il commento al vangelo della domenica

CHI E’ COSTUI CHE ANCHE IL VENTO E IL MARE GLI OBBEDISCONO?

commento al vangelo della dodicesima domenica del tempo ordinario (21 giugno 2015) di p. Alberto Maggi:

p. Maggi

Mc 4, 35-41

In quel giorno, venuta la sera, Gesù disse ai suoi discepoli: «Passiamo all’altra riva». E, congedata la folla, lo presero con sé, così com’era, nella barca. C’erano anche altre barche con lui.
Ci fu una grande tempesta di vento e le onde si rovesciavano nella barca, tanto che ormai era piena. Egli se ne stava a poppa, sul cuscino, e dormiva. Allora lo svegliarono e gli dissero: «Maestro, non t’importa che siamo perduti?».
Si destò, minacciò il vento e disse al mare: «Taci, calmati!». Il vento cessò e ci fu grande bonaccia. Poi disse loro: «Perché avete paura? Non avete ancora fede?».
E furono presi da grande timore e si dicevano l’un l’altro: «Chi è dunque costui, che anche il vento e il mare gli obbediscono?».

A conclusione della parabola del seminatore Gesù aveva paragonato il Regno di Dio a un granello di senape che, gettato nell’orto della casa, fa un albero così grande che gli uccelli del cielo ci vengono a fare il nido.
Cosa voleva dire Gesù? Il Regno di Dio non è più riservato a un popolo, a una nazione, a una religione, ma è aperto a tutta l’umanità. Tutta l’umanità può trovarvi rifugio, può trovarvi accoglienza, può trovare la sua casa. Questo è il significato di ‘fare il nido’.
Quindi Gesù vuole far comprendere, piano piano, ai riottosi discepoli che lui non è venuto a restaurare il defunto regno di Israele, ma a inaugurare il Regno di Dio, non il privilegio di un popolo, ma l’amore di Dio che non conosce limiti ed è effuso per tutta l’umanità.
Ma qui incominciano i guai e le difficoltà.
Scrive l’evangelista che “lo stesso giorno”, quindi dopo che Gesù ha paragonato il Regno di Dio a questo albero dove tutti possono trovare rifugio, “venuta la sera” – cinque volte c’è questa espressione ‘venuta  la sera’ nel vangelo di Marco, ed è sempre in senso negativo, indicando contrarietà, opposizione o, come in questo caso, incomprensione verso Gesù e il suo messaggio.
“Gesù dice ai suoi discepoli: ‘passiamo all’altra riva’ “.
‘Passare all’altra riva’ significa andare in terra pagana. Ebbene, ogniqualvolta Gesù invita i suoi discepoli ad andare all’altra riva, succede sempre un incidente, c’è sempre resistenza. I discepoli non ne vogliono sapere; loro, anche se Gesù predica il Regno di Dio, capiscono ‘il regno di Israele’, pensano al dominio di Israele sopra tutte le altre nazioni, che dovevano essere sottomesse, dovevano essere dominate; gli israeliti avrebbero dovuto prendere i tesori di questi popoli e non pensano a portare i tesori di Dio ai pagani.
Quindi Gesù dice “andiamo all’altra riva”. E, scrive l’evangelista, che “congedata la folla, lo presero con sé”. Non ne vogliono sapere di condividere Gesù con gli altri, il gruppo ha preso possesso di Gesù, lo tiene quasi come prigioniero.
Ebbene, che cosa succede? Si scatena “una grande tempesta di vento”.
L’evangelista si rifà un po’ alla storia di Giona che resiste all’incarico divino e la sua resistenza provoca una grande tempesta. Il Signore aveva detto a Giona “Vai in terra pagana a predicare la conversione”, e Giona fa un calcolo: “ma se vado in terra pagana e predico la conversione, poi il Signore li perdona”; allora prende la direzione opposta perché non ne vuol sapere di portare l’amore di Dio ai pagani e si scatena una grande tempesta.
Anche qui, che cos’è questa tempesta? Questa tempesta, figurativamente, è la resistenza dei discepoli ad andare in terra pagana. Ma la tempesta riguarda soltanto i discepoli. Vedete, la descrizione che fa l’evangelista dice che “le onde si rovesciavano sulla barca, tanto che ormai era piena”, e Gesù a poppa dormiva.
Impossibile! Impossibile dormire con una tempesta del genere, ma l’evangelista vuol dire che questa tempesta non riguarda Gesù perché lui vuole andare verso i pagani, sono i discepoli che provocano questa tempesta.
Ebbene, i discepoli reagiscono, svegliano Gesù e gli chiedono “Maestro, non ti importa che siamo perduti?“.
“Gesù si destò, minacciò il vento e disse al mare: «taci, calmati!»“. Questa è un’espressione che indica la condizione divina, quella che ancora di Gesù non hanno capito. Vedete che l’hanno appena chiamato ‘Maestro’, e poi alla fine si chiederanno: ‘ma chi è costui?’
Diceva il salmo, il salmo 107 e il salmo 89, che Dio domina il mare e le tempeste, quindi Gesù mostra la sua condizione divina perché vuol far comprendere che andare incontro ai pagani non è andare contro la volontà di Dio, ma è proprio manifestare l’amore di quel  Dio “per il quale” –  Pietro formulerà questa bellissima espressione –  “nessuna persona è esclusa dal suo amore”. 
Dirà Pietro, dopo l’iniziale resistenza ad andare verso i pagani, “che Dio mi ha mostrato che non si deve dire profano o immondo nessun uomo” (At 10,28). Non c’è nessun uomo al mondo che possa sentirsi escluso dall’amore di Dio.
Quindi Gesù, che è Dio, vuole portare questo amore ai pagani, i discepoli gli resistono.
E Gesù li rimprovera, Gesù non apprezza la richiesta di aiuto che hanno fatto e dice loro che non hanno ancora fede, non hanno quel briciolo di fede come il chicco di senape per portare l’amore di Dio all’umanità.
Ecco, di fronte a quest’avvenimento il commento dei discepoli:  “chi è dunque costui, che anche il vento e il mare gli obbediscono?”.
Quindi si rendono conto che Gesù non è soltanto quel maestro al quale si erano rivolti, ma in lui c’è qualcosa di straordinario, qualcosa di nuovo, che, piano piano, lungo il corso del vangelo, andremo conoscendo

 

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bufale leghiste

i «30 euro al giorno» e tutte le altre bufale sui migranti

 

compreso il famigerato “pericolo scabbia” e l’inutile allarmismo sulla requisizione degli appartamenti dei privati cittadini per sistemare i profughi

