tempi brutti per i rom – la storia triste dell’Europa si sta ripetendo a Roma con politiche di esclusione per i rom

Roma è un laboratorio delle politiche di esclusione dei rom

all’interno del Camping River, Roma, il 24 luglio 2018

Nel primo pomeriggio del 17 luglio 2018 un uomo si è affacciato dalla sua casa al settimo piano di un palazzo di via Palmiro Togliatti, a Roma, e ha sparato con una carabina ad aria compressa colpendo una bambina di 15 mesi, Cirasela, che era in braccio a sua madre sul marciapiede della strada a scorrimento veloce nella periferia orientale della capitale.

Con il marito e i figli la donna stava rientrando nella sua baracca, costruita in un affossamento sotto il ciglio della strada, in un campo nascosto alla vista dei passanti dietro a dei cespugli di erbe infestanti e a una recinzione, in cui vive da qualche anno.

Si è sentito uno sparo, la bimba è scoppiata a piangere e i genitori si sono accorti che perdeva sangue da una spalla: è stata subito chiamata un’ambulanza che ha portato Cirasela all’ospedale dove è stata operata d’urgenza. Dalla schiena della bambina è stato estratto “un corpo metallico molto simile a un piombino di una pistola ad aria compressa”. Dopo qualche giorno di ricovero in terapia intensiva all’ospedale Bambin Gesù di Roma, la bambina è stata trasferita nel reparto in cui è ancora ricoverata. Rischia danni permanenti alla deambulazione a causa di una lesione vertebrale che ha toccato il midollo spinale.

Il clima di ostilità verso i rom in città si nutre della mancanza strutturale di politiche pubbliche di inclusione

Qualche giorno dopo la sparatoria, i carabinieri hanno individuato l’uomo che ha sparato. Si tratta di un pensionato di sessant’anni, ex impiegato del senato, che ha ammesso di aver usato la sua carabina ad aria compressa, ma assicura di aver colpito la bambina per errore.

Il padre di Cirasela, Otet Alinna, non è convinto che si sia trattato di un errore: “Se fosse stato solo uno sbaglio, l’uomo sarebbe venuto in ospedale, ci avrebbe chiesto scusa. Io lo avrei capito”, dice Alinna. Invece i genitori di Cirasela hanno saputo che lo sparo era stato esploso da un appartamento al settimo piano di un palazzo solo qualche giorno dopo l’accaduto, all’inizio avevano pensato a qualcuno che aveva sparato da un’auto in corsa. Ora hanno paura che la salute di Cirasela sia compromessa per sempre.

Anche le altre famiglie rom che abitano nella zona e frequentano un parco alberato a pochi passi dall’accampamento temono che i loro bambini possano essere di nuovo attaccati da qualcuno. L’accusa contro l’uomo che ha sparato è di lesioni aggravate, ma per ora gli inquirenti escludono il movente razzista.

Per le associazioni che si occupano dei rom nella capitale, tuttavia, il clima di ostilità verso i rom in città si nutre della mancanza strutturale di politiche pubbliche di inclusione. A Roma, anzi, ancora resiste il “sistema dei campi” per cui l’Italia è stata richiamata diverse volte dalle autorità europee. L’Italia è uno dei paesi dell’Unione europea dove abitano meno rom (tra le 120mila e le 180mila persone, lo 0,2 per cento della popolazione). Dagli anni ottanta, in alcune città italiane si è deciso di sgomberare gli accampamenti spontanei e di confinare i rom, i sinti e i camminanti all’interno di campi di container gestiti dallo stato, lontano dalle città. Roma è la città con più campi statali e in questi insediamenti vivono circa cinquemila persone. Oltre ai campi riconosciuti ci sono poi molti campi informali.

Da diversi anni una sessantina di persone vive nell’accampamento informale in cui stava Cirasela con i suoi genitori: sono famiglie di rom romeni arrivati in Italia dopo l’entrata della Romania nell’Unione europea nel 2007, lavoratori stagionali arrivati nella capitale con l’idea di rimanere per un breve periodo. Vivono in campi informali senza servizi, sempre a rischio di essere sgomberati, in particolare nel quadrante orientale della città in cui c’è una presenza storica della comunità rom.

