S. Spinelli contro la ‘segregazione razziale dei rom’

 

 

Santino Spinelli: “la segregazione razziale dei Rom è criminale”

 

 intervista di Marco Cinque su ‘il Manifesto’

ROMA,

 

Alexian Santino Spinelli 

San­tino Spi­nelli, alias Ale­xian, é un Rom ita­liano appar­te­nente alla comu­nità roma­nès, il più antico inse­dia­mento in Ita­lia. Arti­sta di fama inter­na­zio­nale, rap­pre­senta anche le comu­nità roma­nès presso l’O.N.U. ed è stato nomi­nato “Amba­scia­tore dell’arte e della cul­tura romanì nel mondo”.
Musi­ci­sta, com­po­si­tore, can­tau­tore, inse­gnante, sag­gi­sta e poeta, la sua poe­sia Ausch­witz è incisa sul monu­mento che si trova davanti al Par­la­mento tede­sco a Ber­lino, dedi­cato al geno­ci­dio di Rom e Sinti. Un’altra sua testi­mo­nianza in versi, Per non dimen­ti­care, è invece incisa sulla lapide in rame che si trova presso il Museo dell’Internato a Padova.
Venerdì 12 dicem­bre San­tino sarà l’ospite spe­ciale, col suo gruppo Ale­xian group, di un grande evento mul­ti­cul­tu­rale presso il tea­tro di For­mello (RM), assieme ad altri arti­sti, musi­ci­sti, poeti, foto­grafi, etc., per un incon­tro inti­to­lato “Arte in musica”: una sorta di viag­gio attra­verso i dif­fe­renti lin­guaggi dell’arte e della comu­ni­ca­zione, cioè un per­corso che cer­cherà di indi­care nuovi modi e sen­tieri dove costruire ponti, soprat­tutto in que­sti tempi di muri, con­flitti, pre­giu­dizi e discri­mi­na­zioni. In occa­sione di que­sta ini­zia­tiva, abbiamo rivolto ad Ale­xian alcune domande.

La sto­ria pas­sata e recente ci rac­conta di comu­nità che nel mondo cer­cano di soprav­vi­vere in con­te­sti di repres­sione, sof­fe­renza e degrado, come ad esem­pio i popoli Nativi ame­ri­cani, rele­gati nelle cosid­dette Riserve o i pale­sti­nesi, asse­diati bru­tal­mente in lembi di ter­ri­tori sovraf­fol­lati e senza risorse. Qui in Ita­lia ci sono tan­tis­sime asso­cia­zioni o anche sin­goli cit­ta­dini che ne sosten­gono le rispet­tive cause con pas­sione e deter­mi­na­zione, ma la stessa cosa, pur­troppo, non accade anche all’interno dei nostri con­fini rispetto ai popoli Rom e Sinti, pre­giu­di­zial­mente discri­mi­nati e dete­stati da gran parte della popo­la­zione. Cosa ne pensi?

Come sta emer­gendo, la segre­ga­zione raz­ziale dei Rom è frutto di una atti­vità cri­mi­nale e disu­mana. Sono anni che denun­cio que­sta situa­zione, nono­stante sia un arti­sta e non un repor­ter d’inchiesta. Ma a molti ha fatto comodo fare orec­chie da mer­cante. Per decenni e ancora oggi, donne, bam­bini e anziani sono costretti a vivere in con­di­zioni disu­mane, men­tre poli­tici e asso­cia­zioni di pseudo volon­ta­riato si arric­chi­scono con la com­pli­cità di certa stampa e di certi gior­na­li­sti con­ni­venti. La segre­ga­zione raz­ziale è un cri­mine con­tro l’umanità, ma in Ita­lia è stata fatta pas­sare come la vera cul­tura dei Rom, per­ché sono stati con­si­de­rati con molta for­za­tura dei nomadi. I Rom non sono mai stati nomadi per cul­tura, ma la loro mobi­lità è sem­pre stata coatta e con­se­guenza di poli­ti­che per­se­cu­to­rie e repres­sive. I campi nomadi sono un retag­gio della cul­tura nazi­fa­sci­sta. Mi mera­vi­glio di chi oggi si mera­vi­glia nello sco­per­chiare ciò che per anni ho defi­nito Zin­ga­ro­poli, cioè un vero e pro­prio “sistema” col­lau­dato e con­dan­nato anche dall’Unione europea.