I «30 euro al giorno» e tutte le altre bufale sui migranti
 
L’emergenza migranti degli ultimi giorni, con centinaia di profughi accampati nelle principali stazioni italiane e in quelle di frontiera in attesa di poter partire verso gli alti paesi europei, ha fatto tornare sulla cresta dell’onda alcune bufale e notizie false sull’assistenza agli immigrati. Su tutte c’è la bufala dei famosi 30 euro al giorno dati a ogni migrante arrivato in Italia che, come già stato chiarito in più di un’occasione, non riceve direttamente quei soldi ma vengono erogati alle strutture di accoglienza che ospitano i profughi.

immigrati bufale

LE BUFALE SUI MIGRANTI

Quella dei 30 euro al giorno agli immigrati – che chiariremo meglio tra poco – non è l’unica falsa notizia che è circolata negli ultimi mesi: quasi tutte le bufale hanno a che fare principalmente con questioni legate a una presunta assistenza economica fornita dallo Stato ai migranti ma, alla luce degli ultimi sviluppi, non mancano nemmeno false notizie su emergenze mediche, come l’allarme scabbia.

I 30 euro al giorno agli immigrati che arrivano in Italia:

Una bufala che ha cominciato a girare nell’autunno del 2014, e che vedrebbe ogni immigrato ricevere 30 euro al giorno non appena messo piede sul suolo italiano. Una questione chiarita in diverse occasioni da Mario Morcone, capo del Dipartimento Libertà Civili e Immigrazione del ministero dell’Interno, che aveva spiegato come quei 30 euro pro-capite vengano versati ai centri di prima accoglienza che ospitano i richiedenti asilo e che lo stato sovvenziona in base al numero delle persone che ospita. «La verità è che ricevono 2,5 euro al giorno – aveva detto Morcone – Il resto va alle strutture che forniscono i servizi». Due euro e cinquanta che i richiedenti asilo utilizzano per chiamare i parenti o provvedere alle piccole necessità quotidiane.

I 2000 euro al mese (gratis) agli immigrati:

Sempre lo scorso autunno – ma questa notizia si è riproposta anche in seguito variando in alcuni particolari – aveva cominciato a girare la notizia che la Provincia di Trento erogherebbe alle famiglie di extracomunitari 2000 euro al mese “gratis”, ovvero senza che nessun membro delle famiglie in questione svolgesse alcuna attività lavorativa e senza il pagamento delle varie tasse comunali. La storia era circolata su Facebook con un volantino fotografato che sottolineava come le famiglie di immigrati ricevessero questi soldi «senza lavorare». In realtà, come già scrivevamo lo scorso ottobre, si tratta di una bufala: non soltanto perché la Provincia di Trento fornisce aiuti economici a tutte le famiglie che ne hanno bisogno (e cioè anche a quelle italiane), ma sopratutto perché 2000 euro è il tetto massimo della cifra erogabile in presenza di tutti i requisiti richiesti:
[…] il volantino mescola diversi contributi che non hanno come destinatari “gli extracomunitari”, ma qualsiasi famiglia che abbia i requisiti richiesti, che variano per ogni contributo, rendendo altamente improbabile che in capo a una sola famiglia possano andarsi a concentrarne tanti, che nel volantino sono calcolati sempre al valore massimo.

Gli immigrati mangiano i cani di Lampedusa:

Questa bufala risale all’ottobre 2013, pochi giorni dopo il primo grande naufragio del 3 ottobre dove persero la vita quasi 400 migranti che si trovavano su un barcone a pochi chilometri dalle coste di Lampedusa, una tragedia che riaccese improvvisamente i riflettori sull’isola a sud della Sicilia e sull’emergenza sbarchi. Dopo poco tempo su Facebook si diffuse la notizia che i profughi, per sfamarsi, avrebbero cominciato a mangiare i cani dei lampedusani. Si trattava chiaramente di una bufala, supportata addirittura da un video che girava sul web dal 2011 e che non aveva nulla a che vedere con Lampedusa, ma che fu ripreso da Quotidiano Nazionale che diffuse la notizia senza prima verificarla.

L’epidemia di scabbia:

Di “allarme scabbia” si è parlato molto negli ultimi giorni, in seguito alle notizie che hanno cominciato ad arrivare dalle stazioni di Milano Centrale e Roma Tiburtina, dove i migranti sostano in attesa di poter partire per gli altri paesi europei. La scabbia è una malattia contagiosa della pelle che deriva da un parassita che si annida sotto la pelle. Si tratta di una delle malattie tipiche della povertà e il parassita si trasmette stando a stretto contatto con persone contagiate. Attraversare una stazione o sedersi su una sedia dove si è seduta una persona malata di scabbia non rappresenta un rischio di contagio, anche perché il parassita sopravvive soltanto poche ore lontano dall’organismo umano. Alcuni migranti sono malati di scabbia l’allarme contagio purtroppo, riguarda più che altro i gruppi di profughi che stanno a stretto contatto per lunghi periodi, favorendo il passaggio del parassita Una volta isolati i vari casi, la scabbia si cura abbastanza facilmente con pomate apposite. Nonostante questo, in molti hanno parlato di allarme scabbia come di un problema che riguarda la cittadinanza.

Gli appartamenti sfitti dei privati espropriati dallo Stato per ospitare i migranti:

Anche in questo caso si tratta di una bufala ricorrente, che torna in auge ogni volta che le cronache parlano con una certa enfasi dell’emergenza migranti e che vedrebbe il ministero dell’Interno pronto a dare l’ordine alle Prefetture delle varie città di espropriare le case vuote dei privati cittadini per ospitare i migranti. L’ultima volta che questa notizia è tornata a circolare è stato lo scorso aprile, facendo riferimento a una circolare del Viminale firmata da Mario Morcone, direttore del Dipartimento Immigrazione del Viminale. Come spiegava un paio di mesi fa bufale.net, tuttavia, questa circolare non risulterebbe rintracciabile ma le varie testate giornalistiche ne hanno riportato alcune parti del contenuto in cui si legge che «non si esclude la possibilità che i prefetti ricorrano a misure drastiche pur di reperire strutture disponibili». In realtà, sebbene la legge preveda la possibilità di una requisizione temporanea di beni mobili e immobili dei privati cittadini per «gravi e urgenti necessità pubbliche, militari o civili» (Requisizione temporanea, non esproprio definitivo NdR) quella di collocare i migranti negli appartamenti sfitti è un’ipotesi remota e altamente improbabile visto che, nella circolare, si farebbe riferimento all’utilizzo di tende e caserme come sistemazioni temporanee.
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un sistema perverso

