Mattwew Fox in Italia

funghetti

Intervista di Silvia Lanzi al teologo americano Matthew Fox

A poco più di due anni dall’uscita del suo libro ‘In principio era la gioia’ il teologo americano Matthew Fox torna in Italia per una serie di conferenze che lo porteranno dal 23 settembre al 2 ottobre 2013 a Verona, Rimini, Roma, Torino, Milano e Firenze.
Sostanzialmente si tratta di una serie di incontri e di seminari nei quali Fox svilupperà le idee cardine che sostengono la sua visione antropologica dell’uomo e il significato profondo e divino della felicità nel piano salvifico di Dio.

Come mai ancora in Italia a poco tempo dal lancio del suo ultimo libro (In principio era la gioia)?

La risposta a quel libro in Italia è stata profonda. Vorrei incontrare altri italiani per incoraggiarli a continuare a scoprire la tradizione antica e profonda della spiritualità del creato che è parte integrante del genio italico (pensate, per cominciare, a san Francesco, san Tommaso e Dante) e che è ciò di cui il mondo oggi ha bisogno come giustizia ecologica, giustizia sociale, giustizia di genere, giustizia di “preferenza di genere” [per i diritti delle persone omosessuali, n.d.t.], festa, gioia, comunità. Inoltre ci sono altri libri miei che sono stati pubblicati o stanno per essere pubblicati in italiano, compreso il volume Creatività, e chi conosce meglio la creatività degli italiani?

Lei sottolinea in questo ciclo di conferenze, come del resto in “In principio era la gioia”, il tema della gioia, della spiritualità e del rinnovamento. In che cosa si differenzia, se si differenzia, dall’impostazione cattolica “classica”?

Il vecchio insegnamento riguardo al cammino spirituale parlava di purgazione, illuminazione e unione. Questo non è biblico e non è ebraico. Viene da Plotino, un filosofo del terzo secolo che non conosceva la Bibbia o i Vangeli. Esclude la gioia, esclude la creatività, esclude la giustizia. Tommaso dice: “La gioia è il più nobile degli atti umani”. Perché non cominciare da lì?
L’archeologo femminista Marija Gimbutas dice che “l’essenza della civiltà della dea era la celebrazione della vita”. Perché non cominciare da lì? Perché non possiamo costruire un movimento spirituale globale a partire dalla gioia e dalla giustizia invece che dalla purgazione? La vita ha le sue lotte, e certamente anche i suoi momenti di purgazione. Ma non c’è motivo di aggiungerne altri. Un rabbino ha detto: “La gioia è una mitzvah”, cioè una buona azione. Questa è la tradizione di Gesù.

Qual è la sua idea sul nuovo pontefice?

Il suo rifiuto di andare a vivere nel palazzo, la sua forte condanna del “capitalismo selvaggio”, la sua apertura alle piccole comunità, i suoi sforzi di iniziare a fare pulizia per quanto riguarda gli scandali della pedofilia, la banca vaticana e l’intorpidimento della curia; la sua scelta di alcuni preti che non sono dell’Opus Dei come vescovi, la sua apertura al dialogo con persone di altre fedi e con gli scienziati (penso al suo libro di dialoghi con il rabbino argentino che è anche uno scienziato) e la sua apertura all’ascolto… tutte queste cose fanno ben sperare.
Ho scritto una serie di lettere a questo papa nel mio nuovo libro Lettere a Papa Francesco. In queste lettere lo sfido a essere fedele al suo nome, che ha scelto lui stesso per sottolineare il suo impegno nei confronti dei poveri e dell’ecologia. Vorrei vederlo viaggiare per il mondo insieme al Dalai Lama per parlare delle pressanti questioni morali del nostro tempo, inclusa la disoccupazione, il modo in cui trattiamo la terra e il modo in cui trattiamo le donne. Proprio sui questo sembra che il papa abbia molto da imparare.
Ha detto che non esiste una teologia delle donne, che è un’affermazione assurda. Le donne fanno teologia da tempo, e alcuni teologi maschi sono femministi da tempo (io lo sono da 45 anni), ma siamo stati condannati a più riprese dai due papi precedenti.
L’obiezione principale di Ratzinger alla mia teologia, quando mi ridusse al silenzio, fu che ero “un teologo femminista” e che chiamavo Dio “madre”. Molti mistici medievali chiamavano Dio “madre”, ma la Chiesa patriarcale istituzionale è contro le donne in maniera viscerale.

