nonostante papa Francesco …

“Riforma della Curia senza riforma. Non siamo sulla strada giusta”

La Curia ai tempi di papa Francesco
la Curia ai tempi di papa Francesco

da: Adista Segni Nuovi n° 25 del 09/07/2016

“Riforma della Curia senza riforma. Non siamo sulla strada giusta” è il titolo della riflessione di Noi Siamo Chiesa, diffusa dal suo coordinatore nazionale Vittorio Bellavite lo scorso 14 giugno. La riforma della Curia vaticana rappresentava uno dei punti più dirompenti della proposta francescana all’inizio del nuovo pontificato e anche quello che suscitava maggiori speranze tra i cattolici conciliari. A distanza di oltre tre anni però, di quel progetto non si ha più notizia.


Tra i propositi ben noti e largamente condivisi fin dall’inizio del pontificato di papa Francesco vi è la riforma della Curia vaticana. Di ciò si parla poco. La forte immagine e la linea pastorale di questo papa nascondono o lasciano in secondo piano il funzionamento della struttura centrale della Chiesa e il problema urgente di come modificarla. Per ragionare sulla questione bisogna essere informati sugli organi centrali, cosa non difficile almeno in prima approssimazione. Notizie si trovano online e sull’Annuario Pontificio. Nell’opinione cattolica spesso non si ha consapevolezza delle dimensioni della Curia. Le Congregazioni sono nove, i Pontifici Consigli sono dodici, le Pontificie Commissioni sono sei, le Accademie pontificie sono undici, i Tribunali sono tre oltre alle quattordici istituzioni collegate  (tra le quali tutto il sistema della comunicazione). Poi c’è il Sinodo dei vescovi e la Segreteria di Stato, dalla quale dipendono le rappresentanze pontificie presso gli Stati che sono 178 mentre 35 sono le organizzazioni internazionali nelle quali la S. Sede è presente a vario titolo.

In controtendenza rispetto allo spirito del Concilio, le strutture della Curia negli ultimi 50 anni sono diventate più numerose e consistenti, soprattutto con l’istituzione di nuovi Pontifici Consigli (tra questi, il più recente e il più inutile è quello sulla Nuova Evangelizzazione, voluto da papa Benedetto XVI e diretto da mons. Fisichella). È opinione comune che esse gestiscano in modo centralizzato e autoritario, come prima del Concilio ma forse più di prima, la vita delle Chiese locali. Il settimanale statunitense National Catholic Reporter sostiene – ci sembra a ragione – che c’è una continua emanazione di direttive, di documenti, di esortazioni, di prescrizioni che inondano le strutture ecclesiastiche nel mondo. Con papa Francesco però – sostiene il prestigioso settimanale nordamericano – i documenti sono meno numerosi e il ruolo della Congregazione per la Dottrina della Fede sarebbe stato ridotto. Essa è guidata dal numero uno dei vescovi ostili alla linea di papa Francesco, il card. Gerhard Müller, che è stato nominato nell’estate del 2012 quando Benedetto XVI probabilmente aveva già deciso di dimettersi e, si suppone, volesse lasciare suoi uomini di fiducia nei posti chiave.

Papa Francesco ha voluto circondarsi del C9, il gruppo dei nove cardinali  scelti da ogni continente per progettare la riforma della Curia. Dopo tre anni e quindici lunghi incontri i risultati sono del tutto inferiori alle attese, non solo per la lentezza delle decisioni, ma anche per le caratteristiche di quelle fino ad ora adottate. La forte presenza della Parola di Gesù nei messaggi di papa Francesco ci sembra piuttosto debole o addirittura assente nei casi, poco frequenti, in cui egli parla della riforma della Curia. In assenza di una spinta di papa Francesco rimangono sul tappeto questioni di fondo da definire: anzitutto se la Curia debba essere un servizio evangelico alle Chiese locali e ai vescovi oppure una struttura burocratica dove i vescovi si sentono spesso non capiti da supponenti monsignori di Curia (cosa di cui si lamentano molti e che capitò più volte a mons. Romero). Si tratta di sapere se ha ragione, per esempio, un vescovo della estrema periferia della Chiesa che ha detto: «Noi siamo trattati come filiali di una multinazionale» (mons. Bonino di Tacuarembò, Uruguay). Di queste grandi questioni non si parla.