 

l’accesso ai beni della terra vietato ai poveri da un sistema perverso: parola di papa

una piccola ma acuta riflessione di A. Serra

Serra  si dirà– già lo si dice – che l’enciclica francescana di papa Francesco sarà molto più radicale, in tema di “cura della Terra” e di critica ai meccanismi che ne consentono la predazione e lo scempio, di quanto la cultura politica odierna possa permettersi. Le anticipazioni lo confermano. Ne basti una: “l’accesso alla proprietà dei beni e delle risorse è vietato (ai poveri del Sud del mondo, ndr) da un sistema di relazioni commerciali e di proprietà strutturalmente perverso”. Segnate con l’evidenziatore giallo le parole “sistema di relazioni commerciali e di proprietà strutturalmente perverso”, e cercate qualcosa di vagamente somigliante nel documento di un partito politico occidentale di qualche rilevanza. Buona fortuna.
Ma allora: questo Papa è marxista? Ovviamente no, traendo dalla fede in Dio,e non dalla critica dell’economia politica, la sua forza dialettica. Se rischia di sembrarlo è solo perché la critica dell’economia politica, e con essa la politica tout court, è sbiadita al punto che ogni giudizio strutturale sulle relazioni economiche tra umani, dunque sul potere, suona insolito se non straordinario. Non ci siamo più abituati. Non è più pane per i nostri denti – per restare in metafora agricola–e in questo senso possiamo considerare una vera fortuna il fatto che questo Papa,quasi ogni volta che apre bocca, costringa la politica, soprattutto la sinistra, a provare un sentimento (salutare) di inadeguatezza.

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a proposito dell’ ‘enciclica verde’

 

 

Vaticano

 

 

 

 

 

 

laudato_si

in questo link il testo non definitivo dell’enciclica ‘verde’ di papa Francesco

Francesco papa

 

 

 

 

 

di seguito alcuni articoli di presentazione o commento a questa enciclica

   Ecco l’enciclica verde “La Terra non è nostra chi offende la natura fa peccato contro Dio” di Marco Ansaldo in la Repubblica del 16 giugno 2015

“‘L’Espresso online’ ieri pomeriggio ha pubblicato una versione dell’Enciclica di Jorge Mario Bergoglio… Non si tratta del testo finale… Alcuni assi portanti che attraversano tutta l’Enciclica… l’intima relazione tra i poveri e la fragilità del pianeta; la convinzione che tutto nel mondo è intimamente connesso; l’invito a cercare altri modi di intendere l’economia; la grave responsabilità della politica internazionale; la cultura dello scarto e la proposta di un nuovo stile di vita”
“Già l’accoppiata di titolo e sottotitolo della nuova enciclica di Bergoglio è molto significativa: ‘Laudato si’. Sulla cura della casa comune’. Vi compaiono tre concetti decisivi della complessiva interpretazione bergogliana del cristianesimo come servizio e difesa dell’uomo: 1) la lode… 2) la cura… 3) la casa comune… Rimangono però tre domande…”
Il Papa si dice mosso dalla «preoccupazione di unire tutta la famiglia umana» e di dare una mano a vincere «il rifiuto dei potenti» e il «disinteresse degli altri». Si fa portavoce sia del «grido della Terra» sia del «grido dei poveri» e si sente in ogni pagina che una tale passione indivisa viene dal Sud del pianeta.
oggi non possiamo fare a meno di riconoscere che un vero approccio ecologico diventa sempre un approccio sociale, che deve integrare la giustizia nelle discussioni sull’ambiente, per ascoltare tanto il grido della terra quanto il grido dei poveri»
In Vaticano c’è grande irritazione, la «violazione delle regole di correttezza» è considerata una mossa deliberata «contro il Papa e contro l’enciclica», per indebolire la presentazione di un testo che critica lo squilibrio tra Nord e Sud del mondo e la politica ambientale dei Paesi più potenti, parla della «regola d’oro» della «subordinazione della proprietà privata alla destinazione universale dei beni», e aveva subìto un fuoco di sbarramento prima della pubblicazione soprattutto negli ambienti ultraconservatori statunitensi.
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i guasti del liberismo sfrenato

 

