il resoconto di Violeta Barbu sulla situazione dei rom in Romania al C.C.I.T. 2015

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CCIT – Ciofliceni — Snagov 2015

I Roms della Romania
Un problèma politico

Violeta Barbu

Durante le trattative per l’integrazione della Romania alla Comunità Europea, il solo grave problema che le autorità di Bruxelles avevano trovato, era quello della discriminazione al quale erano sottoposti i cittadini rumeni dell’etnia Rom, il 3% della popolazione del paese secondo il più recente censimento. Abbiamo ratificato e integrato nel diritto nazionale tutti gli strumenti giuridici europei e internazionali destinati a identificare e combattere ogni tipo di discriminazione. Abbiamo anche creato un’istituzione pubblica, il Consiglio Nazionale per la Lotta Contro le Discriminazioni (CNCD), che può essere sollecitata da privati cittadini o da associazioni per quanto concerne gli atti discriminatori. Questo Consiglio può inviare avvertimenti, imporre sanzioni e multe, ma nessuna persona considerata dal CNCD di fatto colpevole di atti discriminatori è stata sottomessa a pubblica umiliazione, esclusa da cariche o influenze che aveva fino a quel momento. Nessuna delle sanzioni di ordine istituzionale è stata accompagnata o seguita da una sanzione politica e ancora meno da una sanzione morale. L’ambiguità dell’attività del CNCD in questa materia, è la mancanza di sanzioni o il carattere ridicolo di queste ultime nel caso di incriminati che occupano alte cariche pubbliche, ciò non può che condurci a concludere che il problema delle discriminazioni della comunità Rom in sè, può essere considerato solamente a carattere giuridico. Senza alcun dubbio, l’intera giurisprudenza internazionale sulla protezione dei diritti umani e la lotta contro la discriminazione deve essere invocata ed è auspicabile che conduca le decisioni delle autorità rumene in tutte quelle situazioni in cui è dimostrabile il loro implicazione. Solo nella cultura rumena, la pena inflitta da un ente o un’istituzione come la CNCD non comporta alcuna esclusione o isolamento della persona penalizzata. Presidenti, primi ministri e leader di partito continuano i loro mandati senza che coloro che hanno il potere di ritirare loro la fiducia (parlamento, partiti politici e l’elettorato) abbiano la sensazione che una dichiarazione esplicitamente discriminatoria, indirizzata per esempio ai Rom, possa mettere fine o almeno seriamente compromettere la loro carriera pubblica. Al contrario questi politici sono rieletti senza che i loro avversari domandino la loro ineleggibilità almeno dal punto di vista morale.
Un dilemma constituzionale
Al di là delle procedure e delle istituzioni democratiche adottate dopo il 1989, la società rumena in quanto tale, non riesce concepirsi come una società di ugualianza. I ragionamenti disparitari sono vari e Il più forte è quello di ordine etnico. La società rumena è fatta di Rumeni nella quale gli altri membri di diversa origine etnica sono solo ospiti. Non essere rumeni corrisponde a una condanna e una posizione di inferiorità, a un trattamento ineguale. Certo è che le comunità etniche minoritarie non sono tutte trattate nella stessa maniera. Di fronte agli Ungheresi, i Rumeni hanno uno storico complesso culturale di inferiorità che si manifesta di solito in forma di diffidenza,. Dall’altra parte i Rumeni nutrono un senso di superiorità verso i Rom ed in generale una forma di disprezzo. Ogni rumeno si considera, per natura, migliore di un qualsiasi Rom. Ogni tentativo della comunità ungherese per differenziarsi con simboli identitari viene immediatamente denunciato come un insulto all’unità nazionale, soprattutto  negli ultimi anni, si sottolinea la necessità di distinguersi tra due consonanze ethnonyme (studio dei nomi dei popoli) tra le corrispondenti comunità rom e rumene. La Costituzione rumena considera tre categorie di soggetti “politici”: il popolo rumeno (unitario, sovrano, che porta un’identità etniaca, culturale, linguistica e religiosa), il cittadino rumeno (cittadini che hanno diritto alle libertà ed gli obblighi previsti dalla legge ) e le persone appartenenti a minoranze nazionali (con identità specifiche a loro volta). I cittadini rumeni sono definiti dai diritti e dagli obblighi del popolo rumeno e le persone appartenenti a minoranze nazionali sono definite a partire dall’identità etnica, culturale, linguistica e religiosa. In breve, potremmo dire che, nello spirito della Costituzione del 1991, riveduto nel 2003, il prodotto giuridico chiamato “cittadini rumeni”, tra i quali non si ammette discriminazione è costituito da due soggetti principali : da un lato, il popolo rumeno, con una unità di identità etnica e in secondo luogo, le persone di minoranze etniche ed identitarie. La nazionalità rumena può essere interpretata, nei termini proposti dalla legge fondamentale, come come di natura etnica e non civica.
Una vittima storica
Quello che la Costituzione della Romania non comprende è la memoria politica della schiavitù degli Zingari che durò in Valacchia e Moldavia fino alla metà del XIX secolo. Più lenti nell”abolizione della schiavitù, sono stati solo gli Stati Cc). nfederati d’America, Cuba e Brasile. Dopo il 1989 la creazione della memoria collettiva fu importante. Il comunismo è stato condannato ad ha accordato un risarcimento alle vittime della repressione totalitaria. L’Olocausto è stato condannato ed sono stati concessi risarcimenti alle vittime ed ai loro discendenti. La schiavitù degli Zingari non fu condannata politicamente e l’idea di compensare i discendenti degli schiavi non sembra essere scritta in nessuna agenda politica. Confrontando il caso della Romania con il caso americano e brasiliano c’è anche una circostanza aggravante : nelle Americhe i proprietari di schiavi erano dei privati, in Valacchia e Moldavia la schiavitù domestica esisteva ma i più importanti proprietari di schiavi erano, nell’ordine, la Chiesa (ortodossa) e lo Stato (i regnanti). In altre parole lo Stato non solo ha sostenuto la schiavitù degli Zingari mettendo a disposizione di privati gli strumenti giuridici per la sua conservazione, ma ha beneficiato direttamente del lavoro degli schiavi in qualità di loro proprietario. Il governo degli Stati Uniti, al momento della abolizione dello schiavismo ha fornito agli ex schiavi qualche proprietà e finanziato le istituzioni per migliorare il loro status sociale (endowed university per esempio). Invece nel 1864, nel 1919-1921, nel 1945 e dopo il 1989 lo Stato rumeno non ha ritenuto come un dovere di dare agli ex schiavi qualche indennità o proprietà o creare istituzioni per aiutarli ad integrarsi nella società come cittadini normali. Questa operazione è stata fatta solo nel 2000 con un successo discutibile e solo sotto la pressione da parte dell’Unione Europea. Né lo stato rumeno, né la Chiesa ortodossa romena hanno condannato la schiavitù degli Zingari che è stata fonte di guadagno per un secolo e mezzo. Mancano statisti o prelati che esprimano pubblicamente una qualche nota di rammarico. Il silenzio da parte di tutti non è senza conseguenze. Ignorata e senza commenti da parte della storiografia romena, non discussa in pubblico, la schiavitù degli Zingari diventa come se non fosse mai esistita. Il sito della popolare enciclopedia “Wikipedia” registra informazioni sulle varie forme storiche e istituzionali di schiavitù (slavery) ma non menziona la schiavitù dei rom in Romania fino alla metà del XIX secolo. Una volta liberati i Rom sono stati infatti espulsi della società, privati della possibilità di lavorare, dell’accesso all’istruzione, di migliorare le loro condizioni. Paradossalmente la schiavitù era una forma di esclusione ovviamente alla base della piramide sociale. La liberazione ha avuto luogo come un processo di esclusione alla proprietà, alla cittadinanza e a qualsiasi tipo di attività legittima e sociale. L’irresponsabilità dello stato rumeno è la fonte dei fenomeni di reati che oggi politici e giornalisti rumeni tendono a imputare all’insieme della popolazione Rom. Il più recente abbandono dell’etica della responsabilità nei confronti della comunità Rom è avvenuto nel 2000, in parallelo con lo sviluppo e la sperimentazione di politiche piuttosto “leggere” di integrazione sociale e lotta contro le discriminazioni. Di fronte alle reazioni Italia o in Francia da parte di cittadini rumeni della etnia Rom, lo stato rumeno, attraverso la voce dei suoi più alti funzionari, ha detto che il problema dei rom è un problema europeo. Lo stato rumeno sta cercando con l’esportazione delle responsabilità, di sbarazzarsi ancora una volta delle sue responsabilità di ex “proprietario di uomini” e sfruttatore del lavoro di schiavi.
Una responsabilità rumena
Il 31 ottobre del 2007, un cittadino rumeno della categoria degli “insignificanti” e quindi non negli interessi dello stato, con un passaporto con il quale aveva ottenuto il privilegio di libera circolazione nell’Unione Europea, aveva commesso a Roma una lunga serie di reati e le autorità italiane decisero di trattarlo come un evento di importanza nazionale, un’opportunità per crearedi fatto una legislazione e trovare una soluzione di ordine pubblico e sicurezza dei cittadini, tema centrale di un governo liberal-democratico e obiettivo fondamentale di uno stato moderno. L’eco è arrivato anche a Bucarest. I termini della discussione sono stati fin qui piuttosto antropologici, etnici e patriottici. La tendenza délla stampa è stato quello di prendere in considerazione il caso Mailat come isolato e non rappresentativo dell’emigrato rumeno che normalmente è diligente e onesto, per mettere in evidenza solo il comportamento deviante di una minoranza della popolazione: i Rom, un pretesto dato agli estremisti politici italiani per criticare le politiche di immigrazione e denigrare la nazione rumena, non molto protetti da parte delle autorità rumene competenti. Non si ha fatto caso che il rumeno autore del reato e arrestato per un grave omicidio, prima di essere un immigrante, un disoccupato o altro, era un inconscio portatore di una visione dello stato, e l’idea che aveva portato con sé dalla Romania era quella dell’assenza di uno stato. Lo stato rumeno nel quale l’istruzione è obbligatoria fino all’età di 16 anni, è assente quando un adolescente (un Rom) lascia la scuola. Lo stato rumeno rifiuta di agire e prender parte nei conflitti quotidiani di ordine pubblico o violenze urbane, le vittime sono invitate a rivolgersi direttamente ai tribunali come querelanti. Lo stato rumeno non registra i crimini commessi in altri paesi dai rumeni espulsi. Lo stato rumeno non vede interi villaggi e quartieri illegali, gente che nasce, vive e muore senza documenti e senza mezzi di sussistenza. Lo stato rumeno vede i campi rom a Milano o Roma, ma non quelli delle periferie delle città rumene come Aiud e Cluj che sono là da decenni senza suscitare interesse, indignazione o compassione. Il destino dei rom è diventato evidentemente un problema europeo. L’Unione Europea ora ha il dovere di garantire, con mezzi concertati, “l’integrazione sociale” del popolo che si auto definisce in base al termine etnico-linguistico generico di “Rom” e descritto in varie parti del continente, con qualificazioni e connotazioni discriminatorie, d’ordine civile, sociale e razziale. I Rom che ora viaggiano in Europa con passaporto Rumeno sono sedentarizzati da secoli. La maggior parte di loro sono stati, fino a un secolo e mezzo fa, schiavi di monasteri o dello stato, lavoratori agricoli, in particolare sulle proprietà della chiesa e dei nobili. Certo, dopo il 1990, lo stato post-comunista, messo in guardia dalla UE che la soluzione in termine di diritti e libertà che la questione dei rom sarebbe stata una delle principali condizioni politiche per l’integrazione, e si é dotata di organismi incaricati di migliorare il loro status sociale e le loro condizioni di vita. In realtà, il problema dei rom non esiste e neanche quello dei rumeni, tutto potrebbe essere risolto con la creazione di nuovi arcivescovati e di nuovi consolati. C’è solo un problema di proporzioni monumentali, quello della Romania stessa, incapace di riconoscere la propria responsabilità storica della schiavitù dei Rom e incapace di sviluppare politiche sostenibili per l’integrazione sociale della loro popolazione.

