CCIT – Ciofliceni — Snagov 2015
I Roms della Romania
Un problèma politico
Violeta Barbu
Durante le trattative per l’integrazione della Romania alla Comunità Europea, il solo grave problema che le autorità di Bruxelles avevano trovato, era quello della discriminazione al quale erano sottoposti i cittadini rumeni dell’etnia Rom, il 3% della popolazione del paese secondo il più recente censimento. Abbiamo ratificato e integrato nel diritto nazionale tutti gli strumenti giuridici europei e internazionali destinati a identificare e combattere ogni tipo di discriminazione. Abbiamo anche creato un’istituzione pubblica, il Consiglio Nazionale per la Lotta Contro le Discriminazioni (CNCD), che può essere sollecitata da privati cittadini o da associazioni per quanto concerne gli atti discriminatori. Questo Consiglio può inviare avvertimenti, imporre sanzioni e multe, ma nessuna persona considerata dal CNCD di fatto colpevole di atti discriminatori è stata sottomessa a pubblica umiliazione, esclusa da cariche o influenze che aveva fino a quel momento. Nessuna delle sanzioni di ordine istituzionale è stata accompagnata o seguita da una sanzione politica e ancora meno da una sanzione morale. L’ambiguità dell’attività del CNCD in questa materia, è la mancanza di sanzioni o il carattere ridicolo di queste ultime nel caso di incriminati che occupano alte cariche pubbliche, ciò non può che condurci a concludere che il problema delle discriminazioni della comunità Rom in sè, può essere considerato solamente a carattere giuridico. Senza alcun dubbio, l’intera giurisprudenza internazionale sulla protezione dei diritti umani e la lotta contro la discriminazione deve essere invocata ed è auspicabile che conduca le decisioni delle autorità rumene in tutte quelle situazioni in cui è dimostrabile il loro implicazione. Solo nella cultura rumena, la pena inflitta da un ente o un’istituzione come la CNCD non comporta alcuna esclusione o isolamento della persona penalizzata. Presidenti, primi ministri e leader di partito continuano i loro mandati senza che coloro che hanno il potere di ritirare loro la fiducia (parlamento, partiti politici e l’elettorato) abbiano la sensazione che una dichiarazione esplicitamente discriminatoria, indirizzata per esempio ai Rom, possa mettere fine o almeno seriamente compromettere la loro carriera pubblica. Al contrario questi politici sono rieletti senza che i loro avversari domandino la loro ineleggibilità almeno dal punto di vista morale.
Un dilemma constituzionale
Al di là delle procedure e delle istituzioni democratiche adottate dopo il 1989, la società rumena in quanto tale, non riesce concepirsi come una società di ugualianza. I ragionamenti disparitari sono vari e Il più forte è quello di ordine etnico. La società rumena è fatta di Rumeni nella quale gli altri membri di diversa origine etnica sono solo ospiti. Non essere rumeni corrisponde a una condanna e una posizione di inferiorità, a un trattamento ineguale. Certo è che le comunità etniche minoritarie non sono tutte trattate nella stessa maniera. Di fronte agli Ungheresi, i Rumeni hanno uno storico complesso culturale di inferiorità che si manifesta di solito in forma di diffidenza,. Dall’altra parte i Rumeni nutrono un senso di superiorità verso i Rom ed in generale una forma di disprezzo. Ogni rumeno si considera, per natura, migliore di un qualsiasi Rom. Ogni tentativo della comunità ungherese per differenziarsi con simboli identitari viene immediatamente denunciato come un insulto all’unità nazionale, soprattutto negli ultimi anni, si sottolinea la necessità di distinguersi tra due consonanze ethnonyme (studio dei nomi dei popoli) tra le corrispondenti comunità rom e rumene. La Costituzione rumena considera tre categorie di soggetti “politici”: il popolo rumeno (unitario, sovrano, che porta un’identità etniaca, culturale, linguistica e religiosa), il cittadino rumeno (cittadini che hanno diritto alle libertà ed gli obblighi previsti dalla legge ) e le persone appartenenti a minoranze nazionali (con identità specifiche a loro volta). I cittadini rumeni sono definiti dai diritti e dagli obblighi del popolo rumeno e le persone appartenenti a minoranze nazionali sono definite a partire dall’identità etnica, culturale, linguistica e religiosa. In breve, potremmo dire che, nello spirito della Costituzione del 1991, riveduto nel 2003, il prodotto giuridico chiamato “cittadini rumeni”, tra i quali non si ammette discriminazione è costituito da due soggetti principali : da un lato, il popolo rumeno, con una unità di identità etnica e in secondo luogo, le persone di minoranze etniche ed identitarie. La nazionalità rumena può essere interpretata, nei termini proposti dalla legge fondamentale, come come di natura etnica e non civica.
