un contributo alla trasparenza nella chiesa

“Il ‘Caso Spotlight’ dà slancio alla trasparenza nella Chiesa”

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padre Zollner alla Radio vaticana dopo l’appello del produttore al papa alla notte degli Oscar. «Molto è stato fatto, basta omertà». L’Osservatore Romano: non è un film anticattolico

Iacopo Scaramuzzi

l’Osservatore Romano scrive, con articolo richiamato in prima pagina, che Il caso Spotlight «non è un film anticattolico», perché «riesce a dare voce allo sgomento e al dolore profondo dei fedeli davanti alla scoperta di queste orribili realtà». Certo, prosegue il quotidiano della Santa Sede, «i bambini sono esseri indifesi, e quindi vittime privilegiate di abusi anche nelle famiglie, nei circoli sportivi, nelle scuole laiche. Gli orchi non portano esclusivamente la veste talare. La pedofilia non deriva necessariamente dal voto di castità. Ma ormai è chiaro che nella Chiesa troppi si sono più preoccupati dell’immagine dell’istituzione che non della gravità dell’atto»

Il film «Il caso Spotlight» e l’appello al Papa rivolto dal suo produttore alla notte degli Oscar «danno un ulteriore slancio» al lavoro per il contrasto della pedofilia del clero: questo il commento affidato alla Radio vaticana dal gesuita tedesco Hans Zollner, membro della Pontificia commissione per la tutela dei minori e presidente del Centro per la protezione dei minori della Pontificia università Gregoriana. L’Osservatore Romano scrive: «Non è un film anti-cattolico».

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«Il caso Spotlight», diretto da Tom McCarthy, racconta l’indagine giornalistica con la quale nel 2001 il Boston Globe scoperchiò l’insabbiamento sistematico degli abusi sessuali del clero sui minori nella diocesi, Boston appunto, allora guidata dal cardinale Bernard Francis Law. L’inchiesta, premio Pulitzer, preceduta dagli articoli di giornalisti come Jason Berry sul National Catholic Reporter, fece esplodere lo scandalo della pedofilia negli Stati Uniti, seguito anni dopo in Europa e nel resto del mondo. Alla premiazione che ha assegnato alla pellicola gli Oscar come miglior Film e miglior sceneggiatura originale, ieri notte, il produttore, Michael Sugar, ha commentato: «Papa Francesco: è ora di proteggere i bambini e restaurare la fede».
«Molto è stato fatto, da parte della Santa Sede, e poi anche da alcune Chiese locali», afferma padre Zollner. «Per cui, un film come questo e anche le parole dette alla premiazione, certamente danno un ulteriore slancio a questo nostro lavoro che, ad esempio, abbiamo iniziato dal 2012 qui alla Gregoriana con un convegno internazionale, il Simposio “Verso la guarigione e il rinnovamento”, che ha visto partecipare 110 vescovi di tutte le Conferenze episcopali del mondo e che è stato un primo passo anche per le aree dell’Africa e dell’America Latina, dove il tema a quell’epoca non era ancora arrivato».