La linea che si sta tacitamente affermando è invece quella della riorganizzazione, degli accorpamenti, delle semplificazioni. Tutto qui! È la logica che vuole evitare conflitti di competenza, che vuole stabilire meglio le gerarchie ed evitare la dispersione di energie. Dapprima tutti i nove servizi di informazione sono stati aggregati sotto la nuova Segreteria per la comunicazione. Ora, lo scorso 4 giugno, è stato costituito il “Dicastero (nuova terminologia) per i Laici, la Famiglia e la Vita”, che unifica due Pontifici Consigli e allarga le sue competenze alla “vita” (senza che ciò significhi l’assorbimento della Pontificia Accademia per la Vita, in cui, sia detto per inciso, tra i venticinque membri italiani le donne sono solo tre!). Lo Statuto di questo Dicastero prevede tre sezioni per le tre competenze e dice che avrà tra i propri membri “fedeli laici, uomini e donne, celibi e coniugati, impegnati nei diversi campi di attività e provenienti dalle diverse parti del mondo”. Staremo a vedere. Per ora il Consiglio dei Laici ha meno di un terzo di donne tra i propri membri. Non condividiamo la volontà di continuare a organizzare i “laici” come categoria separata, accettata ed organizzata dall’esterno e mai protagonista, per di più con una particolare sottocategoria costituita dalle donne. Un altro grande accorpamento è in dirittura d’arrivo, quello del nuovo Dicastero “Carità, Giustizia e Pace” per unificare quattro Pontifici Consigli (Giustizia e Pace, Cor Unum, Pastorale della salute, Migranti e Itineranti). La riforma di tutte le strutture di gestione delle risorse (IOR, APSA ecc… che pure fanno parte della Curia), per quello che si riesce a capire, è quella dove invece è possibile aspettarsi risultati positivi dall’azione di riforma e di pulizia di papa Francesco.

Ci pare che, con un centro romano della Chiesa ostile al cambiamento e convinto, nella sua maggioranza, di essere da solo il portavoce dello Spirito Santo, manchi un progetto generale per la riforma della Curia che sia coerente con lo spirito e la lettera del Concilio Vaticano II sul Popolo di Dio. La stessa volontà di Francesco di andare nella direzione della sinodalità è agli inizi e merita un salto di qualità urgente se pensiamo alla non condivisibile composizione degli ultimi due sinodi, con i laici e le donne ridotti a fare da comparse. Secondo noi, la riforma della Curia dovrebbe fondarsi su due pilastri: ridurre le strutture del Vaticano e decentrare le competenze alla periferia della Chiesa. Del decentramento alle Conferenze episcopali pare si sia parlato, a quanto ha riferito il portavoce vaticano p. Federico Lombardi, ma, per ora, non vi è niente né di chiaro né di definito. Questa del decentramento è la questione centrale. Alcune proposte, elaborate “dal basso”, ci sono già, anche noi cercheremo di fare proposte concrete. Per ora ci sembra che non si stia andando nella direzione giusta, c’è anzi la concreta possibilità di “cambiare tutto perché nulla cambi”. Non pensiamo che la riforma sia una cosa facile, ma pensiamo che essa sia necessaria e urgente se la nostra Chiesa vuole mantenere le sue caratteristiche di universalità condivisa e plurale, garantite per quanto riguarda la sua unità dal ministero del Vescovo di Roma.

* Immagine di Gabriel Andrés Trujillo Escobedo

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«Una grande emozione. Colpita dalla sua profonda umanità. Grazie».

 il nuovo sindaco di Roma Virginia Raggi, del Movimento 5 Stelle, è stata ricevuta questa mattina da papa Francesco per circa mezz’ora

Raggi

«La Chiesa ha sicuramente un ruolo importantissimo in tutta Italia, ma a Roma in particolare, anche perché è “di casa”», ha detto la prima cittadina della capitale alla Radio vaticana. 

