i clochard in Vaticano … cioè a casa loro: parola di papa Francesco

 150 clochard col Papa nella Cappella Sistina

papa Francesco li ha voluti in casa sua dicendo loro che erano a casa loro … non hanno retto alla meraviglia e alla commozione, anche se non sono state documentate con foto perché il papa non ha voluto nessuna pubblicità

 di Mimmo Muolo

Erano già stati avvolti dal distillato di bellezza ammirata a quel momento. Ma quando nella Cappella Sistina è entrato il Papa, l’emozione è stata ancora più viva e profonda. Francesco e i suoi amici senza fissa dimora. Stretti nell’abbraccio di quella che un giorno san Giovanni Paolo II definì la «policromia michelangiolesca». Uno dei luoghi più sacri della cristianità, l’ambiente che da secoli vede l’alba di ogni pontificato, compreso quello dell’uomo vestito di bianco che in quel momento era davanti a loro, si è aperto ieri pomeriggio per lasciar entrare 150 senzatetto. Fotografie e filmati ufficiali non ce ne sono. Per espressa volontà del Papa. Che nel dare il suo beneplacito all’iniziativa dell’Elemosiniere pontificio, l’arcivescovo Konrad Krajewski, ha voluto che a parlare fossero solo la bellezza dei luoghi e la verità di ognuna di queste vite. Senza nessun’altra speculazione possibile.

Non è comunque difficile immaginarsela, la scena dell’incontro. Anche solo attraverso le parole del sobrio comunicato del vicedirettore della Sala Stampa vaticana, padre Ciro Benedettini. Un incontro semplice, gioioso, familiare, come è confermato dal fatto che Francesco fosse «accompagnato – si legge nella nota – solo da un maggiordomo». E poi quello stringersi di mani, come tra padre e figli, l’incontro degli sguardi, i sorrisi, qualche lacrima che sicuramente avrà solcato i canyon scolpiti fra le rughe di quei 150 volti.

Quando il Papa ha preso la parola l’idea di famiglia si è fatta palpabile. «Benvenuti – ha detto Francesco –. Questa è la casa di tutti, è casa vostra. Le porte sono sempre aperte per tutti». Il Pontefice ha quindi ringraziato monsignor Krajewski per aver organizzato la visita, che ha definito «una piccola carezza» per gli ospiti. E poi ha aggiunto: «Pregate per me. Ho bisogno della preghiera di persone come voi. Il Signore vi custodisca, vi aiuti nel cammino della vita e vi faccia sentire il suo amore tenero di Padre». Il Papa ha infine salutato i presenti uno ad uno, intrattenendosi con gli ospiti per oltre 20 minuti.

I senzatetto erano entrati in Vaticano dal cancello Petriano, il varco presidiato dalle guardie svizzere che immette sullo slargo antistante l’Aula “Paolo VI”. Qui erano stati divisi in tre gruppi, ciascuno affidato a una guida, ed avevano ricevuto gli auricolari per ascoltare le spiegazioni. Infine erano giunti ai Musei Vaticani costeggiando l’abside della Basilica. Per prima cosa hanno visitato la sezione, recentemente riallestita, del padiglione delle Carrozze, dopodiché attraverso la Scala Simonetti, sono saliti alle gallerie superiori dei “Candelabri” e delle “Carte geografiche”, fino alla Sistina.

Dopo l’incontro con il Pontefice e la visita guidata alla Cappella, gli ospiti sono andati al Posto di ristoro all’interno dei Musei. Erano circa le sei del pomeriggio e quindi, consumata la cena, sono usciti dallo stesso ingresso di entrata.
La visita di ieri si aggiunge ai numerosi gesti di attenzione del Papa verso i clochard. Bagni e docce, barbiere ogni lunedì e l’invito alla Messa di Santa Marta e alla successiva colazione di tre di essi il giorno del suo primo 77° compleanno.

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il commento al vangelo della domenica

 

 

DOMENICA DELLE PALME

commento al vangelo della ‘benedizione delle palme’ (domenica 29 marzo 2015) di P. Alberto Maggi:

p. Maggi

Mc 11,1-11

Quando furono vicini a Gerusalemme, verso Bètfage e Betània, presso il monte degli Ulivi, Gesù mandò due dei suoi discepoli e disse loro: «Andate nel villaggio di fronte a voi e subito, entrando in esso, troverete un puledro legato, sul quale nessuno è ancora salito. Slegatelo e portatelo qui. E se qualcuno vi dirà: “Perché fate questo?”, rispondete: “Il Signore ne ha bisogno, ma lo rimanderà qui subito”». Andarono e trovarono un puledro legato vicino a una porta, fuori sulla strada, e lo slegarono. Alcuni dei presenti dissero loro: «Perché slegate questo puledro?». Ed essi risposero loro come aveva detto Gesù.
E li lasciarono fare. Portarono il puledro da Gesù, vi gettarono sopra i loro mantelli ed egli vi salì sopra. Molti stendevano i propri mantelli sulla strada, altri invece delle fronde, tagliate nei campi. Quelli che precedevano e quelli che seguivano, gridavano: «Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore! Benedetto il Regno che viene, del nostro padre Davide! Osanna nel più alto dei cieli!».

