A Ferrara non piace Bergoglio: “Papa infedele, in adulterio con il mondo”
L’attacco di Giuliano Ferrara a Papa Francesco, considerato in adulterio con il mondo.
Intervistato dalla testata Civiltà Cattolica, Papa Francesco aveva utilizzato un’immagine, per la Chiesa, che non è andata a genio al direttore de Il Foglio, Ferrara.
Bergoglio, dopo aver aperto ai gay e ai divorziati, aveva infatti paragonato l’istituzione ecclesiastica ad un “ospedale da campo dopo una battaglia”. “E’ inutile chiedere a un ferito grave se ha il colesterolo e gli zuccheri alti: si devono curare le sue ferite, poi potremo parlare di tutto il resto”, aveva specificato, aggiungendo che dunque, “le riforme organizzative e strutturali sono secondarie, cioè vengono dopo”, in quanto “la prima riforma deve essere quella dell’atteggiamento”.
E proprio a questo risponde l’elefantino, attraverso un articolo comparso sul suo giornale, dal titolo “La sposa infedele”: “Francesco in flagrante adulterio con il mondo”, esordisce Ferrara. “L’esercito angelico di Wojtyla e la cattedra razionale di Ratzinger sono solo un ricordo. L’ospedale da campo gesuita ha una sua bellezza, ma non mi riguarda.”
“Il suo problema non è il Concilio Vaticano II e nemmeno il dopo Concilio”, prosegue il giornalista. “Queste cose le sbriga in due parole. L’ospedale di Francesco è un’altra costruzione ancora. E’ una cosa viva, è una risposta politica, è un tentativo lodevole, scandaloso ma ammirevole, di sopravvivenza. Per questo l’infedeltà di Francesco a me piace, in un certo senso.”
“Io però sono un laico”, specifica, “a me interessa una ragione completa del suo mistero, non il vangelo come santa e sublime filastrocca; e finalmente vediamo all’opera gli atei devoti veri, quelli che la chiesa va bene se amministra la fede, concede ai sentimenti politicamente corretti e lascia in pace la ragione più o meno illuminata.”
“E’ anche una bella soddisfazione”, si legge ancora. “Quest’uomo energico e scaltro libera la coscienza inquieta dei peccatori, perché è furbo come egli stesso afferma, ma al tempo stesso ributta il diavolo tra le gambe dei contemporanei, perché l’ingenuità non gli manca”
“Spero che il gesuita sappia regolarsi come una volta i confessori dei re e i casuisti e i grandi missionari”, conclude Ferrara, “spero si ricordi del fatto che la chiesa perdona, il mondo no.”
un nuovo genere di preghiera, inventato da papa Francesco: la preghiera di lotta per il lavoro
“Signore insegnaci a lottare per il lavoro”
Il “fonte battesimale” della città del Papa, sull’estuario del “fiume d’argento”, fu scolpito nella testardaggine granitica dei marinai di Sardegna, che si imposero sui comandanti e imposero all’insediamento un nome di donna, e di Madonna, insieme a quelli maschili e trini del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo: le pari opportunità e la teologia femminile con cinque secoli di anticipo, a furor di ciurma e minaccia di ammutinamento.
E’ stato Francesco stesso a raccontarlo il 15 maggio in Piazza San Pietro, annunciando la sua visita settembrina: “Proprio nel momento della fondazione della città di Buenos Aires, il suo fondatore voleva nominarla Città della Santissima Trinità, ma i marinai che lo avevano portato laggiù erano sardi e loro volevano che si chiamasse Città della Madonna di Bonaria”.
Un omaggio che la Vergine ha ricambiato con divina fecondità, portando a sua volta l’arcivescovo di quella metropoli sul soglio di Pietro, dai confini del mondo, e conducendolo a Cagliari come il richiamo di un antico amore, davanti alla donna che scruta il mare dalla collina dell’“aria buona”.
Nell’immaginario di Francesco l’Italia comincia dalle isole: più che un punto di vista una “visione”. Anche Assisi, terza imminente tappa delle sue trasferte, si rappresenta e viene percepita come un’isola, di serenità e pace però, al contrario delle prime due, Lampedusa e Sardegna, segnate francescanamente dalle stigmate del nostro tempo: la fuga dalla patria e la perdita del lavoro.
“Questa è la seconda città che visito in Italia. E’ curioso: tutte e due sono isole. Nella prima ho visto la sofferenza di tanta gente che cerca, rischiando la vita, dignità, pane, salute: il mondo dei rifugiati. E ho visto la risposta di quella città, che essendo isola non ha voluto isolarsi…”.