I sette campi rom ufficiali a Roma -

i sette campi rom a Roma

 

Carlo Stasolla, presidente dell’Associazione 21 luglio, racconta come già lo scorso anno proprio in quell’insediamento fosse scoppiata una forte tensione tra gli abitanti del quartiere e le famiglie rom. Nel luglio del 2017 il campo era stato distrutto da un incendio partito da un centro sportivo nelle vicinanze. Le fiamme avevano costretto le famiglie a trasferirsi temporaneamente nel parco vicino e poi in altre piazzole lungo via Palmiro Togliatti. Quando poi è rinata l’erba nello spazio in cui sorgeva il primo accampamento, le famiglie sono tornate a viverci.

Tuttavia, nel corso dell’estate la permanenza delle famiglie nel parco giochi aveva infastidito gli abitanti dei palazzi limitrofi che avevano protestato con le autorità cittadine. Ma invece di trovare una soluzione per le famiglie rom in emergenza abitativa, le autorità avevano deciso di chiudere la fontanella di acqua potabile nel parco giochi in modo da rendere ancora più inospitale lo spazio. “Con le temperature estive molto alte e la situazione difficile delle famiglie la chiusura della fontanella è stato un accanimento, senza che fosse risolta la tensione che si era creata con gli abitanti dei palazzi”, dice Stasolla.

Per il presidente della 21 luglio ci sono “responsabilità dell’amministrazione” perché l’insediamento di Palmiro Togliatti esiste da circa otto anni, è poverissimo e viene ciclicamente sgomberato, senza che sia trovata una soluzione definitiva per le persone che ci abitano, che finiscono per spostarsi di pochi metri lungo via della Serenissima per poi tornare dopo poco tempo nel vecchio insediamento.

Il presidente dell’Associazione 21 luglio conferma che sono circa 1.800 i rom che nella capitale vivono in campi informali in una situazione di emergenza abitativa, ma accusa anche l’amministrazione capitolina di non avere nessun piano per il superamento di questa situazione. Anzi negli ultimi mesi gli sgomberi sono aumentati e i rom che vivono in emergenza abitativa sono tornati a essere strumentalizzati in “una vera e propria operazione di propaganda” dell’amministrazione capitolina che ha l’appoggio del governo nazionale, accusa Stasolla.

Lo sgombero del Camping river

Esemplificativo di questa strategia è lo sgombero del Camping River, un campo rom a Prima Porta, nella zona settentrionale della città, avvenuto il 26 luglio, nonostante la Corte europea dei diritti umani ne avesse chiesto la sospensione. Circa duecento famiglie sono finite per strada, cacciate dall’unico campo rom della città in cui le condizioni di vita erano accettabili e dove c’era un alto tasso di scolarizzazione tra i bambini.

Il campo era da tempo sotto minaccia di sgombero, ma negli ultimi mesi la situazione aveva subìto un’accelerazione fino a quando la mattina del 26 luglio è andata in scena l’evacuazione e la demolizione del campo da parte delle forze dell’ordine, dopo un incontro tra il ministro dell’interno Matteo Salvini e la sindaca di Roma Virginia Raggi in cui il ministro ha garantito il suo sostegno politico all’operazione. Per motivare lo sgombero, l’amministrazione capitolina ha portato ragioni igienico-sanitarie. Mentre l’operazione era in corso il ministro Salvini ha twittato: “Finalmente si sgombera il Camping River”.

Ma il Camping River non era un campo spontaneo, era stato allestito dall’amministrazione comunale. Era un’ex rimessa di camper in cui nel 2005 la giunta di Walter Veltroni aveva allestito dei container per dare alloggio a duecento persone che erano state sgomberate da un insediamento informale nella zona dell’ex Snia, nel quartiere Prenestino. Nel campo erano in seguito state trasferite famiglie rom romene e dell’ex Jugoslavia. Nel 2010 al gruppo iniziale di famiglie si era aggiunto un altro gruppo di sessanta persone di origine kosovara appena sgomberate dal campo Casilino 900, nella periferia est della città.

Il campo sorgeva su un’area privata e il comune aveva sottoscritto una convenzione con il proprietario del Camping River Massimo Fagiolari che veniva pagato per i servizi che offriva tra cui la guardiania. “Dopo l’esplosione dell’inchiesta Mafia capitale nel 2014 (anche se il Camping River non è stato direttamente coinvolto), c’è stata una maggiore attenzione dell’Autorità nazionale anticorruzione (Anac) perché nel caso del River c’era stata un’assegnazione diretta”, spiega Carlo Stasolla. Per questo, prima il commissario Francesco Paolo Tronca e poi la sindaca Virginia Raggi hanno indetto un bando per l’assegnazione della convenzione.

