Mentana provoca il pacifismo: dove siete?

 

calle

Mentana :

“10 anni fa, piazze piene per l’Iraq. Oggi, per la Siria, solo San Pietro. Pacifisti, dove siete?

Può il papa fermare la guerra? Può la religione costruire la pace? Perché in Italia il monopolio della protesta contro le armi è passato ai cattolici? Domande pesanti. Intanto la religione, anzi le religioni. Scusate se parto da lontanissimo, da Abramo. La stragrande maggioranza di voi è di formazione cattolica, e Abramo l’ha conosciuto nell’ora di religione, o a catechismo. “Il primo patriarca cristiano”. Ma provate a chiedere chi sia Abramo per ciascuno del milione di musulmani presenti in Italia: “Il primo patriarca islamico”, risponderebbe sicuro uno dei tanti Ibrahim, che poi è la versione araba del nome Abramo. Se poi conoscete uno delle poche decine di migliaia di ebrei italiani saprete che per loro Abramo, “il primo patriarca israelita”, è stato il primo uomo sulla terra ad essere chiamato ebreo.

Le tre grandi religioni monoteiste, in nome delle quali si è combattuta la maggior parte delle guerre della storia, sono strettamente connesse da una comune sorgente e da mille intrecci virtuosi o sanguinosi, lungo l’arco che va da Ur dei Caldei (città natale di Abramo, a un pugno di chilometri da quella Nassiriya in cui dieci anni fa 19 italiani venero uccisi da un attentato) fino all’Egitto di Mosè, massimo profeta cristiano, ebraico e musulmano, quell’Egitto che ancor oggi vive nuove piaghe, anche nello scontro tra islamici e cristiani copti. In mezzo, come sempre, Gerusalemme, Israele. E la Siria, sull’orlo del baratro. La storia, il mito, il sacro si concentrano tutti lungo quei duemila chilometri tra il Nilo, il Giordano e l’Eufrate.

E’ questo l’intrico (non dico la Babele, perché anche quel luogo entra nella storia condivisa e contesa) che rende le tensioni mediorientali sempre diverse da tutte le altre vicende mondiali. E’ la miscela di presente, passato ed eterno che muove e paralizza masse e regnanti, fedeli e laici. Se non si ha presente tutto questo non si comprendono appieno l’ansia di questi giorni, le incertezze di Obama, il travaglio dell’Europa e soprattutto il ruolo forte che può giocare – a differenza di quanto accaduto in altre crisi planetarie del passato – il pacifismo religioso. Con le armi di dissuasione più antiche, la veglia, la preghiera, il digiuno, papa Francesco è riuscito a intercettare un desiderio di pace ma anche di spiritualità in antinomia alla guerra.

Principalmente il ricorso al digiuno, che ha un ruolo purificatore negli altri due monoteismi: il Ramadan islamico, un intero mese di astensione diurna totale, si è da poco concluso, e tra pochi giorni ricorre Kippur, il giorno ebraico dell’espiazione e appunto del digiuno assoluto. La religione cattolica ha lasciato cadere da tempo gran parte dei suoi precetti, già molto più blandi delle altre due fedi. Il recupero da parte di papa Bergoglio dell’astensione dal cibo come elemento di comunione e, in fondo, di protesta contro qualcosa che si ritiene sommamente ingiusto, la guerra, suona come nuovo e coinvolgente. Vincente non so. Ma so che ci sta provando, e che forse accarezza l’idea che solo gli strumenti della religione possano sciogliere un groviglio che è nato dall’odio religioso, dalla divaricazione tra discendenti della stessa progenie, dalla rivendicazione del “Dio vero”.

Si dirà: inutile ginnastica di preghiere, tentativo di riaggregare consensi al cattolicesimo cadente col pretesto di una buona causa, attenzione a una guerra a scapito delle altre. Si può dir tutto, per carità. In questi giorni tanti atei o agnostici l’hanno fatto, irridendo alla veglia e al digiuno, o ai tweet del papa, e ricordando immancabilmente i massacri delle Crociate. C’è però qualcosa che stona: dieci anni fa, alla vigilia della guerra d’Iraq, l’Italia intera fu pavesata di bandiere delle pace, con le piazza invase da manifestanti contrari al conflitto. Come oggi c’era l’America, l’Occidente diviso, un despota, e l’accusa di armi chimiche. Oggi quelle piazza sono desolatamente vuote, a differenza di Piazza San Pietro. Come lo spiegate, amici pacifisti a corrente alternata?

