il vangelo della domenica letto da tre angolature diverse

 



Gv 1,6-8.19-28

Venne un uomo mandato da Dio: il suo nome era Giovanni. Egli venne come testimone per dare testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui. Non era lui la luce, ma doveva dare testimonianza alla luce.
Questa è la testimonianza di Giovanni, quando i Giudei gli inviarono da Gerusalemme sacerdoti e levìti a interrogarlo: «Tu, chi sei?». Egli confessò e non negò. Confessò: «Io non sono il Cristo». Allora gli chiesero: «Chi sei, dunque? Sei tu Elia?». «Non lo sono», disse. «Sei tu il profeta?». «No», rispose. Gli dissero allora: «Chi sei? Perché possiamo dare una risposta a coloro che ci hanno mandato. Che cosa dici di te stesso?». Rispose: «Io sono voce di uno che grida nel deserto: Rendete diritta la via del Signore, come disse il profeta Isaìa».
Quelli che erano stati inviati venivano dai farisei. Essi lo interrogarono e gli dissero: «Perché dunque tu battezzi, se non sei il Cristo, né Elia, né il profeta?». Giovanni rispose loro: «Io battezzo nell’acqua. In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete, colui che viene dopo di me: a lui io non sono degno di slegare il laccio del sandalo».  Questo avvenne in Betània, al di là del Giordano, dove Giovanni stava battezzando.

IN MEZZO A VOI STA UNO CHE VOI NON CONOSCETE 

commento al Vangelo della terza domenica di avvento (14 dicembre) di p. Alberto Maggi 

maggi


“Venne un uomo mandato da Dio e il suo nome era Giovanni”. Con questa bella immagine tratta dal prologo del Vangelo di Giovanni, si apre il vangelo di questa domenica. Essendo il progetto di Dio rivolto all’uomo il Signore sceglie un uomo per manifestarlo. Non un esponente della casta sacerdotale, né dell’élite religiosa.
Luoghi e persone religiose sono impermeabili all’azione dello Spirito. Il suo nome era Giovanni. Giovanni, in ebraico Yohan, significa Jahvè, il Signore è misericordia. Egli venne come testimone per dare testimonianza alla luce, perché tutti … il messaggio di Dio è universale, abbraccia tutta l’umanità … credessero per mezzo di lui. Non era lui la luce, ma doveva dare testimonianza alla luce.  
Il compito di Giovanni è risvegliare negli uomini il desiderio di pienezza di vita e renderli coscienti dell’esistenza della luce, nonostante le tenebre.
Questa è la testimonianza di Giovanni, quando i Giudei … per la prima volta appare in questo vangelo il termine Giudei che sarà ripetuto ben 71 volte, con il quale l’evangelista non indica il popolo ebraico, ma i capi, le massime autorità religiose. Gli inviarono … E qui l’evangelista gioca con questo verbo. Dio invia Giovanni per risvegliare il desiderio di pienezza di luce, le autorità religiose immediatamente inviano la polizia per spegnere questa luce.
Da Gerusalemme, sede dell’istituzione religiosa, sacerdoti e levìti. I levìti nel tempio svolgevano anche funzioni di polizia. Quindi ci sono i sacerdoti per interrogare Giovanni e i levìti pronti ad arrestarlo. A interrogarlo, è lo stesso termine che poi comparirà nell’interrogatorio che condurrà a morte Gesù.
E in maniera brutale gli chiedono: “Tu chi sei?” sono le tenebre che detestano questa luce che Giovanni sta risvegliando. Egli confessò e non negò. Confessò: “Io non sono il Cristo”. E’ quello che temono. Si sapeva che il Cristo, il messia sarebbe venuto a deporre l’intera gerarchia religiosa per indegnità, per corruzione. Ed è quello che temono.
Se anche nelle preghiere desideravano, auspicavano l’avvento del messia, in realtà lo temevano perché sapevano che con il messia per loro sarebbe stata la fine; il messia avrebbe fatto piazza pulita del sacerdozio corrotto e compromesso. Allora gli chiesero: “Chi sei, dunque? Sei tu Elia?” Si credeva che il profeta Elia sarebbe venuto prima del messia. “Non lo sono”.
Le risposte di Giovanni sono via via sempre più brevi e più secche. “Sei tu il profeta?” quello promesso da Mosè, “No”, rispose. Gli dissero allora: “Chi sei?” E’ interessante, Dio invia il suo messaggero, ma i sacerdoti e i levìti che dovevano per primi riconoscerlo, non lo conoscono. Gli chiedono “chi sei?”
“Perché possiamo dare una risposta a coloro”, cioè i capi “che ci hanno mandato. Che cosa dici di te stesso?” Tutto questo perché per loro non può essere innocente uno che inizia un’attività senza avere il mandato legittimato da parte delle autorità competenti. Rispose: “Io, voce di uno che grida dal deserto”, e qui l’evangelista cita il profeta Isaia, ma omette il verbo “preparare” inserendo solo “raddrizzare”.
“Rendete dritta la via del Signore”, cioè togliete gli ostacoli. Sono proprio le autorità religiose il massimo ostacolo alla venuta di Gesù, alla sua azione e al suo insegnamento. Quelli che erano stati inviati venivano dai farisei. Meglio tradurre: c’erano gli inviati dai farisei. Per la prima volta appaiono in questo vangelo i farisei e l’ultima volta che compariranno sarà al momento dell’arresto di Gesù.
Queste persone tanto pie, tanto devote, tanto osservanti della legge, sono refrattarie all’azione divina, non riconoscono l’inviato da Dio né in Giovanni, né il figlio di Dio in Gesù, e saranno acerrimi avversari del progetto di Dio sull’umanità.
Essi lo interrogarono e gli dissero: “Perché dunque battezzi”, se Giovanni battezza c’è qualcuno che lo ha riconosciuto come inviato da Dio, ma non sono le autorità religiose, bensì il popolo. “Se non sei il Cristo, né Elia, né il profeta?” Ed ecco la risposta, la denuncia di Giovanni. Giovanni rispose loro: “Io battezzo nell’acqua. In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete”, non lo conoscono e mai conosceranno il  Cristo. Chi vive un rapporto con Dio basato sull’osservanza della legge non potrà mai percepire la presenza di un Dio creatore che si manifesta nella vita. O l’osservanza della legge o l’accoglienza di quello che la vita presenta.
“Colui che viene dopo di me: a lui in non sono degno di slegare il laccio del sandalo.” Questo avvenne in Betània, al di là del Giordano, e il passaggio del fiume da parte di Giosuè per entrare nella terra promessa, ma ora la terra promessa si è trasformata in una terra di schiavitù e di morte dalla quale il popolo dovrà uscire, e questa sarà la missione di Gesù.