E’ evi­dente che tutto ciò che viene rele­gato in un ghetto, che si chiami Riserva, Campo Nomadi, Cen­tro per immi­grati, peri­fe­ria urbana o simili, tra­sforma coloro che sono costretti a viverci in “nemici” della col­let­ti­vità, ber­sa­gli per­fetti per le più varie­gate forme di intol­le­ranza e raz­zi­smo. In que­sta deriva sociale, poli­tica e cul­tu­rale, quali per­corsi alter­na­tivi e con­creti potreb­bero essere intrapresi?

Sono solo vit­time di una poli­tica per­versa, cri­mi­nale e disu­mana. Si spe­cula sulla pelle dei più deboli in maniera vigliacca. Le alter­na­tive sono il supe­ra­mento dei Campi Nomadi, visto che tra l’altro i Rom non sono nem­meno nomadi e, tolto l’Apartheid, ini­ziare reali poli­ti­che di inclu­sione sociale e di valo­riz­za­zione cul­tu­rale. I Rom sono una grande ric­chezza arti­stica e cul­tu­rale e non un pro­blema sociale, come una distorta poli­tica cri­mi­nale ha soste­nuto per anni. Le asso­cia­zioni e Fede­ra­zioni di Rom sono da pre­di­li­gere come inter­lo­cu­tori, soprat­tutto coloro che hanno qua­li­fi­che reali e non millantate.

Rom e Sinti spesso ven­gono rap­pre­sen­tati dai media in modo alquanto super­fi­ciale e ste­reo­ti­pato. Cosa biso­gna fare per impe­dire il per­pe­tuarsi di que­sti cli­chè, che di certo non gio­vano alla con­vi­venza e alla paci­fica coesistenza?

Infor­mare cor­ret­ta­mente sul mondo Rom pro­muo­ven­done arte e cul­tura e valo­riz­zando gli eventi come semi­nari, cine­fo­rum, con­certi, festi­val, con­corsi, con­ve­gni, pre­sen­ta­zione di libri, video, cd e tutti gli eventi che per­met­tono di incon­trarsi e con­fron­tarsi costruttivamente.

L’appuntamento romano nel Tea­tro di For­mello, dove si rea­liz­zerà una sorta di viag­gio inte­rat­tivo e inter­cul­tu­rale attra­verso cui si incon­tre­ranno i più varie­gati e diversi lin­guaggi arti­stici: cosa pensi di comu­ni­care, quali i mes­saggi, i con­te­nuti, ma anche quale rispo­sta ti aspetti dal pubblico?

Il mes­sag­gio prin­ci­pale è quello di cer­care di arric­chirsi con l’arte e l’intercultura. Mi aspetto che il pub­blico possa essere tra­sci­nato e coin­volto da que­sta serata inter­cul­tu­rale ed inter­di­sci­pli­nare, un’opportunità per appro­fon­dire la cono­scenza della sto­ria, dell’arte e della cul­tura romani pre­sente in Ita­lia da oltre 6 secoli, ma che nes­suno cono­sce a causa degli ste­reo­tipi nega­tivi e delle poli­ti­che scel­le­rate del pas­sato. Occorre com­pren­dere che l’altro siamo noi stessi e che esi­ste una sola razza, quella umana, con tante e diverse cul­ture tutte meri­te­voli dello stesso rispetto. L’arte, la lin­gua e la cul­tura romanì rap­pre­sen­tano un patri­mo­nio impor­tante per l’intera uma­nità. Chi verrà al tea­tro sco­prirà il valore e l’apporto della musica romani all’Europa. Un saluto calo­roso e fra­terno But baxt ta sastipe! (Che voi pos­siate essere sani e felici / fortunati).