image_pdfimage_print

italiani al primo posto per turismo sessuale

turismoturismo sessualeTurismo sessuale, italiani al primo posto:
padri di famiglia a caccia di bambini

 

Sono così piccole da non raggiungere in altezza l’anca dei predatori che se le vanno a comprare nei bordelli, e poi le stuprano, e prima trattano il prezzo parlando quasi sempre lingue occidentali, e 80.000 volte all’anno in media la lingua è l’italiano.
Sono così leggere che a prenderle in braccio pesano poco più di un bebè. Sono così truccate che sembrano bimbe a Carnevale. Sono così sottili che, se non fossero coperte di stracci succinti e colorati, indosserebbero le taglie più piccole degli abitini per bimbi occidentali. Le stuprano, tra gli altri, certi italiani che a casa sembrano gente qualunque, gente a posto. Che mai e poi mai potreste riconoscerli dal modo di fare, dalla morfologia.

Figli, mariti, padri, lavoratori. E poi un aereo. E poi in vacanza al Sud del mondo. E poi diventano il demonio. Italiani, tra quelli che ”consumano” di più a Santo Domingo, in Colombia, in Brasile. Italiani, i primi pedofili del Kenya. Attivissimi, nell’olocausto che travolge 15.000 creature, il 30 per cento di tutte le bambine che vivono tra Malindi, Bombasa, Kalifi e Diani. Piccole schiave del sesso per turisti. In vendita a orario continuato, per mano, talvolta, dai loro genitori. In genere hanno tra i 14 e i 12 anni. Ma possono averne anche 9, anche 7, anche 5. Minuscoli bottini per turisti. Burattini di carne da manipolare a piacimento. Foto e filmati da portare a casa come souvenir. Costa quanto una buona cena o un’escursione. Puoi fare anche un pacchetto all inclusive: alloggio, vitto, viaggio, drink, preservativi e ragazze per un tot. Puoi cercare nei forum in Rete le occasioni, ci sono i siti apposta. Puoi scegliere tra ”20 mixt age prostitutes”, dalla prima infanzia in su. Puoi avere anche le vergini, mille euro in più. E poi torni da mamma, dai figli, dalla moglie, in ufficio. E poi bentornato, e quello che è successo chi lo sa?
L’allarme è dell’Ecpat, l’organizzazione che in 70 Paesi del mondo lotta da sempre contro lo sfruttamento sessuale dei bambini: sono sempre di più, i vacanzieri che vanno a caccia di cuccioli umani nei Paesi dove, per non morire di fame, si accetta ogni tortura. Sono un terzo dei tre milioni di turisti sessuali in tutto il mondo. Sempre più giovani, tra i 20 e i 40 anni. Sempre più depravati per scelta, e non per malattia. Solo il 5 per cento di loro, infatti, è un caso patologico. Gli altri, informa l’Ecpat, lo fanno per provare un’emozione nuova, in modo occasionale (60%), oppure abituale (35%).

I MONDIALI DI CALCIO
E il demonio si sta mobilitando in Brasile, per rifornire il mercato, sebbene i bimbi sfruttati siano già 50.000. L’impennata arriverà coi Mondiali di calcio del 2014. «La settimana prossima ci incontreremo a Varsavia -racconta Marco Scarpati, direttore di Ecpat Italia- per pianificare, assieme alle Polizie di tutto il mondo, qualcosa che impedisca una replica, in Brasile, di quanto avvenne in Ucraina nel 2010 e in Sudafrica nel 2012: il racket trasportò bambini da tutti i territori circostanti, per accontentare la richiesta. Purtroppo tutto questo accade sempre, in occasione di eventi sportivi. E i controlli sono spesso labili, insufficienti, inefficaci». Ecco perché domenica, al grido Un altro viaggio è possibile, una marcia ciclistica lungo le strade di 29 città, organizzata dall’Ecpat e dalla Fiab, porterà in giro l’indignazione contro lo sfruttamento sessuale dei bambini. Pedalando, si segnalerà che questa è un’emergenza. Che un milione e duecentomila bimbi sono sfruttati nel sesso, nell’accattonaggio, nei lavori forzati. Stime ufficiali, queste. Quelle ufficiose propongono ben altri conti: solo i piccoli schiavi del sesso sarebbero almeno due milioni. Ognuno di loro frutterebbe 67.200 dollari all’anno. Per il racket, il budget complessivo supererebbe i trenta milioni di dollari all’anno.