 

VOCE DI UNO …

 

il commento di p. Castillo:

Castillo


 1. In questo racconto è chiaro che l’insegnamento e la testimonianza di Giovanni non coincidevano con quello che insegnavano e desideravano gli uomini  della religione. Sappiamo che Giovanni Battista era figlio di un sacerdote, Zaccaria (Lc 1, 5-25). E sappiamo anche che sua madre Elisabetta era della  famiglia di Aronne (Lc 1,5b), la più importante della famiglie sacerdotali di Israele. La cosa più logica è che Giovanni fosse andato al Tempio per continuare  la vocazione di quella famiglia. Invece no. Giovanni Battista è andato nel deserto e lì è vissuto come un asceta, forse tra i monaci o con gli esseni.  Di fatto, in questo modo il Precursore di Gesù ha annunciato una salvezza che non veniva dal Tempio, né dal clero, né dal sacro, né dalla religione consolidata.
Per questo Giovanni destò negli uomini della religione un allarme importante. Ed inviarono sacerdoti, leviti e farisei ad interrogare Giovanni. Volevano  sapere chi fosse quello strano predicatore che annunciava una nuova luce, al di là del Giordano, fuori della città santa, del territorio della religione  ufficiale, che non tollera che si annunci una luce al di fuori di lei.
2. Giovanni non accetta alcun titolo. Si vedeva come un “nessuno” (E. Galeano). Giovanni pensava che era solo una voce che grida nel deserto. Non si tratta  di umiltà. La chiave sta nel fatto che solo nello spogliarsi di ogni pretesa uno può essere testimone autorizzato della Luce, che è Gesù.
3. Giovanni è stato una voce, ascoltata ed accolta da alcuni, “i pubblicani e le prostitute” (Mt 21,32) e rifiutata da altri, i “sacerdoti e gli anziani”  (Mt 21,32. Cf. Mt 21,23). I “nessuno” ascoltano ed accolgono la voce del Signore. I “titolati” la rifiutano. Il Vangelo sconvolge le nostre sicurezze ed  il nostro “ordine”. Gesù (che era annunciato da Giovanni) era il chaos, di fronte al cosmos. Il nostro falso “ordine” trova una soluzione mediante il “disordine”  che è il Vangelo.

MA TU CHI SEI?

il commento di p. Agostino Rota Martir a partire dalla condivisione della sua vita coi rom di Coltano (Pisa)

agostino

Se sono dei bambini a chiedertelo, la cosa e’ del tutto legittima ed innocua: curiosità, interesse..ma se sono i “grandi” (sacerdoti e leviti) a interrogarsi sulla tua identità, la cosa è più preoccupante e presenta dei possibili rischi.

Noi grandi in genere, vogliamo identità chiare e sicure, ben definite e consolidate, possibilmente confermate e verificate da chi sta in alto. Non ci piacciono tanto quelle “fluide”, mischiate, non del tutto controllabili dai centri preposti. Figurarsi poi se qualcuno dal deserto, richiama così tanta gente, addirittura dalla città Santa, Gerusalemme. Sospetto misto a invidia?

“Tu, chi sei?” Glielo ripetono una seconda volta. E’ comprensibile d’altronde il deserto e’ uno dei luoghi sospetti e chi ci vive segue la stessa sorte. Come la Galilea delle genti, toccherà anche a Gesù attraversare lo stesso sospetto e diffidenza. È il destino delle periferie, di ieri e di oggi, quello di contagiare senza appello chi ne fa parte fisicamente. La diffidenza accompagnerà ovunque e chiunque viene da una delle periferie. Ne sanno qualcosa i Rom che abitano nei campi, ma anche chi ci vive dentro (come il sottoscritto) o chi li frequenta: “poco credibili” agli occhi della maggioranza e dei palazzi.

Troppo di parte, compromessi o esagerati.

“Che cosa dici di te stesso?”

È un interrogatorio vero e proprio!

Difficile credere che chi vive in periferia, possa dire cose utili e vere anche per chi sa di essere a posto, cittadino esemplare e buon credente.

In genere parlano altri, chi ha i requisiti in ordine, chi ha l’incarico ufficiale di assistere e decidere sulla vita degli altri, possibilmente accettando in silenzio le condizioni imposte da chi gestisce la vita altrui: identità sospette, da decifrare, catalogare e rimettere nella normalità..rieducare.

 

“Venne un uomo mandato da Dio: il suo nome era Giovanni. Egli venne come testimone per dare testimonianza alla luce..”

Testimone, e’ un compito che Giovanni certo non se lo e’ dato da sé. È la vita che modella il testimone, in un certo senso lo incorona tale..perché lui e non un dottore della legge, teologicamente ben più preparato del Battista? Perché proprio un deserto e non il Tempio, orgoglio di Israele?

Senza periferia il mondo, la Chiesa stessa perderebbe la possibilità di veder fiorire i suoi testimoni-profeti. In un certo senso i “deserti” sono il grembo fecondo, nel quale Dio non si stanca mai di seminare la sua Luce per guidare l”intera umanità.

Al testimone, Dio chiede la fedeltà alla vita che ha tra le mani, la costanza della ricerca e di non spegnere mai la luce della fede, anche nelle prove che dovrà attraversare..senz’altro gli perdonerà le sue imperfezioni teologiche e pastorali: “Perché dunque tu battezzi, se non sei il Cristo, né Elia, né il profeta?”.

 

Ecco, siamo un po’ tutti chiamati a lasciarci “battezzare” dalle nostre periferie e dai nostri deserti.

 

Campo Rom di Coltano (PI)

11 dic. 2014

 

 


 

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delusione!