Quali sono i suoi progetti futuri?

La prossima settimana esce il mio nuovo libro Occupy Spirituality. Si tratta di un dialogo con Adam Bucko, un giovane straordinario che lavora con i giovani adulti che vivono per strada nella città di New York. Il libro riguarda la generazione dei giovani adulti, ne abbiamo intervistati molti, sia per mezzo di questionari sia con la telecamera, e abbiamo incluso le loro parole nel libro. Come vedono loro la spiritualità, la religione, la Chiesa, le generazioni precedenti? Cosa pensano del rapporto tra sessualità e spiritualità? Cosa pensano delle pratiche spirituali? In realtà il libro tratta del futuro della religione/spiritualità. La chiave è il misticismo unito alla lotta, la contemplazione unita alla giustizia sociale, in una parola: l’attivismo spirituale.

Ho appena terminato il manoscritto di un altro libro su Meister Eckhart, che ho intitolato Meister Eckhart: A Mystic-Warrior for our Times e in cui lo metto a confronto con altre persone come Thich Naht Hahn, Bede Griffiths, David Korten, Heschel e Alce Nero. Eckhart era così profondo che può entrare in un profondo dialogo ecumenico con questi grandi pensatori contemporanei.

Continuo ad occuparmi delle Messe Cosmiche che combinano danza estatica e culto (ne abbiamo appena creata una alla Sounds True Conference in Colorado), e di Awe Project, [cioè “progetto stupore”, n.d.t.] che riguarda la reinvenzione dell’educazione per i bambini che vivono nei quartieri poveri, un tipo di insegnamento che inizia con la creatività e porta alla luce la saggezza che è viva dentro di loro. Il direttore di questo progetto si trova in questo momento in Messico per lavorare insieme a dei giovani locali.

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Gutierrez a Mantova

Rizzi

aiutati da A. Rizzi a comprendere la teologia della liberazione:

La teologia della liberazione fa pensare all’America latina, ai preti che lottavano contro la povertà, e il papa che temeva quella lettura «estremista» del Vangelo. A inventare nel 1971 il termine “teologia della liberazione” che poi si diffuse nel mondo intero fu Gustavo Gutiérrez, un teologo peruviano, che nel 1984 fu chiamato a Roma e rischiò la scomunica. Gutiérrez verrà a Mantova domenica al Festivaletteratura (evento 225, ore 16, basilica di Santa Barbara) per confrontarsi con Gerhard Ludwig Müller, ex prefetto dell’ex Sant’Uffizio, successore di Ratzinger, il maggior oppositore di Gutiérrez. Sarà un incontro di enorme atualità ora che c’è papa Francesco. Nella nostra città vive Armido Rizzi, un teologo gesuita che ha lasciò il sacerdozio perché credeva in una nuova teologia, poi si è sposato con una mantovana, dal 1980 al 2007 è stato animatore del Centro Sant’Apollinare (Fiesole), promuovendo la divulgazione teologica. A Mantova continua la ricerca, incrociando il religioso, l’etico e il politico. Armido Rizzi ricorda bene quando in Italia, la Queriniana di Brescia pubblicò, quasi subito “La teologia della liberazione”. E lui stesso andò in Perù dove visse per vari mesi. Non si poteva tacere lo sfruttamento di quel Paese, dove «l’1% della popolazione riceve il 30% del reddito nazionale, e il 30% più povero solo il 5%» e il resto del Sudamerica aveva situazioni simili. Come potevano i cristiani non interrogarsi? «La riflessione teologica – scriveva Gutiérrez – fa parte del diritto di pensare di un popolo sfruttato e cristiano. E’ la fede del povero nel Dio liberatore». E Armido Rizzi, nel suo “L’oro dl Perù: la solidarietà dei poveri”del 1984, cita questa frase e si chiede anche perché «fa paura Gutiérrez». Cristo ha promesso il paradiso ai poveri, ma qui sulla terra? E’ una domanda che in tanti sacerdoti si facevano, ma che le gerarchie temevano sfociasse nel marxismo. Finchè Ratzinger bocciò la teologia della liberazione. Rizzi ricorda Oscar Romero, assassinato sull’altare in Salvador ed è in contatto con l’unico che si salvò di una strage precedente di sacerdoti. Romero inizialmente non vedeva bene la teologia della liberazione, ma poi era cambiato. Finì ucciso da sicari dei servizi segreti, «deviati» diremmo in Italia. Mentre Gutiérrez rifletteva, la democrazia cilena finiva con il golpe e la morte di Allende, l’11 settembre del 1973, esattamente 40 anni fa. «Sono temi attualissimi – spiega Rizzi -. Allora c’era la teoria del “desarrolismo”: con lo sviluppo in 30-40 anni i paesi poveri sarebbero diventati ricchi, ma non è stato così. Negli Usa invece si faceva strada la teoria neomarxista della dipendenza: i paesi poveri sarebbero rimasti tali perché dipendenti dai paesi ricchi, costretti a produrre e vendere ciò che impongono le multinazionali e ai loro prezzi». Gutiérrez ha incontrato Rizzi a Firenze nel 2001. E gli si è rivolto così: «Noi siamo amici!». Poi, alla domanda: «La teologia della liberazione sta morendo?», ha risposto: «Si è allargata: è la teologia di tutte le religioni».