E a chi non ha i soldi per il viaggio, basta girare l’angolo: tra i 10 e i 12.000 di quei bambini si trovano in Italia. Migranti. Nomadi. Minori non accompagnati. In vendita a casa nostra, per le nostre strade, o anche su ordinazione. Solo a voler guardare. Solo a voler sapere.

image_pdfimage_print

Gad Lerner scrive al sindaco Marino sugli sgomberi

Una lettera al sindaco Marino sullo sgombero dei rom di via Salviati

carovane di rom

 

Insieme a Luigi Manconi, Moni Ovadia e Santino Spinelli, dopo lo sgombero del campo rom di via Salviati a Roma, ho sottoscritto la seguente lettera aperta al sindaco Ignazio Marino.

Le ragioni e le modalita’ dello sgombero del campo rom di Via Salviati a Roma avvenuto questa mattina ci preoccupano. Secondo Amnesty International, l’Associazione 21 luglio e il Centro Europeo per i Diritti dei Rom, l’operazione e’ stata effettuata senza rispettare ‘gli standard e le garanzie procedurali previsti dalla normativa internazionale’.
Noi pensiamo che la valutazione di tre associazioni cosi’ autorevoli non possa essere ignorata. Tanto meno da parte di una amministrazione come quella guidata dal sindaco Ignazio Marino che ha la nostra simpatia e il nostro sostegno. Anche per questa ragione chiediamo che si trovi una soluzione, la piu’ urgente possibile e quella che maggiormente tuteli la salute e rispetti i diritti fondamentali delle persone sgomberate. E chiediamo che immediatamente si riprenda il confronto con una rappresentanza dei nuclei familiari interessati. Cio’ al fine di predisporre dei seri percorsi di integrazione che rispondano alla Strategia nazionale di inclusione dei rom, sinti e camminanti adottata dal governo italiano in attuazione della Comunicazione della Commissione europea che sottolinea la necessita’ di superamento del modello ‘campo’.
Gad Lerner, Luigi Manconi, Moni Ovadia, Santino Spinelli

image_pdfimage_print

l’infinita distanza da papa francesco!

caffarra-interna

gretti moralisti che sanno solo umiliare e schiacciare la gente!

cos’ha da condividere questa impostazione con il messaggio liberante del vangelo?

cos’hanno in comune queste parole disumane con quelle profondamente umane ed evangeliche di papa Francesco: “la verità non è un trofeo da brandire  ma si dà a noi sempre come un cammino e una vita … la verità è una relazione” e ognuno la esprime a partire dalla sua storia e cultura, dalla situazione in cui vive …

 

Cardinale Caffarra: “Matrimoni gay sono la devastazione del tessuto sociale umano”

L’arcivescovo di Bologna nella sua lectio magistralis all’apertura dell’anno formativo dell’itinerario di educazione cattolica per gli insegnanti punta il dito contro il matrimonio omosessuale e la procreazione artificiale

Il riconoscimento del matrimonio per le coppie omosessuali sarebbe “la devastazione del tessuto fondamentale del sociale umano: la genealogia della persona”. E’ questo il messaggio dell’arcivescovo di Bologna, il cardinale Carlo Caffarra, nella sua lectio magistralis all’apertura dell’anno formativo dell’itinerario di educazione cattolica per gli insegnanti a Bologna.

In un intervento dedicato alla coniugalità, Caffarra ha lungamente parlato del tema del matrimonio omosessuale. “La definizione di coniugalità implicata nel riconoscimento della coppia omosessuale – ha detto – sconnette totalmente la medesima coniugalità dall’origine della persona umana”. Il termine, secondo il cardinale, “è diventato ambiguo, perché può significare anche una coniugalità omosessuale”, e questo rappresenta “un vero e proprio sisma nelle categorie della genealogia della persona”.

Nella sua lunga lezione, l’arcivescovo bolognese si sofferma sul tema della mascolinità e femminilità: “non è che esista una persona umana che ha un sesso maschile e femminile, ma esiste una persona umana che è uomo o donna”. Per questo, secondo Caffarra, “la coniugalità, si fa per dire, omosessuale, trasmette oggettivamente questo messaggio: ‘di metà dell’umanità non so che farne, in ordine alla più intima realizzazione di me stesso è superflua’”.