 

Che delusione Papa Francesco che si piega ai diktat di Pechino


di Alberto Maggi

Papa Francesco è amato da tutti, o quasi. Non ci sono dubbi sulla sua carica umana e spirituale e sulla sua capacità di ridare alla Chiesa nuovo lustro, anche e soprattutto con le aperture nei confronti dei divorziati. Ma la scelta del Santa Padre di non incontrare il Dalai Lama, in visita a Roma, lascia l’amaro in bocca. Che non lo abbia incontrato Obama, sempre meno meritevole del Nobel per la pace, si può anche capire (la Cina ha in mano il debito pubblico degli Stati Uniti), ma che anche il Pontefice si adegui alla realpolitik e, di fatto, si inginocchi al volere del regime di Pechino lascia quantomeno sgomenti. Da questo Papa, ecumenico e rivoluzionario, ci saremmo aspettati più coraggio. E più indipendenza. E forse anche più autorevolezza. E per favore il Vaticano non ci racconti la storiella che non è stato possibile organizzare un faccia a faccia anche di soli 10 minuti. Un incontro e una stretta di mano sarebbero stati gesti importantissimi per chi difende i diritti umani, in Tibet e non solo. E invece niente. Che delusione caro Francesco…

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la ’21 luglio’ e la politica di Marino per i rom

sui rom il sindaco Marino annuncia la svolta richiesta dall’Associazione 21 luglio

  Marino2-1Roma, 9 dicembre 2014 

«Sono al lavoro con il consigliere Riccardo Magi su un piano per superare definitivamente e in maniera strutturale il sistema dei campi rom nella Capitale che, oltre alla violazione sistematica dei diritti, evidenziata anche dalla Commissione Europea, comporta un esborso inaccettabile di risorse pubbliche».

E’ quanto riportato in un messaggio a firma Marino recapitato ai promotori del Concerto “Roma suona Rom”, organizzato nella serata di ieri presso il Teatro Argentina di Roma.

Il sindaco di Roma Ignazio Marino, nell’esprimere «sincero apprezzamento per l’operato dell’Associazione 21 luglio», fa cenno all’inchiesta della Procura di Roma e alla sconvolgente realtà emersa. «Una conferma che oggi – scrive il primo cittadino – ci spinge ad andare avanti con forza e convinzione ancora maggiori sulla strada del cambiamento. E il cambiamento deve riguardare anche le politiche dell’accoglienza e la gestione dei campi rom dove, come abbiamo visto, il malaffare si è annidato traendo maggiori guadagni».

La lettera del sindaco rappresenta una risposta alla presa di posizione dell’Associazione 21 luglio il cui presidente nei giorni scorsi si era unito allo sciopero della fame promosso dal consigliere comunale Riccardo Magi. Obiettivo della protesta era quello di chiedere all’Amministrazione Comunale di dare dimostrazione concreta di voler relegare al passato la “stagione dei campi” e avviare una nuova politica di reale inclusione delle comunità rom sinte della Capitale. Il tutto, era stato chiesto, a partire dal Best House Rom, il centro di raccolta di via Visso che incarna tutte le contraddizioni di un sistema organizzato volto a concentrare e segregare i rom in spazi di sofferenza e violazione dei diritti umani.

«Al più presto – risponde il sindaco – intendo visitare il centro per rendermi conto personalmente, come sindaco e come medico, della situazione. A voi voglio ribadire il mio impegno a trovare una soluzione alternativa per le donne, gli uomini e i bambini che oggi vivono in condizioni non dignitose». «Ringrazio sinceramente per aver sollevato il caso emblematico della struttura Best House Rom – termina la missiva – e chiedo di sospendere lo sciopero della fame».

L’Associazione 21 luglio accoglie positivamente le parole del sindaco Ignazio Marino e si dichiara pronta a sostenere ogni iniziativa dell’Amministrazione Comunale volta ad un superamento definitivo dei “campi nomadi” della Capitale. «Il punto di partenza – sostiene l’Associazione – è quello indicato da noi e ripreso dal sindaco: il Best House Rom. Davanti a questa struttura, in via Visso, 14 domani, 10 dicembre, Giornata Internazionale per i Diritti Umani, verrà organizzata alle ore 14,00 una conferenza stampa dove verrà illustrata anche una bozza del Piano locale per il superamento degli insediamenti formali della Capitale, presentata nei giorni scorsi al sindaco Ignazio Marino».

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la ‘ziganopoli’ di Santino Spinelli e la ‘mafia capitale’

 

 Spinelli: da anni denuncio la ‘Ziganopoli’, ora tutti si meravigliano

 

La locandina dello spettacolo “Roma suona Rom”

 “Io mi meraviglio di chi si meraviglia. Sono circa trent’anni che denuncio queste cose nei miei articoli e nei miei libri, raccontando tutto il traffico illegale che è dietro ai campi nomadi e quella che io, in una poesia del 1986, ho definito la ‘Ziganopoli’ “. Santino Spinelli, musicista e intellettuale Rom, interviene sull’intreccio fra politica e criminalità, emerso dall’indagine su Mafia Capitale, che dimostra la speculazione in atto da tempo sulla gestione dei campi nomadi di Roma. Spinelli, con il suo ‘Alexian Group’ e l’Orchestra Europea per la Pace, sarà in concerto lunedì 8 dicembre al Teatro Argentina, per l’iniziativa ‘Roma suona Rom’, voluta dalla Campagna ‘Il mio nome è Rom’ e dall’Associazione 21 luglio.

“E’ un sistema disumano e mafioso – spiega – per cui le associazioni di volontariato e i politici si arricchiscono sulle spalle della povera gente”. “Per uscire da questa situazione – aggiunge Spinelli – bisognerebbe superare i campi nomadi e le istituzioni dovrebbero imparare a dialogare direttamente con le associazioni Rom e le federazioni Rom che sono sul territorio e sono in grado di autorappresentarsi e rappresentare tutta la popolazione Romanì. Invece, le istituzioni preferiscono avere a che fare con associazioni e cooperative di pseudo-volontariato, nonostante la loro politica si sia dimostrata fallimentare negli ultimi 40 anni. Ciò dimostra che c’è qualcosa che non torna a livello istituzionale”. 

Lo spettacolo-concerto ‘Roma suona Rom’ sarà seguito giovedì 11 dicembre, nella Sala Zuccari del Senato, dal convegno ‘Il popolo Rom dall’emarginazione all’integrazione possibile’. “Sarà una riflessione per fare il punto sulle politiche europee e italiane dedicate alle popolazioni Rom”, spiega Natascia Palmieri, coordinatrice della Campagna ‘Il mio nome è Rom’. “In Italia la questione Rom è stata affrontata negli ultimi decenni esclusivamente dal punto di vista emergenziale. I Rom sono stati considerati un’emergenza da gestire piuttosto che una popolazione da integrare”. “Da qui, già negli anni Ottanta, attraverso leggi regionali, – spiega Natascia Palmieri – è nata l’ideologia dei Campi Nomadi, che parte dal presupposto sbagliato che tutti i Rom siano appunto nomadi”.