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omelia di p. Claude Dumas alla messa del sabato sera al C.C.I.T. 2015 in Romania

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omelia del sabato sera

Claude DUMAS

Claude

Quando Gesù predica, non si può accusarlo di essere troppo lungo ! Proclama la lettura ,depone il libro e dichiara : « Questa Parola della Scrittura, si compie oggi. » E corto, è breve, è detto tutto !

Sì, Gesù è il compimento della Parola. La parola di Dio non è più incisa sulle pietre, ma in fondo al cuore di un uomo. Gesù è il Verbo, dice san Giovanni, è la Parola fatta carne, la parola vivente. In Lui tutta la Scrittura s’illumina di una luce nuova.

Nello stesso slancio, Gesù annuncia che questo compimento si produce « oggi ».Per capirci ! Non si tratta solamente dell’oggi di allora, di quelle di 2000 anni fa. Si tratta dell’oggi di Dio: qui e adesso. Come lo fece per i discepoli di Emmaus. Gesù avanza lentamente con noi e ci spiega le Scritture. Per noi, per me, oggi, Dio, in Gesù, si fa parola viva, parola che agisce . Il tempo dei profeti e délie profezie è finito e Dio comincia a rivelarsi agli uomini come è : Gesù rivela suo Padre e il Padre rivela suo Figlio con i segni e i miracoli che lui compie.

Questa parola vivente di Dio è destinata prima di tutto ai poveri : « Mi ha mandate a portare la Buona Novella ai poveri, a annunciare ai prigionieri che sono liberi, e ai ciechi che vedranno la luce ». In Gesù, Dio si rivolge a quelli che vivono nell’afflizione del cuore, a quelli che soffrono a causa dell’ingiustizia. Questi poveri, sono quelli a cui mancano l’affetto, l’amicizia, sono quelli che aspettano tutto dall’altro, un sorriso, uno sguardo, una stretta di mano, sono quelli che non esistono per nessuno, sono quelli che sono aperti e avidi di tutte le parole che li rimettono in piedi, quelli di cui incrociamo il cammino… La vita di Gesù – la sua morte e la sua risurrezione – è parola di Dio, speranza e gioia per i poveri. Gesù porta la vera liberazione.

San Paolo, nella prima lettura, ci dice che noi siamo tutti membra del corpo di Cristo. Tutti, grazie allo Spirito Santo che dimora in noi, possiamo diventare, in Cristo, Parola di Dio per il mondo. Questa parola può essere intesa solo se il corpo è unito. « Che tutti siano uniti affinché il mondo creda ». Dice Gesù. Questa unità nella diversità, questo rispetto della vocazione e dei carismi di ciascuno diventa parola di speranza in questo mondo troppo spesso diviso e lacerato, impregnato di egoismo, d’indifferenza e di violenza.

Evocando la comunione, sant’Agostino diceva : «Diventiamo quello che riceviamo, il corpo di Cristo ». La presenza di Cristo nei nostri cuori, ci unisce, ci aiuta a riconoscerci fratelli e dunque anche figli di Dio. Questa comunione tra di noi e con il Padre diventa presenza di Cristo, Parola di Dio. «E dall’amore che avrete gli uni per gli altri che si riconoscerà che siete miei discepoli ». Giovanni 13,35 . E ispirandoci all’amore che Gesù non cessa di darci che noi diventeremo capaci di testimoniare il suo amore, che noi potremo posare gesti di vita e d’amore, che diventeremo a nostra volta annunciatori di gioia. Lo Spirito Santo ci spinge senza sosta ad andare verso gli altri per prendere la loro difesa. Noi siamo inviati per rivelare loro la loro dignità di figli e figlie di Dio. Anche il più sfigurato è creato a immagine di Dio.

«Mi ha mandate a portare la Buona Novella ai poveri, ad annuciare ai prigionieri che sono liberi, e ai ciechi che vedranno la luce. ». Missione del Cristo nel suo « oggi » sì, ma per diventare la nostra missione nel nostro « oggi »

Domandiamo al Signore di aiutarci ad esser parola « oggi » per i nostri fratelli nell’unità delle nostre diversità. Così sapremo essere dei luoghi di accoglienza e di speranza, aperti alla liberté e al rispetto di tutti gli uofnini.il CCIT ci impegna a questo. Amen.

 

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introduzione di p. Claude Dumas al C.C.I.T. 2015 in Romania

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INTRODUZIONE

Claude Dumas

Claude

Al fine di lasciare spazio al nostro lavoro, non ripeterò i saluti e i ringraziamenti appena espressi da Padre Martin, se non per ringraziare personalmente lui e i suoi collaboratori, tra cui Willy, per tutte le energie spese per l’organizzazione di questo incontro del CCIT sì, grazie!

“La comunicazione: opportunità e pericoli dei nuovi media ” un tema complesso, ma di grande attualità …che , a rischio di sorprendervi, voglio collegare al concetto di evangelizzazione.

“Andate in tutto il mondo ad annunciare il Vangelo ad ogni creatura” dice Gesù ai suoi discepoli alla fine del Vangelo di Marco. Possiamo immaginare che il concetto di “evangelizzazione” si sia sviluppato a partire da questo testo. E’ certo che questo invio di Cristo a tutte le nazioni ha una forte connotazione militante e rappresenta chiaramente un invito vigoroso a una certa forma di proselitismo (non dobbiamo avere paura delle parole), vale a dire a un approccio organizzato in grado di generare nuovi convertiti, che diventeranno in seguito loro stessi discepoli … Si potrebbe anche vedere in questo testo un mandato leggermente diverso, in un certo senso una missione di comunicazione ,poiché si tratta di “proclamare”, cioè di annunciare (di far conoscere) … una buona notizia a tutto il creato!

E ‘chiaro che non siamo più ai tempi dei pionieri dell’inizio, “tempi epici”, durante i quali i primi discepoli hanno dovuto mostrare molto coraggio e ingegno per lanciare un così vasto programma solamente con pochi pezzi di candele e qualche pezzo di corda,partendo praticamente quasi da zero!

Hanno iniziato in modo riservato … poi la Parola di Dio si è diffusa in tutto l’impero romano … in seguito i missionari si sono imbarcati con chi voleva scoprire nuovi mondi … Così questa parola è giunta fino a noi.

Oggi ovunque, intorno a noi, assistiamo al grande spettacolo della comunicazione. Sembra che il mondo soffra di una nuova frenesia: la voglia irresistibile di parlare,di vedere,di sentire, di essere in contatto,di comunicare. Le manifestazioni di questo fenomeno sono numerose e varie.

Le nuove tecnologie, l’iper connessione ai mezzi di comunicazione (Facebook, smartphone, tablet, computer, ultraportatili, e-mail, video, blog, twitter …) non solo hanno cambiato il nostro modo di comunicare, ma hanno trasformato la stessa comunicazione . Questo cambiamento ha implicazioni anche per l’evangelizzazione. Siamo trascinati in un nuovo modo di evangelizzare, in un nuovo modo di portare la Buona Novella ad ogni creatura. Dobbiamo tenere conto dei nuovi media. Non possiamo solo fare quello che abbiamo sempre fatto. Questo non è sufficiente, questo non è sufficiente.

Già Paolo VI affermava nella Evangelii Nuntiandi che i media “messi al servizio del Vangelo, sono in grado di estendere quasi all’infinito il campo di ascolto della Parola di Dio, e fanno arrivare la Buona Novella a milioni di persone. “(EN 45) e aggiungeva che ci ” incombe di ricreare con audacia e saggezza in piena fedeltà al suo contenuto, i modi più adeguati e più efficaci per comunicare il messaggio evangelico agli uomini del nostro tempo.” (EN 40). “La Chiesa si sentirebbe colpevole di fronte al suo Signore se non adoperasse questi potenti mezzi che l’intelligenza umana rende ogni giorni più perfezionati. E ‘attraverso di essi che “proclama sui tetti “, il messaggio di cui è depositaria. “(EN 45) … e Benedetto XVI: “Se la Buona Novella non è conosciuta anche nell’ambiente digitale, potrebbe essere assente dall’esperienza di molti per i quali questo spazio esistenziale è importante.” Da qui l’importanza missionaria dei nuovi mezzi di comunicazione sociale.