Se da una parte le isole allargano gli orizzonti, predisponendo all’apertura mentale, dall’altra circoscrivono gli argomenti, realizzando la condizione congeniale al discernimento, che Francesco descrive nella intervista alla Civiltà Cattolica: “…non essere ristretti nello spazio più grande, ma essere in grado di stare nello spazio più ristretto. Questa virtù del grande e del piccolo è la magnanimità, che dalla posizione in cui siamo ci fa guardare sempre all’orizzonte …i grandi principi devono essere incarnati nelle circostanze di tempo e di luogo, di tempo e di persone”.
Nella sua domenica insulare Francesco ha pertanto “isolato” temi e problemi in altrettanti momenti e “memento” vis à vis: lavoratori, poveri e detenuti, intellettuali e giovani. “Io riesco a guardare le singole persone una alla volta, a entrare in contatto in maniera personale con chi ho davanti. Non sono abituato alle masse”, ammette del resto nel colloquio con Padre Spadaro. “Io avevo scritto alcune cose per voi”, ha ugualmente esordito all’arrivo a Cagliari, “ma guardandovi ho preferito dirvi quello che mi viene dal cuore in questo momento”.
Di fronte a genitori disoccupati, precari e cassaintegrati Bergoglio è tornato figlio e il Papa si è sentito “papà”, il suo papà, che partì per l’Argentina “pieno di illusioni a farsi l’America. E ha sofferto la terribile crisi degli anni trenta. Hanno perso tutto! Non c’era lavoro!”.
Un discorso proseguito senza distogliere gli occhi dall’uditorio se non al termine, quando li ha levati al cielo, interpellando Dio. Mentre a Lampedusa si era rivolto ai poteri forti con il linguaggio forte della Bibbia, inventando la “liturgia della liberazione”, in terra di Sardegna il Pontefice ha consegnato alla memoria della Chiesa un nuovo genere di invocazione: la “preghiera di lotta”. “Signore, ci manca il lavoro. Gli idoli vogliono rubarci la dignità. I sistemi ingiusti vogliono rubarci la speranza. Signore Gesù, a Te non mancò il lavoro, dacci lavoro e insegnaci a lottare per il lavoro…”. La sera del 13 marzo, a ridosso della fumata bianca, scrivemmo d’istinto tema e titolo del primo articolo su Bergoglio: “Il vento buono di Buenos Aires”. Sei mesi dopo il “vento buono” ha per un giorno accarezzato il colle cagliaritano dei suoi natali etimologici, soffiando alte parole ardite, per poi riprendere la lotta e il largo, rinfrancato e fiero, incontro alla “tempesta perfetta” che investe il mondo.
Il Papa a Cagliari incontra i lavoratori: “Signore, insegnaci a lottare per il lavoro”
Il pontefice in visita pastorale in Sardegna a colloquio con disoccupati, cassintegrati, dipendenti in mobilità, per affrontare l’emergenza occupazione nell’isola.
“La società italiana oggi ha molto bisogno di speranza, e la Sardegna in modo particolare”.
Papa Francesco in visita pastorale
“Signore, insegnaci a lottare per il lavoro”.
E’ la preghiera di Papa Francesco, sbarcato in Sardegna per la sua seconda visita pastorale sul suolo italiano (la prima fu a Lampedusa lo scorso luglio) per affrontare l’emergenza occupazione assieme a cassintegrati, disoccupati e dipendenti in mobilità. E per restituire la speranza ai giovani in una terra dove la povertà e l’emarginazione sono in preoccupante crescita. Il pontefice arriva in via Roma a Cagliari, ad attenderlo migliaia di persone. Sul palco allestito davanti a largo Carlo Felice lo aspettano un cassintegrato, un pastore e una imprenditrice, ciascuno per leggergli una lettera. Con loro anche una trentina di persone rappresentanti delle varie realtà lavorative della Sardegna. Il Papa dapprima ascolta le loro richieste. Poi comincia a leggere il suo discorso, ma dopo poche frasi si ferma e continua a parlare a braccio: “Non sono un impiegato della Chiesa che viene e vi dice: coraggio” L’operaio, l’imprenditrice e il pastore. Parla per primo l’operaio in cassa integrazione, che esordisce: “Mi chiamo Francesco, sono un operaio e dal febbraio 2009, ormai più di quattro anni, sono senza lavoro”. E chiede al Santo Padre di “intercedere sul presidente della regione e su chi ha autorità per risolvere le vertenze” perché “il Sulcis, il mediocampidano, il nuorese e il sassarese muoiono ogni giorno”. Ci sono, sottolinea l’operaio, in Sardegna “migliaia di disoccupati cassaintegrati e precari, appartenenti a industria, agricoltura, pastorizia e commercio”. “Grazie – aggiunge – per la sua presenza di grande incoraggiamento per noi”. “La mancanza di lavoro – sottolinea – rende lo spirito debole, una