twitter, il linguaggio di Gesù

 

 

 

croce

 

come parlerebbe oggi Gesù? quali mezzi userebbe? non ha già usato a suo tempo, tramite le parabole, una modalità linguistica assimilabile , oggi, a twiter che con pochissimi caratteri (140) delinea immagini, progettualità, stili di vita?

si legge con interesse a questo proposito, l’articolo di C. Marroni:

@Gesù usava bene Twitter

di Carlo Marroni
in “www.ilsole24ore.com” del 26 settembre 2013

La ricerca della verità. È su questo punto di fuga del rapporto tra fede e ragione che si gioca il dialogo tra credenti e non credenti, che possono «fare un tratto di strada insieme» come ha scritto Papa Francesco nella sua storica lettera al grande laico Eugenio Scalfari. Proprio il fondatore di Repubblica ha dialogato sui temi della fede e della laicità, ma anche del perdono e della misericordia, con il cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio del la Cultura, che da pochi anni ha creato il Cortile dei Gentili, foro di incontro e dialogo tra credenti e non credenti. Un confronto a tutto campo incentrato sui temi della comunicazione e l’informazione, tanto che ieri è stato è ribattezzato per l’occasione “Il cortile dei giornalisti”, che ha coinvolto i direttori dei maggiori quotidiani nazionali, moderati da Emilio Carelli. Ma è stato Ravasi a sorprendere la platea del Tempio di Adriano. «Gesù usava il linguaggio di twitter e della tv. È stato il primo twittatore della storia», ha detto il porporato, anche lui presente sul social network con quasi 60mila follower. «Si esprimeva con frasi che spesso non arrivavano a 100 caratteri, spazi compresi. Prendiamo la prima predica, quando disse “Il regno di Dio è vicino, convertitevi” era ancora più breve. O “Ama il prossimo tuo come te stesso”». In Gesù Cristo «è sistematico l’uso della frase essenziale, tipica dei tweet, mentre il pensiero viene spesso articolato con parabole costruite in modo televisivo o cinematografico, basti pensare ai racconti sul buon samaritano o sul figliol prodigo». Eppoi la “corporeità”, la vicinanza alle persone, il contatto, un elemento questo distintivo dell’azione di Papa Francesco, che ha fatto della “prossimità” , soprattutto agli ultimi, la sua bandiera pastorale. «Non siamo qui per convertirci a vicenda, ma abbiamo in comune la convinzione che le nostre posizioni diverse debbano essere lievito per una terra che ha bisogno di essere fertilizzata», ha detto Scalfari, che ha rivelato di aver praticato quando era ventenne forzatamente gli esercizi spirituali di Sant’Ignazio di Loyola, nella Casa del Sacro Cuore a Roma, dove trovò rifugio come renitente alla leva fascista. Da allora è «innamorato di Gesù», proprio da quando, in gioventù – dopo aver frequentato per anni la Chiesa – scelse di abbandonare la fede. Ma è la ricerca della verità, attraverso il prisma della laicità, il terreno di confronto, specie per chi è giornalista, e ancora più per chi i giornali ha la responsabilità di dirigerli. «La laicità è un faro nel nostro modo di fare informazione, ispirato a rigore e metodo. Mettendo la notizia davanti a tutto, pur nel rispetto della dignità delle persone», ha osservato Roberto Napoletano, direttore del Sole 24 Ore. «Noi operiamo con il linguaggio e l’etica dei numeri, che parlano al cuore e all’anima. E spesso raccontano più di tante parole», ha aggiunto Napoletano, secondo cui «il Vangelo, a suo modo, è un grande esempio di laicità nella forza delle parabole, la loro straordinaria e immediata concretezza». E allo stesso tempo «la ragione allarga il suo orizzonte con la fede, perché la fede ti sorprende, ha lo sguardo sull’abisso. Ma la fede ha bisogno della ragione, e in questo dialogo anche l’ateo deve riconoscere una cosa importante: che la fede è un dono». Per Ferruccio de Bortoli, direttore del Corriere della Sera «se c’è una colpa di cui ci si sono resi responsabili i giornalisti è quella di non aver rispettato la centralità della persona, aumentando il rischio di distruggere vite umane». De Bortoli ha ricordato che i giornali non sono i depositari della verità e nel lavoro di giornalista è sempre importante farsi accompagnare dal «beneficio laico del dubbio». E ha anche espresso perplessità sulla presenza del Papa su twitter (iniziata da Benedetto XVI e proseguita con Francesco): «Mistero e distanza vanno mantenuti». Approva invece Ezio Mauro: «Lo si usa per esprimere un’opinione, non credo sia un male», ha osservato il direttore di Repubblica, che oltre a quella di Francesco ha ospitato la lettera di Benedetto XVI a Piergiorgio Odifreddi. E ha battuto il tasto, per il lavoro di giornalista, sull’onestà
nei confronti dei lettori e sulla “separatezza” rispetto al potere: «Per fare questo mestiere non dobbiamo essere complici del potere, dobbiamo stare nel cortile, tra le gente». Grande apprezzamento verso la “rivoluzione” di contenuti e linguaggi impressa nella Chiesa dal pontificato di Francesco: un esempio del fatto che «la realtà va sempre oltre ogni stereotipo». Per Mario Calabresi, direttore della Stampa, dall’intervista di Bergoglio a Civiltà Cattolica emerge l’immagine di «una Chiesa che non può più stare nel vestito che gli è stato cucito addosso», e da questo punto di vista sono «tempi grami per i pigri e affascinanti per chi vuole seguirne l’evoluzione». La Chiesa sta cambiando, ha osservato il direttore del Messaggero, Virman Cusenza, «la sua fisionomia di potere nel rapporto con la stampa. La forza dirompente del messaggio di Francesco è legata a un’evoluzione di potere che la Chiesa stessa aveva». Il direttore di Avvenire, Marco Tarquinio, ha aggiunto: «Quello che è accaduto con l’elezione di Bergoglio è qualcosa di storico C’è stato un rivoluzionamento degli sguardi sui gesti della Chiesa. Questo è dovuto al carisma di Francesco ma anche al gesto di Benedetto XVI». La rivoluzione di Bergoglio, per il direttore dell’Osservatore Romano, Giovanni Maria Vian, è nel solco storico del «desiderio della Chiesa di farsi capire da più persone possibile e non è una novità», ha detto ricordando l’intervista concessa da Leone XIII a una giornalista socialista su Le Figaro nel 1892, le aperture di Pio XI, e il dialogo tra Montini e Jean Guitton nel 1950. Con un’aggiunta: «Il giornale è la Bibbia laica, ma molto più interessante è la Scrittura Sacra vera».