aspettate a dire che ha vinto Mangiafuoco

   il punto di vista di Francesco GesualdiGesualdi

D’accordo, per adesso ha la meglio lui, che smista burattini di qua e di là, a suo piacimento. Gioca dettando le regole, ma non è detto che quelle stesse regole, prima o poi, non gli si ritorcano contro. «Reddito di cittadinanza, nuovi indicatori di benessere: tutto utile, tutto opportuno. A patto che ci si decida a cambiare mentalità», avverte Francesco Gesualdi, che l’arte del bastian contrario l’ha imparata più di mezzo secolo fa a Barbiana, alla scuola di don Lorenzo Milani. «Pensate con la vostra testa, ci diceva», è la sintesi proposta da Gesualdi, che quella lezione non l’ha mai dimenticata. Fondatore e coordinatore del Centro Nuovo Modello di Sviluppo di Vecchiano, in provincia di Pisa, torna adesso in libreria con un saggio come al solito battagliero e informatissimo, programmaticamente intitolato Risorsa umana (San Paolo, pagine 206, euro 14,50). Un’occhiata al sottotitolo, “L’economia della pietra scartata”, aiuta a chiarire ulteriormente gli obiettivi di una riflessione che si colloca, non a caso, in piena consonanza con il pontificato di Francesco. «Papa Bergoglio viene dall’America Latina – sottolinea Gesualdi – e conosce bene i guasti prodotti dal liberismo sfrenato. E sa qual è il vero guaio? Che questo modello di economia non si accontenta di essere rimasto il solo presente sulla scena mondiale, ma pretende di essere l’unico possibile. Come se non ci fosse alternativa alla legge del più forte. Mangiafuoco è senza avversari, ma non per questo siamo obbligati a pensare che il suo comportamento sia bello e giusto». Di certo per qualcuno è pericoloso. «No, è pericoloso per tutti. Su questo elemento occorre insistere, anche se in effetti basterebbe guardarsi intorno per accorgersene. Nessuno è al riparo da una logica così spietata. Ognuno di noi può essere scartato, messo fuori circolazione, ridotto in un angolo. Vale per gli operai, vale per i manager. Qui non siamo più al conflitto tra lavoratori e capitale. La minaccia adesso riguarda l’ambiente naturale e, di conseguenza, la sopravvivenza della vita sulla terra». La lotta di classe non è più quella di una volta? «Tutto cambia, persino le periferie si sono spostate. Città contro campagna, Nord contro Sud sono contrapposizioni che ormai valgono fino a un certo punto. La vera contrapposizione, oggi, è tra chi detiene il potere (a livello politico, economico, militare, mediatico) e chi al contrario ne è privo. A complicare ulteriormente il quadro c’è il fatto che il capitalismo stesso è diviso al suo interno. Le multinazionali, per fare l’esempio più evidente, perseguono interessi del tutto estranei e, in definitiva, contrari a quelli delle piccole e medie imprese. E la finanza, nel frattempo, gioca la partita per conto suo. È il tutto contro tutti, come il duello finale nell’arena dei gladiatori». Ma ci sarà pure una via d’uscita. «Riportare l’uomo al centro, tracciando le coordinate di una nuova geografia. Anziché puntare sulla scala globale, ragionare a partire dalla prossimità, dal territorio. Ci sono almeno due motivi per cui una scelta del genere va considerata prioritaria. La questione ambientale, in primo luogo: avvicinare la produzione al consumo significa, tra l’altro, ridurre i problemi legati al trasporto, contrastare il predominio della chimica nel settore agricolo, promuovere una logica di autoproduzione. Il secondo aspetto, strettamente connesso, va nella direzione dello sviluppo sociale. La storia, anche recente, dimostra come i fenomeni di sfruttamento assumano proporzioni terribili nel momento in cui il produttore non è più destinatario del proprio prodotto. Non si tratta di ragionare in termini di autarchia o, peggio, di protezionismo, quanto piuttosto di instaurare collaborazioni efficaci, impostate anche su criteri di contiguità territoriale. Una rete globale di realtà locali è l’unica maniera efficace per regolare i flussi migratori, altrimenti destinati a diventare sempre più
inarrestabili e selvaggi». Centralità della persona significa anche centralità dei bisogni? «Certamente. Ma come atto preliminare bisogna avere il coraggio di riconoscere che i bisogni non sono tutti uguali. Avere necessità dell’acqua non è come avere voglia di una cravatta alla moda. Prima viene l’area della sicurezza, intesa come accesso a una minima inclusione occupazionale. Dopo di che si passa all’area che chiamerei della comunità associata, dove l’iniziativa del singolo va di pari passo con la condivisione delle risorse fondamentali: l’aria, il cibo, l’alloggio, l’istruzione. Solo a questo punto subentrano i desideri legati alla persona, che costituiscono invece il fulcro del liberismo globale. Ma questo è un atteggiamento ideologico, non troppo diverso da quello che, qualche decennio fa, veniva giustamente condannato nei regimi comunisti. Ora l’ideologia ha mutato di segno, ma è più viva che mai. E molto suscettibile, purtroppo, molto restia a lasciarsi mettere in discussione».

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il razzismo degli italiani

gli italiani non sono affatto brava gente anzi, sono i più razzisti del continente

  

Ci siamo sempre immaginati una realtà che così non è: che noi italiani siamo nella stragrande maggioranza tutt’altro che egoisti, che ci dimostriamo cordiali con le minoranze etniche, che siamo disposti ad aiutare chi è in difficoltà a prescindere dal colore della pelle e dal suo credo religioso. E giù con gli esempi, i soldati italiani benvoluti perfino quando sbarcavano per aggredire l’Albania o la Grecia, le mille vicende positive di integrazione di immigrati, le benemerite attività di decine di Onlus attive in Africa o nelle favelas sudamericane, i barconi stracarichi che si dirigono verso le nostre coste perché “voi ci accogliete bene”. La solita retorica.

Italians Most Critical of Muslims

Chi sa perfettamente che le cose stanno diversamente è Matteo Salvini, che non ha avuto alcuna remora a impostare la sua ultima campagna elettorale sulla paura dei diversi, a cominciare dai Rom, e sulla difesa del molto che ci resta, concupito a suo dire dalle orde di neri e arabi che spiaggiano sulle coste siciliane: sta costruendo un innegabile successo politico sul neorazzismo italiano, insomma. È stato Angelo Del Boca, quasi inascoltato, a raccontarci per decenni una storia che non coincide con la vulgata buonista.

Jews Widely Viewed Favorably

Nei suoi libri ha scritto dei massacri etnici piemontesi nel Sud dopo l’unità d’Italia, giustificati con la guerra al brigantaggio. Ha pubblicato le prove documentali dell’uso massiccio dell’iprite e di altre armi chimiche in Etiopia nel ’36 al fine di concludere senza problemi militari l’invasione fascista. Ha resocontato del massiccio collaborazionismo con i nazisti che costò la vita a migliaia di ebrei italiani dal ’43 al ’45. Sulla copertina di un suo libro del 2005 Del Boca s’era limitato ad aggiungere un punto interrogativo a “Italiani, brava gente”, titolo del popolare film di Giuseppe De Santis di cinquant’anni fa. Instillare il dubbio che fossimo un popolo tendenzialmente razzista era già, allora, un passo avanti. Dubbio che, adesso, dopo dieci anni di Nordafrica in fiamme e di crisi economica che colpisce le fasce più povere, trova conforto nei dati del report di un autorevole centro studi indipendente americano, il Pew, che nell’ambito di una ricerca sulle prospettive di un’Europa unita e solidale ha verificato come nei principali paesi Ue si vive il rapporto con alcune minoranze etcniche. I risultati sono, a mio modo di vedere, illuminanti.

Ecco alcuni numeri più che espliciti. Gli italiani hanno l’opinione più negativa nei confronti dei musulmani già presenti sul territorio nazionale: il 61% non li vorrebbe qui, contro il 56 dei polacchi e il 42 degli spagnoli. I paesi che ospitano comunità musulmane ben più numerose e hanno sofferto esplosioni di violenza terroristica di matrice islamica (si pensi al massacro di Charlie Hebdo lo scorso inverno) sono paradossalmente più tolleranti: solo il 24% di francesi e tedeschi e il 19 dei britannici danno un giudizio negativo sugli immigrati dall’area mediorientale o di religione musulmana. Stupisce che gli italiani siano tra i più antisemiti d’Europa, superati solo dai polacchi. Secondo il Pew Global Attitudes Survey, il 21% dei nostri connazionali non vede di buon occhio i concittadini ebrei, che peraltro sono qui da secoli o addirittura millenni. Gli spagnoli esprimono un’opinione negativa al 17%, mentre abbondantemente sotto il 10 sono gli antisemiti tedeschi, britannici e francesi. L’unica spiegazione è che gli italiani facciano confusione tra ebrei e israeliani, anche se non sarebbe una giustificazione accettabile.