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Il gesuita tedesco ricorda che «fin dalla fine degli anni ’90, il cardinale Ratzinger, da prefetto della Congregazione per la Dottrina della fede, si era infatti reso conto che la Chiesa non poteva più né tollerare questi abusi né la loro copertura da parte di vescovi. E così Joseph Ratzinger, poi come Papa Benedetto, ha fatto grandi passi per rendere la Chiesa un’istituzione trasparente e impegnata nella lotta contro gli abusi. Poi, Papa Francesco ha continuato sulla linea di Papa Benedetto, rafforzando ancora la legislazione della Chiesa, istituendo la Pontificia Commissione per la tutela dei minori. Il Papa ha già messo in pratica alcune misure e attendiamo ulteriori sviluppi su questa stessa linea, che daranno certamente il messaggio chiaro che la Chiesa cattolica nella sua leadership si rende conto della gravità della situazione e vuole e deve continuare la lotta per la giustizia e perché non ci siano più vittime di abuso». Alla Gregoriana, in particolare, il “Centre for Child Protection” istituito di recente intende «lavorare per costruire pian piano una competenza locale, cioè persone che sappiano come reagire, come creare spazi sicuri per i bambini e gli adolescenti».
Quanto al film, mons. Charles Scicluna, attuale arcivescovo di Malta e in passato «promotore di giustizia» della Congregazione per la Dottrina della fede, che rappresentò la “pubblica accusa” vaticana in casi come quello del sacerdote messicano pedofilo Marcial Maciel, «ha detto pubblicamente», in un’intervista a Repubblica, «che raccomanderebbe a tutti, anche ai vescovi, di guardare questo film», sottolinea Zollner. «Lo stesso ha detto anche un vescovo australiano. C’è quindi un grande apprezzamento per il film e ovviamente anche un apprezzamento per il messaggio e il modo in cui viene trasmesso il messaggio. Questi vescovi raccomandano ai loro confratelli di vedere questo film, quindi è un forte invito a riflettere e a prendere sul serio il messaggio centrale, cioè che la Chiesa cattolica può e deve essere trasparente, giusta e impegnata nella lotta contro gli abusi e che deve impegnarsi affinché non si verifichino più. E’ importante capire che dobbiamo cambiare quel nostro atteggiamento che in italiano si può esprimere con quella famosa parola: “omertà”. Non parlare, voler risolvere tutto spazzando via tutto sotto il tappeto, nascondersi e pensare che tutto passerà. Bisogna capire che non passerà: ormai dobbiamo renderci conto che o con molto coraggio e la capacità di affrontare le cose guardandole in faccia ci pensiamo noi, oppure un giorno, prima o poi, saremo obbligati a farlo. E questo penso sia uno dei messaggi centrali di questo film».
Anche l’Osservatore Romano scrive, con articolo richiamato in prima pagina, che Il caso Spotlight «non è un film anticattolico», perché «riesce a dare voce allo sgomento e al dolore profondo dei fedeli davanti alla scoperta di queste orribili realtà». Certo, prosegue il quotidiano della Santa Sede, «i bambini sono esseri indifesi, e quindi vittime privilegiate di abusi anche nelle famiglie, nei circoli sportivi, nelle scuole laiche. Gli orchi non portano esclusivamente la veste talare. La pedofilia non deriva necessariamente dal voto di castità. Ma ormai è chiaro che nella Chiesa troppi si sono più preoccupati dell’immagine dell’istituzione che non della gravità dell’atto». Quanto all’appello rivolto al Papa durante la notte degli Oscar, «deve essere visto come un segnale positivo: c’è ancora fiducia nell’istituzione, c’è fiducia in un Papa che sta continuando la pulizia iniziata dal suo predecessore già come cardinale. C’è ancora fiducia in una fede che ha al suo cuore la difesa delle vittime, la protezione degli innocenti».

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la solidarietà di M. Barros ai quattro preti in tenda

profeti del nostro tempo

lettera aperta ai quattro preti bergamaschi

di Marcelo Barros
in “www.adista.it” Barros 1

Barros

 

Emanuele, Alessandro, Andrea e Gianluca, carissimi fratelli e compagni di cammino, prima di tornare in Brasile, dove mi attendono incontri teologici e diversi ministeri, vorrei ringraziarvi di tutto cuore per questo vostro gesto ministeriale e profetico durante la Quaresima

Senza dubbio, come la Dabar biblica, parola che si fa vita, questo vostro gesto è un anticipazione dell’Exultet, l’annuncio della Pasqua di Gesù, che oggi si esprime come Crocifisso-Risorto nelle tante tende dei migranti, dei rifugiati e dei profughi di questo mondo così segnato dalla crudeltà. La rapida visita che ho avuto modo di farvi è stata per me una grazia divina e mi ha confermato nel cammino della fede e della speranza. Ho potuto constatare il vostro coraggio nell’affrontare il freddo delle notti invernali, la sfida dei tanti lavori pastorali che continuate a svolgere, anche in questo periodo speciale, e principalmente la chiarezza della vostra opzione evangelica, che è alla base di tutto questo cammino. Porterò al Brasile e ai miei compagni/e dell’Associazione dei Teologi del Terzo Mondo la vostra profezia che ci anima tutti/e. Ringrazio Dio per il fatto che, come mi avete detto, il vostro vescovo è stato in grado di rispettare la vostra decisione e di comprenderla. Grazie a Dio, questo pastore ha ascoltato la parola che Gesù ha detto a Pietro: “Simone, ho pregato per te, perché tu confermi i tuoi fratelli” (Lc 22,32).

