Italia razzista’?

l’Italia non è razzista ma i razzisti ci sono

di Paolo Lambruschi
in “Avvenire”

la vera Italia non è razzista. Lo pensiamo anche noi, perché lo abbiamo verificato tante volte e continuiamo ad averne conferme

Emmanuel nigeriano

Non ci fa cambiare idea neanche il pestaggio mortale di Emmanuel, nostro fratello nato in Nigeria. Non ci fa mutare avviso neanche il gesto orribile di un ultrà della locale squadra di calcio, fermato per «omicidio preterintenzionale con l’aggravante della finalità razziale» e, a quanto pare, non nuovo a intemperanze e violenze. Non è razzista l’Italia, né lo è la popolazione marchigiana e crediamo sia sincero chi oggi si commuove ed è addolorato per quello che è accaduto. L’Italia accogliente di Lampedusa e di Ventimiglia ha molto in comune con le Marche solidali. Questa profonda convinzione non consente, comunque, di abbassare la guardia, perché i segnali di allarme sono numerosi. E i cinici e i razzisti purtroppo ci sono. Per anni li abbiamo visti sistematicamente sottovalutati. Infatti, accanto ai grandi gesti di solidarietà e accoglienza compiuti dalla parte sana del Paese in tante emergenze gestite in modo altalenante dalla pubblica amministrazione, cattivi maestri hanno potuto imperversare diffondendo impunemente in tv, per radio, attraverso giornali compiacenti e sul web fior di menzogne pur di parlare alla ‘pancia’ della gente e guadagnare consensi, popolarità, voti. Come non ricordare, per esempio, chi in Senato ha dato dell’«orango» ad avversari politici nati in Africa, portando l’insulto da osteria nella sede più alta della rappresentanza popolare? E soprattutto come dimenticare chi ha continuato a gridare su tutti i mass media all’«invasione» dei migranti – incurante di ogni smentita dei numeri – ad alimentare sentimenti xenofobi e a predire la «violenza nelle strade»? Questi cinici ‘profeti di sventura’ l’hanno azzeccata. Alcuni si preoccupano di offrire pubblica solidarietà alla fidanzata della persona uccisa. Non è mai troppo tardi, ma non basta. Troppi veleni e troppo male sono stati messi in circolo. Davvero troppi, per non farci altrettanto pubblicamente i conti. È importante, adesso, non sottovalutare più alcun segnale d’allarme.Emmanuel

A cominciare, ad esempio, dagli attentati alle chiese di Fermo compiuti nei mesi scorsi, come ha ricordato più volte don Vinicio Albanesi, e dalle continue intimidazioni ai danni di diverse Caritas diocesane che praticano l’accoglienza (in Romagna non è stato risparmiato neppure un convento di clausura). Gesti compiuti da estremisti di destra. Comunque sia andata l’aggressione mortale (sarà l’autopsia a stabilirlo) anche l’uomo che ha ucciso Emmanuel ha fama di essere di quella brutta scuola e di quegli oscuri manipoli. L’opinione pubblica italiana – che, insistiamo, non è razzista – ha un grosso problema che si potrà risolvere soltanto nel lungo periodo: è il Paese più «ignorante» dell’area Ocse in materia di immigrazione. E la colpa è soprattutto dei giornalisti e dei politici che disinformano o distorcono la realtà dei fatti per mediocri tornaconti. Per di più, storie come quella del giovane nigeriano pestato a sangue, e stavolta a morte, per aver difeso la propria donna, la propria madre, la propria sorella da chi la oltraggia o la chiama «scimmia africana» sono sconosciute ai più, anche se sono purtroppo dannatamente comuni. Raccontiamola di nuovo, in breve. Emmanuel, 36enne richiedente asilo, era un profugo dalla Nigeria, un cristiano che in un assalto compiuto dai terroristi jihadisti di Boko Haram contro la sua chiesa aveva perso i genitori e una figlioletta. Con la sua promessa sposa Chinyery aveva raggiunto la Libia e anche lì i due erano stati aggrediti e picchiati da trafficanti, lei aveva anche subito un aborto durante la traversata. Da settembre la coppia viveva nel seminario vescovile di Fermo, che accoglie profughi e migranti in attesa di documenti, avevano di recente celebrato il rito della benedizione degli anelli. Un
fidanzamento davanti a Dio e alla comunità. È la storia semplice di un amore profondo, di due persone che avevano deciso di condividere la vita e che hanno avuto il torto di nascere e amarsi in una terra dalla quale i cristiani sono costretti a fuggire per sopravvivere. Emmanuel aveva chiesto asilo, Chinyery l’ha ottenuto ieri mentre cantava straziata il dolore per l’amato ucciso. Non si torna indietro, ma se si vuole avere davvero rispetto di quest’uomo e di questa donna e della loro speranza infranta, questa volta non possiamo dimenticare nulla, non possiamo farci riprendere dall’indifferenza. La vera malattia da cui dobbiamo difenderci per non lasciare che i professionisti della paura e della menzogna narcotizzino le nostre coscienze e preparino altre tragedie.