Una vittima storica
Quello che la Costituzione della Romania non comprende è la memoria politica della schiavitù degli Zingari che durò in Valacchia e Moldavia fino alla metà del XIX secolo. Più lenti nell”abolizione della schiavitù, sono stati solo gli Stati Cc). nfederati d’America, Cuba e Brasile. Dopo il 1989 la creazione della memoria collettiva fu importante. Il comunismo è stato condannato ad ha accordato un risarcimento alle vittime della repressione totalitaria. L’Olocausto è stato condannato ed sono stati concessi risarcimenti alle vittime ed ai loro discendenti. La schiavitù degli Zingari non fu condannata politicamente e l’idea di compensare i discendenti degli schiavi non sembra essere scritta in nessuna agenda politica. Confrontando il caso della Romania con il caso americano e brasiliano c’è anche una circostanza aggravante : nelle Americhe i proprietari di schiavi erano dei privati, in Valacchia e Moldavia la schiavitù domestica esisteva ma i più importanti proprietari di schiavi erano, nell’ordine, la Chiesa (ortodossa) e lo Stato (i regnanti). In altre parole lo Stato non solo ha sostenuto la schiavitù degli Zingari mettendo a disposizione di privati gli strumenti giuridici per la sua conservazione, ma ha beneficiato direttamente del lavoro degli schiavi in qualità di loro proprietario. Il governo degli Stati Uniti, al momento della abolizione dello schiavismo ha fornito agli ex schiavi qualche proprietà e finanziato le istituzioni per migliorare il loro status sociale (endowed university per esempio). Invece nel 1864, nel 1919-1921, nel 1945 e dopo il 1989 lo Stato rumeno non ha ritenuto come un dovere di dare agli ex schiavi qualche indennità o proprietà o creare istituzioni per aiutarli ad integrarsi nella società come cittadini normali. Questa operazione è stata fatta solo nel 2000 con un successo discutibile e solo sotto la pressione da parte dell’Unione Europea. Né lo stato rumeno, né la Chiesa ortodossa romena hanno condannato la schiavitù degli Zingari che è stata fonte di guadagno per un secolo e mezzo. Mancano statisti o prelati che esprimano pubblicamente una qualche nota di rammarico. Il silenzio da parte di tutti non è senza conseguenze. Ignorata e senza commenti da parte della storiografia romena, non discussa in pubblico, la schiavitù degli Zingari diventa come se non fosse mai esistita. Il sito della popolare enciclopedia “Wikipedia” registra informazioni sulle varie forme storiche e istituzionali di schiavitù (slavery) ma non menziona la schiavitù dei rom in Romania fino alla metà del XIX secolo. Una volta liberati i Rom sono stati infatti espulsi della società, privati della possibilità di lavorare, dell’accesso all’istruzione, di migliorare le loro condizioni. Paradossalmente la schiavitù era una forma di esclusione ovviamente alla base della piramide sociale. La liberazione ha avuto luogo come un processo di esclusione alla proprietà, alla cittadinanza e a qualsiasi tipo di attività legittima e sociale. L’irresponsabilità dello stato rumeno è la fonte dei fenomeni di reati che oggi politici e giornalisti rumeni tendono a imputare all’insieme della popolazione Rom. Il più recente abbandono dell’etica della responsabilità nei confronti della comunità Rom è avvenuto nel 2000, in parallelo con lo sviluppo e la sperimentazione di politiche piuttosto “leggere” di integrazione sociale e lotta contro le discriminazioni. Di fronte alle reazioni Italia o in Francia da parte di cittadini rumeni della etnia Rom, lo stato rumeno, attraverso la voce dei suoi più alti funzionari, ha detto che il problema dei rom è un problema europeo. Lo stato rumeno sta cercando con l’esportazione delle responsabilità, di sbarazzarsi ancora una volta delle sue responsabilità di ex “proprietario di uomini” e sfruttatore del lavoro di schiavi.