preti in tenda Purtroppo, non si può contare sulla solidarietà umana e cristiana da parte di tutti i fratelli nel ministero presbiterale. Sembra che si sentano più eredi dei dottori della legge e dei sacerdoti del tempio di Gerusalemme che dei profeti biblici. Infatti, Amasia, sacerdote di Betel, nei confronti del profeta Amos e i sacerdoti del tempio di Gerusalemme nei riguardi di Geremia hanno iniziato una “tradizione”. E secondo Giovanni, dopo l’inizio del ministero di Gesù, i sacerdoti e i dottori di Gerusalemme inviarono leviti e funzionari del tempio per interrogare, vigilare e bloccare la profezia di Gesù (Gv 1,19 ss). Ancora oggi, funzionari ecclesiastici che vivono in un sistema poco democratico usano argomenti democratici quando si tratta di soffocare la profezia. Certamente, pensano che Gesù avrebbe dovuto consultare almeno i discepoli e gli amici prima di cenare con persone considerate di malaffare o ricorrere a una votazione comunitaria se si dovesse o meno perdonare la donna adultera o comunicare con la samaritana… È importante per tutti noi, in ogni momento, valutare se non stiamo cadendo nella tentazione del clericalismo. Siamo ecclesiastici e clericali quando ci fermiamo su posizioni di potere e di privilegio. Il vostro cammino non è questo. La vostra lettera rivela una visione del mondo; è un grido profetico importante. Non preoccupatevi se non avete condotto un lavoro scientifico o uno studio sociologico documentato sulla realtà. Non è questo il linguaggio dei profeti. Sono uomini e donne di Dio che gridano quello che vedono. Alcuni vi criticano dicendo che volete mettervi in mostra. Non siete voi che lo avete scelto. È lo stesso Spirito di Dio. Paolo ha scritto ai Corinzi: Dio ha messo noi apostoli come «spettacolo al mondo, agli angeli e agli uomini» (1Cor 4,9). Mantenetevi saldi nel vostro cammino. In altri tempi, i dottori della legge hanno rivolto le stesse accuse e obiezioni a mons. Oscar Romero in El Salvador, a don Hélder Câmara, il mio vescovo in Brasile, e a Samuel Ruiz, il vescovo degli indios in Chiapas, un profeta che in questi giorni è stato riabilitato da papa Francesco nel suo viaggio in Messico. State tranquilli. Siete in buona compagnia.

«Il Dio della pace che ha fatto tornare dai morti il Pastore grande delle pecore, in virtù del sangue di un’alleanza eterna, il Signore nostro Gesù, vi renda perfetti in ogni bene, perché possiate compiere la sua volontà, operando in voi ciò che a lui è gradito per mezzo di Gesù Cristo, al quale sia gloria
nei secoli dei secoli» (Ebrei 13,20-21).

Il vostro fratello Marcelo Barros Pinerolo, 27 febbraio 2016

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una tenda in solidarietà

quaresima dentro una tenda in solidarietà coi profughi

l’iniziativa di quattro preti bergamaschi

preti in tenda

di Valerio Gigante
in “www.adista.it”

Eclatante iniziativa, raccontata dal settimanale online della diocesi di Bergamo Santalessandro, di quattro preti bergamaschi: don Alessandro Nava, don Gianluca De Ciantis, don Andrea Testa e don Emanuele Personeni hanno deciso di fare della Quaresima appena iniziata non solo un’occasione di preghiera e penitenza personali, ma anche di testimonianza e protesta, ponendo all’attenzione della comunità ecclesiale e dell’opinione pubblica locale la drammatica vicenda dei profughi e dei richiedenti asilo politico

