima – per informarla che alcuni fedeli mi hanno espresso preoccupazione per l’annuncio da parte della Confer della presenza nella giurisdizione ecclesiastica di Lima di suor Teresa Forcades, le cui esternazioni mediatiche manifestano una seria contraddizione con l’insegnamento della Chiesa su temi fondamentali come per esempio quello della morale» (Cipriani non scende nel dettaglio, ma suor Forcades è nota per aver espresso posizioni piuttosto aperte in materia di aborto e matrimonio omosessuale, v. Adista Notizie n. 69/11). «Le ricordo – prosegue il cardinale nella sua missiva – che secondo i canoni 381, 391, 756 e 678 del Codice di Diritto Canonico è potestà del vescovo diocesano vegliare sulla retta dottrina nella propria giurisdizione, motivo per cui non autorizzo suor Forcades a partecipare a queste conferenze».

L’intervento del card. Cipriani ha centrato parzialmente l’obiettivo: l’evento, seppure non nei locali della Confer, come inizialmente previsto, ha infatti avuto luogo, ospitato dal Concilio Nacional Evangélico del Perú (Conep).

Per le sue prese di posizione, suor Forcades è già incorsa in altre reprimende. Nel 2009, a seguito di un’intervista alla TV3 durante la quale aveva espresso la propria opinione in merito al diritto all’autodeterminazione delle donne, il card. Franc Rodé, allora prefetto della Congregazione per gli Istituti di Vita consacrata e per le Società di Vita apostolica, inviò una lettera alla sua badessa in cui si esigeva che suor Forcades manifestasse pubblicamente la sua adesione alla dottrina cattolica. Suor Forcades accolse la richiesta, ma precisando le sue idee in materia e sottolineando che il rispetto della funzione magisteriale della Chiesa non «esclude la manifestazione pubblica di ipotesi ragionevoli che possano far avanzare il magistero ecclesiale secondo la volontà di Dio»: «Nessun cattolico, che sia o meno teologo – scriveva suor Forcades – deve avere timore di esprimere pubblicamente dubbi ragionevoli in relazione a un punto dottrinale, con la serenità e la libertà propria dei figli di Dio». (ingrid colanicchia)

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l’angelus della pace

il papa

Piazza San Pietro

Domenica, 1° settembre 2013

Cari fratelli e sorelle,
buongiorno!

Quest’oggi, cari fratelli e sorelle, vorrei farmi interprete del grido che sale da ogni parte della terra, da ogni popolo, dal cuore di ognuno, dall’unica grande famiglia che è l’umanità, con angoscia crescente: è il grido della pace! E’ il grido che dice con forza: vogliamo un mondo di pace, vogliamo essere uomini e donne di pace, vogliamo che in questa nostra società, dilaniata da divisioni e da conflitti, scoppi la pace; mai più la guerra! Mai più la guerra! La pace è un dono troppo prezioso, che deve essere promosso e tutelato.

Vivo con particolare sofferenza e preoccupazione le tante situazioni di conflitto che ci sono in questa nostra terra, ma, in questi giorni, il mio cuore è profondamente ferito da quello che sta accadendo in Siria e angosciato per i drammatici sviluppi che si prospettano.

Rivolgo un forte Appello per la pace, un Appello che nasce dall’intimo di me stesso! Quanta sofferenza, quanta devastazione, quanto dolore ha portato e porta l’uso delle armi in quel martoriato Paese, specialmente tra la popolazione civile e inerme! Pensiamo: quanti bambini non potranno vedere la luce del futuro! Con particolare fermezza condanno l’uso delle armi chimiche! Vi dico che ho ancora fisse nella mente e nel cuore le terribili immagini dei giorni scorsi! C’è un giudizio di Dio e anche un giudizio della storia sulle nostre azioni a cui non si può sfuggire! Non è mai l’uso della violenza che porta alla pace. Guerra chiama guerra, violenza chiama violenza!

Con tutta la mia forza, chiedo alle parti in conflitto di ascoltare la voce della propria coscienza, di non chiudersi nei propri interessi, ma di guardare all’altro come ad un fratello e di intraprendere con coraggio e con decisione la via dell’incontro e del negoziato, superando la cieca contrapposizione. Con altrettanta forza esorto anche la Comunità Internazionale a fare ogni sforzo per promuovere, senza ulteriore indugio, iniziative chiare per la pace in quella Nazione, basate sul dialogo e sul negoziato, per il bene dell’intera popolazione siriana.

Non sia risparmiato alcuno sforzo per garantire assistenza umanitaria a chi è colpito da questo terribile conflitto, in particolare agli sfollati nel Paese e ai numerosi profughi nei Paesi vicini. Agli operatori umanitari, impegnati ad alleviare le sofferenze della popolazione, sia assicurata la possibilità di prestare il necessario aiuto.