Maria Antonietta Filippini

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la lettera del papa a Putin

Putin

LETTERA DEL SANTO PADRE FRANCESCO AL PRESIDENTE DELLA FEDERAZIONE RUSSA, S.E. IL SIG. VLADIMIR PUTIN, IN OCCASIONE DEL VERTICE DEL G20 DI SAN PIETROBURGO

A Sua Eccellenza
Il Sig. Vladimir PUTIN
Presidente della Federazione Russa

Nell’anno in corso, Ella ha l’onore e la responsabilità di presiedere il Gruppo delle venti più grandi economie mondiali. Sono consapevole che la Federazione Russa ha partecipato a tale Gruppo sin dalla sua creazione e ha svolto sempre un ruolo positivo nella promozione della governabilità delle finanze mondiali, profondamente colpite dalla crisi iniziata nel 2008.

Il contesto attuale, altamente interdipendente, esige una cornice finanziaria mondiale, con proprie regole giuste e chiare, per conseguire un mondo più equo e solidale, in cui sia possibile sconfiggere la fame, offrire a tutti un lavoro degno, un’abitazione decorosa e la necessaria assistenza sanitaria.

La Sua presidenza del G20 per l’anno in corso ha assunto l’impegno di consolidare la riforma delle organizzazioni finanziarie internazionali e di arrivare ad un consenso sugli standard finanziari adatti alle circostanze odierne.

Ciononostante, l’economia mondiale potrà svilupparsi realmente nella misura in cui sarà in grado di consentire una vita degna a tutti gli esseri umani, dai più anziani ai bambini ancora nel grembo materno, non solo ai cittadini dei Paesi membri del G20, ma ad ogni abitante della Terra, persino a coloro che si trovano nelle situazioni sociali più difficili o nei luoghi più sperduti.

In quest’ottica, appare chiaro che nella vita dei popoli i conflitti armati costituiscono sempre la deliberata negazione di ogni possibile concordia internazionale, creando divisioni profonde e laceranti ferite che richiedono molti anni per rimarginarsi. Le guerre costituiscono il rifiuto pratico a impegnarsi per raggiungere quelle grandi mete economiche e sociali che la comunità internazionale si è data, quali sono, per esempio, i Millennium Development Goals.

Purtroppo, i molti conflitti armati che ancora oggi affliggono il mondo ci presentano, ogni giorno, una drammatica immagine di miseria, fame, malattie e morte. Infatti, senza pace non c’è alcun tipo di sviluppo economico. La violenza non porta mai alla pace condizione necessaria per tale sviluppo.

L’incontro dei Capi di Stato e di Governo delle venti maggiori economie, che rappresentano due terzi della popolazione e il 90% del Pil mondiale, non ha la sicurezza internazionale come suo scopo principale. Tuttavia, non potrà far a meno di riflettere sulla situazione in Medio Oriente e in particolare in Siria. Purtroppo, duole costatare che troppi interessi di parte hanno prevalso da quando è iniziato il conflitto siriano, impedendo di trovare una soluzione che evitasse l’inutile massacro a cui stiamo assistendo.