 

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il vangelo della domenica letto da tre angolature diverse

 



Gv 1,6-8.19-28

Venne un uomo mandato da Dio: il suo nome era Giovanni. Egli venne come testimone per dare testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui. Non era lui la luce, ma doveva dare testimonianza alla luce.
Questa è la testimonianza di Giovanni, quando i Giudei gli inviarono da Gerusalemme sacerdoti e levìti a interrogarlo: «Tu, chi sei?». Egli confessò e non negò. Confessò: «Io non sono il Cristo». Allora gli chiesero: «Chi sei, dunque? Sei tu Elia?». «Non lo sono», disse. «Sei tu il profeta?». «No», rispose. Gli dissero allora: «Chi sei? Perché possiamo dare una risposta a coloro che ci hanno mandato. Che cosa dici di te stesso?». Rispose: «Io sono voce di uno che grida nel deserto: Rendete diritta la via del Signore, come disse il profeta Isaìa».
Quelli che erano stati inviati venivano dai farisei. Essi lo interrogarono e gli dissero: «Perché dunque tu battezzi, se non sei il Cristo, né Elia, né il profeta?». Giovanni rispose loro: «Io battezzo nell’acqua. In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete, colui che viene dopo di me: a lui io non sono degno di slegare il laccio del sandalo».  Questo avvenne in Betània, al di là del Giordano, dove Giovanni stava battezzando.

IN MEZZO A VOI STA UNO CHE VOI NON CONOSCETE 

commento al Vangelo della terza domenica di avvento (14 dicembre) di p. Alberto Maggi 

maggi


“Venne un uomo mandato da Dio e il suo nome era Giovanni”. Con questa bella immagine tratta dal prologo del Vangelo di Giovanni, si apre il vangelo di questa domenica. Essendo il progetto di Dio rivolto all’uomo il Signore sceglie un uomo per manifestarlo. Non un esponente della casta sacerdotale, né dell’élite religiosa.
Luoghi e persone religiose sono impermeabili all’azione dello Spirito. Il suo nome era Giovanni. Giovanni, in ebraico Yohan, significa Jahvè, il Signore è misericordia. Egli venne come testimone per dare testimonianza alla luce, perché tutti … il messaggio di Dio è universale, abbraccia tutta l’umanità … credessero per mezzo di lui. Non era lui la luce, ma doveva dare testimonianza alla luce.  
Il compito di Giovanni è risvegliare negli uomini il desiderio di pienezza di vita e renderli coscienti dell’esistenza della luce, nonostante le tenebre.
Questa è la testimonianza di Giovanni, quando i Giudei … per la prima volta appare in questo vangelo il termine Giudei che sarà ripetuto ben 71 volte, con il quale l’evangelista non indica il popolo ebraico, ma i capi, le massime autorità religiose. Gli inviarono … E qui l’evangelista gioca con questo verbo. Dio invia Giovanni per risvegliare il desiderio di pienezza di luce, le autorità religiose immediatamente inviano la polizia per spegnere questa luce.
Da Gerusalemme, sede dell’istituzione religiosa, sacerdoti e levìti. I levìti nel tempio svolgevano anche funzioni di polizia. Quindi ci sono i sacerdoti per interrogare Giovanni e i levìti pronti ad arrestarlo. A interrogarlo, è lo stesso termine che poi comparirà nell’interrogatorio che condurrà a morte Gesù.
E in maniera brutale gli chiedono: “Tu chi sei?” sono le tenebre che detestano questa luce che Giovanni sta risvegliando. Egli confessò e non negò. Confessò: “Io non sono il Cristo”. E’ quello che temono. Si sapeva che il Cristo, il messia sarebbe venuto a deporre l’intera gerarchia religiosa per indegnità, per corruzione. Ed è quello che temono.
Se anche nelle preghiere desideravano, auspicavano l’avvento del messia, in realtà lo temevano perché sapevano che con il messia per loro sarebbe stata la fine; il messia avrebbe fatto piazza pulita del sacerdozio corrotto e compromesso. Allora gli chiesero: “Chi sei, dunque? Sei tu Elia?” Si credeva che il profeta Elia sarebbe venuto prima del messia. “Non lo sono”.
Le risposte di Giovanni sono via via sempre più brevi e più secche. “Sei tu il profeta?” quello promesso da Mosè, “No”, rispose. Gli dissero allora: “Chi sei?” E’ interessante, Dio invia il suo messaggero, ma i sacerdoti e i levìti che dovevano per primi riconoscerlo, non lo conoscono. Gli chiedono “chi sei?”
“Perché possiamo dare una risposta a coloro”, cioè i capi “che ci hanno mandato. Che cosa dici di te stesso?” Tutto questo perché per loro non può essere innocente uno che inizia un’attività senza avere il mandato legittimato da parte delle autorità competenti. Rispose: “Io, voce di uno che grida dal deserto”, e qui l’evangelista cita il profeta Isaia, ma omette il verbo “preparare” inserendo solo “raddrizzare”.
“Rendete dritta la via del Signore”, cioè togliete gli ostacoli. Sono proprio le autorità religiose il massimo ostacolo alla venuta di Gesù, alla sua azione e al suo insegnamento. Quelli che erano stati inviati venivano dai farisei. Meglio tradurre: c’erano gli inviati dai farisei. Per la prima volta appaiono in questo vangelo i farisei e l’ultima volta che compariranno sarà al momento dell’arresto di Gesù.
Queste persone tanto pie, tanto devote, tanto osservanti della legge, sono refrattarie all’azione divina, non riconoscono l’inviato da Dio né in Giovanni, né il figlio di Dio in Gesù, e saranno acerrimi avversari del progetto di Dio sull’umanità.
Essi lo interrogarono e gli dissero: “Perché dunque battezzi”, se Giovanni battezza c’è qualcuno che lo ha riconosciuto come inviato da Dio, ma non sono le autorità religiose, bensì il popolo. “Se non sei il Cristo, né Elia, né il profeta?” Ed ecco la risposta, la denuncia di Giovanni. Giovanni rispose loro: “Io battezzo nell’acqua. In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete”, non lo conoscono e mai conosceranno il  Cristo. Chi vive un rapporto con Dio basato sull’osservanza della legge non potrà mai percepire la presenza di un Dio creatore che si manifesta nella vita. O l’osservanza della legge o l’accoglienza di quello che la vita presenta.
“Colui che viene dopo di me: a lui in non sono degno di slegare il laccio del sandalo.” Questo avvenne in Betània, al di là del Giordano, e il passaggio del fiume da parte di Giosuè per entrare nella terra promessa, ma ora la terra promessa si è trasformata in una terra di schiavitù e di morte dalla quale il popolo dovrà uscire, e questa sarà la missione di Gesù.