“Il bando sembrava fatto ad hoc per il Camping River, infatti l’organizzazione che lo gestiva fu l’unica a partecipare”, racconta Stasolla. Nella primavera del 2017 il bando fu però dichiarato inidoneo e poche settimane più tardi, il 31 maggio 2017, la sindaca Raggi presentò il piano rom, nel quale qualche giorno dopo incluse con una delibera specifica anche il Camping River. Nel progetto si annunciava che entro il 2020 sarebbero stati chiusi tre campi, quello della Barbuta, quello di Monachina e il Camping River, usando 3,8 milioni di euro stanziati dall’Unione europea.

Dal 1 luglio al 30 settembre 2017 è partita la prima sperimentazione e si è cominciato proprio con il Camping River. L’ufficio rom, sinti e caminanti del comune di Roma aveva mandato una lettera a tutti gli abitanti del campo – che all’epoca erano più di quattrocento – fissando al 30 settembre la chiusura del campo e in contemporanea aveva cominciato le indagini patrimoniali sulle famiglie per capire chi avesse diritto a entrare nel piano rom. Era emerso che la maggioranza (370 persone) degli abitanti del campo aveva un reddito e un patrimonio inferiore ai diecimila euro all’anno e perciò aveva diritto a entrare nel piano che prevedeva alcune misure di sostegno come un buono affitto fino a ottocento euro al mese per due anni.

Dopo le elezioni si è capito che in breve tempo si sarebbe arrivati a uno sgombero anche in assenza di sistemazioni alternative

Quando sono cominciati i colloqui con le famiglie si è compreso subito che in così poco tempo non era possibile trovare delle case in affitto, così la chiusura era stata spostata al 31 dicembre 2017. “Molte famiglie durante i colloqui chiedevano come potevano trovare un affitto dato che nessuno avrebbe mai affittato una casa a una famiglia rom senza reddito”, racconta Stasolla. E infatti nel corso dei mesi solo pochissime persone sono riuscite a firmare un contratto di affitto e a beneficiare del piano.

Tuttavia, dopo le elezioni di marzo 2018 la situazione è precipitata e si è capito che in breve tempo si sarebbe arrivati a uno sgombero anche in assenza di sistemazioni alternative per gli abitanti del campo. “Il 26 aprile è cominciato il presidio permanente dei vigili al campo e quello di solito è il segnale che lo sgombero è imminente”, racconta Stasolla.

Il 13 luglio la sindaca Raggi ha firmato un’ordinanza in cui chiedeva alle famiglie del River di lasciare il campo entro 48 ore dalla notifica del provvedimento. Lo sgombero è arrivato la mattina del 26 luglio, le persone sono state fatte uscire dal campo, 38 di loro hanno accettato i posti in accoglienza messi a disposizione dalla Sala operativa sociale. Una soluzione che è temporanea (dura al massimo per due mesi) ed è destinata solo alle persone più vulnerabili come le donne con i bambini.

Le donne hanno dovuto però accettare di essere separate dai mariti e di entrare nei centri solo con i loro figli minorenni. Diciannove persone hanno accettato di partecipare ai programmi di rimpatrio volontario in Romania, ma la maggior parte degli sgomberati del Camping River ha dovuto trovare un’altra sistemazione temporanea a casa di amici oppure è rimasto a dormire per strada.

Per prendere le distanze da Salvini, Raggi ha spesso parlato di “terza via” per risolvere la situazione dei rom a Roma: né campi né sgomberi sembrava essere la posizione della sindaca. Ma di fatto nel progetto pilota del Camping River è avvenuto uno sgombero forzato senza che nessuna terza via fosse di fatto sperimentata.

“Se volessimo tirare le fila di tredici mesi di lavoro dell’amministrazione capitolina per superare il Camping River secondo la strategia d’inclusione rom restano, al di là delle violazioni dei diritti umani, i numeri: delle 359 persone ammesse alle azioni del piano rom, alla fine solo il 9 per cento è rientrato nei programmi di rimpatrio assistito o sostegno all’affitto”, sottolinea Carlo Stasolla.