Italians Overwhelmingly View Roma Unfavorably

La vera esplosione italorazzista riguarda tuttavia i Rom, pure presenti nelle nostre città in misura minore rispetto agli altri grandi paesi Ue. L’86% dei nostri concittadini – assicura il Pew – non vuole più saperne degli zingari, mentre solo il 60% dei francesi esprime analoghe opinioni. In Polonia, Regno Unito, Spagna e Germania il giudizio o pregiudizio anti-Rom è sotto quota 50%. Va sottolineato, per correttezza, che il Pew sostiene che la quota degli anti-nomadi è cresciuta quasi ovunque in Europa nel corso dell’ultimo anno, per ragioni diverse che andrebbero studiate con attenzione. Nelle proprie conclusioni, il Pew non appare preoccupato di questo quadro paneuropeo. Personalmente, invece, lo sono e ritengo urgenti interventi nazionali ed europei che agiscano sul terreno culturale ed economico per contrastare il neorazzismo. Soprattutto in Italia.

ma il vescovo emerito Casale non è del tutto d’accordo:

Accoglienza migranti: così non va

di Giuseppe Casale*
in “Settimana” n. 26 del 5 luglio 2015

Cara Settimana, no, non è vero che noi italiani siamo i più razzisti d’Europa, come titolava Repubblica lo scorso 14 giugno, in quarta pagina. In realtà, l’articolo di Chiara Saraceno è molto più oggettivo e sereno e contestualizza le emozioni raccolte da un istituto americano, il Pew, in una drammatica situazione che l’Italia sta vivendo. Le migliaia di profughi che approdano avventurosamente sulle nostre coste pongono gravi e delicati problemi a quanti hanno il compito di regolare un afflusso, che pure era stato previsto e che imponeva non una disordinata rincorsa tra le varie istituzioni politiche e civili, ma un razionale progetto di ripartizione di quanti giungono in Italia e chiedono asilo. Possiamo anche lamentarci per la grettezza dell’Europa e per i respingimenti in atto. Ma prima di fare la voce grossa con gli altri, mettiamo ordine in casa nostra. Non si può continuare ad accogliere migliaia di persone e lasciarle in campi che somigliano a veri lager, oppure farle morire di fame e di sete sui piazzali delle nostre stazioni. Quello che è avvenuto a Roma e a Milano è segno della nostra incapacità a superare i meschini calcoli politici di parte e a guardare ai bisogni di persone che vengono in cerca di libertà, di lavoro e di pane. Questo lo hanno capito per primi quei cittadini che a Ventimiglia, a Milano e a Roma sono accorsi in aiuto dei migranti rimasti abbandonati a se stessi. Non possiamo continuare a lanciare proclami, ad esprimere insoddisfazioni, a condannare l’Europa, quando noi non elaboriamo un piano ordinato e attento di accoglienza e prima sistemazione di quanti chiedono soltanto un po’ di pace e la serenità. Questo discorso vale anche per la Chiesa che, in questa vicenda, ha avuto una voce un po’ debole e ha affidato i vari interventi alla Caritas. Ma la Caritas da sola non può far fronte ad un evento epocale; c’è bisogno che tutte le comunità cristiane intervengano in questo dramma che è dramma di un’umanità oppressa e violentata. Non possiamo aspettare che il “mitico” convegno di Firenze ci indichi le vie del “nuovo umanesimo”. C’è un’umanità che soffre e implora di essere aiutata oggi da tutti i cristiani. Non da uffici che procedono burocraticamente, ma da comunità di credenti che si fanno carico dei problemi e delle sofferenze degli altri e li rendono partecipi della loro vita. Bisogna proporre alle autorità civili un tavolo permanente di collaborazione per poter prevenire e intervenire al momento opportuno per la collocazione ordinata di tanti fratelli e sorelle che chiedono soccorso. I centri di accoglienza e i campi rom devono sparire, non abbattuti dalle ruspe ma svuotati da un’intelligente opera di sistemazione dei profughi in case private, in gruppi disposti ad offrire accoglienza, in zone ormai spopolate dove esistono case vuote e necessità di lavoro, specie in agricoltura. La Chiesa non può limitarsi a flebili voci di condanna, ma deve alzare forte la voce soprattutto per richiamare tutti i cristiani al loro compito di servire l’uomo nella sua realtà concreta di fame e di bisogno. Non possiamo limitarci burocraticamente a raccogliere le indicazioni degli uffici e a collocare i profughi in località isolate senza consentir loro di entrare in relazione con la gente e senza aiutarli in una difficile ma necessaria opera di integrazione. Il problema si fa più grave giorno per giorno. È urgente porre mano ad un programma di interventi immediati per soccorrere quanti chiedono aiuto, lasciando ai politici le risposte a medio e lungo termine che implicano il superamento di pregiudizi, di veti, di interessi particolaristici e di annose divisioni tra i popoli. Come italiano e come vescovo della Chiesa cattolica rivolgo il mio invito a tutti gli uomini e a tutte le donne di buona volontà. *arcivescovo emerito di Foggia-Bovino

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la nostra paura dei poveri

siamo ostaggi del nostro benessere per questo i migranti ci fanno paura

(Z. Bauman)

«Siamo chiamati a unire e non dividere. Qualunque sia il prezzo della solidarietà con le vittime collaterali e dirette della forze della globalizzazione che regnano secondo il principio divide et impera, qualunque sia il prezzo dei sacrifici che dovremo pagare nell’immediato, a lungo termine, la solidarietà rimane l’unica via possibile per dare una forma realistica alla speranza di arginare futuri disastri e di non peggiorare la catastrofe in corso»….

Bauman

ZYGMUNT Bauman, oggi uno dei pensatori più influenti del mondo, è stato più volte esule. La prima volta, quando nel 1939, giovane ebreo, scappò dalla Polonia verso la Russia, in condizioni simili a quelle dei profughi che, scampati alle guerre e alla traversata del Mediterraneo, sono in questo momento oggetto più delle nostre paure che di nostra solidarietà. E la dialettica dell’integrazione ed espulsione dei gruppi sociali ai tempi della modernità è uno dei temi che più ha approfondito nelle sue opere. Con Bauman abbiamo parlato di quello che intorno alla questione profughi succede in questi giorni in Italia; tra una destra razzista e una sinistra che stenta ad affrontare le paure di una parte della popolazione.