Dopo l’udienza, iniziata alle 10,30, Raggi ha postato una foto del suo incontro con Francesco sul suo account Twitter, commentando: «Una grande emozione. Colpita dalla sua profonda umanità. Grazie». Con la Prima cittadina di Roma erano presenti anche i genitori, il figlio e alcuni stretti collaboratori. 

sindaco

La Sindaco grillina di Roma ha portato al Papa una video-raccolta di messaggi, appelli, inviti e testimonianze delle periferie più in difficoltà della capitale intitolato «La voce della Roma dimenticata». Da Ostia a Corviale, passando per San Basilio e Tor Bella Monaca, decine di romani, a quanto si apprende dall’entourage della stessa Raggi, hanno rivolto un proprio pensiero al Santo Padre augurandogli di «andare avanti con quanto sta facendo». Il Sindaco ha mostrato il video al Pontefice dal suo tablet. Tra le richieste, anche quella di un giovane 30enne che a Papa Bergoglio ha chiesto di «concretizzare gli auspici espressi circa il pagamento dell’Imu per gli esercizi della Chiesa che svolgono attività commerciale». Il Sindaco, spiegano ancora dal suo entourage, «in sintonia con le parole e il lavoro portato avanti dal Pontefice in questi anni, ha voluto rendergli in dono la voce degli ultimi, di coloro che per tanto, troppo tempo, sono stati dimenticati dalle istituzioni politiche». 

L’incontro «è andato molto bene, è stato molto emozionante», ha dichiarato Virginia Raggi intervistata da Luca Collodi ai microfoni della Radio Vaticana. «Era chiaramente la prima volta che incontravo il Santo Padre. Ho scoperto una persona molto umana, veramente molto umana, sono rimasta profondamente colpita». La Chiesa, ha detto l’esponente pentastellata, «ha sicuramente un ruolo importantissimo in tutta Italia, ma a Roma in particolare, anche perché è “di casa”; siamo vicini, ci guardiamo da un lato all’altro del Tevere! Devo dire che ho apprezzato molto le parole dell’enciclica Laudato si’, mi sembrano estremamente attuali e moderne; parlano di cambiamenti climatici, di urbanistica come, talvolta, di uno scempio al paesaggio quando viene fatta senza rispettare le regole, dello spirito di comunità, delle persone più fragili. Devo dire che in quell’Enciclica c’è molto della società romana di oggi». Per il Neosindaco di Roma, «purtroppo c’è una Roma dimenticata, le persone più fragili hanno bisogno di maggiori attenzioni e per le istituzioni significa anche una maggiore attenzione anche da un punto di vista economico».  sindaco1

È importante, afferma ancora Raggi, il riscatto morale e spirituale di Roma, «ancora di più dopo tutti i tragici e spregevoli eventi che vanno sotto il nome di “Mafia Capitale” ma che in realtà poi coinvolgono tanti anni di cattiva politica». Svariati gli argomenti affrontati da Raggi nel corso dell’intervista in merito all’amministrazione della capitale. Dall’accoglienza degli immigrati («Quando gli immigrati vengono sfruttati, come è stato il caso di “Mafia Capitale”, e se questo, è evidente, diventa un business per fare soldi e non per aiutare le persone c’è un problema»), alla famiglia («Ci sarà un’attenzione ai servizi che da sempre, purtroppo, scontano le politiche dei tagli, perché fino a oggi invece di tagliare gli sprechi si andava a tagliare i servizi»), dal risanamento dell’Atac alle sanzioni a carico dei «furbetti», dalle buche sulla strada ai rifiuti, dagli impianti sportivi alle Olimpiadi: «Se i romani, che fino a oggi in campagna elettorale non mi hanno mai parlato di Olimpiadi, mi dovessero chiedere un referendum lo valuteremo». 