Non possiamo solo aspettare che la gente venga a noi, ma dobbiamo andare a cercarla nei luoghi che frequenta, come Blog, Facebook, ecc … La maggior parte di coloro che “navigano” su internet sono spesso i più lontani dalla Chiesa. Molte di queste persone che fanno uso di questi mezzi sono del tutto indifferenti alla religione! Sono persone che sicuramente non vedremo mai in Chiesa e che forse sentiranno parlare di Dio solo attraverso questi canali.

Così nascono nuove forme di relazioni interpersonali. Internet ci mette in relazione con persone a cui non avremmo mai pensato.

I giovani zingari utilizzano sempre più questi nuovi mezzi per comunicare tra loro … e vediamo fiorire su Facebook dei passi interi della Bibbia o del Vangelo, dei video di preghiere che hanno animato ,di messe a cui hanno partecipato … informano i viaggiatori del giorno e dell’ora della preghiera … “Gente di Viaggi Cattolici “, “Giovani Viaggiatori Cattolici” per la Francia, “Katholische fahrenden Volkes” Per la Svizzera, da quello che so … si evangelizzano tra di loro, ma dicono solo ciò che li interessa!

C’è un rischio: il Vangelo non è un “prodotto” formattato che si porta come un pacchetto o un “kit pronto per l’uso.” Infatti, il Vangelo può facilmente diventare un messaggio stereotipato e disincarnato, ridotto a un elenco di riferimenti biblici e frasi d’urto. La Parola di Dio è una parola viva … ha bisogno di essere ascoltata … richiede anche una relazione autentica, ha bisogno di essere comunicata da persona a persona, il che implica un’attenzione all’altro, alla sua storia e alle sue reali aspettative.

Paolo VI ricordava che “Per la Chiesa, la testimonianza di una vita autenticamente cristiana … è il primo mezzo di evangelizzazione” (EN 41)

Vediamo i due discepoli di Giovanni Battista che annuncia: “Ecco l’Agnello di Dio”, e quelli lo seguono: ” Gesù si volta: chi cercate? ” Gli risposero: “Dove abiti? ” gli disse: “Venite e vedrete”.

Ecco una vera lezione di comunicazione attraverso l’esperienza … Questa è la vocazione del CCIT: comunicare attraverso il proprio vissuto, la sua condivisione e ,nello stile che gli è proprio, “la Buona Novella è annunciata a tutti i popoli. “

Per concludere, non posso resistere al piacere di insistere sulle parole del nostro papa, “l’attenzione e la presenza della Chiesa sono importanti nel mondo della comunicazione, per dialogare con l’uomo di oggi e portarlo ad incontrare Cristo: una chiesa che accompagna il cammino, sa mettersi in cammino con tutti. In questo contesto, la rivoluzione dei mezzi di comunicazione e d’informazione è una grande ed appassionante sfida, che richiede energie fresche e una nuova immaginazione per trasmettere agli altri la bellezza di Dio” . Papa Francesco nel suo messaggio per la 48a giornata mondiale della comunicazione (23 gennaio 2014)

Possiamo noi in questi giorni raccogliere questa sfida … il nostro conferenziere e coloro che interverranno sapranno senza dubbio invitarci a questo …

Buon incontro a tutti!

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messaggio vaticano al C.C.I.T. 2015 in Romania

 

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Dal Vaticano, 24 marzo 2015
Prot. N. 8117/2015/N

Messaggio del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti ai Membri del Comitato Cattolico Internazionale per gli Zingari (CCIT)

(Snagov, Romania, 24 — 26 aprile 2015)

suora
Carissimi,
Sono particolarmente lieto di salutare Padre Claude Dumas, Presidente, e i partecipanti all’incontro annuale del CCIT. Esprimo a tutti parole di apprezzamento e di gratitudine per il vostro servizio instancabile in favore di Rom, Sinti, Manouche, Yenish e di altri gruppi itineranti.
Il tema che vi accingete a trattare, “La comunicazione: potenzialità e rischi dei nuovi media”, è di particolare attualità nella società odierna e nella comunità ecclesiale ed è stato oggetto di riflessione sia da parte di Papa Francesco che dei suoi Predecessori nei Messaggi per la Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali.
Nel suo Messaggio del 2014, Papa Francesco ha incoraggiato i cristiani a guardare mezzi di comunicazione moderni nella prospettiva della loro utilità nella creazione di una vera cultura dell’incontro e del dialogo. Il Papa ha ricordato che viviamo in un mondo contrassegnato da una “scandalosa distanza tra il lusso dei più ricchi e la miseria dei più poveri”, dove numerose persone soffrono di “molteplici forme di esclusione, emarginazione e povertà” e in cui siamo testimoni di numerosi “conflitti in cui si mescolano cause economiche, politiche, ideologiche e, purtroppo, anche religiose”. In questo contesto, il Pontefice ha definito i nuovi mezzi di comunicazione strumenti che “possono aiutare a farci sentire più prossimi gli uni agli altri; a farci percepire un rinnovato senso di unità della famiglia umana che spinge alla solidarietà e all’impegno serio per una vita più dignitosa”2. Tuttavia, per svolgem il loro ruolo le nuove tecnologie “devono essere poste al servizio del bene integrale della persona e dell’umanità intera”. Soltanto “se usate saggiamente, esse possono contribuire a soddisfare il desiderio dí senso, di verità e di unità che rimane l’aspirazione più profonda dell’essere umano “3. Sfortunatamente, per quanto riguarda la popolazione rom i mezzi di comunicazione spesso sono messaggeri di “verità distorte”. Ascoltando i notiziari, leggendo i giornali, guardando la televisione e navigando in rete si nota che il linguaggio utilizzato nei riguardi dei rom è generalmente simile a quello riservato ai delinquenti comuni e ai protagonisti della cosiddetta “cronaca nera”. Questo fatto non è soltanto ingiusto ma è anche grave in quanto l’approccio dei media nei confronti della popolazione rom influenza in modo sostanziale la collettività che viene così a trovarsi, quasi inconsapevolmente, a nutrire sentimenti ostili e falsati verso questa etnia.  Il pregiudizio nasce, solitamente, da conoscenze errate o incomplete ed è qui che i mezzi di comunicazione ricoprono un ruolo fondamentale. Se il modo di fare comunicazione fosse corretto, preciso c puntuale, molte incomprensioni verrebbero meno. Se i giornalisti e gli addetti all’informazione andassero alla ricerca della verità sempre c comunque, anche le notizie trasmesse sarebbero complete, veritiere e ricche di particolari in grado di mostrare la reale essenza di un evento o l’effettiva identità dei protagonisti. Fre() perché, nel tema proposto dall’incontro “La comunicazione: potenzialità e rischi dei nuovi media”, sono racchiusi due concetti importanti. Il primo: le potenzialità dei medio, in grado di abbattere le distanze di spazio e di tempo, rendendo tutti partecipi dell’unica grande famiglia dell’umanità. Il secondo: i rischi chc gli stessi mezzi corrono veicolando in tempo reale notizie più o meno distorto in grado di plasmare il pensiero delle masse, un pensiero facilmente condizionabile. L’impossibilità di un’esperienza diretta costringe molti ad assimilare nozioni attraverso i media e porta ad un condizionamento delle azioni e delle interazioni nel inondo reale. La discriminazione, nata anche dall’uso scorretto dei nuovi mezzi di comunicazione, determina in modo significativo il criterio con cui vengono considerare le minoranze etniche e può incentivare comportamenti razzisti. Diversamente, se utilizzati nel rispetto della verità, i media possono contribuire ad una maggiore consapevolezza nei loro confronti e a far nascere approcci più positivi. Di fronte ai rischi che una rete sempre più fitta e attiva delle comunicazioni sociali comporta, la Chiesa, «esporta di umanità», si impegna incessantemente a favore della dignità dell’uomo e dei suoi valori4 e non esita a investire nei nuovi media por superare la “cultura del rifiuto” c promuovere una cultura di solidarietà e di incontro. La Chiesa esorta continuamente ad uno stile cristiano di presenza nei media che ‘si concretezza in una forma di comunicazione onesta ed aperta. responsabile e rispettosa dell’altro”5. È compito delle Chiese locali e degli Operatori pastorali esaminare tutte le opportunità che i moderni mezzi di comunicazione offrono, non soltanto nell’ambito della promozione e dell’integrazione delle popolazioni gitane, ma anche per una migliore proclamazione del Vangelo nella realtà mm. è necessario preparare sia le giovani generazioni rom, sia i loro genitori, ad una ricezione critica e consapevole dei nuovi media così come ad un loro uso corretto, in modo da poterne trarre il massimo vantaggio, evitando un impatto negativo sullo sviluppo e sui rapporti interpersonali. Un molo fondamentale in questo ambito lo possono svolgere la scuola e le comunità =c’esitai, avvalendosi dell’aiuto dei mediatori culturali e dei volontari. I giovani hanno bisogno di essere guidati a riconoscere i rischi c i vantaggi del mondo digitale, a capire ciò che offrono i nuovi mezzi di comunicazione e quanto di buono fornisce una comunicazione diretta in tutti gli ambiti della vita, nei rapporti umani, nello sviluppo emotivo, nella famiglia e nelle esperienze di gruppo. Non si può negare l’utilità pratica delle nuove tecnologie nella vita quotidiana c la multifunzionalità dell’uso di Internet nella pastorale e nella trasmissione del Vangelo. Le voci del Papa emerito Benedetto XVI e di Papa Francesco raggiungono ormai milioni di persone in tutto il mondo via Twitter.
Auspico che anche il popolo gitano si impegni a trarre vantaggio dai nuovi mezzi di comunicazione per la sua promozione e per l’evangelizzazione, diventando protagonista attivo   del mondo mediatico, in grado di far rispettare la propria dignità e di rendere più visibili i valori della cultura zingara. Utilizzare le potenzialità offerte da televisione, radio, internet e giornali, significa anche mettersi in gioco in prima persona e creare nuove occasioni per comunicare la propria identità diventando primo attore ed evitando, così, di subire l’azione e l’opinione altrui. Mentre invoco su tutti voi la grazia dello Spirito Santo, auguro che il vostro incontro abbia un buon esito e Vi benedico di cuore.
Antonio Maria Card. Vegliò Presidente
P. Gabriele F. Bentoglio, CS Sotto-Segretario
1 FRANCESCO, Comunicazione al servizio di un’autentica cultura dell’incontro, Messaggio per la XLVIII Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, 1 giugno 2014.