 

“In Italia, per esempio, ci sono circa 150mila persone Rom e solo il 2% pratica il nomadismo. Persone che, per esempio, provenivano dalla Romania, Paese dove da secoli i Rom sono stanziali e cioè vivono nelle case, sono state obbligate a vivere nei campi. Si è creata perciò una situazione di vero e proprio ghetto, emarginazione, che ha aumentato l’esclusione sociale, la devianza e la criminalità e soprattutto la non accettazione dei Rom da parte della cittadinanza”. 

 
(Fabio Colagrande)

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la festa dell’Immacolata Concezione

 ECCO, CONCEPIRAI UN FIGLIO E LO DARAI ALLA LUCE

commento al Vangelo di p. José María CASTILLO

Castillo
Lc 1,26-38
[In quel tempo,] l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata  Nàzaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La   vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: «Rallègrati, piena di grazia: il Signore è con   te».
A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo.
L’angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai  un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e verrà chiamato Figlio   dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa   di Giacobbe e il suo regno non avrà fine».  Allora Maria disse all’angelo: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?». Le rispose   l’angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua   ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio. Ed ecco, Elisabetta, tua   parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch’essa un figlio e questo è il sesto mese per lei, che   era detta sterile: nulla è impossibile a Dio». Allora Maria disse: «Ecco la serva del Signore:  vvenga per me secondo la tua parola». E l’angelo si allontanò da lei.

1. Nella festa dell’Immacolata, la Chiesa celebra il fatto che Maria, la madre di Gesù, non sia stata macchiata dal peccato originale. Questo vuole dire  che Maria è stata una donna particolarmente gradita a Dio. Di più non possiamo sapere. Perché il racconto di Adamo ed Eva non è storico, ma mitico, quindi non è esistito il paradiso originale, allora non è stato commesso alcun peccato e quindi questo peccato non si trasmette da padre a figli, come ha detto  Agostino. Inoltre, nessun peccato è una macchia. Quest’idea corrisponde a criteri di magia, non di religione.
2. Questa festa risponde all’ideale di perfezione coltivato dalle teologie dell’antichità e del Medioevo. Poi è stata oggetto di ampie discussioni durate  vari secoli. Fino a che nell’anno 1854 è stato definito dal papa Pio IX che Maria “è stata preservata immune da ogni macchia di colpa originale” (DH 2803).
In definitiva qui si esprimeva l’ideale del puritanesimo greco assunto dalla Chiesa antica, cioè l’ideale secondo il quale “la purezza, più che la giustizia, è lo strumento cardine della salvezza”
(E. R. Dodds).
3. Il vangelo ci insegna che la madre di Gesù è stata una donna semplice, di un popolo povero e perduto. L’idea che Maria aveva di se stessa era che era  una schiava (doÚlh). Schiava “di Dio”. Ma la condizione di schiava in quei tempi era la condizione dei semplici e dei sottomessi. Questo è più importante  della “purezza senza macchia”, per quanto importante sia. La devozione a Maria ci deve portare ad essere come “schiavi”, con una condotta umile e senza  pretese di essere gli eletti o i migliori.

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il vangelo della domenica

 

RADDRIZZATE LE VIE DEL SIGNORE 

 commento al Vangelo della seconda domenica di avvento (7 dicembre 2014) di p. Alberto Maggi
 
maggi
 
Mc 1,1-8
Inizio del vangelo di Gesù, Cristo, Figlio di Dio. Come sta scritto nel profeta Isaìa: «Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero: egli preparerà la tua via. Voce di uno che grida nel deserto:  preparate    la   via   del Signore raddrizzate i suoi sentieri», vi fu Giovanni, che battezzava nel deserto e proclamava un battesimo di conversione per il perdono dei peccati. Accorrevano a lui tutta la regione della Giudea e tutti gli abitanti di Gerusalemme. E si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati. Giovanni era vestito di peli di cammello, con una cintura di pelle attorno ai fianchi, e mangiava cavallette e miele selvatico. E proclamava: «Viene dopo di me colui che è più forte di me: io non sono degno di chinarmi per slegare i lacci dei suoi sandali. Io vi ho battezzato con acqua, ma egli vi battezzerà in Spirito Santo».

 