Virginia Raggi si è recata oggi dal Papa a meno di dieci giorni dal ballottaggio, il 22 giugno, dove ha battuto col 67,15% dei voti (oltre 770mila preferenze) il candidato del Pd Roberto Giachetti (32,85% dei voti con meno di 377mila preferenze), e prima ancora di aver completato la formazione della sua Giunta. Il Papa, che nel corso della mattinata ha poi ricevuto il cardinale Raffaele Martino e il fondatore dei neocatecumenali Kiko Arguello, dovrebbe interrompere da oggi le udienze pubbliche e private nel corso del mese di luglio. sindaco2

 

GRAZIE A PAPA BERGOGLIO, GLI ABBIAMO PORTATO LA VOCE DELLA ROMA DIMENTICATA

Oggi ho avuto il piacere e l’emozione di essere ricevuta da Papa Francesco, al quale in dono ho voluto portare la voce della Roma dimenticata: una video-raccolta di messaggi, appelli, inviti e testimonianze delle periferie più in difficoltà della Capitale.

Da Ostia a Corviale, passando per San Basilio e Tor Bella Monaca, decine di romani hanno voluto esprimere la loro vicinanza e le loro richieste al Santo Padre augurandogli di andare avanti con quanto sta facendo.

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Questo è stato il nostro pensiero, farci testimoni di quelle voci, con l’auspicio che questo cammino comune rappresenti un sostegno soprattutto per quella parte di città abbandonata, che vuole e deve, tornare a farsi sentire.

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terminato il “Santo e Grande Concilio della Chiesa ortodossa” (19-27 giugno)

«Abbiamo scritto una pagina di storia»

chi può dar torto al patriarca ecumenico di Costantinopoli, Bartolomeo I, per questo soddisfatto commento a chiusura dei lavori del “Santo e Grande Concilio della Chiesa ortodossa” (19-27 giugno)? Perché se è vero che erano assenti quattro Chiese (quelle russa, antiochena, bulgara e georgiana) su 14 – defezione che fa decadere nella definizione dell’evento il tanto auspicato aggettivo “panortodosso” –, è altrettanto vero che la sua realizzazione, in forse fino a tre giorni prima dell’avvio, è stata un’«occasione di incontro», come è stata definita dagli stessi partecipanti, non “universale”, ma sì storica: non si vedeva un Concilio che riunisse le varie Chiese ortodosse da oltre mille anni

A Creta, chiuso il Concilio ortodosso: la parziale unanimità

a Creta, chiuso il Concilio ortodosso: la parziale unanimità

 
da: Adista Notizie n° 25 del 09/07/2016

«Abbiamo scritto una pagina di storia». Chi può dar torto al patriarca ecumenico di Costantinopoli, Bartolomeo I, per questo soddisfatto commento a chiusura dei lavori del “Santo e Grande Concilio della Chiesa ortodossa” (19-27 giugno)? Perché se è vero che erano assenti quattro Chiese (quelle russa, antiochena, bulgara e georgiana) su 14 – defezione che fa decadere nella definizione dell’evento il tanto auspicato aggettivo “panortodosso” –, è altrettanto vero che la sua realizzazione, in forse fino a tre giorni prima dell’avvio, è stata un’«occasione di incontro», come è stata definita dagli stessi partecipanti, non “universale”, ma sì storica: non si vedeva un Concilio che riunisse le varie Chiese ortodosse da oltre mille anni (v. Adista Notizie n. 22/16).