I leader degli Stati del G20 non rimangano inerti di fronte ai drammi che vive già da troppo tempo la cara popolazione siriana e che rischiano di portare nuove sofferenze ad una regione tanto provata e bisognosa di pace. A tutti loro, e a ciascuno di loro, rivolgo un sentito appello perché aiutino a trovare vie per superare le diverse contrapposizioni e abbandonino ogni vana pretesa di una soluzione militare.

Ci sia, piuttosto, un nuovo impegno a perseguire, con coraggio e determinazione, una soluzione pacifica attraverso il dialogo e il negoziato tra le parti interessate con il sostegno concorde della comunità internazionale. Inoltre, è un dovere morale di tutti i Governi del mondo favorire ogni iniziativa volta a promuovere l’assistenza umanitaria a coloro che soffrono a causa del conflitto dentro e fuori dal Paese. Signor Presidente, sperando che queste riflessioni possano costituire un valido contributo spirituale al vostro incontro, prego per un esito fruttuoso dei lavori del G20.

Invoco abbondanti benedizioni sul Vertice di San Pietroburgo, su tutti i partecipanti, sui cittadini di tutti gli Stati membri e su tutte le attività e gli impegni della Presidenza Russa del G20 nell’anno 2013. Nel chiederLe di pregare per me, profitto dell’opportunità per esprimere, Signor Presidente, i miei più alti sentimenti di stima.

Dal Vaticano, 4 settembre 2013

FRANCESCO

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il card. Ravasi sul digiuno indetto dal papa

 

giglio rosso

le riflessioni del card. Ravasi a proposito del digiuno indetto da papa Francesco sabato prossimo per scongiurare la guerra in Siria:

«Guardi, c’è un’immagine suggestiva anche nella Grecia classica. Socrate frequentava l’agorà di Atene, passeggiava per il mercato, ascoltava le chiacchiere in piazza e osservava le merci, i beni materiali. Ai discepoli che gli chiedevano perché lo facesse rispose: “Perché così scopro tutte le cose di cui non ho bisogno”».
Il cardinale Gianfranco Ravasi sorride, «non che c’entri direttamente col digiuno, però…», però il senso alla fine è lo stesso, almeno a un primo livello. Non è strano che papa Francesco abbia indetto per sabato una giornata «di digiuno e preghiera» per la pace, invitando ad «unirsi, nel modo che riterranno più opportuno» anche i cristiani non cattolici, i fedeli di altre religioni e pure «quei fratelli e sorelle» che non credono. «Il digiuno, anzitutto, è uno dei grandi archetipi universali. Non si tratta solo di astenersi dal cibo, non è una dieta. Il digiunare esprime un elemento simbolico attraverso la componente fondamentale con la quale comunichiamo, il corpo. Il nostro corpo è il grande segnale attraverso il quale mandiamo messaggi, esprimiamo sentimenti, mostriamo anche capacità di trascendenza e mistero…».
Lo stesso Gesù, nel Discorso della montagna, parla con sarcasmo degli «ipocriti» che assumono «un’aria malinconica» e «si sfigurano la faccia» per mostrare che digiunano. «Il digiuno significa entrare nell’essenzialità, spogliandoci di tutte le sovrastrutture. Per questo nella tradizione è spesso accompagnato dal silenzio, da pratiche simboliche esteriori come ritirarsi nel deserto che a sua volta è una metafora del digiuno: le necessità ridotte all’essenziale, alla sopravvivenza». In questo senso ha un valore «squisitamente antropologico e come tale universale».
Un primo segno di distacco dalle cose concrete, quindi anche dalla violenza del mondo. «Far cadere le spoglie inutili», soprattutto oggi: «L’ingordigia consumistica che sa di morte, come ne “La grande abbuffata” di Marco Ferreri», considera il «ministro» della Cultura vaticano. Ma questo è solo l’inizio. Il digiuno «apre a dimensioni di tipo religioso o più generalmente spirituale». La prima, «che troviamo anche nel Ramadan islamico», collega il digiuno a una dimensione sociale, alla generosità e alla carità: «Nel libro di Isaia, al capitolo 58, il profeta elenca ciò che il Signore vuole, il digiuno a lui gradito: “Sciogliere le catene inique, togliere i legami dal giogo, rimandare liberi gli oppressi, spezzare ogni giogo, dividere il pane con l’affamato, introdurre in casa i miseri, i senza tetto, vestire uno che vedi nudo, non distogliere gli occhi da quelli della tua carne”». Un elemento «che diventerà fondamentale nel cristianesimo, anche se poi la pratica si perderà un po’, fino ad essere considerata autoafflittiva ».
La seconda dimensione «diverrà fondamentale nell’ascetica cristiana ma già la vediamo nell’immagine di Gesù nel deserto: il digiuno della mente, l’astensione da ogni forma di superficialità, dai rumori, dalle distrazioni. Una catarsi interiore, spirituale, culturale». Di qui si arriva al terzo elemento del digiuno: «È la trascendenza. Dopo aver operato la carità e cancellato le cose inutili e la chiacchiera, sei solo con la tua coscienza. Attraverso l’essenzialità del digiuno si cerca tutto ciò che è divino, mistero, trascendenza. È ciò che dice Gesù: “Non preoccupatevi per la vostra vita, di quello che mangerete o berrete…”. Il digiuno dell’anima crea il vuoto: per fare entrare il divino». E per i non credenti? «Si fa spazio alle grandi domande: come essere uomini di pace, di giustizia».
Ma il digiuno è rivolto agli uomini o a Dio? «Certo il punto di partenza è antropologico, ha a che fare con la libertà e la coscienza dell’uomo. Ma l’ultima dimensione che dicevo è quella in cui uno incontra Dio e la Sua volontà. Fai il vuoto per lasciare entrare Dio. Qui il digiuno si connette alla preghiera. Nella tradizione biblica c’è un altro elemento importante, che vediamo nel Kippur ebraico ma non solo: l’espiazione del peccato. Il digiuno come modo di implorare la liberazione dal male. Ed è qui che deve intervenire Dio: tu prepari il terreno all’irruzione del divino. Nel non credente, alla tensione verso l’oltre».
C’è chi dice: non fermerà la guerra, non è utile. Il grande biblista scuote il capo: «Il digiuno corale di milioni di persone ha un significato anche politico, nel senso alto del termine. Magari i politici decideranno altrimenti, ma non potranno ignorare il desiderio corale di pace che si esprime nel mondo. Per un cristiano, in particolare, si tratta anche di vivere la storia in maniera più autentica, di incidere nella tua coscienza e nell’azione del mondo». In che senso, eminenza? «Nel Vangelo Gesù dice quello è un momento di gioia, ma “verranno giorni quando lo sposo sarà loro tolto, e allora digiuneranno”. Il lungo peregrinare nella storia esige questa sobrietà, questa vigilanza. Essere attenti ai segni dei tempi, specie in momenti come questi, nei quali sembra che Dio sia assente e che gli uomini impazziscano. Non una dieta, ma come un colpo di staffile. È il tempo della storia. Il momento della prova».