 

VOCE DI UNO …

 

il commento di p. Castillo:

Castillo


 1. In questo racconto è chiaro che l’insegnamento e la testimonianza di Giovanni non coincidevano con quello che insegnavano e desideravano gli uomini  della religione. Sappiamo che Giovanni Battista era figlio di un sacerdote, Zaccaria (Lc 1, 5-25). E sappiamo anche che sua madre Elisabetta era della  famiglia di Aronne (Lc 1,5b), la più importante della famiglie sacerdotali di Israele. La cosa più logica è che Giovanni fosse andato al Tempio per continuare  la vocazione di quella famiglia. Invece no. Giovanni Battista è andato nel deserto e lì è vissuto come un asceta, forse tra i monaci o con gli esseni.  Di fatto, in questo modo il Precursore di Gesù ha annunciato una salvezza che non veniva dal Tempio, né dal clero, né dal sacro, né dalla religione consolidata.
Per questo Giovanni destò negli uomini della religione un allarme importante. Ed inviarono sacerdoti, leviti e farisei ad interrogare Giovanni. Volevano  sapere chi fosse quello strano predicatore che annunciava una nuova luce, al di là del Giordano, fuori della città santa, del territorio della religione  ufficiale, che non tollera che si annunci una luce al di fuori di lei.
2. Giovanni non accetta alcun titolo. Si vedeva come un “nessuno” (E. Galeano). Giovanni pensava che era solo una voce che grida nel deserto. Non si tratta  di umiltà. La chiave sta nel fatto che solo nello spogliarsi di ogni pretesa uno può essere testimone autorizzato della Luce, che è Gesù.
3. Giovanni è stato una voce, ascoltata ed accolta da alcuni, “i pubblicani e le prostitute” (Mt 21,32) e rifiutata da altri, i “sacerdoti e gli anziani”  (Mt 21,32. Cf. Mt 21,23). I “nessuno” ascoltano ed accolgono la voce del Signore. I “titolati” la rifiutano. Il Vangelo sconvolge le nostre sicurezze ed  il nostro “ordine”. Gesù (che era annunciato da Giovanni) era il chaos, di fronte al cosmos. Il nostro falso “ordine” trova una soluzione mediante il “disordine”  che è il Vangelo.