2 Idem.

3 BENEDETTO XVI, Verità, annuncio e autenticità di vita nell’era digitale, Messaggio per la XLV Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, 5 giugno 2011.

4 Cfr. SAN GIOVANNI PAOLO II, Comunicazioni sociali e promozione della solidarietà e della fraternità fra gli uomini e i popoli, Messaggio per la XXII Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, 15 maggio 1988. 5 BENEDETTO XVI, Verità, annuncio e autenticità di vita nell’era digitale, Messaggio per la XLV Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, 5 giugno 2011.
 

 

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intervento di p. Agostino Rota Martir al C.C.I.T. 2015 in Romania

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SNAGOV-CIOFLICENI 24-26 aprile 2015

 

 foto-linguaggio commentate da p. Agostino

p. agostino

 

 

 

 

ccit Romania

 

 

La nuora e facebook

 

“Cosa stai facendo vicina?”

“Mi cerco una nuora su facebook..”

E’ una immagine che è circolata molto sui telefonini di tanti ragazzi Rom, molto divertiti per quello che raffigura. “Cosa ti fa ridere di questa foto?” Ho chiesto a diversi giovani Rom. “Le vecchie Rom, vestite secondo la tradizione kosovara e che stanno su facebook e che ai loro tempi non avevano neanche il cellulare, ora navigano con il portatile su Facebook. E’ troppo forte!” Tradizione e innovazione qui sembrano convivere: due realtà che si uniscono. A dire il vero qui i “New Media” non scalfiscono gli aspetti culturali di una tradizione Rom, tradizione che a volte è vista anche con diffidenza dalle nuove generazioni Rom, che spesso usano facebook, anche per distaccarsi dalle loro stesse tradizioni e usanze o anche per desiderio di distinguersi. Le vecchie Rom usano Facebook per mantenere ancora vive le loro tradizioni. I giovani Rom, invece utilizzano Facebook anche per staccarsi da quelle stesse tradizioni.

  • Apparentemente sembrerebbe un corto circuito, eppure i “New Media” potrebbero svolgere un ruolo di allargamento della comunicazione e conoscenza all’interno delle comunità Rom.
  • Spesso questa trasmissione avviene soprattutto all’interno dei “mondi Rom”, è ancora limitato invece, l’utilizzo di questi mezzi di comunicazione da parte dei Rom, per far conoscere alla società in genere il proprio mondo, le sue richieste, le rivendicazioni o per trasmettere i suoi variegati aspetti culturali e tradizionali. Diffidenza verso il mondo dei gagè e dei suoi mezzi di comunicazione?

                                        

 

                                           Lo smartfhone a pezzi

 

 telefono rotto

 

Sono molti i giovani Rom che fanno uso dello smartphone, tablet con connessione internet. Non è una novità di oggi, avviene da diversi anni.

Ma i giovani Rom di oggi, rispetto ai loro genitori sanno far un ampio uso di Facebook, WhatsApp, Skype e messaggerie di vario genere che l’ampio mercato della comunicazione ci offre oggi. E’ innegabile che i genitori Rom vedono questo uso con curiosità mista a diffidenza. Da un lato tollerano l’uso di Internet, un po’ perché se ne servono anche loro, ma non vedono di buon cuore il fatto che i loro figli trascorrono tanto tempo a “smanettare” dietro i telefonini.. con chi parlano, con chi chattano, cosa si dicono?

Ho assistito varie volte a litigi tra figli e genitori proprio per colpa del telefono, e questo finire a pezzi per terra, rotto dai genitori.

Per tanti giovani rom questi “New Media” è un’occasione per raggirare il controllo della famiglia, sentito ancora forte e determinante. Vedono i “New Media” come una possibilità per ottenere più indipendenza e autonomia, sia rispetto la propria famiglia come verso il mondo Rom in genere. Infatti, sono tanti i contatti sia con i Rom, ma anche con il mondo gagè in genere.

E’ anche un’occasione per tentare di “evadere” da tutta una serie di controlli che in genere la famiglia esercita sui giovani, e in particolare sulle giovani rom, che sentono più forte il desiderio di incontrare e comunicare con altri Rom, in particolare. Per molti giovani Rom è una buona possibilità, se non l’unica per comunicare i propri pensieri, sogni, desideri. Per gli adulti, in genere il discorso è più complesso e articolato. Innanzitutto, c’è il timore che possa capitare qualcosa di spiacevole (cosa ovvia per qualsiasi genitore) ai loro figli, anche attraverso la pubblicazione di foto, che ritraggono ragazzine Rom in pose ammiccanti e a volte osé, e questo porterebbe disonore sull’intera famiglia agli occhi dei Rom stessi. Per gli adulti in genere, la relazione avviene attraverso la vita/corpo (conoscenze, incontri, contatti), ora invece l’uso delle chat (mezzi di comunicazione), in un certo senso sembra allargare il mondo delle conoscenze e i giovani Rom sentono di avere a portata di mano questo cambiamento. I nuovi media stanno mettendo a confronto non solo generazioni diverse tra i Rom, ma anche due conoscenze diverse: quella virtuale e i suoi possibili sviluppi e quella tipica dei Rom, basata soprattutto sui rapporti, conoscenze e equilibri tra famiglie e gruppi Rom. Riusciranno ad armonizzarsi?

Famiglie Rom che a causa di litigi non si parlano più, i figli si comunicano (segretamente) attraverso WhatsApp o FaceBook..creando di fatto le premesse di una possibile riappacificazione..oppure segnano per sempre il destino di un altro smartfhone a pezzi.

P.S. Ho scritto questa riflessione con il contributo di una giovane Rom, che usa molto Facebook. Alla quale ho poi offerto 5,00 € di ricarica per il suo smartfhone per continuare a chattare.

 

messa co cellulare

 

                             Noi/loro: migranti sulle piste dei New Media?

 

Questa foto non riguarda direttamente i Rom, lo si vede. Non vuole essere “dissacrante” verso la Liturgia. Ringraziamo p. Luciano che ha accettato di farsi fotografare. La foto vorrebbe essere uno stimolo, anche una provocazione per proporre una riflessione allargata anche su di noi, sull’uso della tecnologia digitale(telefonini, internet, messaggerie, social network..) E’ un dato di fatto: ormai i mezzi di comunicazione condizionano, nel bene e nel male la nostra esistenza, e sembra non ci siano ambiti intoccabili, esclusi.. Fanno parte della nostra vita, benché riconosciamo l’utilità e i vantaggi di questi strumenti, ma è altrettanto risaputo il rischio del “totalitarismo tecnologico” ?

“Siamo raggiungibili ormai 24 ore su 24, siamo sempre reperibili, non smettiamo mai di consultare le nostre email, di ricevere e inviare sms.. questo ha corrisposto una migliore qualità della vita?..sappiamo utilizzare questa immensa quantità di conoscenza, sappiamo anche selezionare le cose importanti, imporci una gerarchia di valori e priorità? Fare il silenzio attorno a noi? Riflettere? Leggere un libro da cima a fondo? “

“Siamo sicuri che la rivoluzione digitale ci ha reso più liberi? O abbiamo nuovi padroni e non ce ne siamo neanche accorti.” (Rete Padrona di Federico Rampini, ed. Feltrinelli, 2014)

Potenzialità della rete e ambiguità. Conoscenza e inganno. Progresso e rischi. Comodità e dipendenza/schiavitù   

A me è capitato l’anno scorso di dover rimanere per diversi mesi con un semplice telefonino senza Internet, ma alla fine mi sono arreso e ho acquistato uno più quotato, parche non riuscivo più a stare senza una connessione Internet: necessità o dipendenza? Oggi il confine sembra diventare sempre più sottile. Non c’è il rischio, in noi e nei Rom che questo uso diventi talmente essenziale. creando una sorta di dipendenza, fino a diventare un idolo? Incapaci di distinguere l’essenziale dal superfluo. Può suceedere a tutti quelli che tra i Gagè e i Rom hanno una discreta capacità e formazione per gestire questi New Media, figurarsi quelle persone tra i Gagè c i Rum che sono meno preparati per questo. Come è riuscita ad entrare in tanti una certa dipendenza, immaginiamo nelle fasce più deboli ! Infatti, molti hanno lo smardhone o desiderano possedere quello più nuovo, più costoso anche se hanno difficoltà a comprarsi il mangiare per i propri figli o pagarsi le spese di casa. Potenzialità che fmo a qualche anno fa’ ignoravamo, ma che oggi condizionano la nostra e la loro vita. Una potenzialità che sta sul palmo della mano, capace di ricevere e trasmettere dati sul mondo intero, ma non sempre è in grado di comunicare al cuore, anzi c’è il rischio di escluderlo. Questa comunicazione digitale tende ad isolare proprio il “corpo” dalla comunicazionc..succede quando le persone sono più indaffarate a leggere, digitare sms, a chattarc invece di ascoltare, dialogare con chi hai di fronte e a dargli il necessario spazio..sul palmo del tuo cuore. Anche i Rom lo avvertono.

“Sempre davanti al computer. Tu sei malato di computer. Diventerai pazzo!” Mi sono sentito rivolgere questo richiamo, da una mamma Rom, mia vicina di roulotte in questi giorni, indaffarato a preparare queste schede. Ha avvertito che la sua presenza e quella continua dei suoi bambini in roulotte mi disturbava, e che io di conseguenza, non gli concedevo tempo ed attenzione, perché scomodava il mio spazio, la mia concentrazione. Il mio cuore era lontano da loro. ” Mi onorate con le parole. ma il vostro cuore è lontano da me ..” Perché i miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie. Oracolo del Signore.”

