Boff, Ratzinger e Francesco …

 

 

 

boff1
Boff: “Con Francesco dialogo continuo anche se a distanza”

Il teologo della liberazione loda Ratzinger.
“Andandosene ha pensato al bene della Chiesa”

«Bisogna lodare Ratzinger».

Scusi? Ma lei è l’ex francescano Leonardo Boff, avversario storico del cardinale Joseph Ratzinger per decenni. Lei non è quello che, quando fu eletto Papa, disse che con Benedetto XVI arrivava «l’inverno della Chiesa»? Il sorriso si apre in mezzo alla folta barba candida di Boff e ci vuol poco a capire che nella Chiesa di Francesco stanno evaporando anche i conflitti teologici che hanno impegnato il Vaticano fin dagli anni Settanta.

Certo, lo scrittore brasiliano rende omaggio al Papa emerito soprattutto perché si è fatto da parte, ma per Ratzinger ha solo parole di stima. E non è la sola sorpresa che l’esponente di spicco della teologia della liberazione svela, sprofondato in una poltrona d’albergo, dopo aver aperto in anteprima la rassegna «Torino Spiritualità». Difficile fino a poco tempo fa immaginare che un autore con un profilo come quello di Leonardo Boff potesse essere considerato consulente da un pontefice. Eppure è proprio quello che Papa Francesco sta facendo con lui, racconta Boff: si scrivono e dialogano attraverso un’amica comune in Argentina.

Lei dice che Benedetto XVI merita una lode. Perché?
«Quando ha letto il rapporto sugli scandali nella Chiesa, ha capito di non avere più la forza fisica, psicologica e spirituale per affrontare un problema di questa gravità. E in forma umile e sincera, con coraggio a mio avviso, ha rinunciato. Ha voluto pensare più alla Chiesa che a se stesso».

Avete avuto un rapporto burrascoso nel corso degli anni, l’allora cardinale Ratzinger nel 1984 l’ha anche sottoposta a un «processo».
«Eravamo amici, è una persona estremamente elegante, fine, non alza mai la voce. Ha sempre mostrato per me grande rispetto. Il problema è che quando è diventato prefetto, si è rivelato troppo “tedesco”. Io predicavo una Chiesa che promuove la libertà nella società. Ratzinger lo ha capito come un discorso protestante. Mi diceva: “Così parla Lutero”. Io replicavo: “Bene, ascoltiamolo: sono 500 anni che la Chiesa non ascolta abbastanza Lutero”».

Lei ora ripone molte speranze in Papa Francesco. Perché?
«Perché prima di fare la riforma della curia, ha fatto quella del papato. Di solito uno diventa Papa e assume tutti i riti del potere. Lui ha fatto alla rovescia, è rimasto quello che era e ha abituato tutti a cambiare secondo la sua tradizione personale».

Il nome che ha scelto cosa le suggerisce?
«Più che un nome, Francesco è un progetto di Chiesa e di mondo. Una Chiesa nella povertà e umiltà umane. L’attenzione che ha il Papa per i poveri viene da questa intuizione, propria dell’America Latina. Bisogna ricordare che viene da un altro tipo di Chiesa e di teologia, è la tradizione della teologia del popolo argentina. Lui si definisce un Papa peronista e giustizialista».

Lei chiede l’apertura di un Concilio Vaticano III per riformare la Chiesa. Questa Papa riuscirà a portare il cambiamento che lei auspica?
«È molto intelligente, non vuole presiedere la Chiesa in modo monarchico, ma collegialmente. Per questo ha scelto otto cardinali di tutti i continenti che con lui faranno la riforma della curia e guideranno la Chiesa in modo collegiale. Penso sia arrivato il momento, come gli ho scritto perché mi ha chiesto un’opinione».

Dialoga con il Papa? In che modo?
«Abbiamo un’amica comune in Argentina, lui la sente ogni domenica, le parla spesso. Io mando a lei delle cose, lui me ne chiede altre».

Cosa ha suggerito al Papa fino ad ora?
«Per esempio che tutte le chiese, specie quella cattolica, sono occidentali e saranno sempre più accidentali. Andiamo verso una nuova fase dell’umanità che sarà globalizzata. La Chiesa non ha trovato un posto in questo processo, ma è ora di definirlo con le altre chiese. Le differenze dottrinali sono piccole e anche le chiese protestanti accettano un Papa che non domina, ma che fa da riferimento simbolico del cristianesimo, come fenomeno storico e memoria di Gesù».