E ha continuato puntando il dito contro la procreazione artificiale: “Gli stessi ordinamenti giuridici che hanno riconosciuto la coniugalità omosessuale, hanno riconosciuto alla medesima il diritto all’adozione o al ricorso alla procreazione artificiale. Pertanto delle due l’una: questo diritto riconosciuto fa sì che ciò che è stato cacciato dalla porta, entri dalla finestra. Oppure è ritenuto eticamente neutrale il modo con cui la nuova persona umana viene introdotta nella vita. E’ cioè indifferente che essa sia generata o prodotta”.

image_pdfimage_print

addio ‘monsignore’

papa veglia

Riforma della Curia,

il Papa congela il titolo di monsignore

Franca Giansoldati
  «Monsignore ma non troppo»

Ricordate il quarto episodio della celebre saga di Don Camillo e Peppone, che narrava le vicende del vulcanico parroco di Brescello, interpretato da Fernandel e del sindaco comunista interpretato da Gino Cervi? Entrambi ormai invecchiati erano in procinto di ottenere una agognata promozione, il primo del titolo di monsignore mentre il secondo era prossimo a diventare senatore. Il film che all’epoca riscosse grande successo, oggi, viste le nuove disposizioni di Papa Francesco, suona alquanto anacronistico. A Don Camillo, nella Chiesa di Bergoglio, non sarebbe mai arrivata l’onorificenza tanto desiderata perché l’appellativo di monsignore è stato congelato. Da mesi la Segreteria di Stato, per ordini superiori, non autorizza più questi titoli. La decisione stabilita già nel primo periodo di pontificato si è protratta fino ad oggi e probabilmente resterà bloccata per chissà quanto. C’è chi dice che si tratta di una misura temporanea, non di una abrogazione tout cour, probabilmente in attesa di capire come riformare la curia e i suoi uffici secondo criteri di sobrietà e semplicità, spazzando via privilegi e titoli che a Bergoglio appaiono altisonanti e un po’ fuori tempo. La Chiesa del futuro, lo ha ripetuto tante volte Francesco, deve essere popolata da preti non clericalizzati, parroci non carrieristi, pastori attenti alle periferie esistenziali e a chi si è allontanato. Una delle espressioni più colorite usate da Francesco per dire che i parroci devono tornare all’essenziale, alla testimonianza è che devono evitare di «mettere i bigodini alle pecore». In questa prospettiva ecclesiale difficile non rivedere anche i titoli onorifici dei monsignori che anticamente erano attribuiti in Francia al Delfino e agli eredi al trono e poi passarono alla corte pontificia durante la dimora avignonese, agli inizi del XIV secolo. Insomma, monsignore ma non troppo. Di questo titolo, prima del 1968, erano insigniti anche tutti i prelati appartenenti alla Cappella e alla Famiglia pontificia, poi in seguito al riordinamento generale della Casa Pontificia voluto da Paolo VI con il Motu Proprio Pontificalis Domus, hanno diritto ad essere chiamati così i protonorari apostolici, i prelati d’onore di Sua Santità e i cappellani di Sua Santità. In linea teorica qualsiasi ecclesiastico può ottenere il titolo basta solo che il vescovo diocesano sponsorizzi la pratica a Roma, spiegando i meriti del parroco. REVISIONE La pratica arriva in un ufficio della Segreteria di Stato che si occupa del settore. Se le carte sono approvate, passano alla firma del Papa. Un’altra strada, più breve, per diventare monsignori, è essere nominati direttamente dal pontefice, senza passare dal vescovo. Ogni anno il Vaticano ‘produce’ diverse centinaia di monsignori. Attualmente il congelamento esteso a tutte le diocesi non vale però per i membri del corpo diplomatico, gli unici ad essere stati graziati dalle nuove disposizioni, che continuano così a diventare monsignori tra i mugugni generali per via della disparità, anche se si tratta di numeri contenuti. Il titolo, si sa, è piuttosto ambito dato che consente di indossare la veste filettata durante le cerimonie. Forse fa chic. Uno dei primi vescovi che si è adeguato al nuovo corso è stato il patriarca di Venezia, Moraglia che ha fatto sapere ai suoi preti che avrebbe riservato il titolo di ’monsignore’ solo ai sacerdoti che hanno ricevuto una onorificenza direttamente dal Papa. Tutti gli altri si dovranno accontentare del «don». Moraglia ha spiegato che si tratta di «una rigorosa revisione» che rientra nello spirito di Francesco.

image_pdfimage_print

una voce critica, quella delle donne

 

VATICAN-SIRYA-POPE-PRAYER

un dialogo tutto al maschile!

così l’economista Elisabetta Addis di ‘se non ora quando’ dal suo blog dice l’indicibile: caro Bergoglio, caro Scalfari, il vostro è un dialogo tutto al maschile, non mi interessa, non ci interessa perché non ci riguarda!