Sembra che non siamo in grado di far fronte alla questione immigrati.

«Il volume e la velocità dell’attuale ondata migratoria è una novità e un fenomeno senza precedenti. Non c’è motivo di stupirsi che abbia trovato i politici e i cittadini impreparati: materialmente e spiritualmente. La vista migliaia di persone sradicate accampate alle stazioni provoca uno shock morale e una sensazione di allarme e angoscia, come sempre accade nelle situazioni in cui abbiamo l’impressione che “le cose sfuggono al nostro controllo”. Ma a guardare bene i modelli sociali e politici con cui si risponde abitualmente alle situazioni di “crisi”, nell’attuale “emergenza immigrati”, ci sono poche novità. Fin dall’inizio della modernità fuggiaschi dalla brutalità delle guerre e dei dispotismi, dalla vita senza speranza, hanno bussato alle nostre porte. Per la gente da qua della porta, queste persone sono sempre state “estranei”, “altri”».

Quindi ne abbiamo paura. Per quale motivo?

«Perché sembrano spaventosamente imprevedibili nei loro comportamenti, a differenza delle persone con cui abbiamo a che fare nella nostra quotidianità e da cui sappiamo cosa aspettarci. Gli stranieri potrebbero distruggere le cose che ci piacciono e mettere a repentaglio i nostri modi di vita. Degli stranieri sappiamo troppo poco per essere in grado di leggere i loro modi di comportarsi, di indovinare quali sono le loro intenzioni e cosa faranno domani. La nostra ignoranza su che cosa fare in una situazione che non controlliamo è il maggior motivo della nostra paura».
La paura porta a creare capri espiatori? E per questo che si parla degli immigrati come portatori di malattie? E le malattie sono metafore del nostro disagio sociale?

«In tempi di accentuata mancanza di certezze esistenziali, della crescente precarizzazione, in un mondo in preda alla deregulation, i nuovi immigrati sono percepiti come messaggeri di cattive notizie. Ci ricordano quanto avremmo preferito rimuovere: ci rendono presente quanto forze potenti, globali, distanti di cui abbiamo sentito parlare, ma che rimangono per noi ineffabili, quanto queste forze misteriose, siano in grado di determinare le nostre vite, senza curarsi e anzi e ignorando le nostre autonome scelte. Ora, i nuovi nomadi, gli immigrati, vittime collaterali di queste forze, per una sorta di logica perversa finiscono per essere percepiti invece come le avanguardie di un esercito ostile, truppe al servizio delle forze misteriose appunto, che sta piantando le tende in mezzo a noi. Gli immigrati ci ricordano in un modo irritante, quanto sia fragile il nostro benessere, guadagnato, ci sembra, con un duro lavoro. E per rispondere alla questione del capro espiatorio: è un’abitudine, un uso umano, troppo umano, accusare e punire il messaggero per il duro e odioso messaggio di cui è il portatore. Deviamo la nostra rabbia nei confronti delle elusive e distanti forze di globalizzazione verso soggetti, per così dire “vicari”, verso gli immigrati, appunto».

Sta parlando del meccanismo grazie a cui crescono i consensi delle forze politiche razziste e xenofobe?«Ci sono partiti abituati a trarre il loro capitale di voti opponendosi alla “redistribuzione delle difficoltà” (o dei vantaggi), e cioè rifiutandosi di condividere il benessere dei loro elettori con la parte meno fortunata della nazionale, del paese, del continente (per esempio Lega Nord). Si tratta di una tendenza intravvista o meglio, preannunciata molto tempo fa nel film Napoletani a Milano , del 1953, di Eduardo De Filippo, e manifestata negli ultimi anni con il rifiuto di condividere il benessere dei lombardi con le parti meno fortunate del paese. Alla luce di questa tradizione era del tutto prevedibile l’appello di Matteo Salvini e di Roberto Maroni ai sindaci della Lega di seguire le indicazioni del loro partito e non accettare gli immigrati nelle loro città, come era prevedibile la richiesta di Luca Zaia di espellere i nuovi arrivati dalla regione Veneto».
Una volta, in Europa, era la sinistra a integrare gli immigrati, attraverso le organizzazioni sul territorio, sindacati, lavoro politico…«Intanto non ci sono più quartieri degli operai, mancano le istituzioni e le forme di aggregazione dei lavoratori. Ma soprattutto, la sinistra, o l’erede ufficiale di quella che era la sinistra, nel suo programma, ammicca alla destra con una promessa: faremo quello che fate voi, ma meglio. Tutte queste reazioni sono lontane dalle cause vere della tragedia cui siamo testimoni. Sto parlando infatti di una retorica che non ci aiuta a evitare di inabissarci sempre più profondamente nelle torbide acque dell’indifferenza e della mancanza dell’umanità. Tutto questo è il contrario all’imperativo kantiano di non fare ad altro ciò che non vogliamo sia fatto a noi».E allora che fare?

«Siamo chiamati a unire e non dividere. Qualunque sia il prezzo della solidarietà con le vittime collaterali e dirette della forze della globalizzazione che regnano secondo il principio Divide et Impera, qualunque sia il prezzo dei sacrifici che dovremo pagare nell’immediato, a lungo termine, la solidarietà rimane l’unica via possibile per dare una forma realistica alla speranza di arginare futuri disastri e di non peggiorare la catastrofe in corso».

 
da repubblica del 15/06/2015
 
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indietro va’, straniero! , anzi negro!

la frontiera dell’egoismo

Europa. Frontiera chiusa e cariche della polizia

La Francia respinge i migranti, che minacciano lo sciopero della fame

immigrati a Ventimiglia

Fron­tiera chiusa e cari­che della poli­zia con­tro poche decine di migranti che per tutta rispo­sta minac­ciano lo scio­pero della fame o, peg­gio, di get­tarsi in mare dalla sco­gliera se non gli viene con­sen­tito di entrare in Fran­cia. A Ven­ti­mi­glia l’Europa si ferma e se non arriva a dichia­rare fal­li­mento di certo dimo­stra tutta la sua inca­pa­cità e il suo egoi­smo per il modo in cui affronta l’emergenza pro­fu­ghi. Un’impotenza che tra­spare chia­ra­mente anche dalla bozza cir­co­lata in que­ste ore del docu­mento pre­pa­rato per il Con­si­glio euro­peo del pros­simo 26 giu­gno in cui si incen­ti­vano gli Stati a rim­pa­triare i migranti eco­no­mici, ma non si spende nean­che una parola su cosa fare con i richie­denti asilo. Capi­tolo volu­ta­mente lasciato in bianco, a ulte­riore dimo­stra­zione delle divi­sioni che da giorni con­trap­pone il blocco dei Paesi «duri» dell’Unione, — di cui fa parte anche la Fran­cia — a quelli che invece accet­tano, in nome della soli­da­rietà, la logica pro­po­sta dalla Com­mis­sione Junc­ker della ricol­lo­ca­zione dei richie­denti asilo tra tutti gli Stati.