La Domenica delle Palme fa sorgere spontaneo l’interrogativo: come è stato possibile che la folla che ha accolto osannante Gesù al suo ingresso a Gerusalemme  sia la stessa che poi griderà “Crocifiggi”?
Il perché ce lo dice Marco nei primi undici versetti del capitolo 11 del suo vangelo, che riguardano l’ingresso di Gesù a Gerusalemme. Gesù e i suoi discepoli sono vicini a Gerusalemme verso il monte degli Ulivi, e Gesù mandò due dei suoi discepoli nel villaggio di fronte. Il termine “villaggio” è un termine tecnico che nei vangeli indica sempre incomprensione o opposizione alla novità portata da Gesù.
Perché il villaggio è il luogo della tradizione. E’ il luogo attaccato ai valori tradizionali del passato. E quindi quando appare nei vangeli il termine “villaggio” è una chiave di lettura che l’evangelista ci da per farci comprendere la sua narrazione e indica sempre incomprensione o opposizione a quello che Gesù farà, come vedremo in questo brano.
“«Entrando in esso troverete un …»”-  non è puledro, ma asinello, ed è importante l’esatta traduzione di questo termine – “«… legato»”. Il riferimento dell’evangelista è al profeta Zaccaria, al capitolo 9, versetto 9, una profezia nella quale il profeta indicava “ecco a te viene il tuo Re”, a Gerusalemme, “egli è giusto e vittorioso, umile, cavalca un asino, un puledro figlio d’asina”. E’ l’immagine di un messia diverso da quello atteso dalla tradizione.  
Dobbiamo tenere presente che la cavalcatura regale era la mula. L’asino era la cavalcatura dei servi. Quindi un messia, un re, completamente diverso da quello atteso. Ebbene questo messia, dice Zaccaria, “è quello che farà sparire il carro da guerra e annuncerà la pace alle nazioni”. Quindi non un messia di violenza, un messia di potere, un messia di forza, ma un messia di pace. Questa profezia era stata come ignorata e censurata. Nella selezione dei testi rabbini e scribi avevano scelto soltanto quei brani che indicavano un potere, una forza, un dominio, una supremazia di Israele sopra tutte le altre nazioni.
Ebbene Gesù dice “«Slegatelo e portatelo qui»”, cioè slegate questa profezia. I discepoli devono constatare che la figura di messia proposta da Gesù corrisponde ai dati della scrittura. “«E se qualcuno vi dirà: ‘Perché fate questo?’, rispondete …»”, non è “il Signore ne ha bisogno, ma “«…il suo padrone ne ha bisogno»”. L’asinello appartiene a Gesù perché sarà lui che realizzerà questa profezia. Lo slegano e lo portano a Gesù. Portarono l’asinello a Gesù, “vi gettarono sopra i loro mantelli”, quindi i discepoli danno adesione a Gesù come re e messia di pace, di servizio.
“Ed egli vi …”, non è salì sopra, ma vi sedette sopra. Gesù vi si installa. Come poi lui sarà presentato seduto alla destra di Dio, qui seduto sopra questo asinello, significa che questa profezia di un messia di pace, di un messia di servizio, gli è propria. “Molti stendevano i propri mantelli sulla strada”. Altri invece fanno il gesto che era tipico di sottomissione al re (stendere le fronde dei campi). Quindi c’è un’incomprensione sul gesto di Gesù.
E infatti, scrive l’evangelista, che Gesù si trova in mezzo a due fuochi. Lui che era stato presentato al capitolo 10, versetto 32, all’inizio di questo cammino verso Gerusalemme, come colui che precedeva i suoi discepoli, adesso non è più Gesù ad indicare il cammino. L’evangelista scrive “Quelli che precedevano”, sono altri che indicano il cammino, che vogliono che Gesù realizzi i loro desideri. “Quelli che lo seguivano, gridavano”.
Il verbo gridare è stato adoperato dall’evangelista sia per gli spiriti impuri che per il cieco di Gerico che hanno quest’immagine del messia della tradizione, del messia figlio di Davide. Infatti cos’è che gridano? “«Osanna!»”, espressione ebraica che significa “dai, salvaci” e il salmo 118 che veniva cantato per celebrare i generali vittoriosi, “osanna, salvaci”.
“«Benedetto il regno che viene»”, ecco l’equivoco. Questo regno non è in alcun modo il regno di Dio proposto da Gesù, ma l’evangelista scrive “«del nostro padre Davide»”.  Mentre Gesù ha parlato del vostro padre del cielo, loro attendono il regno del “nostro padre Davide”. Cosa significa il regno di Davide? Il regno di un dominatore che cambia tutto con la forza e che schiaccia ogni resistenza. Quindi un regno che si impone con la forza, con la violenza.
Gesù invece è venuto ad annunziare il regno di Dio. Un regno che, per la sua realizzazione, esige il cambiamento interiore e profondo dell’intimo delle persone. Un cambio di valori: non vivere più per sé, ma per gli altri. Quindi il regno di Dio esige la conversione, l’altro esige la forza. Ecco perché poi continuano chiedendo: “«Osanna»”, cioè salvaci, “«nel più alto dei cieli!»” Cioè chiedono l’appoggio di Dio per realizzare questo progetto.
Appena la folla si accorgerà che Gesù non è il messia di forza, il messia di potere, che lui non è venuto a restaurare il defunto regno del re Davide, ma ad inaugurare il regno di Dio, questo messia sarà inutile.
Ecco perché la stessa folla che lo ha acclamato con “Osanna”, sarà quella che poi griderà “Crocifiggi!”