“Il 52 per cento delle famiglie non ha trovato alcuna soluzione e ora è in strada, mentre al 30 luglio 2018 risultano 123 le persone collocate in strutture di emergenza, dove, come da accordi verbali, resteranno solo fino al 30 settembre 2018. Per questa accoglienza il comune di Roma dovrà spendere una cifra stimata di circa 400mila euro”, continua.

“Quello che più ci allarma sono le falsità raccontate ai cittadini durante lo sgombero, una serie di affermazioni che ci fanno pensare alla propaganda e dobbiamo sempre ricordare che di solito le politiche che sono sperimentate sui rom poi vengono applicate anche ad altri settori della società, a partire da quelli più marginali. Ora vedremo che succederà nei grandi campi di Monachina e Barbuta”, conclude Stasolla.

anche a Parigi i rom sono di ‘serie b’ rispetto alla legge

smantellato un accampamento Rom nella periferia di Parigi

scoppia la polemica

non concessa la sospensione dello sgombero, prevista dalla legge, perché hanno occupato con la forza il terreno dopo hanno realizzato l’insediamento

La baraccopoli Rom smantellata a Parigi

la baraccopoli Rom smantellata a Parigi

globalist 28 novembre 2017

La polizia ha smantellato, oggi, un accampamento Rom nella periferia nord di Parigi. All’operazione sono state interessate un centinaio di persone, che sono state ospitate altrove. Si tratta della quarta evacuazione dal 2015 attuato nella zona di Parigi.

Lo smantellamento dell’accampamento di Poissonniers, fatto di capanne di legno, a poca distanza da un tratto ferroviario in disuso, è cominciata intorno alle 7,30 quando un piccolo gruppo di donne e bambini è stato fatto salire su un bus.
“Centotredici persone tra cui 55 bambini (…) sono stati riprotetti”, ha detto, in una nota, la prefettura dell’Ile-de-France. Non ci sono stati problemi durante l’evacuazione, garantina da un centinaio di poliziotti.
In precedenza, circa 250-300 persone, dopo le procedure di identificazione, erano già partite e sistemate in strutture alberghiere o alloggi d’emegenza, cercando di non allontanare i nuclei familiari dalle scuole frequentate dai figli.
Una sistemazione abitativa sarà offerta principalmente a persone vulnerabili, genitori di bambini in età scolare e persone in un processo di integrazione, secondo le linee anticipate dalla prefettura regionale, ricordando che una analisi sociale era stata fatta sulla baraccopoli e la sua composizione.
In previsione dello sgombero, era stato concesso un termine – fino al 10 novembre – per lasciare l’area. Ma da parte delle associazioni che tutelano i diritti umani sono state sollevate perplessità perchè la legge sull’uguaglianza e la cittadinanza, approvata all’inizio di quest’anno, prevede l’estensione anche agli abitanti delle baraccopoli della sospensione degli sgomberi in questo periodo dell’anno. Ma un tribunale deciso che la sospensione non vale per gli abitanti della baraccopoli di Poissonniers, che hanno occupato con la forza il terreno su cui hanno costruito i loro alloggi.

le ‘suore luigine’ lasciano a Torino il campo rom ma non i rom

le suore lasciano i campi rom

“troppi prepotenti, costrette a mollare dopo trentotto anni”

le religiose:
“in via Germagnano serve la presenza delle forze dell’ordine e degli educatori”

suor Rita e suor Carla sono suore Luigine, una congregazione nata nel 1915 ad Alba

dal 1979 sono vissute prima tra i sinti e poi tra i rom della ex Jugoslavia

maria teresa martinengo

«vi chiudiamo dentro, così non andate via. Se ve ne andate questo campo non sarà più come prima»,

ha detto un capofamiglia rom a Rita e a Carla. Ma loro, le suore Luigine che hanno vissuto 38 anni nei campi nomadi di Torino, con le lacrime agli occhi un mese fa hanno lasciato la loro casetta di via Germagnano. «Avremmo voluto restare, ma la nostra età e le condizioni del campo non lo permettevano più», raccontano le religiose, sorelle, 78 e 77 anni. Una frase a testa, con serenità e malinconia insieme, le suore Luigine che ai sinti e ai rom hanno dedicato la vita, dando una mano con i bambini, con le medicazioni, con la burocrazia, raccontano.  