Che cosa possiamo fare noi per la pace nel mondo? Come diceva Papa Giovanni: a tutti spetta il compito di ricomporre i rapporti di convivenza nella giustizia e nell’amore (cfr Lett. enc.Pacem in terris [11 aprile 1963]: AAS 55 [1963], 301-302).

Una catena di impegno per la pace unisca tutti gli uomini e le donne di buona volontà! E’ un forte e pressante invito che rivolgo all’intera Chiesa Cattolica, ma che estendo a tutti i cristiani di altre Confessioni, agli uomini e donne di ogni Religione e anche a quei fratelli e sorelle che non credono: la pace è un bene che supera ogni barriera, perché è un bene di tutta l’umanità.

Ripeto a voce alta: non è la cultura dello scontro, la cultura del conflitto quella che costruisce la convivenza nei popoli e tra i popoli, ma questa: la cultura dell’incontro, la cultura del dialogo; questa è l’unica strada per la pace.

Il grido della pace si levi alto perché giunga al cuore di tutti e tutti depongano le armi e si lascino guidare dall’anelito di pace.

Per questo, fratelli e sorelle, ho deciso di indire per tutta la Chiesa, il 7 settembre prossimo, vigilia della ricorrenza della Natività di Maria, Regina della Pace, una giornata di digiuno e di preghiera per la pace in Siria, in Medio Oriente, e nel mondo intero, e anche invito ad unirsi a questa iniziativa, nel modo che riterranno più opportuno, i fratelli cristiani non cattolici, gli appartenenti alle altre Religioni e gli uomini di buona volontà.

Il 7 settembre in Piazza San Pietro – qui – dalle ore 19.00 alle ore 24.00, ci riuniremo in preghiera e in spirito di penitenza per invocare da Dio questo grande dono per l’amata Nazione siriana e per tutte le situazioni di conflitto e di violenza nel mondo. L’umanità ha bisogno di vedere gesti di pace e di sentire parole di speranza e di pace! Chiedo a tutte le Chiese particolari che, oltre a vivere questo giorno di digiuno, organizzino qualche atto liturgico secondo questa intenzione.

A Maria chiediamo di aiutarci a rispondere alla violenza, al conflitto e alla guerra, con la forza del dialogo, della riconciliazione e dell’amore. Lei è madre: che Lei ci aiuti a trovare la pace; tutti noi siamo i suoi figli! Aiutaci, Maria, a superare questo difficile momento e ad impegnarci a costruire ogni giorno e in ogni ambiente un’autentica cultura dell’incontro e della pace.

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chi ha armato il tiranno Assad?

 

cadaveri

 

Adesso l’Occidente vuol fare la guerra alla Siria. Ma da decenni a fornire ordigni chimici a Damasco sono state Francia e Germania. Attraverso società di brokeraggio olandesi, svizzere e austriache

queste riflessioni sull’ultimo numero de l’Espresso:

 

Mille tonnellate cubiche di “aggressivi chimici” sono custodite nell’arsenale più capiente del Medioriente e quarto nel mondo. Sono prodotte e stoccate in una cinquantina di siti sparsi in Siria. Ma negli ultimi mesi gran parte sarebbero state trasferite nelle aree dove è più sicuro il controllo da parte delle forze leali al dittatore Bashar al-Assad. Prima dell’attacco del 21 agosto scorso nell’area di Ghouta, dintorni di Damasco, che ha provocato, a seconda delle fonti, tra i 300 e i 1.300 morti costringendo la comunità internazionale a valutare un intervento armato dopo due anni e mezzo di guerra civile e oltre 100 mila morti, le armi chimiche erano già state usate, stando alle prove raccolte da varie intelligence, almeno cinque volte a partire da dicembre.

Per i ribelli del Libero esercito siriano il regime vi avrebbe fatto ricorso in almeno 18 occasioni. La famosa “linea rossa” tracciata dal presidente americano Barack Obama per muovere le truppe è stata abbondantemente superata. Assad sostiene che anche i suoi oppositori sono in possesso dei micidiali ordigni e ribalta su di loro le accuse. Il timore di tutti è che almeno una parte possa finire nelle mani della formazione filo-qaedista Jabhat al-Nusra o di altre organizzazioni di estremisti salafiti che si oppongono al tiranno.

L’arsenale è infatti l’oggetto del desiderio dei molti signori della guerra che soffiano sul fuoco nell’area più rovente del Pianeta. Il padre di Bashar, Hafez al-Assad, lo iniziò a costruire dopo la sconfitta nella Guerra del sei giorni contro Israele. Non avendo il denaro per finanziare un programma nucleare aveva ripiegato sulle più economiche armi chimiche come deterrente per il potente e vicino Stato ebraico. L’Egitto fu il primo a fornire, a partire dal 1973, quantità di iprite o gas mostarda, già massicciamente usato nella prima guerra mondiale: di colore giallo-brunastro, evapora molto lentamente, provoca ustioni, grosse vesciche, la morte per soffocamento o emorragia. Il salto di qualità ci sarebbe stato solo pochi anni dopo, grazie all’aiuto di alcune aziende farmaceutiche francesi che hanno esportato materiali “dual use” contenenti il sarin, gas nervino altamente tossico che colpisce il sistema nervoso: sarebbe quello sparato sulla popolazione di Ghouta. Nella tenacia con cui il presidente Hollande si è posto in prima fila tra gli interventisti conta forse la cattiva coscienza? Non solo Parigi, tuttavia, anche la Germania (allora Ovest) è responsabile della proliferazione, così come alcuni paesi inseriti tra gli Stati canaglia come la Corea del Nord e l’Iran. Il tutto mediato da società di brokeraggio attive in Olanda, Svizzera, Austria oltre che nelle già citate Francia e Germania.