Leggiamo e commentiamo i primi otto versetti del vangelo di Marco, che inizia con queste parole: Inizio della buona notizia … sappiamo che il termine vangelo significa infatti buona notizia. E’ una buona notizia che è già conosciuta. L’evangelista non si rivolge a persone che ancora non conoscono la novità di Gesù, ma a persone che già la vivono. E Marco intende narrare quale è stata l’origine. Allora perché la chiama buona notizia? Perché c’è un nuovo rapporto con Dio che non è più basato sull’osservanza della legge – il termine “legge” nel vangelo di Marco non apparirà mai – ma sull’accoglienza dello Spirito, come vedremo alla fine di questo brano con l’annunzio che l’attività di Gesù sarà battezzare in Spirito Santo. Quindi non più l’osservanza di una legge esterna all’uomo, ma l’accoglienza di una realtà interiore all’individuo. La buona notizia è di Gesù Cristo, Cristo cioè Messia, e manca l’articolo, che significa che non è il Messia della tradizione, quello che Israele attendeva, il liberatore che attraverso la violenza avrebbe restaurato il Regno di Israele, ma un liberatore, un Messia completamente diverso che l’evangelista ci aiuta ora a scoprire. Figlio di Dio. Ecco Gesù sarà Messia, ma non sarà il figlio di Davide, non verrà a restaurare il regno di Israele, ma il figlio di Dio verrà ad inaugurare il regno di Dio, l’amore universale del Padre.  Come sta scritto nel profeta Isaia … e qui in realtà l’evangelista fa un collage di tre testi, in cui c’è naturalmente anche il profeta Isaia, ma apre anzitutto con il testo del libro dell’Esodo. E chiude poi quello di Isaia con l’Esodo. Il primo esodo è stato la collaborazione di tutti coloro che lo desiderano. Ed ecco la presentazione di chi è questo messaggero di Dio. E’ un inviato da Dio che prescinde da ogni istituzione religiosa. Vi fu Giovanni che battezzava nel deserto e proclamava un battesimo … Il battesimo era un rito conosciuto, ci si immergeva nell’acqua a simboleggiare la morte al proprio passato, per iniziare una vita nuova. Quindi proclamava un’immersione in segno di morte al passato … di conversione, cioè cambiamento di vita. Se fino adesso hai vissuto per te, adesso vivi per gli altri, questo è il significato di “conversione” che l’evangelista adopera. Per il perdono dei peccati. Il cambiamento di condotta ottiene il condono di tutte le colpe, quindi è un atto esteriore per indicare un profondo cambiamento interiore. Ebbene, all’annunzio di Giovanni, di un battesimo per ottenere il perdono dei peccati, c’è una risposta inaspettata, incredibile. Infatti scrive l’evangelista: Accorrevano a lui … e qui l’evangelista adopera il verbo “uscire”, che è lo stesso adoperato nell’esodo per indicare la liberazione compiuta da Dio nei confronti del suo popolo. Accorrevano a lui da tutta la regione della Giudea e tutti gli abitanti di Gerusalemme. Questo è sorprendente, perché a Gerusalemme c’era il tempio, il luogo preposto per il perdono dei peccati. Ebbene le persone comprendono che il perdono dei peccati non si ottiene attraverso un rito nell’istituzione religiosa, ma anzi bisogna allontanarsi per un cambio profondo della propria vita. E si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano … ecco un’altra indicazione dell’Esodo. Il Giordano è stato il fiume che il popolo d’Israele ha dovuto attraversare per entrare nella terra promessa. Confessando i loro peccati. Poi l’evangelista ci da una descrizione di questo Giovanni, che è la descrizione dei profeti. Infatti era vestito di peli di cammello, che era l’abito dei profeti, con una cintura di pelle attorno ai fianchi. Questa sottolineatura della cintura di pelle richiama il più grande dei profeti cioè il profeta Elia, quindi l’evangelista vuole rappresentare che quell’Elia che il popolo attendeva come precursore del Messia, si è manifestato nella figura di Giovanni Battista. E mangiava cavallette e miele selvatico. Quello che offre il deserto, il cibo normale dei nomadi e dei beduini. E proclamava: “Viene dopo di me colui che è più forte di me: io non sono degno di chinarmi per slegare i lacci dei suoi sandali”. L’espressione di Giovanni Battista non è un attestato di umiltà, ma qualcosa di molto più profondo. Qui c’è un’allusione a ben tre testi, al libro del Genesi, al libro di Ruth e al libro del Deuteronomio, che si rifanno a una pratica chiamata del Levirato, da Levir, che in latino significa “cognato”. Qual era questa pratica? Quando una donna rimaneva vedova senza un figlio, il cognato aveva l’obbligo di metterla incinta. Il bambino che sarebbe nato avrebbe portato il nome del marito defunto, in modo che il nome del defunto continuasse a perpetuarsi. Quando il cognato si rifiutava si mettere incinta la donna, colui che aveva diritto dopo di lui procedeva alla cerimonia chiamata “dello scalzamento”, scioglieva il legaccio dei sandali – era un rito particolare – si sputava sui sandali e stava a significare: il tuo diritto di mettere incinta questa donna passa a me. Allora la proclamazione di Giovanni Battista è molto più profonda. Lui dice: “non scambiate me per il Messia, lo sposo d’Israele, colui che deve fecondare questa donna, considerata come una vedova perché la relazione con Dio era ormai terminata, non sono io, ma colui che sta per venire”. Perché “io vi ho battezzato con acqua”, un rito esterno, l’acqua è qualcosa di esteriore all’uomo, “ma egli vi battezzerà in Spirito Santo”. L’azione di Gesù sarà un’immersione profonda, intima, interiore, nella stessa vita divina. Ecco allora la buona notizia che l’evangelista ha annunziato. La relazione con Dio non è più basata sull’osservanza della legge, ma sull’accoglienza del suo amore. E’ questo che guiderà la vita degli uomini.

Non giudicherà secondo le apparenze..”

il commento di p. Agostino Rota Martir che ‘legge’ il vangelo non da una sala parrocchiale o da uno studio teologico ma dalla sua convivenza con un gruppo di rom a Pisa:

p. agostino

 

  •  

    • “Preparatevi, quando arriverò io risolverò tutto! Le cose cambieranno verso.”
    • “Colui che viene dopo di me è più forte di me..”

    Due logiche diverse, anzi opposte tra di loro. La prima, tipica del leader di successo, la seconda è di chi sa e si sente un messaggero di Qualcuno.

    La prima è di chi sentendosi forte, con sondaggi alla mano tende a restringere o addirittura annullare lo spazio dell’altro, visto come un ingombro alla propria iniziativa.

    L’altro, invece sceglie di “fare spazio all’altro”: atteggiamento tipico di Dio. Racconta un Midrash ebraico che quando Dio crea il mondo e l’uomo si rannicchia, proprio per fare spazio a ciò che nasce.. in un certo senso mi sembra più bello l’ atteggiamento di un Dio rannicchiato, che si ritrae perché l’altro cresca, rispetto a quello di un Dio creatore in piedi che domina e controlla l’andamento del mondo.

    Il leader, in genere è alla ricerca dei riflettori, il Battista invece sceglie di mettersi da parte, il deserto è il suo luogo di vita, ma anche lo spazio di osservazione, la sua periferia dalla quale guardare il mondo e le persone.

    In genere, il primo gioca un po’ ad essere “come Dio”, il secondo invece, cerca Dio nelle pieghe nascoste degli uomini. Nel Mistero dell’incarnazione Dio che si fa uomo! Un Dio che si converte all’uomo, mischiandosi con l’umanità con tenerezza e sapienza.

    “Un germoglio spunterà dal tronco di Iesse..non giudicherà secondo le apparenze e non prenderà decisioni per sentito dire.” (Is. 11, 1.3)

    I tempi del germoglio sono lenti e costanti, non dettati dalla fretta dei risultati. E poi un germoglio è imprevedibile, proprio come il Dio dei profeti sempre al fianco dei poveri. Per i poveracci di ieri, quando Isaia pronunciò queste parole, e quelli di oggi le cose per loro non sono cambiate di molto. Stesso destino, esclusi e visti spesso come causa delle crisi, stessi atteggiamenti di pregiudizio. Gli spazi per i poveri si riducono sempre di più, visti con disagio e sospetto e affidati alla gestione a persone senza scrupoli, affaristi e con la puzza sotto il naso.

    “Il lupo dimorerà insieme con l’agnello..”

    Sogno o stimolo perché la fede in Dio sia capace di entrare nei cuori di tutti? In quello dei prepotenti, come in quello delle loro vittime.

    I lupi che vorrebbero i Rom nei forni crematori, sapranno un giorno vivere insieme, accogliendosi nel rispetto reciproco? Il lupo oggi ha tante sembianze, tanti volti, sa presentarsi bene, si trasforma velocemente, segue il vento che tira, ma anche l’agnello può diventare lupo a sua volta, verso il più debole di lui. Ecco, quindi l’urgenza del vigilare (domenica scorsa), e l’invito di questa domenica alla conversione: saper fare spazio all’altro, perché “il Regno dei cieli possa farsi vicino”.