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l’ambizioso programma di papa Francesco

 fino a dove andrà Francesco? Potrà realizzare il suo programma? Ne avrà la possibilità e il tempo?  Saprà aggirare gli ostacoli e le pesantezze che esprime con tanta lucidità? I prossimi mesi ci daranno delle risposte.

questo in una riflessione  di Philippe Clanché:

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Il programma ambizioso del papa

di Philippe Clanché
in “www.temoignagechretien.fr” del 25 settembre 2013

Decisamente, papa Francesco non cessa di stupirci. Nella lunga intervista che ha da poco concesso a sedici riviste gesuite, presenta la sua ambizione per una Chiesa umile e in contatto diretto col suo tempo. Ecco alcuni elementi salienti del documento. In seguito ad un severo esame di coscienza del proprio modo di governare quando era giovane provinciale dei gesuiti, papa Francesco espone il suo auspicio per il governo della Chiesa: “Credo invece che la consultazione sia molto importante. I Concistori, i Sinodi sono, ad esempio, luoghi importanti per rendere vera e attiva questa consultazione. Bisogna renderli però meno rigidi nella forma. Voglio consultazioni reali, non formali” Per parlare della Chiesa, il papa fa riferimento a Lumen Gentium (Vaticano II): “L’immagine della Chiesa che mi piace è quella del santo popolo fedele di Dio”. E aggiunge: “ Nessuno si salva da solo, come individuo isolato, ma Dio ci attrae considerando la complessa trama di relazioni interpersonali che si realizzano nella comunità umana. Dio entra in questa dinamica popolare… L’insieme dei fedeli è infallibile nel credere”. pastori Usa immagini particolarmente espressive quando dichiara “La cosa di cui la Chiesa ha più bisogno oggi è la capacità di curare le ferite e di riscaldare il cuore dei fedeli, la vicinanza, la prossimità. Io vedo la Chiesa come un ospedale da campo dopo una battaglia. È inutile chiedere a un ferito grave se ha il colesterolo… I ministri della Chiesa devono essere misericordiosi… Le riforme organizzative e strutturali sono secondarie, cioè vengono dopo. La prima riforma deve essere quella dell’atteggiamento…  Il popolo di Dio vuole pastori e non funzionari o chierici di Stato”. E precisa senza equivoci: “Non possiamo insistere solo sulle questioni legate ad aborto, matrimonio omosessuale e uso dei metodi contraccettivi. Questo non è possibile… non è necessario parlarne in continuazione. Gli insegnamenti, tanto dogmatici quanto morali, non sono tutti equivalenti. Una pastorale missionaria non è ossessionata dalla trasmissione disarticolata di una moltitudine di dottrine da imporre con insistenza”. Parlando dei rapporti ecumenici, invita a “non solo conoscersi meglio, ma anche riconoscere ciò che lo Spirito ha seminato negli altri come un dono anche per noi”. Secondo Bergoglio, “È necessario ampliare gli spazi di una presenza femminile più incisiva nella Chiesa… Bisogna lavorare di più per fare una profonda teologia della donna”. Allora “si potrà riflettere meglio sulla funzione della donna all’interno della Chiesa”. E giunge a precisare la necessità di “riflettere sul posto specifico della donna anche proprio lì dove si esercita l’autorità nei vari ambiti della Chiesa”. Quindi non solo di spazzare le navate o ornare di fiori gli altari. Dio oggi A proposito del rito antico, senza contestare le decisioni del predecessore, Francesco ritiene “preoccupante il rischio di ideologizzazione del Vetus Ordo, la sua strumentalizzazione”. Non è persona da crogiolarsi nel passato: “il Dio ‘concreto’ è oggi. Per questo le lamentele mai mai ci aiutano a trovare Dio. Le lamentele di oggi su come va il mondo ‘barbaro’ finiscono a volte per far nascere dentro la Chiesa desideri di ordine inteso come pura conservazione, difesa”. Per coloro che vedono solo il catechismo come risposta a tutto, prosegue: “Se uno ha le risposte a tutte le domande, ecco che questa è la prova che Dio non è con lui. Vuol dire che è un falso profeta, che usa la religione per se stesso… Se il cristiano è restaurazionista, legalista, se vuole tutto chiaro e sicuro, allora non trova niente”. E insiste: “Ci sono norme e precetti ecclesiali secondari che una volta erano efficaci, ma che adesso hanno perso di valore o significato. La visione della dottrina della Chiesa come un monolite da difendere senza sfumature è errata”. Il testo è insieme denso e semplice. Vi si sente una determinazione tranquilla, perfino gioiosa. Fino a dove andrà Francesco? Potrà realizzare il suo programma? Ne avrà la possibilità e il tempo?  Saprà aggirare gli ostacoli e le pesantezze che esprime con tanta lucidità? I prossimi mesi ci daranno delle risposte.