debolezza che genera paura e la paura indebolisce la fede e la fiducia nell’avvenire”. “Papa, papà di tutti noi, non lasciarci soli”, conclude. L’imprenditrice chiede invece al Papa di benedire tutte le attività imprenditoriali dell’isola, dalle grandi industrie alle piccole società. “Tanti imprenditori – aggiunge la donna – vivono la drammatica responsabilità di fare di tutto per non perdere posti di lavoro” ma “la crisi – sottolinea – ci ha messo a dura prova, tanto che nessuna impresa si sente sicura per il futuro”. Infine prende la parola il pastore. La pastorizia rappresenta “una parte importante dell’economia della Sardegna”, spiega, e “nella consapevolezza di curare la terra che il Creatore ha affidato alla nostra responsabilità”, per “consegnarla alle nuove generazioni in uno stato tale che anche esse possano degnamente abitarla e valorizzarla, vogliamo essere annunciatori del Vangelo nelle nostre campagne. Santità, noi la riconosciamo nostro buon pastore e le chiediamo di benedire il nostro lavoro, la nostra terra le nostre speranze”. La risposta di Francesco. “Con questo incontro desidero soprattutto esprimervi la mia vicinanza – risponde il pontefice – specialmente alle situazioni di sofferenza: a tanti giovani disoccupati, alle persone in cassa integrazione o precarie, agli imprenditori e commercianti che fanno fatica ad andare avanti. E’ una realtà che conosco bene per l’esperienza avuta in Argentina. Anche io non avevo conosciuta la mia famiglia, mio papà giovane è andato in Argentina pieno di illusioni a farsi l’America e ha sofferto la terribile crisi del Trenta. Hanno perso tutto. Non c’era l’oro. E io ho sentito nella mia infanzia parlare di questo tempo a casa. Io non l’ho visto, non ero nato ancora. Ma ho sentito in casa parlare di questa sofferenza. La conosco bene. Devo dirvi coraggio. Ma sono cosciente che devo fare il mio perché questa parola coraggio non sia una bella parola di passaggio. Non sia solo il sorriso di un impiegato della Chiesa che viene e vi dice coraggio. Questo non lo voglio”. Il dio denaro. La crisi e le sue sofferenze, continua Francesco, “sono la conseguenza di una scelta mondiale, di un sistema economico che porta a questa tragedia, un sistema economico che ha al centro un idolo, che si chiama denaro. Dio ha voluto che al centro non ci sia un idolo, ma un uomo e una donna. Il mondo è diventato idolatra, comanda il denaro”. E aggiunge: “Cadono gli anziani, perché in questo mondo non c’è posto per loro. Alcuni parlano di questa eutanasia nascosta, perché non vengono curati, vengono lasciati perdere”. No alla cultura dello scarto. “Si scartano i nonni e si scartano i giovani e noi dobbiamo dire no a questa cultura dello scarto. Dobbiamo dire ‘vogliamo un sistema giusto, che faccia andare avanti tutti’. Non vogliamo questo sistema economico globalizzato che ci fa tanto male. Al centro devono essere l’uomo e la donna, non il denaro”. “Signore insegnaci a lottare”. Il Papa innalza poi la sua preghiera di fronte alle migliaia di fedeli: “Signore Dio guardaci, guarda questa città e questa isola, guarda le nostre famiglie. Signore a te non è mancato il lavoro, hai fatto il falegname, eri felice. Signore ci manca il lavoro. Gli idoli vogliono rubarci la dignità. I sistemi ingiusti vogliono rubarci la speranza. Signore aiutati ad aiutarci tra noi, a dimenticare l’egoismo e a sentire il ‘noi’, il ‘noi popolo’ che vuole andare avanti. Insegnaci a lottare per il lavoro”. Due isole. “Questa è la seconda città che visito dell’Italia, è curioso. Tutte e due sono isole – aggiunge ancora il Papa riferendosi alla sua precedente visita a Lampedusa. Nella prima ho visto la sofferenza di tanta gente che cerca, rischiando la vita, dignità, pane e salute. E’ il mondo dei rifugiati. E ho visto la risposta di quella città che, essendo isola, non ha voluto isolarsi, che riceve e ci dà un esempio di accoglienza. Sofferenza e risposta positiva”. “Anche qui – continua – in questa seconda isola che visito, trovo sofferenza, una sofferenza che, qualcuno ha detto, ti toglie la speranza (e qui cita la lettera aperta rivolta a lui dall’operaio, ndr). Una sofferenza che ti porta, scusate se uso una espressione forte, ma è vero, ti porta a sentirti senza dignità”. Il discorso integrale. “Avevo scritto – racconta al termine del suo discorso, pronunciato interamente a braccio – alcune cose per voi, ma guardandovi mi sono venute queste parole. Io consegnerò al vescovo queste parole scritte come se