     

     

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    le bufale di internet contro i rom

    «Il tesoro dei Rom trovato a Grosseto». Ma è una bufala

    falsa notizia circola sul web e sui social: smascherata e rimossa, ha comunque seminato odio a sfondo razzista:

    la ricostruzione giornalistica  di Gabriele Baldanzi

     Grosseto, negli ultimi giorni, è stata al centro di una delle tante bufale che imperversano sul web, sui social. Ha ottenuto infatti centinaia di like, visualizzazioni e rilanci la storia _ assolutamente falsa _ dei 6 milioni di euro in contanti ritrovati in un campo Rom, proprio a Grosseto. Tutto inventato, tutto costruito ad hoc per viralizzare, creare dibattito, rinfocolare odio. E infatti si contano centinaia di commenti alla notizia in cui si offende questa etnia e si getta discredito su una parte politica.

    Il lancio della notizia è avvenuto su Gsn, acronimo di Generazione Social Network, poi alcuni quotidiani on line hanno ripreso la storia dandole ulteriore risalto. Riportiamo integralmente l’articolo, falso dalla prima all’ultima riga.

    «Grosseto, 1° dicembre 2014. Il tutto ha avuto inizio questa mattina a seguito di una denuncia per aggressione presentata da una donna anziana che sosteneva di essere stata aggredita durante la notte da un gruppo di persone con l’accento dell’Est, quasi certamente provenienti dal campo Rom nelle vicinanze della sua casa. All’alba i Carabinieri hanno così data il via a una serie di interrogatori e perquisizioni, non gradite però dalle famiglie Rom che sin da subito si sarebbero scagliate contro gli agenti con l’ausilio di spranghe e sassi. A seguito dell’arresto di alcuni giovani e all’allontanamento dei minori, avrebbero avuto inizio le perquisizioni che hanno portato alla luce un fucile, una pistola e circa 6 milioni di euro in contanti; il tutto occultato all’interno di un materasso messo a terra e utilizzato per dormire da due bambine di 7 ed 8 anni, quasi sicuramente ignare della fortuna posseduta all’interno del loro “letto” e le quali ogni giorno venivano sfruttate e inviate dai loro genitori a chiedere l’elemosina nel parcheggio di un supermercato non molto distante. Il tutto ha inizialmente destato molti sospetti, viste le condizioni igieniche e le presunte condizioni economiche della famiglia, la quale, sin dal loro arrivo in Italia ha sempre ottenuto un sostegno economico dal Comune, addirittura recandosi per circa due volte al mese alla sede provinciale per il ritiro dei buoni pasto e la consegna delle bollette per richiedere il pagamento da parte del Comune».

    Qualcuno però, per fortuna, ancora si interroga su ciò che è vero e ciò che non lo è. E così sono stati subito colti ed evidenziati errori e anomalie nell’articolo. Il sito Bufale.net, per esempio, raccogliendo la segnalazione di alcuni lettori grossetani, ha ricostruito la filiera del presunto scoop. In primo luogo risulta farlocca la data riportata: “1° dicembre 2014”? In realtà questo testo è la riproposizione di un pezzo identico che lo stesso portale aveva pubblicato sui social il 28 novembre, rimettendolo in circolo tre giorni dopo, con il mutamento di data. Probabilmente per riaccenderne la viralità. Non solo. Anche le immagini della notizia risultano riciclate. L’articolo è stato sicuramente redatto con l’aiutino di Google Immagini. Interpellato, infatti, con alcune parole chiave come “Milioni di euro” ecco che appare l’hyperlink corretto alla prima immagine utilizzata. Proviene da un articolo del quotidiano la Repubblica, relativo al sequestro, ad opera della gendarmeria francese, di un’ingente somma di denaro nascosta in un’Audi. Fatto avvenuto a Strasburgo. Insomma nulla a che vedere con i Rom e con Grosseto.

    E infatti martedì la notizia è stata rimossa. Nel frattempo si è capitalizzato sul diffuso sentimento contro i nomadi, collezionando in un unico testo tutti i pregiudizi più in voga: zingari violenti, sfruttatori dell’infanzia, fino al “tesoro segreto” che si vorrebbe custodito in baraccopoli e tendopoli.

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    la gestione dei campi nomadi che produce soldi a palate più della droga

    Mafia capitale, tutti gli affari della ‘Campi nomadi Spa’

    Appalti senza gara. E affidati alle società di Buzzi. Un giro milionario basato sul sistema Odevaine. Così la Cupola guadagnava con la gestione dei campi.
    Video

    questa la ricostruzione di :

    Una zona del campo nomadi a Castel Romano.

    Una zona del campo nomadi a Castel Romano.

    Gli immigrati e i rom? Un business enorme per la Cupola romana.
    «Quest’anno abbiamo chiuso con 40 milioni di fatturato», dice Salvatore Buzzi, il braccio destro nel sovramondo di Massimo Carminati, in una intercettazione telefonica, «ma tutti i soldi li abbiamo fatti su zingari, emergenza alloggiativa, immigrati. Gli altri settori finiscono a zero».
    E in un’altra telefonata ammette: «Tu c’hai idea quanto ce guadagno con gli immigrati? La droga rende meno».
    LA GESTIONE DEI CAMPI ROM. E come dargli torto. Solo per la gestione dei campi rom situati nella Capitale (che ospitano 8 mila persone, di cui più della metà sono bambini), il Comune di Roma ha speso negli anni decine di milioni di euro. Sfamando anche le cooperative di Buzzi: la ’29 giugno’ fu assorbita dal consorzio di cooperative sociali ‘Eriches 29’ (che nel 2013 ha fatturato 15.484.803 euro). Appalti affidati in via diretta, senza gara.
    NEL 2013 ROMA HA SPESO 24 MLN. A quantificare il giro d’affari di quella che è stata definita la Campi nomadi Spa è stata l’associazione ’21 luglio’, organizzazione non profit impegnata nella promozione dei diritti delle comunità rom e sinte in Italia. Secondo il loro report (leggi il documento), il Campidoglio, solo nel 2013, ha speso 24 milioni di euro per la gestione dei villaggi di solidarietà e dei centri di raccolta nomadi.
    Soluzioni che, invece di favorire l’integrazione, portano quasi sempre alla segregazione di queste comunità (leggi l’intervista al professor Argiropoulos), di cui fanno parte – è bene ricordarlo – anche molti cittadini italiani di etnia rom che vorrebbero poter vivere in case vere e non in container. Ma che, non essendo soggetti a sfratto, sono penalizzati nelle graduatorie di assegnazione delle case popolari.
    UNA MANGIATOIA PER 35 ENTI PUBBLICI. In questo sistema operano 35 enti pubblici e privati che danno lavoro a oltre 400 persone le quali, scrive l’associazione, «usufruiscono dei finanziamenti comunali per lo più attraverso affidamento diretto e non tramite bandi pubblici».
    Ma c’è di più. Dei 24.108.406 euro spesi, l’86,4% è stato utilizzato per la gestione vera e propria dei campi, compresa la vigilanza e la sicurezza: solo il 13,2% è stato destinato alla scolarizzazione mentre soltanto lo 0,4% del totale è stato destinato all’inclusione sociale dei rom.