«In Quaresima – scrivono in una lettera in cui spiegano le ragioni della loro scelta – noi sacerdoti abiteremo in una tenda allestita sul sagrato della chiesa di Ambivere. Un po’ di cibo. Acqua da bere. Un bagno per lavarci. Un materasso per dormire. È più di quanto molti essere umani possono permettersi»: «Staremo in una tenda per dire che non siamo disposti ad accettare un sistema che procura benessere a noi provocando sofferenza a qualcun altro… con questo gesto vogliamo dire che riconosciamo le nostre responsabilità di fronte alla povertà del mondo. E che si può essere felici anche con meno». Una provocazione, la loro, che tenta di risvegliare le coscienze e di suscitare atti e prese di posizione pubbliche che siano coerenti con la propria appartenenza di fede. Don Alessandro e don Gianluca sono parroco e viceparroco di S. Michele Arcangelo, a Mapello; don Andrea è parroco a Valtrighe; don Emanuele amministratore parrocchiale a S. Zenone, in località Ambivere. Il testo che hanno redatto assieme contiene una disamina della situazione di povertà e sperequazione economica e sociale che caratterizza i rapporti Nord-Sud del Mondo, aggravatasi in seguito alla grande crisi economica avviata nel 2007. E divenuta drammatica con la crisi dei rifugiati. In tale contesto i quattro preti individuano la precisa responsabilità dei Paesi occidentali: «Lo status di rifugiato – scrivono – viene rilasciato soltanto ad un prezzo altissimo: essere riusciti a scampare ai bombardamenti, essere sopravvissuti alle torture, ai rapimenti e alle onde del mare. Nessun riconoscimento è dato a chi proviene da regioni impoverite da un sistema globale ingiusto e ha rischiato la vita per trovare dignità. Questa è l’Europa: pronta ad amputare uno dei capisaldi della propria migliore tradizione umanistica (i diritti dell’uomo) piuttosto che cedere quegli stessi diritti ai poveri che essa stessa ha contribuito a creare. L’Europa delle istituzioni scarica sulla buona volontà di molti cittadini volontari il compito di salvare le apparenze riservando un po’ di umanità a chi raggiunge sfinito le sue coste. Evita però di fare ciò che le spetta: rivedere le politiche economiche e la politica estera a partire dai diritti dell’uomo e dei popoli. Sicché I poveri vengono assistiti per un po’. Dopo di che vengono abbandonati al loro destino. O rispediti indietro o abbandonati nella giungla europea del traffico di esseri umani, dello sfruttamento lavorativo, della clandestinità. I poveri speravano che l’Europa fosse un luogo dove l’umanità venisse prima della cittadinanza, prima del benessere, prima delle differenze religiose, prima di ogni altra cosa. Si sbagliavano. Il pensiero diffuso è che la loro situazione non dipenda da noi che abbiamo già i nostri grattacapi. Al pari dei singoli Paesi europei, anche i diversi settori dell’amministrazione statale scaricano sugli altri la responsabilità adducendo confusione normativa, paventando rischi di terrorismo e brandendo contro i poveri le croniche insufficienze dell’assistenza ai cittadini italiani». Per questo hanno scelto la tenda. «Si tratta di un segno temporaneo, fino a Pasqua. Poi – aggiungono – si vedrà. In ogni caso bisognerà mettere a punto stili di vita coerenti con questa intuizione. Con questo gesto vogliamo dire che riconosciamo le nostre responsabilità di fronte alla povertà del mondo. E che si può essere felici anche con meno». Del resto, proseguono i preti bergamachi, «se Europa e Stati Uniti dovessero pagare equamente le risorse prelevate dal terzo mondo, i prezzi in casa nostra
crescerebbero e dovremmo rinunciare a buona parte delle nostre abitudini consumistiche. Il costo della vita qui da noi è alto ma costerebbe ancora di più se i Paesi poveri potessero mettere al centro della loro economia i loro bisogni invece che i nostri. Per questa ragione nessuno in Occidente sembra prendere sul serio una prospettiva del genere». E se «noi sacerdoti non possiamo rovesciare le sorti dei poveri», possiamo almeno però «stare dalla loro parte. Possiamo protestare e progettare azioni concrete nonviolente a favore della Verità e della Giustizia». E se i profughi non hanno diritto a una casa, aggiungono don Alessandro, don Gianluca, don Andrea e don Emanuele Personeni con chiaro riferimento alla tendopoli di Calais, allora «questo diritto non l’abbiamo neppure noi. Non ci sembra un grande affare perdere l’umanità comune che ci lega ai poveri per godere del privilegio della cittadinanza. Essere cittadini è un onore. Ma se deve venire prima della nostra comune umanità allora vi rinunciamo volentieri». I quattro preti non esitano a criticare nemmeno le amministrazioni e la Chiesa locale: «Si usano i poveri di casa nostra contro i poveri alla nostra porta. A cominciare dalle Regioni fino ad arrivare a moltissime amministrazioni comunali la risposta è sempre la stessa: per loro non c’è posto» In tale contesto (che però ha registrato anche significative eccezioni, come quella di don Enrico D’Ambrosio, parroco a Cenate Sotto, che nel dicembre scorso ha aperto le porte della sua canonica per accogliere cinque giovani africani), rilevano con amarezza: «Le parrocchie e i cristiani bergamaschi non si stanno comportando meglio. Ci pensi la Caritas, dicono. Neppure l’invito dell’amatissimo papa Francesco riesce a scuoterli. Noi sacerdoti non possiamo rovesciare le sorti dei poveri. Però possiamo stare dalla loro parte». La grande tenda bianca che spicca in un angolo della piazza di Ambivere, oltre che un segno di protesta e di testimonianza, vuole però essere anche luogo di incontro e di accoglienza. «Nella tenda sarete i benvenuti», scrivono infatti i preti nella loro lettera. Inoltre, sul sagrato della chiesa si sono svolti due incontri di riflessione: uno sul tema della drammatica situazione del Medio Oriente; l’altro sulla questione degli armamenti (chi ci guadagna, chi uccide, chi muore), ospite don Renato Sacco, coordinatore nazionale di Pax Christi Italia.

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