 

 

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sparare al rom … per spaventarli, come un tiro al piccione!

 

 

Bergamo, l’ex parà arrestato per l’omicidio del rom: “Volevo spaventarlo perché sporcano”

Roberto Costelli, 39enne disoccupato di Calcio, ha ammesso le proprie responsabilità nell’omicidio di Roberto Pantic: “Ma non volevo ammazzarlo”. Sul suo profilo Facebook tante dichiarazioni omofobe

di MARA MOLOGNI

Bergamo, l'ex parà arrestato per l'omicidio del rom: "Volevo spaventarlo perché sporcano"

“Sono stato io a sparare, ma non volevo ammazzarli. Sporcavano in giro, volevo solo spaventarli e farli andare via”. Mentre il cerchio delle indagini si stringeva intorno a lui, Roberto Costelli, 39enne disoccupato di Calcio (Bergamo), ha ammesso le proprie responsabilità nell’omicidio di Roberto Pantic, il rom 43enne ucciso nella notte tra il 21 e il 22 febbraio da un colpo di pistola alla nuca mentre, assieme alla moglie e ai suoi dieci figli, dormiva in un camper parcheggiato in un prato della Bassa bergamasca. Nessun precedente penale di rilievo per la famiglia Pantic, che si manteneva con l’elemosina, nessun traffico strano che avrebbe potuto far pensare a regolamenti di conti o a vendette. È per questi motivi che gli inquirenti hanno ipotizzato subito un possibile gesto dimostrativo, forse di stampo razzista. Costelli, che due anni fa si è licenziato dal suo impiego di carpentiere per assistere la madre malata e che ha un passato come parà, nel corso degli interrogatori nega fermamente il movente razziale, anche se sul suo profilo Facebook il suo pensiero nei confronti dei rom e degli stranieri in genere è esplicito: invettive contro “zingari, rom e tante razze di merda del genere”, inviti a fare “una bella fossa comune per sotterrare vivi ste cazz di extraterrestri” e la solidarietà a Antonio Monella, imprenditore bergamasco condannato per aver ucciso un ragazzo di 19 anni che stava tentando di rubargli l’automobile (“Cosa doveva fare, farsi rubare la macchina da quattro albanesi del cazzo?”).

Alla base del gesto, secondo le motivazioni fornite da Costelli, ci sarebbe il fastidio per quei nomadi che sporcavano un luogo a lui molto caro: lo spiazzo vicino al fiume Oglio su cui erano parcheggiati i due camper dei Pantic, che Costelli frequentava spesso insieme con gli amici. “Sono un ecologista convinto, non un razzista – ha detto agli inquirenti – Quelli sporcavano un luogo che io cercavo di tenere pulito. Volevo solo spaventarli, devo aver sbagliato mira. Non credevo di aver ucciso nessuno, l’ho scoperto leggendo i giornali”.

Le ammissioni del 39enne bergamasco arrivano dopo una giornata di perquisizioni nella sua abitazione, dove i carabinieri hanno trovato 17 piante di marijuana, 13 chili di sostanza stupefacente e una pistola regolarmente denunciata. L’uomo non ha però voluto subito consegnare la seconda pistola per cui possedeva un regolare permesso, dichiarando che gli era stata rubata tempo prima. Quando i militari gli hanno fatto presente che nessuna denuncia di furto era stata presentata, Costelli ha ammesso di aver nascosto l’arma nel caminetto di casa sua. La pistola, di calibro compatibile con i sette colpi esplosi contro i due camper, è stata ritrovata nel luogo indicato e consegnata ai Ris di Parma per le analisi balistiche e la conferma definitiva. 
   Resta da capire se la sparatoria sia stata premeditata o meno. Costelli quella sera era stato a una festa in maschera (era il periodo di Carnevale), in un locale poco distante dalla scena del crimine, portandosi dietro la pistola con cui poi ha sparato. Ma non è chiaro se avesse già intenzione spaventare la famiglia rom accampata. All’uomo, già agli arresti per la detenzione e la coltivazione di droga, è stata notificata anche la misura cautelare per omicidio

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