Caro Bergoglio, caro Scalfari, a noi, non ci riguarda!
 .

Già. Bella lettera, Bergoglio. Ma a me, non mi riguarda. Dice infatti che riguarda “il rapporto che Egli (Gesù) ha con Dio che è Abbà, e in questa luce al rapporto che ha con tutti gli altri uomini”. E io sono una donna.

“In lui tutti siamo chiamati a essere figli”, e io al massimo posso essere una figlia, “fratelli tra noi”, ma di sorelle, non si ha sentore. E ancora, che “l’amore e misericordia di Dio raggiungono tutti gli uomini”. Ma non le donne.

Siamo almeno trenta anni che stiamo chiedendo l’elementare rispetto che si usi un linguaggio che ci include, un linguaggio non sessista. E dato che costa ben poco, nell’epoca dei word processor, sostituire “uomo” con “essere umano” e “uomini” con “uomini e donne”, interpreto che ci sia una chiara volontà, da parte di un vecchio maschio a capo di una gerarchia di soli maschi, di farmi intendere che non è a me che si rivolge.

E detto francamente, anche Repubblica, non ci fa una bella figura. Il giorno dopo fa commentare la lettera del Papa dal maschio Scalfari, e da altri sei maschi tutti in fila (Kung, Veronesi, Bianchi, Cacciari, Forte e Di Segni), e nessuna donna. La Murgia no? La Perroni? La Bocchetti? la Cavarero? Non ci mancano le teologhe e le filosofe! Pazienza. Non ci riguarda. Si vede proprio che a noi donne, non ci riguarda.

Del resto, che la verità si trova nella relazione, le filosofe lo hanno detto ben prima di Francesco, non hanno atteso il suo l’imprimatur. E senza la relazione con le donne, tra uomini e donne, la verità di Bergoglio e di Scalfari resterà monca. Una verità celibe e infeconda.

Forse, questo dialogo non riguarda più noi, donne e uomini della contemporaneità, ma un potere e un mondo maschili che sono nel passato, e del passato. Andiamo avanti, ne abbiamo tantissime di cose più interessanti da fare e da pensare.

image_pdfimage_print

la neolingua degli italiani

 

 

neolingua

Da “hashtag” a “rottamatore”
ecco la nuova lingua degli italiani

Il vocabolario Zingarelli nell’edizione 2014 propone 1500 new entry, che arrivano da mondi diversi. Tecnicismi, parlate dialettali e persino slang americano entrano nella vita quotidiana

interessante ricerca
di RAFFAELLA DE SANTIS su ‘La Repubblica’ odierna:

 

Dopo aver inflazionato la cronaca politica e le pagine dei giornali, ora il “rottamatore” entra tra le nuove voci dello Zingarelli 2014 con il significato figurato di “colui che si propone di allontanare e sostituire un gruppo dirigente considerato antiquato” (fino a ieri si riferiva a chi si occupa della rottamazione delle auto).

In genere le parole trovano posto nei vocabolari dopo tanti anni di rodaggio tra la gente, stavolta sono bastati tre anni a sdoganare la formula di Matteo Renzi. Ma se la scelta di inserire “rottamatore” non stupisce, altri vocaboli registrati tra le 1500 new entry del dizionario suonano meno familiari, come ad esempio “adultescente”, neologismo usato per indicare i giovani trentenni le cui condizioni di vita (studio, lavoro, casa) e la cui mentalità sono considerate simili a quelle di un adolescente. Un’evoluzione della sindrome di Peter
Pan, malattia inguaribile dell’Occidente: gli anglosassoni li chiamano “kidult”, i bambini adulti (kid+adult) e i francesi “adulescent” (contrazione dei termini “adult” e “adolescent”).

Ma come vengono selezionate le nuove voci? Massimo Arcangeli, direttore dell’Osservatorio linguistico Zanichelli, spiega: «Le parole sono simili ai fenomeni carsici, esplodono, si inabissano e poi magari si ripresentano. È importante tenerle a lungo sotto osservazione, valutarne la frequenza d’uso e anche il peso qualitativo e culturale. I mutamenti della lingua sono molto veloci, è naturale che a volte si arrivi in ritardo,
come nel caso di “videointervista” o “self-publishing”, in circolazione già da un po’».