PRESENZA AMICA  

«La nostra è stata e continua ad essere, perché siamo già tornate più volte, una presenza di amicizia, condivisione di vita». Dal 1979 in via Lega, tra i sinti, poi all’Arrivore, gli ultimi quindici anni in via Germagnano. «Ma il campo comunale di via Germagnano, dove vivono 30 famiglie con la residenza, da cinque-sei anni vive un momento brutto. L’abbiamo detto in Comune: l’abbandono in cui versa è un segnale negativo per i rom prima di tutto». Le suore, che raramente si sono espresse in tutti questi anni, ammettono che «le pietre lanciate di notte contro la roulotte di un poveretto da ragazzi, sono il segno che mancano i genitori, che non c’è più autorevolezza». La scuola è trascurata. «I ragazzi non ci vanno, i genitori non insistono. Il pulmino che li portava non c’è più e per le famiglie è difficile accompagnarli: se li mettono sul furgone capita che appena usciti dal campo prendano la multa. Poi, l’impressione è che il diploma di terza media venga dato con una facilità che non è educativa».   

TROPPI PREPOTENTI  

Rita e Carla hanno pianto. «Saremmo rimaste, ma non aveva più senso stare in un posto di cui non si cura più nessuno. Per un po’ ci siamo fermate a pensare alla proposta che i sinti di via Lega, di fronte a via Germagnano, ci hanno fatto. Ci volevano di nuovo con loro, si sarebbero accollati la spesa per comperarci una casa mobile. Ma alla nostra età non avrebbe avuto senso. Così abbiamo accettato la casa che don Ciotti ci ha offerto», spiega Rita. «Certo – aggiunge la sorella, guardandosi intorno nell’appartamento dove si trovano provvisoriamente – per noi come per i rom è difficile abituarci a una casa. Il campo è un’altra vita. Al mattino presto là c’era sempre qualcuno che gridava se volevamo un caffè…».  

I problemi sono arrivati dai prepotenti. «Cinque-sei anni fa è arrivata gente che minacciava, bruciava le case, poi le occupava. Ora piazzano i camper dentro l’area, se ci sono controlli se ne vanno. Alcune famiglie in regola se ne sono andate. Noi – tengono a ribadire – non siamo andate via per i rom, ma per l’abbandono: nonostante questa situazione che colpisce i deboli, là non vanno più né vigili, né cooperative. I volontari vengono derisi. Ci avevano detto, in caso di necessità di chiamare la polizia, finito l’orario dei vigili, ma in sei mesi non è mai arrivata».  

LAVORO PER LE DONNE  

Per Rita e Carla un’altra estate là non sarebbe più stata possibile. Se avessero lasciato la casetta per qualche settimana di riposo, al ritorno probabilmente avrebbero trovato brutte sorprese. Per far sì che il Comune potesse assegnarla a una famiglia in regola e bisognosa, e non venisse, al contrario, occupata da prepotenti, le suore sono rimaste fino all’ultimo: «Mentre uscivamo – ricordano – è entrata una giovane coppia in attesa di un bimbo». Così anche le famiglie vicine in regola sono state protette. «C’era chi ci diceva: se la vostra casa se la prendono “quelli là” noi dovremo andare via». Rita e Carla le loro idee per restituire a via Germagnano un po’ di dignità le hanno spiegate in Comune: «Presenza delle forze dell’ordine, subito, lavoro educativo nel campo. E lavoro per le donne». 

pulizia è fatta: di rottami e di … rom

 

sgomberato il campo rom di Torre del Lago

finalmente sgomberato, finalmente si farà pulizia in nome dell’igiene, del decoro ambientale, elle proteste dei vicini … ma gli abitanti di questa grande marginalità che fine hanno fatto? non sembrano trovarsi risposte, ma forse perché si tratta di un problema secondario rispetto a quello assoluto del decoro … 