«We need to pass» dicono i car­telli che eri­trei e suda­nesi innal­zano seduti in un’aiuola a pochi passi dalla fron­tiera fran­cese. Hanno biso­gno di pas­sare per­ché le loro fami­glie, i loro amici, il loro futuro è oltre il dop­pio sbar­ra­mento di poli­ziotti ita­liani e gen­darmi fran­cesi che gli impe­di­scono di andare, di pas­sare per rag­giun­gere il nord Europa «dove c’è più uma­nità». Dopo la Ger­ma­nia che ha sospeso Schen­gen, dopo l’Austria che in nome del rego­la­mento di Dublino ci rispe­di­sce i migranti guar­dan­dosi bene dal fer­mare quelli che invece dal suo ter­ri­to­rio cer­cano di entrare in Ita­lia, la nuova fron­tiera — è il caso di dirlo — della dispe­ra­zione è adesso quella fran­cese. E’ bene chia­rire subito che non c’è nes­suna inva­sione in atto. Nell’ultima set­ti­mana Parigi ne ha rispe­diti indie­tro un migliaio ma in que­ste ore a spa­ven­tare i fran­cesi sono tra i trenta e i cento migranti, a seconda dei flussi di arrivo, e tra que­sti ci sono anche donne e bam­bini. Da due giorni dor­mono per strada, anche sotto la piog­gia. «Com­pren­diamo per­fet­ta­mente le loro dif­fi­coltà, ma non è qui che si può risol­vere que­sti pro­blemi», spie­gano fonti della police nationale.

Il pro­blema è il rego­la­mento di Dublino che obbliga i pro­fu­ghi a rima­nere nel Paese in cui sbar­cano, ma c’è qual­cosa che non va se è vero che alcuni dei migranti rispe­diti indie­tro hanno mostrato un biglietto di treno Nizza-Parigi dimo­strando così di tro­varsi già in ter­ri­to­rio fran­cese quando sono stati fer­mati dalla polizia.

Come giù suc­cesso alla sta­zione Cen­trale di Milano e alla sta­zione Tibur­tina di Roma, anche a Ven­ti­mi­glia la soli­da­rietà più grande arriva da asso­cia­zioni e cit­ta­dini. Acli, Arci, scout, Croce rossa ma anche tanta gente nor­male si fa in quat­tro per por­tare cibo, acqua e vestiti e migranti.

Chi invece non si stanca di gio­care con la vita delle per­sone è l’Unione euro­pea. La bozza di docu­mento che dovrebbe rias­su­mere le con­clu­sioni del ver­tice dei Capi di stato e di governo del 26 giu­gno spiega bene qual è la logica con cui i con­si­glio euro­peo intende muo­versi. Allon­ta­nare subito i migranti eco­no­mici ille­gali, che devono essere rim­pa­triati «anche gra­zie a «una mobi­li­ta­zione di tutti gli stru­menti» pos­si­bili. L’obiettivo è quello di aumen­tare il numero delle riam­mis­sioni por­tan­dolo oltre il 39,9% regi­strato nel 2013. Per que­sto si pre­vede un poten­zia­mento di Fron­tex, l’agenzia euro­pea per il con­trollo delle fron­tiere, oltre a una «velo­ciz­za­zione dei nego­ziati con i paesi terzi (non solo quelli in rima linea); lo svi­luppo di regole nel qua­dro della Con­ven­zione di Coto­nou; il moni­to­rag­gio dell’attuazione degli Stati della diret­tiva sui rientri».

Nean­che una parola, invece, su cosa fare con i 40 mila eri­trei e siriani (24 mila dall’Italia e 16 mila dalla Gre­cia) che secondo quanto sta­bi­lito il 27 mag­gio scorso dalla com­mis­sione euro­pea andreb­bero divisi tra gli Stati mem­bri. A bloc­care tutto, a spa­ven­tare le can­cel­le­rie di mezza Europa, è l’«obbligatorietà» alla base della deci­sione e che in molti, a par­tire dalla Spa­gna, vor­reb­bero sosti­tuire con la «volon­ta­rietà» nell’accogliere i pro­fu­ghi. Secondo alcune fonti euro­pee, Fran­cia e Ger­ma­nia sareb­bero dispo­ni­bili ad accet­tare tem­po­ra­nea­mente i pro­fu­ghi, ma solo a patto che Ita­lia e Gre­cia si impe­gnino mag­gio­rente nei foto­se­gna­la­menti e nella rac­colto delle impronte digi­tali dei migranti. «Per­ché sia chiaro dove sono sbar­cati», spie­gano sem­pre le fonti. Per­ché sia chiaro pro­ba­bil­mente che Dublino non si tocca.

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i tanti pregiudizi sui rom

 

I rom rubano i bambini e gli altri stereotipi sulla minoranza più discriminata d’Europa

Una rifugiata bosniaca di etnia rom, in un campo a Giugliano, in provincia di Napoli.  - Andrea Baldo, LightRocket/Getty Images
 una rifugiata bosniaca di etnia rom, in un campo a Giugliano, in provincia di Napoli
 

Secondo il Pew research center, l’Italia è il paese europeo dove l’intolleranza verso i rom e i sinti è più diffusa. L’istituto di ricerca statunitense ha esaminato l’ostilità nei confronti dei rom in sette paesi d’Europa nel 2014, e in Italia l’85 per cento degli intervistati ha espresso sentimenti negativi verso questa popolazione. Nel 2014 l’Osservatorio 21 luglio ha registrato 443 episodi di violenza verbale contro i rom, di cui 204 ritenuti di particolare gravità, e l’87 per cento di questi episodi è riconducibile a esponenti politici.

Gli stereotipi negativi su questo popolo sono molto diffusi, influenzano la percezione collettiva, le politiche pubbliche e hanno contribuito a fare dei rom un capro espiatorio in molte situazioni. Tuttavia alcune ricerche suggeriscono che la maggior parte della popolazione italiana conosce molto poco i rom. Uno studio di Paola Arrigoni e Tommaso Vitale per l’Istituto per gli studi sulla pubblica opinione ha mostrato che il 42 per cento degli italiani non conosce la cultura rom.