Assad non disporrebbe tuttavia di tanti strumenti di morte senza l’ausilio, a partire dagli anni Novanta, della Russia grazie a un “accordo di cooperazione” tra le istituzioni scientifiche dei due Paesi. Sarebbe stato un ex generale russo, Anatoly Kuntsevich, a promuovere il trasferimento di ingenti quantità di sarin a Damasco. E a dotare la Siria dei missili grazie ai quali i gas possono essere sparati: Frog-7 all’inizio, e poi Scud-B. Dalla Corea sono arrivate le versioni più aggiornate, gli Scud-C e D, capaci di arrivare a colpire le principali città israeliane. La Cina dal canto suo avrebbe messo a disposizione la tecnologia necessaria per la costruzione dei missili M-9 con una gittata di 900 chilometri.

Un programma vasto, insomma, in continua evoluzione tanto da preoccupare gli 007 di mezzo mondo che, in mancanza di informazioni certe da parte di un regime impenetrabile, avviano inchieste per capire cosa davvero ci sia dentro gli arsenali di Damasco. Che sarebbero tra l’altro stati completamenti rinnovati a partire dal 2009 grazie a tecnologie più sofisticate in grado di mescolare i gas per renderli ancora più pericolosi. Gli americani sono certi che Assad produca VX, altro gas nervino classificato dall’Onu come “arma di distruzione di massa” e che abbia la capacità di stoccare «alcune centinaia di tonnellate di agenti chimici l’anno». Fino a un totale (stima del ministero della Difesa indiano) di mille tonnellate, conservate in circa 50 città, quasi tutte nel nord del Paese e dunque vicino al confine turco. Dettaglio che spiega l’attivismo di Ankara tra coloro che spingono per l’opzione militare.

Non solo chimica tuttavia. Il Centre d’études et de recerches scientifiques (Cers) che si trova appena fuori Damasco e l’omologo centro di ricerca situato a Cerin sarebbero i laboratori di fabbricazioni di armi biologiche. Secondo la consulente della Nato dottoressa Jill Dekker lì si lavora su «antrace, peste, tularemia, botulino, vaiolo, colera». L’antrace sarebbe già stato inserito in testate missilistiche. Anche per le armi biologiche sarebbero state decisive le importazioni “dual use”. Pur se il Paese nella farmaceutica ha raggiunto rispettabili risultati e conta una decina di grandi imprese in grado di svolgere attività di ricerca scientifica autonoma.

Secondo Rachel Schwartz, dell’International institute for counter-terrorism di Herzliya (Israele), autrice di uno degli studi più accurati sull’arsenale siriano, l’uomo chiave del regime con la delega alle armi chimiche è Ali Mamlouk, 67 anni, consigliere di Bashar, e indicato come il mandante di alcuni omicidi in Libano. E’ lui che si occupa della sicurezza e soprattutto dei trasferimenti da un luogo all’altro perché non cadano in mani nemiche. I siti di produzione principali si trovano ad Hama, Homs, Latakia e Al-Safira. Quelli di stoccaggio a Khan Abu Shamat, Furqlus, Masyaf, Palmyra (il famoso sito archeologico) e Dumayr.

Prima di Ghouta, i cinque casi in cui le intelligence occidentali hanno accumulato prove circa l’uso di armi chimiche sono questi. Homs, 23 dicembre 2012: 7 morti e 50 feriti a causa del gas nervino BZ (provoca asfissia). Khan al-Assal, 19 marzo 2013: 31 morti e 300 feriti per il gas nervino sparato da un missile. I ribelli hanno accusato il governo e viceversa. L’Onu ha concluso che è impossibile stabilire chi siano gli autori dell’attacco. Adra, 24 marzo: 2 morti e decine di feriti per una bomba al fosforo. Le forze di opposizione hanno documentato con un video gli effetti: crampi, problemi respiratori, convulsioni, vomito. Quartiere Sheikh Maqsoud, Aleppo, 13 aprile: 31 morti e decine di feriti per sostanze tossiche accertate anche dall’Onu. Saraqeb, 29 aprile: bombardamento da un elicottero col sarin eseguito «senza alcun dubbio», secondo il ministro degli Esteri francese Laurent Fabius, dagli uomini di Bashar al-Assad.

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