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Barilla omofoba, niente gay nelle sue pubblicità

Sembra proprio che Guido Barilla stavolta abbia fatto un clamoroso autogol: alla Zanzara  su radio 24 ha affermato:

“Non faremo pubblicità con omosessuali, perché a noi piace la famiglia tradizionale. Se i gay non sono d’accordo, possono sempre mangiare la pasta di un’altra marca. Tutti sono liberi di fare ciò che vogliono purché non infastidiscano gli altri”.

(vedi link qui sotto)

Barilla omofoba, niente gay nelle sue pubblicità.

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benedizione papale di papa Francesco a Belen

 

 

benedizione papale

 

“Grazie per la sua benedizione. #sonotroppoemozionata #troppo #troppoperme”.

Siamo agli scoccioli, agli ultimi particolari sul matrimonio Belen Rodríguez 

La showgirl, connazionale di Papa Bergoglio, ha postato emozionata su Instagram la benedizione che ha ricevuto da papa Francesco per il giorno delle nozze. La bella argentina alcuni mesi fa aveva espresso la volontà di far benedire il piccolo Santiago proprio dal Santo Padre, per adesso si deve accontentare di questa pergamena. Un attestato che in realtà chiunque può richiedere pagando all’Elemosineria in Vaticano 35 euro tramite bollettino postale. Per lei comunque un bel ricordo, per noi l’ennesima tappa di un matrimonio infinito.

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Iforza-nuova

segni di deriva mentale dei nostri tempi

una amara riflessione su l’ ‘amaca’ odierna di M. Serra:

l militante di Forza Nuova che in mezzo alla strada strilla nel suo megafono slogan “contro la sodomia” più che alla violenza fascista fa pensare alla deriva mentale dei nostri anni, dal picchiatello che annuncia l’Apocalisse al ragioniere satanista che in birreria leva il calice ad Astarotte. Già la parola “sodomia” non aiuta, nella sua incomparabile ridicolaggine, a essere udita senza ridere. Poi c’è il contesto, in questo caso la periferia lombarda, con le rotonde e le villette a schiera, poco di biblico, molto di anonimo, improbabile che nel discount lì accanto qualcuno, cliente o commessa, sappia che cosa significa sodomia, compreso chi eventualmente l’abbia praticata. Chissà chi glielo ha detto, al ragazzotto con il megafono, che il mondo è messo a repentaglio, oltre che dai “giudei”, pure dai sodomiti. Chissà quali letture e catechismi nazi, quali pagine Facebook, e in quali camerette di oneste case operaie o piccolo borghesi dove si cresce soli e sprovveduti, come nell’America di quei tremendi romanzi dove è il nulla che genera i mostri. Chissà quella parola, “sodomia”, che effettone esotico deve fare, e che sensazione eccitante poterla scandire in mezzo alla gente che ti guarda neanche più disgustata o spaventata; più che altro smarrita.

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