I rom rubano i bambini. La storia che i rom rubano i bambini è molto antica e di tanto in tanto riaffiora nelle cronache dei quotidiani.

Nell’ottobre del 2014 in Irlanda, a Dublino e ad Althon, una bambina rom di sette anni e uno di due furono sottratti ai genitori perché avevano i capelli biondi e gli occhi azzurri e le autorità pensarono che erano stati rubati. Ma gli esami del dna confermarono che i due bambini erano figli delle famiglie a cui erano stati sottratti. Il ministro della giustizia irlandese aprì un’inchiesta sull’accaduto, ma l’episodio scatenò un’isteria collettiva, commenti razzisti e una serie di false denunce di bambini rubati dai rom.

Episodi come questi sono ciclici in Italia e in Europa. La ricercatrice Sabrina Tosi Cambini nel libro La zingara rapitrice ha analizzato gli archivi dell’Ansa dal 1986 al 2007 e ha preso in considerazione le decine di notizie in cui si denunciavano presunti rapimenti e scomparse di bambini a opera dei rom. Lo studio ha analizzato trenta casi di presunti rapimenti e ha verificato che nessuno di questi casi si è dimostrato vero dopo le indagini della polizia e della magistratura. Ma spesso i mezzi d’informazione, che hanno dato la notizia del rapimento, hanno invece ignorato gli esiti delle inchieste. Quello che si sa poco, invece, è che molti bambini rom vengono sottratti alle loro famiglie dai tribunali dei minori a causa delle condizioni materiali di indigenza delle loro famiglie.

Il rapporto dell’Associazione 21 luglio, Mia madre era rom, ha mostrato che un bambino rom ha il 60 per cento di possibilità in più di altri bambini che sia aperta nei suoi confronti una procedura di adottabilità.

I rom non vogliono abitare nelle case, sono nomadi. Solo il 3 per cento della popolazione rom in Italia è nomade, mentre la maggior parte è stanziale (dati della commissione diritti umani del senato). In Italia, quattro rom su cinque vivono in normali abitazioni, lavorano e conducono una vita perfettamente integrata. Si tratta di almeno 130mila persone. Tutti gli altri (un quinto del totale, circa 40mila persone) vivono nei campi, in una situazione di emergenza abitativa. Si tratta dello 0,06 per cento della popolazione italiana.

L’Italia è l’unico paese in Europa dove esistono i campi, creati dalle autorità per risolvere l’emergenza abitativa dei cittadini rom. L’idea che i rom amano vivere nei campi perché sono nomadi per cultura è priva di fondamento. Più del 90 per cento di quelli che vivono in Italia è stanziale.

In Abruzzo per esempio le famiglie rom vivono in normali appartamenti e conservano la cultura, la lingua e le tradizioni rom. La parola nomadi inizia a essere usata per parlare delle popolazioni rom e sinti alla fine dell’ottocento. Nando Sigona del Centro studi sui rifugiati dell’università di Oxford ha spiegato a Redattore sociale che “l’utilizzo del termine nomadi serve per giustificare la costruzione dei cosiddetti campi nomadi”, dopo la fine della seconda guerra mondiale.

Secondo Carlo Stasolla, presidente dell’Associazione 21 luglio, “la parola nomade è molto pericolosa” perché giustifica la segregazione delle persone rom in campi speciali isolati dalla città. Nel suo rapporto annuale l’Associazione 21 luglio afferma: “Nel 2014 la costruzione e la gestione dei campi rom continua a essere un’eccezione italiana nel quadro europeo. Tali politiche hanno comportato voci di spesa elevatissime senza far registrare alcun miglioramento nelle condizioni di vita di rom e sinti, ma ne hanno sistematicamente violato i diritti umani. A Roma nel 2013 sono stati spesi più di 22 milioni di euro per mantenere in piedi il sistema dei campi e dei centri di accoglienza per soli rom”.

Sono troppi, devono tornare a casa loro. L’Italia è uno dei paesi europei dove abitano meno rom e sinti, al contrario di quanto percepito dalla popolazione.

In Italia abitano 180mila rom, lo 0,25 per cento della popolazione totale, una delle percentuali più basse d’Europa. La Romania è il paese europeo con la maggiore presenza di rom (circa due milioni), seguita dalla Spagna dove i rom sono circa 800mila. Nonostante il numero dei rom in Italia sia basso, nel 2008 il governo italiano ha dichiarato lo “stato di emergenza nomadi” nel Lazio, in Campania e in Lombardia. Ad aprile 2013 la corte di cassazione ha dichiarato illegittimo il piano di emergenza, perché non ha rilevato nessuna relazione tra la presenza dei rom e i presunti pericoli per l’ordine e la sicurezza pubblica denunciati dal governo.

I rom e i sinti sono presenti in Italia da più di sei secoli. Infatti il 50 per cento dei rom che abitano nel paese è di nazionalità italiana. Le regioni dove la presenza rom è più significativa sono il Lazio, la Campania, la Lombardia e la Calabria. In Emilia Romagna più del 90 per cento dei rom è italiano. I rom di più recente insediamento provengono dai Balcani, sono profughi della guerra nella ex Jugoslavia, molti di loro sono apolidi di fatto, non hanno i documenti, perché il loro paese d’origine non esiste più.

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il vescovo invita all’accoglienza ma …

il vescovo di Padova: “Accogliete i profughi”

durante l’omelia di sabato scorso monsignor Mattiazzo ha detto: “Ricordiamoci sempre che anche Gesù, Maria e Giuseppe sono stati profughi”

Durante l’omelia, infatti, il vescovo ha detto: “Le parole del Signore ci sollecitano ad aprire il nostro cuore, il nostro portafoglio e, se necessario, anche le nostre case per aiutare i poveri. Non è peccato essere poveri. Lo è, invece, essere egoisti ed indifferenti ed avere il cuore duro. Evidentemente la Provvidenza ha fatto venire Antonio proprio a Padova perché c’era bisogno di un Santo così eccezionale per convertire i padovani. E, forse, ce ne sarebbe bisogno anche oggi. Ricordiamoci sempre che anche Gesù, Maria e Giuseppe sono stati profughi. E poi che pure Sant’Antonio, prima di arrivare nella nostra città, si imbarcò per la Sicilia dall’Africa e sopravvisse ad un naufragio“.

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