La comunicazione ha sempre bisogno del corpo (vita, tempo, relazioni..) e di un cuore capace di pulsare..altrimenti va in blocco, carne spesso succede con i tclefonini sul palmo della nostra mano, quando non hanno un buon campo di ricezione.

“Pronto, sei in kampina? Puoi venire da me?” Non siamo a km di distanza, ma a 50 m. di distanza l’uno dall’altro, all’interno dello stesso campo Rorn! Comodità o dipendenza?

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programma del C.C.I.T. 2015 in Romania

 

PROGRAMMA

SNAGOV-CIOFLICENI 24-26 aprile 2015

ccit 2015

 

 

«La comunicazione : fortuna e pericoli dei nuovi media».

 

Venerdi 24 Aprile 2015

Pomeriggio : Accoglienza

19 h Cena

20 h 30 Preghiera animata dalla Rumania con intenzione per i 40 anni del CCIT (39° incontro del CCIT)

21 h Lancio di palloncini + vino dell’amicizia

Sabato 25 Aprile 2015

7 h 30-8 h 15 Prima colazione

8 h 45 Parole di accoglienza della Rumania

Messaggio del Consiglio Pontificale

Introduzione Claude Dumas (F)

09 h 15 Conferenza P. Florin-Ioan Silaghi, sj (RO) “le sfide della comunicazione nelle comunità zigane”

10 h 15 Pausa

10 h 45 Gruppi di discussioni

12 h 30 Pranzo

15 h Foto linguaggio commentate da Agostino (I)

15 h 15 Gruppi di discussioni (domande da rimandare al conferenziere)

16 h 30 Pausa

Incontro degli Animatori dei gruppi di discussioni attorno a Cristina (I) e Lucian (RO)

17h — 18h30 Incontro del Comitato di Animazione

18 h 30 Eucarestia Omelia Claude Dumas

19 h 30 Preparazione serata festiva

20 h Serata festiva

tesserino

 

Domenica 26 Aprile 2015

7 h 30-8 h15 Prima colazione

8 h 30 La sitauzione in Rumania

9 h Tavola rotonda Conferenziere + Presidente animata da Lucian e Cristina

10 h Pausa

10 h30-10h45 Ripresa : conclusioni, informazioni- date e luogo del prossimo CCIT

11 h 15 Eucarestia Rumania pressieduta da S. Ecc. Petru GHERGHEL

12 h 45 Pranzo

14 h Partenza per la visita turistica di BUCAREST

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la relazione di padre Florin al c.c.i.t. 2015 della Romania

 

ccit 2015

 

 

 

 

 

CCIT — Ciofliceni — Snagov – 2015

Le sfide della comunicazione nelle comunità di Zingari

Padre Florin

conferenza
Signor Presidente, caro Confratello, cari amici,
A partire dall’ introduzione che abbiamo appena ascoltato, vorrei riprendere una riflessione sulla complessità del fenomeno della comunicazione. Questo fenomeno è caratterizzato da un irresistibile desiderio di parlare, di vedere, di sentire, di essere in contatto ed è stato in gran parte suscitato dai nuovi mezzi di comunicazione che rispondono immediatamente ad alcuni dei nostri desideri, aspettative, bisogni e piaceri. Questa modalità di comunicazione ha portato a sua volta dei cambiamenti nel nostro modo di guardare, percepire, reagire e anche pensare che si verificano in misura maggiore o minore in ciascuno di noi. Propongo di iniziare con due domande che io considero fondamentali per tutti noi: su quali contenuti e come comunichiamo tra di noi, nelle nostre comunità, quando non usiamo i moderni mezzi di comunicazione? E quando li usiamo? Penso che una delle caratteristiche più comuni delle comunità a cui apparteniamo è quella di condividere opinioni e preoccupazioni causate dagli ultimi eventi o notizie, locali o mondiali, recenti che allertano il nostro senso di giustizia, di compassione, di solidarietà, talvolta non esente da sfumature paternaliste. Sono propenso a credere che questo fenomeno possa verificarsi in comunità dove la preoccupazione per il domani, per il lavoro o per la casa non è la preoccupazione maggiore o immediata e quando l’accesso all’informazione non è veramente una sfida o un problema da risolvere. Una volta passati in rassegna i fatti o le notizie che hanno alimentato più o meno la nostra sete di novità, il bisogno di essere al corrente di ciò che accade intorno a noi, allora ci disponiamo a comunicare, a condividere con gli altri i nostri bisogni, le gioie, le speranze e le preoccupazioni personali, cose che non leggiamo sui giornali, sul nostro tablet o un computer, eventi che non sentiamo alla radio e non vediamo in TV . Concludo questa breve introduzione ripetendo le mie domande sopra esposte: Su quali contenuti e Come comunichiamo tra di noi, nelle nostre comunità, al di fuori dei moderni mezzi di comunicazione? E come comunichiamo quando li utilizziamo? Prima di entrare nel vivo delle sfide della comunicazione che possiamo osservare, incontrare o intuire nelle comunità degli Zingari, permettetemi, prima, vi prego, di sottolineare il fatto che, poiché parliamo di questa popolazione che noi definiamo semplicemente Zingari o Rom, che si tratti della situazione economica, religiosa, culturale o identitaria/etnica, ogni generalizzazione ci porterebbe a conclusioni o giudizi inevitabilmente erronei. Passerò rapidamente in rassegna informazioni e analisi che riguardano diverse situazioni in cui si trova la gran parte degli Zingari della Transilvania – paese multiculturale e multietnico. Vi comunicherò le principali sfide che sono riuscito a individuare, attingendo alle ricerche realizzate dall’Istituto per lo Studio dei Problemi delle Minoranze Nazionali (ISPMN) e, in parte, basandomi sulla mia esperienza