fossero state dette, ma ho preferito dire quello che mi viene dal cuore guardandovi in questo momento”. La messa nella basilica di Bonaria. Il Papa ha poi celebrato la messa nella basilica di Bonaria, alla quale hanno assistito anche 1.600 i malati. Dopo il Pontefice si è fermato a pregare all’interno del Santuario assieme ai padri mercedari, custodi del simulacro della Vergine di Bonaria, alle suore mercedarie e al terz’Ordine mercedario. I mercedari gli hanno donato una medaglia ricordo d’argento con l’effige della Madonna di Bonaria. L’omelia e la preghiera in sardo. “Sa paghe ‘e Nostru Segnore siat sempre chin bois”, cioè “La pace di Nostro Signore sia sempre con voi”. Con questa invocazione in sardo Francesco ha aperto la sua omelia. Poi conclusa con una preghiera alla Vergine iempre in lingua sarda: “Nostra Segnora ‘e Bonaria bos acumpanzet sempre in sa vida”, cioè “Nostra Signora di Bonaria, accompagnaci sempre nella nostra vita”. “Maria – ha spiegato ai fedeli – prega, prega insieme alla comunità dei discepoli, e ci insegna ad avere piena fiducia in Dio, nella sua misericordia. E’ necessaria la collaborazione leale da parte di tutti, con l’impegno dei responsabili delle istituzioni, per assicurare alle persone e alle famiglie i diritti fondamentali, e far crescere una società più fraterna e solidale”, ha poi detto il Papa durante la messa, ricordando che la Sardegna, “questa vostra bella regione, soffre da lungo tempo molte situazioni di povertà, accentuate anche dalla sua condizione insulare”. La preghiera con detenuti e poveri. La giornata è proseguita con la visita alla Cattedrale, dove c’è stato un momento toccante quando papa Francesco ha recitato il ‘Padre nostro’ insieme ai detenuti e ai poveri. Nel duomo infatti c’erano 27 detenuti e 132 poveri assistiti dalla Caritas tra famiglie disagiate, clochard, extracomunitari e Rom. I detenuti hanno offerto al papa un cesto con i prodotti tipici sardi e una lettera scritta da un ergastolano. Nella lettera dell’ergastolano – il suo nome è Dante – viene lanciato un appello al Santo Padre perchè interceda e “apra il cuore” ai governanti e ai parlamentari affinché dall’ordinamento nazionale sparisca “la tortura dell’ergastolo”. Nella stessa missiva, consegnata da un detenuto presente in cattedrale, anche una poesia dal titolo “Fine pena mai”. Il papa, durante gli incontri nella cattedrale, ha detto: “Per favore vi prego di pregare per me, ne ho bisogno. Qui tutti abbiamo difficoltà, tutti abbiamo miserie, tutti noi abbiamo fragilità, nessuno qui è meglio dell’altro e tutti siamo uguali davanti a Dio”. Francesco a continuato: “Carità non è assistenzialismo, ma scelta di vita, è un modo di vivere e di essere, è la via dell’umiltà e della solidarietà. Bisogna seguire Gesù, che non è venuto nel mondo per fare una sfilata, per farsi vedere”. E “non possiamo seguire Gesù sulla via della carità se non ci vogliamo bene prima di tutto tra noi, se non ci sforziamo di collaborare, di comprenderci a vicenda e di perdonarci, riconoscendo a ciascuno i propri limiti e i propri sbagli”. “La parola solidarietà rischia di essere cancellata dal vocabolario, perché dà fastidio”. “La società italiana oggi hamolto bisogno di speranza, e la Sardegna in modo particolare”, ha detto ancora papa Francesco. Kyenge, aiutare i ‘diversi’. “Mi associo nella preghiera col Santo Padre – ha sottolineato in una nota il ministro per l’Integrazione Cecile Kyenge – guardare negli occhi i più disagiati lanciando un appello a tutti gli uomini di buona volontà: perché aiutare ad integrare il ‘diverso’ significa amare il prossimo del Vangelo”.
APPASSIONATO DISCORSO A BRACCIO: “INSIEME CONTRO IL DIO DENARO”
Oltre centomila persone si sono radunate per il primo incontro di Papa Francesco con il mondo del lavoro a Cagliari. In prima fila gli operai delle aziende in crisi, dal Sulcis al Nuorese sino al Nord Sardegna.
Commozione dei lavoratori di Alcoa, Eurallumina, Carbosulcis alle parole del Santo Padre: ‘Dove non c’è lavoro manca la dignità’. Appassionato il discorso a braccio di Francesco: ‘Mio padre da giovane è andato in Argentina pieno di illusioni, convinto di trovarvi l’America e ha sofferto la crisi del Trenta, ha perso tutto, non c’era lavoro’. ‘Ho sentito nella mia infanzia parlare di questa sofferenza’. E ha aggiunto: ‘Lottiamo contro l’idolo denaro, rimettiamo al centro uomo e donna, in questo sistema senza etica che idolatra i soldi’.
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