Colpisce che i “cocoprò” siano entrati solo ora, mentre è cosa nota che il “posto fisso” ha fatto il suo tempo, nonostante la Lonely Planet continui a menzionarlo tra le caratteristiche dell’italian way of life, insieme al cornetto al bar e al cappuccino. «Le parole sono pesanti, rappresentano il reale», continua Arcangeli. Alcune ci ronzavano intorno da anni come il termine “rosicone”, diffuso soprattutto nell’Italia centrale per dire “invidioso” in una maniera più tormentata. L’aveva usato una volta Ilary Blasi affermando di essere “una tipa un po’ rosicona” e poi però se ne era appropriato un calabrese come Rino Gattuso dando dei “rosiconi” agli avversari della nazionale francese.

Altri modi di dire sembrano invece rinverdire il vecchio burocratese, sempre in agguato: da “pedaggiare” (sottoporre a un sistema di pedaggio) a “asteriscare” (contrassegnare con un asterisco), da “profilazione” (descrizione sintetica del profilo di una persona) allo “sbigliettamento” (emissione dei biglietti per uno
spettacolo). «Un dizionario registra la densità dei cambiamenti, dunque anche la rinascita del burocratese, per il quale ci sarà unritorno di

fiamma», spiega Arcangeli che cura sul sito Zanichelli il Dizionario del parlar
chiaro.

Certo, l’identikit dell’italiano che viene fuori dallo Zingarelli 2014 non è confortante: siamo “iperattivi”, vestiamo “bling bling”, cioè “in modo vistoso e ostentato” e sembriamo affetti da un crescente “nostalgismo”. Segno che nonostante la velocità dei cambiamenti, preferiamo vivere di rimpianti.

image_pdfimage_print

ancora sulla lettera del papa a Scalfari

 

papa veglia
Scalfari e la lettera di papa Francesco:
“Il coraggio che apre alla cultura moderna”

Il fondatore di Repubblica risponde, sul quotidiano in edicola, alla missiva del Pontefice sul rapporto tra fede e ragione: “Parole che fanno riflettere, una visione mai sentita dalla cattedra di San Pietro”. “Sta cercando di far prevalere la Chiesa missionaria su quella istituzionale, ma difficilmente ci sarà un Francesco II”

Le parole di papa Francesco nella sua lettera a Repubblica sono “al tempo stesso una rottura e un’apertura; rottura con una tradizione del passato, già effettuata dal Vaticano II voluto da papa Giovanni, ma poi trascurata se non addirittura contrastata dai due pontefici che precedono quello attuale; e apertura ad un dialogo senza più steccati”. Il fondatore Eugenio Scalfari risponde su Repubblica in edicola alla lettera inviata dal Pontefice come risposta e riflessione sul tema fede e ragione. E lo fa dicendo che “un’apertura verso la cultura moderna e laica di questa ampiezza, una visione così profonda tra la coscienza e la sua autonomia, non si era mai sentita finora dalla cattedra di San Pietro”.

“Leggendo le parole del Papa – spiega Scalfari – il nostro pensiero è chiamato e stimolato a riflettere di fronte alla concezione del tutto originale che papa Francesco esprime sul tema ‘fede e ragione'”. E continua: c’è un importante aspetto politico “quando il Papa scrive della distinzione tra la sfera religiosa e quella politica (….) La pastoralità, la Chiesa predicante e missionaria, c’è sempre stata e Francesco d’Assisi ne ha rappresentato la più fulgida ma non certo la sola manifestazione. Tuttavia non ha quasi mai avuto la prevalenza sulla Chiesa istituzionale. Papa Francesco ha interrotto e sta cercando di capovolgere questa situazione. La trasformazione in corso nella Curia e nella Segreteria di Stato sono segnali estremamente importanti. Temo però che molto difficilmente ci sarà un Francesco II e del resto non è un caso se quel nome non sia stato fin qui mai usato per il successore di Pietro”.

“Il Papa mi fa l’onore di voler fare un tratto di percorso insieme. Ne sarei felice. Anch’io vorrei che la luce riuscisse a penetrare e a dissolvere le tenebre anche se so che quelle che chiamiamo tenebre sono soltanto l’origine animale della nostra specie.

Più volte ho scritto che noi siamo una scimmia pensante. Guai quando incliniamo troppo verso la bestia da cui proveniamo, ma non saremo mai angeli perché non è nostra la natura angelica, ove mai esista”

image_pdfimage_print
image_pdfimage_print