Quadro generale

Questa popolazione , che sembra non superi il 4-5% della popolazione della Romania, è costituita da 12/ 14 gruppi che si auto-definiscono in base al tipo di mestiere o occupazione. L’insieme di questi gruppi sono comunemente chiamati Zingari. Questo insieme, stratificato dal punto di vista linguistico, culturale e sociale, può includere gruppi/comunità che possono avere affinità linguistiche/culturali con la maggioranza locale o regionale. Come sapete, la lingua madre degli Zingari, in molti paesi, è quella della popolazione maggioritaria (romungri in Ungheria, rudari e baiesi in Romania). Pertanto, alcuni gruppi che vivono presso una maggioranza locale non zingara, possono diventare doppiamente minoritari (Zingari ungheresi di Slovacchia e di Romania, baiesi di Serbia e di Ungheria }. Questi Zingari sono già una minoranza, ma se in più hanno come lingua materna 1′ ungherese, lo slovacco, il serbo o il rumeno, sono una minoranza anche rispetto ai gruppi che parlano rromani. Sotto il regime comunista, molti Zingari, qualunque fosse la confessione praticata o riconosciuta da loro come tale , hanno cominciato a convertirsi al culto pentecostale, sia per il suo carattere carismatico che per l’importanza accordata da questo culto alla conversione propriamente detta e alle manifestazioni concrete della fede, poiché la vita spirituale si esprime volentieri con la gestualità del corpo. Gli Zingari sono stati riconosciuti come Minoranza Nazionale solo nel 1990, questo gli ha permesso per la prima volta di organizzarsi in partiti politici su base etnica e prendere parte alla politica come gruppo etnico formalmente riconosciuto. Malgrado questo, il solo riconoscimento giuridico non è stato sufficiente a risolvere i molti problemi che le comunità rom devono affrontare nella vita quotidiana. Nonostante l’attenzione pubblica che hanno avuto, gli Zingari non sono stati in grado di fare uso dei canali mediatici per promuovere i loro interessi o per avere una migliore comunicazione tra le comunità Rom e le comunità di maggioranza, questa situazione continua purtroppo fino ad oggi. Negli anni ‘90,1a Transilvania orientale, in gran parte rurale, ha conosciuto grazie all’industrializzazione uno sviluppo importante che ha cambiato in modo significativo la situazione delle comunità etniche della regione. La manodopera necessaria ai nuovi siti industriali è stato importata dai paesi limitrofi, ma anche da zone più lontane di popolazione prevalentemente rumena. In alcune zone, gli Ungheresi sono rimasti la maggioranza, seguiti dai Rumeni e da un gran numero di Zingari. Ma ,questi ultimi, sono rimasti divisi per la loro auto-identificazione con il mestiere e la lingua. Le lingue parlate dagli Zingari di questa zona sono principalmente il romeno e 1′ ungherese, la lingua rromani è una percentuale molto bassa. Queste differenziazioni non permettono di classificare gli Zingari di Romania in Zingari romeni e Zingari ungheresi. Ma a loro volta gli Zingari stessi si differenziano tra di loro secondo la lingua materna : anche se alcuni gruppi Zingari romeni si identificano loro stessi come Baiesi, la maggior parte di quelli che sono di lingua romena e ungherese, non si identificano come veri zingari, giustamente, poiché non conoscono la lingua rromani. Una Pentecoste!? Dopo la caduta del comunismo, c’è stata la libertà religiosa e dunque anche l’apertura delle frontiere ai pastori missionari e questo fenomeno ha avuto una crescita esponenziale. Il culto pentecostale recluta i suoi adepti nelle fila della popolazione più povera, marginale, destrutturata o disorientata e priva di esperienza concreta di comunione e di fraternità. Nell’ultimo quarto di secolo la crescente importanza del movimento pentecostale in Transilvania, nel quadro delle comunità zingare, ha avuto una forte influenza sia sul modo di comunicare tra loro che sull’uso delle lingue. I pastori pentecostali fanno uso del rumeno come lingua ufficiale delle celebrazioni religiose; fra l’altro anche le Bibbie, stampate in massa all’estero, sono in romeno. In molte regioni, solo gli Zingari partecipavano ai servizi religiosi pentecostali ,poiché gli ungheresi sono in maggioranza calvinisti e cattolici. All’ interno di questa comunità religiosa, le relazioni interpersonali sono espresse in termini religiosi indipendentemente dalle differenze etniche, ma poiché il servizio era celebrato in rumeno garantiva una crescente consapevolezza del loro vantaggio linguistico. Dal punto di vista istituzionale, la rete di comunità pentecostali assicura uno spazio alternativo per l’organizzazione sociale, che evita il predominio dei rappresentanti non Zingari e quindi offre agli Zingari un modo per sfuggire allo stigma e alla subordinazione a livello locale . In un senso più ampio, questi sviluppi hanno stimolato la comunità zingara a cercare risorse diverse da quelle assicurate e regolamentate dalle autorità locali. In altri contesti, la situazione degli Zingari di lingua ungherese, in una città popolata da una maggioranza ungherese e una minoranza romena, apre nuove prospettive agli Zingari di lingua ungherese e così rappresentati dagli Ungheresi . La comunicazione tra le istituzioni comunali e la comunità rom avviene tramite mediatori o intermediari zingari, che hanno sviluppato questa particolare funzione per colmare una lacuna importante. Da un lato, questi mediatori soddisfano le esigenze dell’amministrazione di comunicare e controllare e, dall’altro, la necessità dei membri della comunità Rom di avere accesso alle istituzioni comunali. In una certa misura, questi mediatori possono essere considerati come rappresentanti istituzionali degli Zingari, ma funzionano anche come rappresentanti informali delle istituzioni comunali nel mondo degli Zingari. Il livello di competenza linguistica degli Zingari, che si tratti di ungherese, di rumeno o di romani, si differenzia a seconda dell’età: gli anziani parlano ancora la loro lingua materna più la lingua locale di maggioranza, mentre i loro figli e i giovani tendono a conoscere solo la loro lingua madre, almeno fino all’età di 10 anni. Se i giovani vogliono frequentare la scuola locale, dove la lingua d’insegnamento è un’altra rispetto alla loro lingua madre, le loro possibilità di continuare a frequentare la scuola sono molto limitate. Molti di coloro che formano la maggioranza locale (ungheresi nel caso di determinate regioni della Transilvania) dicono di loro : “Non sanno nemmeno parlare correttamente”, anche se sanno che la lingua madre degli zingari è il rumeno. Molti Zingari giovani e adulti riconoscono di non saper parlare correttamente né l’ungherese né il rumeno. Cosa fare? Noi abbiamo bisogno di imparare più lingue per parlare con la gente?
Una descrizione
Se al tempo del regime comunista in molte regioni le comunità di Zingari erano abbastanza omogenee, almeno dal punto di vista linguistico e religioso, oggi troviamo comunità in cui la lingua parlata è piuttosto una sorta di amalgama tra il rromani, 1′ ungherese e il romeno, a secondo della zona in cui si trovano, o ancora secondo la loro regione di origine. Alcuni sono in grado di parlare abbastanza bene, anche se solo ad orecchio, le tre lingue capite o parlate durante l’infanzia e l’adolescenza. Tra i giovani ei bambini, soprattutto non scolarizzati, si trova spesso una lingua di base, a seconda della lingua utilizzata nella zona in cui vivono, il rumeno o l’ungherese, mescolata a espressioni prese in prestito dall’altra lingua meno nota, sempre imparata ad orecchio e in funzione dei propri bisogni. Per i bambini nati in una zona a maggioranza ungherese, se i genitori comunicano tra di loro in ungherese e in romani, molto probabilmente per motivi pratici, impareranno prima l’ungherese e in seguito eventualmente il rumeno o il romani. Molti bambini raccontano che i loro genitori si rifiutano di insegnare loro  il rromani, solo per essere in grado, se necessario, di comunicare tra di loro o con gli anziani, senza essere capiti dai più giovani. L’accesso dei Rom ai moderni mezzi di comunicazione, per non parlare di radio, TV e telefono fisso, è in qualche modo un privilegio riservato specialmente a chi appartiene a una classe sociale molto ricca : sono in genere quelli che fanno parte del mondo della musica e della danza, o coloro che sono stati all’estero e hanno creato un’impresa, o quelli, meno numerosi, che contano almeno un salariato in famiglia. Gli Zingari della città, in particolare quelli delle grandi città e che ,grossomodo, sono integrati nella società di base, formano in generale uno strato che non si riconosce come appartenente al gruppo etnico zingaro e fanno uso di internet come tutti. Va qui ricordato che a livello di gadget, una delle tendenze dello strato più povero è cercare di compensare a livello di immagine facendo mostra di attrezzature sofisticate, senza però riuscire ad utilizzarne le risorse se non in piccola misura. Da quello che abbiamo appena presentato, viene fuori sempre più chiaramente che le sfide che affrontano gli Zingari nel processo di comunicazione tra di loro sono connessi ed in qualche modo legati al modo in cui riescono a comunicare con il resto della popolazione e con gli altri gruppi . Al livello di comunicazione, le sfide più importanti che devono affrontare sono la diversità confessionale e linguistica, l’educazione e la formazione umana, il nomadismo e la mancanza di una casa o di un proprio domicilio, il numero molto limitato di ONG zingare attive, l’assenza di rappresentazione simbolica etnico/nazionale di comunione e di unità, la mancanza di rappresentatività nei media, a parte la danza, la musica e lo scandalo, la mancanza di mezzi nuovi/moderni di comunicazione. Come possiamo rispondere positivamente a queste sfide? Riscontriamo alcune di queste sfide in altre comunità? Quali proposte concrete abbiamo per questo genere di sfide? Qualche anno fa ho ritrovato una comunità zingara al confine del villaggio dove, da bambino, trascorrevo le vacanze, con la quale sono rimasto in contatto per circa 2 anni una quindicina di anni fa. Da allora, mi sono proposto di produrre un documentario coerente con il tema del progetto a cui io lavoro “gli Emarginati al centro dell’attenzione.” Anche se la popolazione del villaggio era rumena, gli Zingari erano misti: alcuni di lingua rumena, alcuni di lingua ungherese/magiara, alcuni conoscevano un pò di entrambe le lingue… Per motivi diversi, la maggior parte dei bambini che non conoscevano il romeno non frequentavano quasi più la scuola del villaggio con insegnamento in romeno e molti genitori non conoscevano bene il rromani, ma conoscevano meglio il romeno o 1′ ungherese, qualcuno era in grado solo di leggere o scrivere. Con l’approvazione dell’ Associazione Fratelli Romania, ho cominciato a visitare di tanto in tanto il centro diurno che avevano aperto per questi bambini. Non dimenticherò mai quello che è successo a un mio collega, un ungherese di Ungheria : nel corso di una visita al centro , i bambini che erano intorno a lui lo hanno sentito parlare ungherese, e gli hanno domandato in ungherese: “Tu conosci anche il romeno?” E quando ha risposto che non lo conosceva, loro, con un sorriso sui visi sporchi, gli hanno chiesto, sempre in ungherese, con tono affermativo: “Allora anche tu sei Zingaro come noi?”. Questi bambini, a volte 30, a volte 20, a volte 13, hanno cominciato a imparare a parlare e a scrivere in rumeno, a contare, a giocare, a essere più disciplinati. I più grandi venivano a fare i loro compiti e a recuperare quello che non erano in grado di imparare da soli o a scuola. Nelle interviste che ho fatto ad alcuni di loro, ho usato indifferentemente il rumeno e 1′ ungherese; ma per aiutarli a esprimersi, a parlare di se’ , ho chiesto loro di realizzare in 24 ore una serie di foto sulla loro vita. Tutti avevano grande piacere di essere fotografati e di scattare foto. La maggior parte di loro sono tornati con almeno 10 foto sulle quali figuravano spesso anche da soli. Quasi tutti parlavano della loro casa e della loro famiglia, dei loro amici, dei loro animali, di cosa avrebbero fatto da grandi, dei loro desideri, della loro marginalizzazione a scuola, del loro desiderio di avere una scuola per loro, un cinema per loro, una discoteca per loro, etc. Per la maggior parte di loro la musica e la danza erano le forme di comunicazione più comuni e più alla loro portata.
Identità e comunicazione
Per quanto riguarda il modo in cui gli Zingari utilizzano internet e i moderni mezzi di comunicazione servendosi di un computer, di un tablet o di uno smartphone, non ho trovato alcuno studio che sia stato realizzato dallo stato rumeno o da un’altra entità o da un’ organizzazione di tipo governativo o privata. Non esistono altri studi o statistiche relative al numero di zingari che hanno accesso ad Internet o che utilizzano i nuovi mezzi di comunicazione di massa. Ci sarà sicuramente una grande maggioranza di Zingari artigiani, musicisti, emigrati, politici, vip o appartenenti a gruppi molto ricchi come le famiglie di “re autoproclamati” o i clan della malavita, per i quali l’uso di internet, smartphone o i più recenti gadget è familiare. Per molti di loro, le abitudini sono cambiate in egual misura e in un modo simile ai cambiamenti avvenuti nella vita di tutti coloro che hanno accesso a Internet e utilizzano i mezzi di comunicazione per se stessi o per la loro attività o per la fornitura di servizi, etc …
Esiste ancora una categoria quantitativamente marginale come quella di cui abbiamo parlato, quella degli Zingari integrati o assimilati in tutto o in parte alla maggioranza locale, con redditi, un domicilio fisso, che fanno uso di Internet e dei mezzi di socializzazione come chiunque altro. Dopo aver passato quasi un giorno intero a navigare sui diversi profili di facebook personali o comunitari, blog personali o di associazioni, ho costatato quanto segue: – A livello di identità, considerando la maggior parte dei profili personali visitati, gli adolescenti, i giovani, i giovani adulti appartenenti al livello sociale dei “parzialmente o completamente integrati “si esprimono in rumeno, la loro identità è costituita da nomi composti o soprannomi che riflettono, direttamente o indirettamente, qualcosa di significativo rispetto al comportamento, alla fisionomia , agli hobby, alle preferenze musicali, agli idoli o star reali o virtuali in cui si identificano per vocazione o per il mestiere che fanno o che desidererebbero fare .
– A livello di rappresentazione, c’è un’alternanza significativa tra le foto personali con accanto la persona amata, 1′ amico, la famiglia o uno dei suoi membri che hanno, come sfondo, l’oggetto feticcio :la casa, l’auto, lo stile di vita desiderati o sognati e 1′ immagine o la foto della star , dell’idolo o dell’avatar preferito. – Il contenuto pubblicato nel loro profilo personale o in quello dei loro amici consiste grossomodo in informazioni prodotte personalmente o ricavate da internet: nelle foto personali, il titolare è di solito solo e in primo piano, generalmente in luoghi recentemente visitati o circondati da amici, parenti o conoscenti, in situazioni che danno un’immagine positiva o, per meglio dire , migliore (sicuramente) che nella realtà. Per quanto riguarda le informazioni prese da internet, si tratta quasi esclusivamente di video clip di musica popolare, di “manele” e di musica religiosa o neo-pentecostale o neo-protestante, soprattutto in rumeno, ma anche in rromani e in “latino”. Per quanto riguarda i film, predominano i film di avventura, di guerra, i film indiani romantici e le tele-novele in “latino” e in romeno.
Tutte queste costatazioni possono aiutarci a cogliere una nuova serie di comportamenti che potremmo già chiamare abitudini soprattutto per quello che riguarda la costruzione di una identità (immagine di sé) più o meno virtuale. Da un lato questi Zingari comunicano elementi di carattere personale che prima avevano l’abitudine di esprimere solo faccia a faccia a; e, dall’altro, con l’aiuto di contenuti audio-visivi, comunicano affinità, preferenze, orientamenti, gusti, desideri, e molto spesso la loro appartenenza culturale, sociale o religiosa. Presento, qui di seguito, alcuni esempi di canali You Tube dove sono pubblicati materiali audio-visivi con musiche e danze gitane, che attirano un notevole numero di abbonati, di apprezzamenti o di visualizzazioni:
Nom Canal YouTube Visualisations Abonnés Depuis Sultan Music 60,175,484 109,576 2007 Taraf De Haidouks 2,634,607 2,814 2008 AMMA Music 408,404,596 346,777 2010 Nek Music Tv 329,771,679 288,641 2011 Big Man Music Official 217,273,156 188,313 2011 Kompact Sound 140,412,355 94,572 2011 Big Man Music Network 32,848,679 38,060 2012 Viper Music Official 36,331,681 34,181 2013
Grazie per la vostra pazienza!