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come si può fare una guerra in buona fede?

In buona fede?

Renato Sacco, coordinatore nazionale di Pax Christi, non riesce a crederlo, e con lui tutti noi!

Renato Sacco

Dopo 7 anni la commissione Chilcot arriva a dire che forse per la guerra in Iraq qualche problema c’è stato. Ma l’interessato, Blair, si scusa, come aveva già fatto Bush, e rivendica la propria ‘buona fede’.
Come si può fare una guerra in buona fede?
war
Come può un presidente o un primo ministro parlare di una scelta del genere, la guerra, fatta in buona fede?
La buona fede è un’altra cosa: è di chi compie un gesto che magari si rivela sbagliato, ma almeno lo ha fatto senza nessun tornaconto o interesse.
Di fronte a questa scelta di guerra dobbiamo chiederci: quali interessi c’erano in campo? Cosa c’era da guadagnare?
La vita degli iracheni non interessava allora e non interessa oggi.
Quanti sono stati i morti per la guerra in Iraq? Sappiamo il numero esatto dei morti inglesi, italiani, statunitensi, ma non degli iracheni.
Alla faccia della buona fede.
Domenica prossima leggeremo a Messa la parabola del buon Samaritano: Gesù ci indica come modello il Samaritano che si ferma, non il sacerdote e il levita che passano oltre.
Papa Francesco, qualche giorno fa, ha denunciato l’ipocrisia di chi parla di pace e alimenta la guerra: “Mentre il popolo soffre, incredibili quantità di denaro vengono spese per fornire le armi ai combattenti. E alcuni dei paesi fornitori di queste armi, sono anche fra quelli che parlano di pace. Come si può credere a chi con la mano destra ti accarezza e con la sinistra ti colpisce?”
Siamo tutti interpellati sulla nostra buona fede: giornalisti, politici.. ma anche ognuno di noi.
Il rischio di abituarci alla guerra, di credere che vendere armi sia un buon affare, l’esultanza per il progetto degli F-35, la convinzione che le banche siano fatte per guadagnare e non ci interessa sapere dove e come investono e sulla pelle di chi, l’indifferenza di fronte alle tragedie ‘lontane’ è un rischio reale per ognuno di noi.
Ne va della nostra buona fede, quella vera.