I lavori, condotti in uno stile improntato alla «cooperazione» e all’«amore fraterno» da 290 delegati delle Chiese «superstiti», hanno prodotto un considerevole risultato: insieme alla pubblicazione di una enciclica e alla diffusione di un messaggio «al popolo ortodosso e a tutte le persone di buona volontà», sono stati emendati e approvati all’unanimità i sei documenti elaborati nella fase preparatoria per la discussione conciliare: la missione della Chiesa nel mondo contemporaneo, la diaspora ortodossa, l’autonomia delle Chiese e il modo di proclamarla, l’aggiornamento delle norme sul digiuno, i rapporti con le altre Chiese cristiane, gli impedimenti per la celebrazione del matrimonio. Erano presenti una quindicina di osservatori delle Chiese cristiane in rappresentanza della Chiesa cattolica (il card. Kurt Koch e mons. Brian Farrell, rispettivamente presidente e segretario generale del Pontificio Consiglio per l’Unità dei Cristiani), della Comunione anglicana, della Federazione Luterana Mondiale, e di organismi ecumenici quali la Conferenza delle Chiese Europee e il Consiglio delle Chiese del Medio Oriente.

I lavori si sono svolti a porte chiuse, tranne che per la sessione di apertura e quella di chiusura (25 giugno). Durante quest’ultima, Bartolomeo ha voluto tracciare un primo bilancio, riconoscendo che «non è stato tutto facile» e che «il fattore umano è stato presente» e dichiarandosi amareggiato per l’assenza di diverse Chiese, ma anche soddisfatto perché è emerso che «nonostante l’istituzione dell’autocefalia, siamo una Chiesa indivisibile e godiamo dell’unità nella nostra diversità e della diversità nella nostra unità». Ha così potuto concludere: «Abbiamo scritto insieme una pagina di storia, un nuovo capitolo nella storia contemporanea delle nostre Chiese»; «possiamo dire di aver dato prova ancora una volta della nostra unità in Cristo». Il concetto dell’unità a partire dalla pluralità è stato ulteriormente ribadito quando ha affermato: «Il Santo e Grande Concilio ha rivelato che la Chiesa una, santa, cattolica e apostolica, unita dalla fede, dai sacramenti e dalla testimonianza nel mondo, incarna ed esprime in modo autentico il principio ecclesiologico centrale e la verità della sinodalità, e ha anche ribadito che la Chiesa vive come un “sinodo”». L’incontro di Creta non può comunque esaurirsi qui, ha detto ancora Bartolomeo; esso deve essere seguito da «un Concilio dopo il Concilio», ovvero «le decisioni sinodali panortodosse devono essere inserite nella vita delle Chiese ortodosse locali, rese pubbliche nelle parrocchie, nelle sante arcidiocesi, nelle metropolie e nei santi monasteri, discusse nelle scuole teologiche e nei seminari, utilizzate per il catechismo e l’educazione dei giovani, per poter recare frutto nel ministero pastorale e nelle attività della Chiesa nel mondo».

No al fondamentalismo, sì ai diritti umani

Il messaggio finale – su temi tratti dalla “Enciclica del Santo e Grande Concilio del 26 giugno 2016” (per il testo integrale, si veda www.ortodossia.it) – è articolato in 12 punti. Vi si parla di diritti umani: «Davanti all’omogeneizzazione livellatrice e impersonale, che viene promossa in vari modi, l’ortodossia proclama il rispetto dell’individualità degli uomini e dei popoli», e «si oppone alla proclamazione di autonomia dell’economia dalle necessità basilari dell’uomo e nella sua trasformazione fine a se stessa. Il progresso del genere umano non si collega con lo sviluppo del tenore di vita o dell’economia, a scapito dei valori spirituali» (fra i diritti umani, «la protezione della libertà religiosa, ossia della libertà di coscienza, di fede, di culto e di tutte le sue manifestazioni personali e collettive, compreso anche il diritto di ogni fedele e di ogni comunità religiosa di celebrare» i propri riti). Vi si parla di crisi ecologica, che è «dovuta a cause spirituali ed etiche», in quanto «le sue radici si collegano con l’avidità, l’ingordigia e l’egoismo, che conducono allo sconsiderato utilizzo delle risorse naturali, al peggioramento dell’atmosfera con dannose sostanze inquinanti e al cambiamento climatico. Il modo cristiano di affrontare il problema richiede un ravvedimento per gli abusi, moderazione ed ethos ascetico, che costituiscono un antidoto all’eccesso di consumo, e allo stesso tempo di coltivare nell’uomo la coscienza che egli è “economo” e non possessore della creazione».