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la ‘teologia del popolo’ di papa Francesco e la ‘teologia della liberazione’

 

 

papa Francesco ha sposato la ‘teologia del popolo’, non quella più nota come ‘teologia della liberazione’

il teologo argentino Bianchi evidenzia il legame tra il pontefice e quel ‘ramo’ della ‘teologia della liberazione’

Gelsomino Del Guercio in Aletheia puntualizza il particolare taglio della ‘teologia della liberazione’ cui da sempre si rapporta papa Francesco: la ‘teologia del popolo:
 
Bergoglio Papa Francesco teologia del pueblo democrazia cittadinanza
«Bergoglio si ispira alla Teologia del Popolo». Questo ritornello è stato ripetuto fin dal primo minuto dopo l’elezione di papa Francesco. Ma pochi hanno cognizione precisa dei contenuti della Teologia del Pueblo, una delle correnti della Teologia della Liberazione di matrice sudamericana (Avvenire 26 aprile).  Un’idea concreta il pontefice la spiega nella prefazione di “Introduzione alla Teologia del Popolo” (EMI) testo (appena pubblicato in italiano) del teologo argentino Ciro Enrique Bianchi, che ha studiato sotto la guida di Víctor Manuel Fernández, attuale rettore dell’Università Cattolica d’Argentina e da tempo stretto collaboratore di papa Francesco.

EVANGELIZZARE PARTENDO DAL POPOLO
Il testo di Bianchi si presenta (così recita il sottotitolo) come profilo teologico e spirituale di Rafael Tello, pensatore argentino che è da considerarsi uno dei fondatori della Teologia del Popolo. E che Bergoglio stima moltissimo. Evangelizzare a partire dal popolo, vedere il popolo come soggetto della storia immerso in un processo storico, assumerne la cultura, optare per la centralità dei poveri, sono le linee della ricerca teologica di Tello.

TELLO E BERGOGLIO
«Tello cercò fedelmente strade per la liberazione integrale del nostro popolo portando fino in fondo la novità evangelica senza cadere nei riduzionismi ideologici…». Sono le parole pronunciate il 10 maggio 2012 dall’allora arcivescovo di Buenos Aires, Jorge Mario Bergoglio, alla Facoltà di Teologia dell’Università Cattolica dell’Argentina per la presentazione del libro di padre Bianchi (Avvenire, 26 maggio 2012). 

IL BUON PASTORE
Nella prefazione Bergoglio scrive: quando ci avviciniamo al nostro popolo con lo sguardo del buon pastore, quando non veniamo a giudicare ma ad amare, troviamo che questo modo culturale di esprimere la fede cristiana resta tuttora vivo tra noi, specialmente nei nostri poveri. E questo, fuori da qualsiasi idealismo sui poveri, fuori da ogni pauperismo teologale. È un fatto. È una grande ricchezza che Dio ci ha dato» (da Introduzione alla teologia del popolo, C.E. Bianchi).

LA PIETA’ POPOLARE
In una prospettiva storica, prosegue l’allora cardinale di Buenos Aires, «se guardiamo a questi cinque secoli di storia, vediamo che la spiritualità popolare è una strada originale sulla quale lo Spirito Santo ha condotto e continua a condurre milioni di nostri fratelli. Non si tratta soltanto di manifestazioni di religiosità popolare che dobbiamo tollerare, si tratta di una vera spiritualità popolare che deve essere rafforzata secondo le sue proprie vie».

“ORIGINALITA’ STORICO-CULTURALE”
Cita poi il Documento di Aparecida 264: «La pietà popolare è una modalità legittima di vivere la fede, un modo di sentirsi parte della Chiesa e una forma dell’essere missionari; in essa si sentono le vibrazioni più profonde della profonda America. Essa è parte dell’“originalità storico-culturale” dei poveri di questo continente, e frutto di “una sintesi tra le culture [dei popoli originari] e la fede cristiana».

“SANTITA’ E GIUSTIZIA SOCIALE”
Pertanto si può dire «che la pietà popolare è una forza attivamente evangelizzatrice che possiede nel suo interno un efficace antidoto davanti all’avanzare del secolarismo e la Chiesa», conclude Bergoglio, ed «è chiamata ad accompagnare e a fecondare incessantemente questo modo di vivere la fede dei suoi figli più umili. In questa spiritualità c’è un “ricco potenziale di santità e di giustizia sociale” (DA 262) di cui dobbiamo valerci per la Nuova Evangelizzazione. Come direbbe lo stesso Tello: il cristianesimo popolare dev’essere rafforzato con una pastorale popolare».

IL PENSIERO DI SCANNONE
Un altro dei fondatori della “Teologia del Popolo”, cioè il gesuita Juan Carlos Scannone, considerato il massimo teologo vivente argentino, nonché insegnante di Bergoglio nel noviziato dei gesuiti a Buenos Aires, aveva trasmesso al futuro papa una dottrina centrata sulla cultura e la religiosità della gente comune, dei poveri in primo luogo, con la loro spiritualità tradizionale e la loro sensibilità per la giustizia (chiesa.espresso.repubblica.it, 5 settembre 2013).

“CHIESA POVERA TRA I POVERI”
Dunque quell’espressione “Sogno una Chiesa povera e per i poveri” è strettamente legata a questa base teologica del pensiero di Bergoglio, anche se è stata «sbrigativamente assunta da molti come il coronamento» di un’ «assoluzione» della Teologia della Liberazione nel suo insieme, come sostiene il vaticanista Sandro Magister (chiesa.espresso.it, 5 settembre 2013).  Anche Il Foglio (12 settembre 2013) concorda che «non significa schierarsi tra i sostenitori di quel movimento di pensiero». In Francesco «non trovano posto richiami alla lotta di classe, alla teoria della dipendenza, al peccato strutturale e sociale. La sua è una lettura meramente evangelica».

IL PAPA E LA TEOLOGIA DELLA LIBERAZIONE
Tanto è vero che Bergoglio non ha nascosto in passato “dubbi” sulla Teologia della Liberazione e le sue “devianze” politicizzate e rivoluzionarie. Non a caso si espresse in questo modo il 4 aprile del 2005, nel prologo al libro “Una apuesta por América Latina” di Guzmán Carriquiry, attuale Segretario generale della Pontificia commissione per l’America Latina: «La vasta produzione bibliografica sull’America latina (dalla “sociologia impegnata” alla teoria della dipendenza, dalla teologia della liberazione ai cristiani per il socialismo, dalle denunce a tinte forti ai dibattiti sulle strategie rivoluzionarie) è andata via via esaurendosi sin dagli anni ottanta – sottolineò il futuro pontefice – Ha dato certamente contributi di differente valore e apporti significativi ma, ultimamente, ha pesato di più la forte connotazione ideologica, con la sua riduttiva visione della realtà. Soprattutto dopo il crollo dell’impero totalitario del “socialismo reale”, queste correnti di pensiero sono sprofondate nello sconcerto. Incapaci sia di una riformulazione radicale che di una nuova creatività, sono sopravvissute per inerzia, anche se non manca ancora oggi chi le voglia anacronisticamente riproporre» (Terre d’America, 28 aprile 2013).

ERMENEUTICA MARXISTA
Anche in anni recenti, evidenzia Magister (chiesa.espresso.repubblica.it, 1 settembre 20’3), ad esempio nell’interrogatorio cui fu sottoposto dalla magistratura argentina l’8 novembre 2010, integralmente pubblicato in questi giorni nel libro “La lista di Bergoglio”  (EMI) l’allora arcivescovo di Buenos Aires non ha mancato di criticare nella Teologia della Liberazione «l’uso di una ermeneutica marxista». Ma la sua critica non si limitava a questo. Andava più a fondo. Riguardava il primato della fede nel giudicare la realtà e nell’ispirare la prassi conseguente.