 

rom Torre del Lago

“Il campo rom abusivo – si legge in una nota del Comune – versa in una condizione insostenibile a causa del totale stato di criticità determinato da un notevole accumulo di rifiuti di ogni genere. Pertanto, il commissario Romeo ha ritenuto necessario ed urgente, a tutela della salute pubblica, disporre lo sgombero e la pulizia del campo che sarà effettuata a cura di Sea Ambiente. Va precisato che, a causa della mancanza di interventi nel corso degli anni sul campo abusivo di Torre del Lago, ad oggi si conta la presenza di 25 roulotte nelle quali gli ospiti vivono in condizioni oltre che di gravi carenze igieniche anche di potenziale pericolo per la loro (e altrui) incolumità, atteso l’uso incontrollato di bombole di gas e strumenti elettrici. Il Comando di Polizia Municipale agirà inoltre in questi giorni nel campo di Torre del Lago P. sia per effettuare serrati controlli sia per svolgere un’opportuna opera di sensibilizzazione nei confronti degli ospiti a lasciare spontaneamente la zona occupata prima che si proceda all’esecuzione coattiva dell’ordinanza del commissario Romeo”.

 

 

camporomsgomberoE’ iniziato alle 8 di stamani (18 marzo) lo sgombero del campo rom di Torre del Lago: il provvedimento è stato disposto con un’ordinanza firmata il 13 marzo scorso dal commissario prefettizio e già sabato l’ordinanza è stata notificata agli abitanti del campo (nella foto di Iacopo Giannini). “Rispondendo alle istanze di migliaia di cittadini di Torre del Lago e di Viareggio – spiega il Comune in una nota – il commissario Romeo ha fatto eseguire la sua ordinanza con lo sgombero coattivo del sito dove si erano stabiliti diversi Rom con un aumento continuo di roulotte”.

Infatti, nella frazione pucciniana sostavano da anni 25 case mobili – ridotte a relitti – in condizioni igienico-sanitarie di estrema criticità. Nella zona dell’insediamento abusivo sono stati scoperti cumuli di rifiuti nocivi per la salute pubblica e condizioni di rischio per la incolumità degli stessi occupanti. “Numerose bombole di gas – sottolinea l’amministrazione – venivano utilizzate senza alcun controllo, in un ambito in cui gli ospitanti si muovevano senza alcun accorgimento minimo per la sicurezza”.
Il commissario Romeo, utilizzando la norma dell’articolo 54 del Tuel, ha così deciso di porre fine “ad una situazione  – si spiega – insostenibile né più tollerabile, sia per i cittadini di Viareggio e Torre del Lago sia per l’incolumità delle famiglie che in quel sito si erano abusivamente sistemate”.
Stamani la polizia municipale, coordinata dal comandante Vasco Comaschi e le forze dell’ordine coordinate dal dirigente del commissariato di Viareggio, Rosaria Gallucci, hanno provveduto a dare esecuzione al provvedimento commissariale attraverso un’azione svolta anche con una preventiva mediazione verso le famiglie rom a lasciare il campo.
La Sea Ambiente, interessata dal Commissario Romeo, ha così provveduto – secondo le disposizioni impartite – a rimuovere e distruggere le case mobili, “all’interno delle quali – spiega la nota del Comune – erano state riscontrate condizioni igieniche e di sicurezza indescrivibili”. La Sea ora sta procedendo alla ripulitura di tutta la zona dei numerosissimi rifiuti che si sono accumulati nel tempo. “Al fine di evitare che possano ripetersi tali situazioni – spiega il Comune di Viareggio – il commissario straordinario ha disposto un serrato controllo anche nelle ore notturne della Polizia Municipale, non solo nella zona oggetto di bonifica ma anche in altri siti dove potrebbero essere state attivate sistemazioni abusive nel comune di Viareggio, in alternativa a quella sgomberata”. Nell’ambito dei controlli effettuati dagli agenti del commissariato proprio nei pressi del campo rom abusivo, è stato pizzicato un ungherese di 30 anni, domiciliato a San Giuliano Terme.
Dagli accertamenti effettuati sono emersi a suo carico diversi pregiudizi di polizia per reati contro il patrimonio: è stato così munito di foglio di via per tre anni dal territorio dei comuni della Versilia.

 

quale speranza dalle macerie?

 

 “chiudere i campi e avviare percorsi di inclusione sociale si può
ad#‎Alghero‬ è appena successo. Grazie al dialogo e alla collaborazione tra i ‪#‎rom‬, l’associazione ASCE ROM e le istituzioni locali
dopo oltre 30 anni il campo dell’Arenosu è stato sgomberato e per le famiglie ora inizia una nuova vita in cui dar voce ai propri sogni e speranze”

 SPERIAMO!

 

 

 

 

 

 

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