    Le mani della Cupola romana sul campo di Castel Romano

    Salvatore Buzzi (a sinistra) con Massimo Carminati.

     Salvatore Buzzi (a sinistra) con Massimo Carminati

    Guarda caso, degli otto villaggi della solidarietà dell’area metropolitana il più costoso risulta essere quello di Castel Romano, dove attualmente vivono 989 rom. Il campo, situato sulla Pontina al km 24 in direzione Roma, è stato realizzato in «emergenza» nel 2007.
    Doveva essere una soluzione «temporanea», anche perché sorge in un’area protetta grazie alle deroghe della Regione Lazio. Ma, come spesso accade, il concetto di temporaneo in Italia è relativo.
    APPALTI SEMPRE PER VIA DIRETTA La gestione di Castel Romano è in gran parte affidata alle società di Buzzi, il ras delle cooperative. Nel dettaglio, nel campo vivono 189 famiglie e nel 2013 è costato 5.354.788 euro. Il costo per ogni famiglia è stato di 27.044 euro. Con una semplice moltplicazione, è facile dedurre che la sistemazione dei nomadi in appartamenti sarebbe costata meno. Ma avrebbe fruttato alla Cupola molti meno euro.
    Sempre nel 2013, il campo è costato solo di gestione 3.785.616 euro (il 70,7%della spesa); di sicurezza 914.210 euro (17,1%) e di scolarizzazione solo 654.962 euro (il 12,2%).
    Bene, alla cooperativa Eriches 29 di Buzzi è andato il 36,1% della «torta»: 1.935.763 euro. Gli appalti? Anche in questo caso assegnati per via diretta.

    Il «sistema Odevaine»: la gestione dell’emergenza per fare soldi

    Luca Odevaine.

    Luca Odevaine

    Ma c’è di più. Come raccontava Emilio Casalini, in una puntata di Un mondo a colori su RaiTre nel 2009, la fondazione e la gestione di Castel Romano sollevavano già più di un dubbio.
    A partire dalla presunta emergenzialità della sua nascita per la quale furono sospesi i vincoli dell’area protetta di Decima malafede. Fino all’aggiudicazione degli appalti senza gara. «Agiamo come durante un terremoto», spiegava il vice capo segreteria di Walter Veltroni Luca Odavaine, ora agli arresti.
    L’ORDINANZA DI CUSTODIA CAUTELARE. «La gestione dell’emergenza immigrati è stato ulteriore terreno, istituzionale ed economico, nel quale il gruppo riconducibile a Buzzi si è insinuato con metodo eminentemente corruttivo», si legge nell’ordinanza di applicazione delle misure cautelari firmata dal gip Flavia Costantini, «alterando per un verso i processi decisionali dei decisori pubblici, per altro verso i meccanismi fisiologici dell’allocazione delle risorse economiche gestite dalla Pubblica amministrazione». Tanto che gli inquirenti hanno definito la gestione degli immigrati Sistema Odevaine.
    E a chi era andata la gestione di Castel Romano? Alla cooperativa Impegno per la promozione di tale Sandro Coltellacci, finito in galera nel blitz del 2 dicembre, ma già in carcere nel 2009 per questioni non relative alla gestione dei campi rom.
    IN DUE ANNI E MEZZO COLTELLACCI HA INCASSATO 5 MLN. La Impegno per la promozione ha organizzato la creazione del campo, ottenendone successivamente la gestione ordinaria. Sempre senza gara d’appalto. In due anni ha incassato qualcosa come 5 milioni e mezzo di euro.
    Per i moduli abitativi sono stati sborsati 1.800.000 euro; per la rete fognaria e i pozzi altrettanto.
    Il Comune di Roma ha poi pagato 80 mila euro al mese per sicurezza e presidio medico, spiegava Odevaine. Servizi che stando all’inchiesta di RaiTre, sono stati organizzati solo in parte o per nulla.
    «Rende più della droga», diceva Buzzi. Ed è vero.
    Il sistema Odevaine ha permesso negli anni alle cooperative della Cupola di ingrassarsi.

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    a Lucca la giornata onu di solidarietà al popolo palestinese

    SEMPLICEMENTE APARTHEID
    Quel giorno non potremo dire ‘non sapevamo’

     

    la ricostruzione di Nandino Capovilla:

     

     palestinesi

     

     

     

     

     

     

    “Una cosa va detta subito e senza esitazione: quello che Israele, il mio Paese, vuole fare è accaparrarsi più terra possibile. E questa non è una questione complessa, come spesso si dice. E’ molto semplice: dal ’48 gli ebrei colonizzano la terra palestinese e le loro politiche non sono cambiate. E questo ha un nome: colonialismo. Oggi, poi, dobbiamo parlare chiaramente di un vero regime di apartheid”.

    Già dalle prime parole che il grande giornalista israeliano GIDEON LEVY ha pronunciato di fronte ad una sala gremita, sabato 29 novembre a Lucca, si comprende la portata politica di ciò che ha rappresentato il suo contributo alla GIORNATA ONU 2014.

     

    “Con il mio lavoro voglio documentare tutto perchè un giorno, quando tutto sarà finito, gli israeliani non possano dire ‘non sapevamo’. Sono nato e vissuto a Tel Aviv sentendomi una vittima e non certo un occupante e ho pensato questo fino agli anni ’80, quando ho cominciato a lavorare per Haarez, che mi ha inviato nei Territori Occupati. Solo lì ho cominciato a vedere e a capire. Come chiamereste un regime in cui uno dei due popoli gode di tutti i diritti mentre l’altro non ha nulla? Io lo chiamo apartheid”.