LA SVOLTA DI APARECIDA
Nel 2007, in Brasile, nel santuario mariano dell’Aparecida, prosegue il vaticanista, i vescovi latinoamericani discussero e si scontrarono proprio su questo. E l’arcivescovo Bergoglio fu decisivo nel far prevalere il primato della fede rispetto a quello assegnato al povero in nome di una lettura “ideologizzata” della realtà.  Da papa, Bergoglio non si è dimenticato di quello scontro. Anzi, durante il suo viaggio a Rio de Janeiro, nel rivolgersi il 28 luglio ai rappresentanti delle conferenze episcopali latinoamericane, li ha avvertiti che il «riduzionismo socializzante» sconfitto ad Aparecida continua a tentare anche oggi la Chiesa. Ad Aparecida, nel 2007, Bergoglio fu il presidente della Commissione che scrisse le conclusioni della conferenza.

LA “PACE” CON GUTIERREZ
Nel mezzo resta un episodio emblematico avvenuto a settembre 2013: l’incontro tra Bergoglio e Gustavo Gutiérrez, teologo peruviano e padre della Teologia della Liberazione. Incontro di cui non sono trapelati i contenuti, ma che è stato sicuramente utile a stemperare le divergenze teologiche tra i due. Peraltro qualche giorno prima, padre Ugo Sartorio (direttore del Messaggero di Sant’Antonio), scriveva che «con un Papa latinoamericano, la Teologia della Liberazione non poteva rimanere a lungo nel cono d’ombra nel quale è stata relegata da alcuni anni, almeno in Europa» (L’Osservatore Romano, 4 settembre 2013). 

sources: ALETEIA
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il vangelo della domenica

 CHI RIMANE IN ME E IO IN LUI PORTA MOLTO FRUTTO

commento al vangelo della quinta domenica di pasqua (3 maggio 2015) di P. Alberto Maggi:

maggi

Gv 15, 1-8

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato.
Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano.
Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli».

In una famosa pagina del profeta Ezechiele, il profeta descrive il legno della vite. Che pregi ha? Nessuno. Il legno della vite è l’unico legno tra gli alberi della campagna con il quale non si può fare nulla; non ci si può fare un oggetto, un attrezzo utile. Il legno della vite è buono soltanto per far passare la linfa vitale ai tralci e produrre frutta. Quindi il legno della vite è il legno inservibile, se non per portare frutto. Ed è a questa immagine del Profeta Ezechiele che Gesù si riallaccia nel famoso discorso della vite e dei tralci, contenuto nel capitolo 15 del Vangelo di Giovanni.
Gesù, ancora una volta, rivendica la pienezza della condizione divina. Quando Gesù dice “Io sono”, questo rappresenta la pienezza della condizione divina, perché “Io sono” è il nome di Dio.
Nella cultura d’Israele la vite era immagine del popolo, del popolo di Israele. C’è il famoso cantico d’amore del Signore per la sua vigna, contenuto nel capitolo 5 del Profeta Isaia; anche il Profeta Geremia parla di Israele come di una vite. Bene Gesù dichiara di essere “la vera vite”, quindi ci sono delle false viti. Gesù continua quel processo di sostituzione con le realtà di Israele con la propria persona:
– non la manna dal cielo, ma lui è il vero pane che da vita al popolo; – lui è la vera luce al contrario della legge; – lui è la vera vite, lui è il vero popolo piantato dal Signore.  
E il Padre “è l’agricoltore”. Allora ci sono dei ruoli ben distinti: Gesù è la vite, dove scorre la linfa vitale, il Padre è l’agricoltore. Qual è l’interesse dell’agricoltore? Che la vigna porti sempre più frutto e infatti, scrive l’evangelista, “ogni tralcio che in me non porta frutto, lo toglie”. Qual è il significato di questa espressione? L’evangelista sta parlando della comunità cristiana dove c’è un amore che viene comunicato dal Signore, un amore ricevuto dal Signore, e questo amore si deve trasformare in amore dimostrato agli altri. E questo è caratteristico dell’Eucaristia. Nell’Eucaristia si accoglie un Gesù che si fa pane, fonte di vita, per poi essere disposti a farsi pane, fonte di vita per gli altri. Ci può essere il rischio che nella comunità ci sia una persona che assorba questa linfa vitale, assorba questa energia, assorba questo amore, assorba questo pane, ma poi non si faccia pane per gli altri, non trasformi l’amore che riceve in amore per gli altri. E’ un elemento passivo, che pensa soltanto al proprio interesse, a se stesso, e quindi non comunica vita.
Ebbene, non gli altri tralci, e neanche Gesù, ma il Padre, prende e lo toglie, perché è un tralcio che è inutile.
“Ma ogni tralcio che porta frutto”, cioè il tralcio che succhiando questa linfa vitale, quindi nell’Eucaristia il tralcio che ricevendo Gesù come pane si fa poi pane per gli altri, porta frutto.  Dispiace vedere che ancora i traduttori rendono il termine con ‘potare’  che non è quello adoperato dall’evangelista. Il verbo adoperato da Giovanni è ‘purificare’, non ‘potare’. Sono due cose completamente diverse. Cosa significa purificare? Il Padre che ha a cuore che il tralcio porti più frutto sa individuare quegli elementi nocivi, quelle impurità, quei difetti che ci sono nel tralcio e lui provvede a eliminarli. Questo è importante, l’azione è del Padre; non deve essere il tralcio a centrarsi su sé stesso, ad individuare i propri difetti e cercare di eliminarli, perché centrandosi su sé stesso farà un danno irreversibile.
L’uomo si realizza non quando pensa a se stesso, alla propria perfezione spirituale, che può essere tanto illusoria e lontana quanto è grande la propria ambizione; l’uomo deve centrarsi sul dono totale di sé, che è immediato. Allora, in ognuno di noi ci sono dei limiti, ci sono dei difetti, ci sono delle brutte tendenze. Ebbene noi non ci dobbiamo preoccupare. Sarà il Padre che, se vede che questi limiti, questi difetti, queste tendenze sono di impedimento al portare più frutto, lui penserà ad eliminarli, non noi. Perché facendolo noi possiamo andare a toccare quelli che sono i fili portanti della nostra struttura e fare dei danni tremendi.
Allora “Il Padre lo purifica”. Questo da piena serenità; l’unica preoccupazione del tralcio è portare frutto, tutti gli impedimenti a frutti abbondanti ci penserà il Padre, non gli altri tralci, neanche la vite, ma il Padre. Perché? “Perché porti più frutto”.
E dichiara Gesù “Voi siete già puri”, ecco vedete,  quando i traduttori traducono il verbo con ‘potare’ anziché ‘purificare’, non rendono questo gioco di parole che l’evangelista fa tra il verbo ‘purificare’ e l’aggettivo ‘puri’. Quindi prima Gesù ha detto “Lo purifica”, e poi dice “voi siete già puri”. Perché? “A causa della parola che vi ho annunziato”. La parola di Gesù è un amore che si fa servizio. Ciò che purifica l’uomo non è il fatto che gli lava i piedi, ma la disponibilità poi di lavare a sua volta i piedi agli altri. Quindi questa parola, il messaggio di Gesù, un amore che si fa servizio, rende pura la persona.  
Secondo la concezione dell’epoca Dio era nella sfera della santità, della purezza e soltanto chi era puro poteva entrarci pienamente in contatto. Ebbene, l’amore che si traduce in servizio è la garanzia di essere in pieno contatto con il Signore. E Gesù ripete e dice “Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me.” Quindi Gesù torna di nuovo a insistere che questo amore da lui ricevuto si deve trasformare in amore comunicato, altrimenti si è inutili.
Ritorna Gesù a rivendicare il suo titolo, la condizione divina: “Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui”, in questo processo dinamico di fusione di Dio – Dio chiede soltanto di essere accolto nella vita del credente, per dilatarne l’esistenza –  “porta molto frutto”. Si da la vita agli altri, più si da e più si riceve. Si ha soltanto quello che si è donato, più il dono della vita agli altri è grande, è illimitato, più la risposta di Dio sarà illimitata.
Poi Gesù avverte: “Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca”. Questa espressione che abbiamo tradotto con ‘secca’, letteralmente ‘inaridisce’, l’evangelista la prende dal Profeta Ezechiele, quando vede la situazione del popolo, come una vallata piena di ossa secche, nel capitolo 37, indicando il popolo senza Spirito. Ebbene, chi non rimane in Gesù, chi ricevendo questo amore non lo comunica agli altri, si inaridisce, perché, ripeto, si possiede soltanto quello che si dona agli altri. E poi, ecco la garanzia di Gesù, che purtroppo noi nel linguaggio popolare abbiamo un po’ ridimensionato. Tutti quanti conosciamo l’espressione “Chiedete quello che volete e vi sarà dato”, però dimentichiamo le due condizioni che Gesù pone:
– se rimanete in me, quindi se c’è questo amore da lui ricevuto che si trasforma in amore comunicato agli altri  – se le mie parole rimangono in voi, quindi rimangono come indirizzo dell’orientamento della vita, dell’esistenza un amore che si fa servizio per gli altri
A questo punto, solo a questo punto, preceduto da queste due condizioni, Gesù dice “Chiedete quello che volete e vi sarà dato”. Quindi, quando si vive in sintonia con il Signore, quando la vita dell’uomo si fonde con quella di Dio fino a diventare una sola cosa, l’unico che si chiederà sarà il dono dello Spirito, una capacità ancora più grande d’amare. Perché al resto il Padre ci pensa. Il Padre non risponde ai bisogni e alle necessità dei suoi figli, ma li precede. Questo dà tanta sicurezza.
Ed ecco il finale: “In questo è glorificato il Padre mio”. C’era l’immagine che Dio dovesse essere glorificato attraverso opere straordinarie, magnificenze gloriose, no, l’unica maniera per manifestare la gloria di Dio, la rivelazione del suo amore, è un amore che gli assomiglia, “Che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli”.
L’unica maniera per dar gloria a Dio è manifestare nella nostra vita un perdono, una misericordia, una condivisione che in qualche maniera gli assomiglino.
 

 

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