Centrale, nel messaggio, è la denuncia delle «esplosioni di fondamentalismo che si osservano in seno a diverse fedi, espressione di malsana religiosità», la «condanna» netta dell’«accrescimento della violenza bellica, delle persecuzioni, dell’espulsione e degli omicidi di membri delle comunità religiose, della coercizione per cambiare fede, del traffico di profughi, dei rapimenti, delle torture, delle efferate esecuzioni».

Il documento manifesta la preoccupazione delle Chiese ortodosse «per la situazione dei cristiani e di tutte le minoranze perseguitate in Medio Oriente e ovunque», e «rivolge un appello all’intera comunità mondiale per la protezione degli ortodossi nativi e per tutti gli altri cristiani, come anche per tutta la popolazione della regione, che hanno l’inviolabile diritto di rimanere nella loro patria come cittadini di uguali diritti». E perciò, «tutti coloro che sono coinvolti» compiano «senza ritardo sforzi sistematici per far cessare i conflitti bellici in Medio Oriente e per il rientro di coloro che sono stati espulsi. In particolare – è scritto ancora nel messaggio finale – rivolgiamo un appello ai potenti della Terra affinché prevalga la pace e la giustizia nei Paesi di arrivo dei profughi» ed «esortiamo le autorità politiche, i cittadini e i cristiani ortodossi a continuare a offrire aiuto nei limiti delle proprie possibilità».

Che farà la Chiesa ortodossa russa?

Quell’unità e quella sinodalità della Chiesa ortodossa, tanto esaltate da Bartolomeo I a Creta, hanno mostrato subito la corda. Il giorno in cui si è chiuso il Concilio “panortodosso” (27 giugno), l’agenzia russa Interfax – non governativa ma molto vicina al Cremlino, che a volte, ricorda Luis Badilla su Il sismografo (27/6), «funge quasi come un media portavoce del Patriarcato di Mosca» – ha designato l’incontro ortodosso come «Forum di Creta» (o anche «Forum inter-ortodosso di Creta»). D’altra parte è prevedibile che la Chiesa ortodossa di Russia non riconosca l’incontro cretese come Concilio: insieme alle Chiese bulgara, antiochena e georgiana, era del parere che l’evento dovesse essere rimandato in attesa della risoluzione delle controversie e del completamento dei progetti di suoi documenti.

Il problema è, ora, che l’auspicio di Bartolomeo – «le decisioni sinodali panortodosse devono essere inserite nella vita delle Chiese ortodosse locali» – possa cadere nel vuoto. Se ne saprà qualcosa presto: la disanima di quanto emerso da Creta avverrà a luglio durante la riunione del Santo Sinodo della Chiesa ortodossa russa.

Ma un indizio non fausto sembra emergere dalla dichiarazione rilasciata, ancora all’agenzia Interfax-Religion (26/6), dal vice capo del Dipartimento per le Relazioni ecclesiastiche esterne del Patriarcato di Mosca, l’arciprete Nikolaj Balashov, a proposito proprio delle affermazioni di Bartolomeo sull’obbligatorietà dell’osservanza, per tutte le Chiese, comprese quelle che hanno rifiutato di parteciparvi, delle decisioni prese a Creta. «Nella Chiesa non c’è democrazia, fin dal primo secolo, e non ci sarà mai», ha detto Balashov, spiegando che la democrazia è il potere del popolo e nella Chiesa «il potere appartiene a Dio». «Nella Chiesa c’è un meccanismo decisionale del tutto diverso», ha aggiunto il sacerdote, ricordando le parole del primo Concilio apostolico: «Abbiamo deciso, lo Spirito Santo e noi…». E dunque, «perché i vescovi possano parlare così, deve esserci l’unanimità, una concordia comune» fra tutte le Chiese ortodosse, non solo fra quelle presenti a Creta.

* Bartolomeo I in un’immagine di Massimo Finizio, tratta da Commons Wikimedia

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