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a proposito del digiuno contro la guerra

Don-Farinella

ha molte ragioni don Paolo Farinella nell’esprimere le sue riserve ad una adesione entusiasta e convinta ad una iniziativa, il digiuno organizzato dal papa per sabato prossimo contro la guerra, iniziativa in sé molto opportuna e significativa ma di fatto inquinata dalla presenza di personaggi non proprio amanti della pace …

DIGIUNO PER LA PACE!
di Paolo Farinella, prete

 

 

NEL RISPETTO ASSOLUTO PER PAPA FRANCESCO,

 DICO NO!

 

  Volevo anche io aderire all’invito di Francesco papa per un giorno di digiuno per la Pace in Siria, sabato 7 settembre 2013, mentre i G20 a San Pietroburgo, mangiano caviale e salmone e decidono la guerra o meglio la vendita di armi, sempre redditizia. Poi leggo che vi aderiscono: Mario Mauro, ministro italiano della guerra, sempre in quota CL, già Pdl ora montiano e favorevole alla grazia per Berlusconi; Formigoni Roberto, CL celestiale, non nuovo ai rapporti con i Dittatori e indagato anche lui e strenuo difensore di Berlusconi.

 Potrei continuare nella litania dei colpevoli che non dovrebbero nemmeno farsi vedere, se avessero un minimo di coscienza e di dignità. Invece …

A questo punto più che un digiuno per la pace mi pare un coffe break dalle larghe intese con delinquenti e guerrafondai e immorali in passerella da primo piano. No, il casino non fa per me! A tutti un abbraccio affettuoso.