Se guarda indietro al suo rapporto con la Chiesa, gli scontri, l’addio all’ordine francescano, ha rimpianti?
«Ho lasciato la funzione istituzionale di prete, ma non di teologo. Ho cambiato trincea, ma non battaglia. E in Brasile non ho mai avuto conflitti con la Chiesa. Continuo a fare il teologo nelle comunità di base. E io celebro, faccio battesimi, matrimoni, tutti i sacramenti quando non c’è un sacerdote. I vescovi lo sanno e mi dicono: vai avanti. Mi sento bene, in questa veste di laico. Dopotutto, Gesù non era un sacerdote».

image_pdfimage_print

il metodo di papa Francesco: lontano dalle grandi ecicliche?

papa veglia

A. Prosperi ne ‘la Repubblica’ di oggi riflette sul metodo umanissimo di papa Francesco che sconvolge ogni ritualità e formalismo:

 

Il metodo di Francesco

di Adriano Prosperi
C’è una strategia che si dispiega sotto i nostri occhi negli atti e nelle parole di papa Francesco: fermarsi alla superficie, allo sconvolgimento delle forme rituali dei contatti e degli approcci, ci farebbe perdere di vista la sostanza. Un giornale gli pone alcune domande: e lui risponde con disponibilità larghissima di parole e spontanea e dimessa gentilezza di forme. Siamo lontani dall’epoca delle lettere encicliche. Lo dice un semplice confronto con l’ultima, appena uscita a due nomi, quello del papa dimissionario e quello di quest’uomo che non definiremo “pontefice regnante” ma piuttosto un uomo che tasta cautamente il terreno del governo della Chiesa ma che, intanto, guarda fuori dalle mura vaticane, saggia uomini e coglie occasioni. La lettera a Eugenio Scalfari arriva dopo la visita a Lampedusa; e dopo la parola sottolineata nella sua visita al Centro Astalli di Roma: “Solidarietà, questa parola che fa paura per il mondo sviluppato. Cercano di non dirla. È quasi una parolaccia per loro. Ma è la nostra parola”. Il dialogo con Scalfari è un esempio del metodo di Francesco. Un non credente di convinzioni illuministiche e razionaliste ha invitato il Papa a un dialogo, a un confronto di idee e di convinzioni intellettuali; e lui ha accolto immediatamente e con grandissima disponibilità l’invito. Ma come ha risposto? Ha aperto il suo cielo cristiano senza limiti a chi segue la retta coscienza e così ha spostato il terreno dalla teologia e dai dogmi alla morale. E ha dato una bella lezione a questa Italia di cui Leopardi scriveva che “non è luogo dove la religion cattolica, anzi la cristiana… sia più rilasciata nell’esterno ancora, e massime nell’interno”. Cioè poco creduta dentro e poco praticata fuori. Morale, non dogma. Nell’Italia dove i monsignori vaticani dovevano meditare non molto tempo fa se si poteva concedere l’Eucarestia a un divorziato molto ricco e molto potente, oggi si comincia a parlare un’altra lingua. Intorno alla solidarietà si gioca l’offerta di un gran pezzo di strada da fare insieme tra gli eredi della dichiarazione settecentesca dei diritti, dove la fraternità saldava il nodo tra libertà e uguaglianza, e gli eredi del celebre, indimenticabile elogio della carità di San Paolo. Che ce ne sia bisogno, in Italia, non c’è dubbio. Da quando il crollo del muro di Berlino ha seppellito l’idea della lotta per una maggiore giustizia sociale, rivolta a quelli che l’inno dei lavoratori di Filippo Turati chiamava “fratelli e compagni”, si è imposta una morale d’uso che vede dovunque “un mercato e in tutto la specolazione”, per dirla con le parole del giacobino Vincenzio Russo. In questa Italia d’oggi, la parola di papa Francesco comincia a scuotere un’opinione pubblica dove, come dicono i sondaggi, c’è un gran mucchio di persone che concepisce la libertà come qualcosa che va in direzione opposta rispetto all’uguaglianza. Qui, grazie a una poliennale e pervasiva educazione morale a mezzo televisione, al vincolo collettivo della solidarietà si oppone il diritto all’egoismo come esito necessario della libertà: libertà di godimento dei beni che mi so procurare; libertà di evadere anche il fisco; sacro egoismo in un mondo abitato dalla belva umana, che consapevole della brevità della vita vuole godere di tutto quello che si offre ai suoi appetiti e attraversa ogni volta che può le barriere fissate dalla legge. E se i giudici lo condannano, noi vediamo quello che fa. La partita che si è aperta è questa: riguarda la morale. La loro morale e la nostra, si potrebbe dire con un celebre scritto di Lev Trotzski (molto favorevole ai gesuiti). Fu su questo terreno che le avanguardie missionarie del cristianesimo europeo varcarono i limiti teologici tra cristianesimo e cultura cinese. Poi però ci fu nella Chiesa chi li condannò come eretici. Oggi un gesuita è diventato papa. Ma intanto molte cose sono cambiate. Tra la morale della Chiesa quale abbiamo visto all’opera in tanti recenti e laceranti conflitti nel paese Italia, dominato ancora dalle regole del Concordato del 1929, e quella dei diritti di libertà sanciti nelle costituzioni moderne a partire dal 1789, esistono fratture profonde. A questo ha fatto una delicata allusione ieri su la Repubblica
Umberto Veronesi. Ma la cosa è così importante che bisogna ricordarla ancora, a rischio di sembrare importuni. È qui che aspettiamo alla prova quest’uomo di buona volontà che oggi siede sul trono di Pietro.

image_pdfimage_print
image_pdfimage_print