    La voce di questo coraggioso testimone ha fatto diventare, in questo Anno Internazionale per la Palestina, internazionalmente rilevante l’annuale Convegno con cui Pax Christi celebra nella Giornata Onu per i diritti del popolo palestinese.
    Ma già incontrando gli studenti delle scuole, al mattino, aveva scosso l’uditorio:

    “Da israeliano devo tragicamente ammettere che per gli israeliani un palestinese non sarà mai un essere umano uguale a loro. Sembra eccessivo ma è esattamente questo il primo grande confine tra i due popoli: un confine culturale, sociale, psicologico. Anche gli israeliani più aperti sotto sotto pensano ai palestinesi come ad esseri inferiori. L’israeliano vive in pace con se stesso perchè semplicemente non ritiene che i palestinesi abbiano i suoi stessi diritti”.

    La Giornata ONU di Lucca ha registrato una grande partecipazione di persone da ogni parte d’Italia e dal Convegno si leverà nelle prossime settimane la precisa richiesta al Parlamento italiano di seguire i sempre più numerosi Paesi europei che stanno riconoscendo lo Stato di Palestina. D’altra parte Gideon Levy ha rilevato che “la comunità internazionale sa benissimo cosa dovrebbe fare. Con il Sudafrica dell’apartheid l’ha fatto. Ed ora le differenze in Palestina sono minime.

    Il problema -ha incalzato Levy- è che, pur non essendoci una censura vera e propria in Israele, sono i media stessi che si autocensurano. Il che è anche peggio, a pensarci. Fanno un lavaggio del cervello incredibile agli israeliani, demonizzando e disumanizzando i palestinesi. Cercano di nascondere sempre le atrocità commesse dall’esercito. Israele nega tutto, vivendo in una continua menzogna. Il linguaggio che usiamo stravolge la realtà. Così, per esempio, in Israele si parla distinguendo coloni moderati o estremisti, gli avamposti illegali e le colonie legali, ma secondo il diritto internazionali non esistono colonie legali. Tutte sono illegali.

    palest e isreal

    Negli anni immediatamente successivi all’occupazione, gli stessi Territori Occupati non venivano definiti così e chi usava questa espressione era definito traditore. Li chiamavano piuttosto ‘liberati’. Insomma, dipende da come Israele interpreta ciò che accade: quando un blindato entra in un campo profughi spargendo terrore, per noi è solo il bambino che tira la pietra a violare la legge. Quando Abbas chiede aiuto all’Onu, è lui ad essere considerato violatore dello status quo. Israele invece può fare e fa sempre ciò che vuole. Quando dei palestinesi uccidono un colono con un coltello sono terroristi ma quando un aereo militare bombarda Gaza, è autodifesa. Chiunque è a favore dell’occupazione militare vuole il bene di Israele e chiunque si appella al diritto internazionale è antisemita. Quando un palestinese di 6 anni viene ucciso dai soldati israeliani è definito ‘un giovane’, ‘un adolescente’, o semplicemente ‘un palestinese’; quando viene ucciso un 18enne israeliano è ‘nostro figlio’”.

    La Newsletter BoccheScucite e l’omonimo sito www.bocchescucite.org , pubblicheranno presto tutti gli interventi della Giornata di Lucca, proprio a partire dalla fortissima denuncia di questa “bocca scucita” israeliana che ha ammesso quanto il suo lavoro sia sempre più a rischio in Israele:

    Durante l’operazione dell’esercito a Gaza, quest’estate -ha confidato Levy- 3000 lettori hanno disdetto l’abbonamento al quotidiano Haarez a causa di un mio articolo. Per fortuna il mio giornale non scende a compromessi, e va avanti. D’altra parte, se a Gaza quest’estate sono state uccise oltre 2000 persone palestinesi in nome della sicurezza israeliana io mi chiedo semplicemente: ma chi pensa alla sicurezza dei palestinesi, che si trovano molto più a rischio degli israeliani?

    Nandino Capovilla, Campagna Ponti e non muri, nandino.capovilla@gmail.com

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    basta una foto con dei rom per scatenare il razzismo!

     

    Enrico Rossi pubblica una foto con una famiglia rom: boom di commenti razzisti

    di F. Q. | 1 dicembre 2014

     

     Rossi e i rom
    Tanti utenti online criticano l’immagine postata dal presidente della Regione Toscana sul social network. Ai commenti negativi lui replica: “Non tutti gli italiani sono mafiosi. Non tutti i rom sono ladri”

    “Vi presento i miei vicini. Siamo sul marciapiede davanti alle nostre case”. Inizia così il post pubblicato domenica 30 novembre dal presidente della Regione Toscana, Enrico Rossi, accompagnato da una foto con una famiglia rom che abita nel Fiorentino. Voleva essere un messaggio di solidarietà e invece ha scatenato una serie di commenti razzisti a seguito dei quali il governatore è intervenuto nella discussione: “Non tutti gli italiani sono mafiosi. Non tutti i rom sono ladri”, ha scritto.

    In poche ore sotto la foto postata da Rossi sono comparsi oltre 3.500 commenti. “Attento al portafogli”, “vada a farsi fotografare con quelli a cui gli zingari hanno svaligiato la casa”, “poi ti rubano in casa” o “che schifo”, scrivono molti utenti. Tanti l’hanno interpretata come una provocazione nei confronti degli “italiani che lavorano”, altri come un tentativo di stimolare “il razzista che c’è in ognuno di noi”. C’è anche chi, invece, ha apprezzato il gesto del presidente Rossi (oltre 2.500 i “mi piace” al post) e ha visto nella decisione di pubblicare la foto un modo per stemperare le tensioni nate nelle ultime settimane, dopo le visite dei rappresentanti della Lega Nord, tra cui anche il leader Matteo Salvini, in un campo rom vicino a Bologna. Polemiche che si sono trascinate nel dibattito politico nelle settimane successive e che hanno riportato in primo piano il tema dell’integrazione.

    Per dimostrare la sua solidarietà al governatore, poi, c’è anche chi cita Bertold Brecht:

    “Prima di tutto vennero a prendere gli zingari e fui contento, perché rubacchiavano. Poi vennero a prendere gli ebrei e stetti zitto, perché mi stavano antipatici. Poi vennero a prendere gli omosessuali e fui sollevato, perché mi erano fastidiosi. Poi vennero a prendere i comunisti e io non dissi niente, perché non ero comunista. Un giorno vennero a prendere me e non c’era rimasto nessuno a protestare” (B. Brecht)
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