 

L’intenzione di papa Francesco è evangelica perché certi demoni si scacciano solo con la penitenza, il digiuno e la preghiera. La guerra è sempre un demone che nasce dalla pazzia e sfocia nella pazzia senza ritorno. Avrei preferito che avesse posto qualche condizione, del tipo: chi partecipa al digiuno non può fare scelte di guerra; i politici che vi partecipano devo impegnarsi a non vendere armi per fare cassa o semplicemente per mercato d’interesse; chi fa digiuno deve fare pubblicamente dichiarazione di rispetto della legalità sempre, senza eccezioni; chi digiuna deve sempre dire e servire la verità, ecc. ecc.
Capisco che il papa non può controllare tutto e quindi il valore del digiuno è simbolico, cioè un richiamo a tutti a «pensare» sulle scelte e forse anche un invito a fare pressione presso i propri governi.
Nel momento in cui il papa o un altro invita a digiuno «pubblico», questo e la preghiera che lo circonda non sono più «privati», gesti di una coscienza individuale, ma sono atti pubblici che si svolgono in pubblico, con la partecipazione di pubblico. A Genova il cardinale Bagnasco ha convocato la diocesi in cattedrale per le ore 19,00 e fino alle ore 23,00. Se fosse un atto privato, bastava che ognuno entrasse nella propria stanza, dove nessuno lo vede, tranne il Padre, e lì pregasse per conto proprio, anche idealmente unito a milioni forse miliardi di persone.
Quello che si celebra sabato è un «atto pubblico» a tutti gli effetti che ha incidenze pubbliche e anche personali. Io penso che sia un atto spirituale di pressione politica, senza nulla togliere al valore e all’importanza del gesto in sé. Dico che è legittimo.
La preghiera non è mai privata, perché sarebbe intimismo, ma la preghiera è sempre un atto «ecclesiale», cioè comunitario, anche quando si fa da soli. Pregare non è dire formule, ma illimpidirsi lo sguardo per essere capaci di vedere la realtà con gli occhi di Dio, aiutarsi a rispondere alla domanda: se Gesù fosse al mio posto, che cosa farebbe? Se pregare è dire un rosario, cioè meditare alcuni misteri e appagarsi, allora è vuota. Pregare è amare e lasciarsi amare e in questo contesto perdere tempo per chi si ama. A volte ho la sensazione che preghiamo come ultima spiaggia perché «non c’è altro da fare», squalificando così la preghiera come fallimento e impotenza. Pregare è impegnarsi a «cambiare testa/pensiero/modo di vedere e di scegliere».
In questo senso sono d’accordo con chi dice che la presenza strumentale di certi figuri, denigra loro stessi, anche se questi hanno la faccia di bronzo e non si denigrano affatto, ma ne sfruttano l’occasione proprio perché senza coscienza. Nello stesso tempo, voglio dirlo chiaro: chi è fuori posto sono loro che sono la negazione del digiuno in sé e specialmente del digiuno che abbia come obiettivo la Pace.
Proprio in questi giorni è «scaduto» come ordinario militare, il generale di corpo di armata, mons. Pelvi, capo dei cappellani militari che parteciperanno in massa al digiuno e alle celebrazioni con papa. Sono quelli che chiamano la guerra «missione di pace» e parlano di «carità profetica» degli eserciti, dei soldati che fanno della vita e che il servizio militare non è compreso «da coloro che esaltano la pace ad oltranza». Costoro insieme a molti partecipanti al digiuno hanno sempre fatto scelte «politiche» di guerre. Sempre. Volevo solo dire che come la Costituzione m’impone e il Vangelo mi obbliga «ripudio la guerra», ma ripudio anche loro, in quanto rappresentanti di una politica e di una religione che non mi appartengono.
Certo, pregare è un valore, un altissimo valore, ma come nei primi secoli, si allontanavano i catecumeni dalla Eucaristia perché non ancora battezzati, sarebbe stato bello e sarebbe bello se, come ha fatto a Lampedusa (dove non ha voluto Al Fano che scalpitava per essere accanto al papa e servirsene come propaganda), il papa avesse detto: Indico una giornata di digiuno riservata ai cattolici, ai cristiani, ai laici. Non sono invitati i politici, che in quanto tali, hanno le mani in pasta e nemmeno i cappellani militari, i vescovi militari in corso, in congedo o defunti perché chiunque indossa una mimetica non può pregare per la Pace, né digiunare contro la Guerra.
Tutto qui. Non una virgola di meno né di più. E’ così fuori dalla logica?

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