Una responsabilità rumena
Il 31 ottobre del 2007, un cittadino rumeno della categoria degli “insignificanti” e quindi non negli interessi dello stato, con un passaporto con il quale aveva ottenuto il privilegio di libera circolazione nell’Unione Europea, aveva commesso a Roma una lunga serie di reati e le autorità italiane decisero di trattarlo come un evento di importanza nazionale, un’opportunità per crearedi fatto una legislazione e trovare una soluzione di ordine pubblico e sicurezza dei cittadini, tema centrale di un governo liberal-democratico e obiettivo fondamentale di uno stato moderno. L’eco è arrivato anche a Bucarest. I termini della discussione sono stati fin qui piuttosto antropologici, etnici e patriottici. La tendenza délla stampa è stato quello di prendere in considerazione il caso Mailat come isolato e non rappresentativo dell’emigrato rumeno che normalmente è diligente e onesto, per mettere in evidenza solo il comportamento deviante di una minoranza della popolazione: i Rom, un pretesto dato agli estremisti politici italiani per criticare le politiche di immigrazione e denigrare la nazione rumena, non molto protetti da parte delle autorità rumene competenti. Non si ha fatto caso che il rumeno autore del reato e arrestato per un grave omicidio, prima di essere un immigrante, un disoccupato o altro, era un inconscio portatore di una visione dello stato, e l’idea che aveva portato con sé dalla Romania era quella dell’assenza di uno stato. Lo stato rumeno nel quale l’istruzione è obbligatoria fino all’età di 16 anni, è assente quando un adolescente (un Rom) lascia la scuola. Lo stato rumeno rifiuta di agire e prender parte nei conflitti quotidiani di ordine pubblico o violenze urbane, le vittime sono invitate a rivolgersi direttamente ai tribunali come querelanti. Lo stato rumeno non registra i crimini commessi in altri paesi dai rumeni espulsi. Lo stato rumeno non vede interi villaggi e quartieri illegali, gente che nasce, vive e muore senza documenti e senza mezzi di sussistenza. Lo stato rumeno vede i campi rom a Milano o Roma, ma non quelli delle periferie delle città rumene come Aiud e Cluj che sono là da decenni senza suscitare interesse, indignazione o compassione. Il destino dei rom è diventato evidentemente un problema europeo. L’Unione Europea ora ha il dovere di garantire, con mezzi concertati, “l’integrazione sociale” del popolo che si auto definisce in base al termine etnico-linguistico generico di “Rom” e descritto in varie parti del continente, con qualificazioni e connotazioni discriminatorie, d’ordine civile, sociale e razziale. I Rom che ora viaggiano in Europa con passaporto Rumeno sono sedentarizzati da secoli. La maggior parte di loro sono stati, fino a un secolo e mezzo fa, schiavi di monasteri o dello stato, lavoratori agricoli, in particolare sulle proprietà della chiesa e dei nobili. Certo, dopo il 1990, lo stato post-comunista, messo in guardia dalla UE che la soluzione in termine di diritti e libertà che la questione dei rom sarebbe stata una delle principali condizioni politiche per l’integrazione, e si é dotata di organismi incaricati di migliorare il loro status sociale e le loro condizioni di vita. In realtà, il problema dei rom non esiste e neanche quello dei rumeni, tutto potrebbe essere risolto con la creazione di nuovi arcivescovati e di nuovi consolati. C’è solo un problema di proporzioni monumentali, quello della Romania stessa, incapace di riconoscere la propria responsabilità storica della schiavitù dei Rom e incapace di sviluppare politiche sostenibili per l’integrazione sociale della loro popolazione.