MA TU CHI SEI?

il commento di p. Agostino Rota Martir a partire dalla condivisione della sua vita coi rom di Coltano (Pisa)

agostino

Se sono dei bambini a chiedertelo, la cosa e’ del tutto legittima ed innocua: curiosità, interesse..ma se sono i “grandi” (sacerdoti e leviti) a interrogarsi sulla tua identità, la cosa è più preoccupante e presenta dei possibili rischi.

Noi grandi in genere, vogliamo identità chiare e sicure, ben definite e consolidate, possibilmente confermate e verificate da chi sta in alto. Non ci piacciono tanto quelle “fluide”, mischiate, non del tutto controllabili dai centri preposti. Figurarsi poi se qualcuno dal deserto, richiama così tanta gente, addirittura dalla città Santa, Gerusalemme. Sospetto misto a invidia?

“Tu, chi sei?” Glielo ripetono una seconda volta. E’ comprensibile d’altronde il deserto e’ uno dei luoghi sospetti e chi ci vive segue la stessa sorte. Come la Galilea delle genti, toccherà anche a Gesù attraversare lo stesso sospetto e diffidenza. È il destino delle periferie, di ieri e di oggi, quello di contagiare senza appello chi ne fa parte fisicamente. La diffidenza accompagnerà ovunque e chiunque viene da una delle periferie. Ne sanno qualcosa i Rom che abitano nei campi, ma anche chi ci vive dentro (come il sottoscritto) o chi li frequenta: “poco credibili” agli occhi della maggioranza e dei palazzi.

Troppo di parte, compromessi o esagerati.

“Che cosa dici di te stesso?”

È un interrogatorio vero e proprio!

Difficile credere che chi vive in periferia, possa dire cose utili e vere anche per chi sa di essere a posto, cittadino esemplare e buon credente.

In genere parlano altri, chi ha i requisiti in ordine, chi ha l’incarico ufficiale di assistere e decidere sulla vita degli altri, possibilmente accettando in silenzio le condizioni imposte da chi gestisce la vita altrui: identità sospette, da decifrare, catalogare e rimettere nella normalità..rieducare.

 

“Venne un uomo mandato da Dio: il suo nome era Giovanni. Egli venne come testimone per dare testimonianza alla luce..”

Testimone, e’ un compito che Giovanni certo non se lo e’ dato da sé. È la vita che modella il testimone, in un certo senso lo incorona tale..perché lui e non un dottore della legge, teologicamente ben più preparato del Battista? Perché proprio un deserto e non il Tempio, orgoglio di Israele?

Senza periferia il mondo, la Chiesa stessa perderebbe la possibilità di veder fiorire i suoi testimoni-profeti. In un certo senso i “deserti” sono il grembo fecondo, nel quale Dio non si stanca mai di seminare la sua Luce per guidare l”intera umanità.

Al testimone, Dio chiede la fedeltà alla vita che ha tra le mani, la costanza della ricerca e di non spegnere mai la luce della fede, anche nelle prove che dovrà attraversare..senz’altro gli perdonerà le sue imperfezioni teologiche e pastorali: “Perché dunque tu battezzi, se non sei il Cristo, né Elia, né il profeta?”.

 

Ecco, siamo un po’ tutti chiamati a lasciarci “battezzare” dalle nostre periferie e dai nostri deserti.

 

Campo Rom di Coltano (PI)

11 dic. 2014

 

 


 

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