 

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gli stranieri ci rubano il lavoro? la realtà smentisce gli stereotipi

stereotipi smentiti: gli stranieri non tolgono il lavoro agli italiani

di Linda Laura Sabbadini
in “La Stampa” 

Quando ci sono periodi di crisi, la paura aumenta. Cresce tra i settori più vulnerabili, tra quelli che si sentono più in pericolo. Paura di perdere il lavoro, timore di non ritrovarlo dopo averlo perso. E’ proprio in questi momenti critici, la storia ce lo ha dimostrato, ahimè, che la paura del diverso si accentua ed è facile cadere nell’ottica della ricerca del capro espiatorio. Ricerche condotte nel Regno Unito mostrano quanto ciò abbia influito anche sulla vittoria di Brexit. migranti

La propaganda di diverse formazioni politiche si è particolarmente soffermata su questi aspetti, gli immigrati sono un carico in più per il nostro welfare, ci rubano il lavoro. Ma è proprio così nel nostro Paese? Alcuni dati forniti dall’Inps e altri dall’Istat possono aiutarci a capire. Tito Boeri, presidente dell’Inps, presentando alla Camera l’interessante rapporto annuale ieri ha sottolineato che gli immigrati in termini di contributi sociali versano di più di quanto ricevono in pensioni. Infatti, versano 8 miliardi di contributi sociali in un anno e ne ricevono 3 se si considerano sia pensioni sia altre prestazioni sociali. Danno cioè al nostro Paese 5 miliardi di contributi netti. Certamente questa è una fotografia del presente, quando ancora gli immigrati che percepiscono la pensione sono pochi; un domani sarà diverso, quando ci saranno più pensionati tra gli immigrati. Ma la storia migratoria a livello internazionale ci insegna che in molti casi i contributi previdenziali degli immigrati non si traducono poi in pensioni, perché una parte di essi si spostano di Paese, oppure tornano nel loro, e spesso non arrivano a percepire una pensione nel Paese in cui hanno versato anni di contributi.
«Abbiamo calcolato che sin qui gli immigrati ci abbiano “regalato” circa un punto di Pil di contributi sociali a fronte dei quali non sono state loro erogate delle pensioni. E ogni anno questi contributi a fondo perduto degli immigrati valgono circa 300 milioni di euro» dice Tito Boeri.
Altri dati di fonte Istat smentiscono un altro stereotipo. Non è vero che gli immigrati rubano il lavoro agli italiani. Laddove calano gli occupati italiani non aumentano i lavoratori stranieri. Per esempio, gli occupati italiani nel corso della crisi sono diminuiti nell’industria, commercio, pubblica amministrazione, istruzione e sanità. Gli occupati stranieri sono aumentati nei servizi alle famiglie e negli alberghi e ristorazione, cioè in settori totalmente diversi. In agricoltura calano gli italiani e aumentano gli stranieri, ma i primi calano tra i lavoratori autonomi e i secondi crescono tra i braccianti. Il che significa che il nostro mercato del lavoro continua a mantenere un carattere duale, con una forte e netta separazione tra professioni italiane e straniere. In sintesi, non sono quindi gli immigrati la causa della perdita di occupazione degli italiani o della loro difficoltà a trovare lavoro. Tutto ciò non significa che ogni cosa vada bene. Ci sono problemi di degrado in zone ad alta concentrazione di immigrati, ci sono problemi di crescita di criminalità che vanno affrontati e risolti nell’ottica dell’integrazione. Ma se smettessimo di crearci fantasmi e affrontassimo le cause reali della disoccupazione che risiedono nella crisi economica e nella rivoluzione che sta attraversando la società globalizzata, faremmo già un bel passo in avanti. Così come ne faremmo un altro se riuscissimo a creare un modello virtuoso di integrazione dei migranti, valorizzando anche le esperienze meravigliose di solidarietà che esistono nel nostro Paese.migranti-tuttacronaca

Volenti o no le migrazioni saranno un fenomeno rilevante dei nostri tempi. I nostri nipoti ci ricorderanno con riconoscenza se troveranno persone di origine diverse come pari e amici, colleghi e compagni di lavoro, piuttosto che nemici astiosi e rancorosi rinchiusi in ghetti. Non mi posso dimenticare la bellissima immagine che l’indagine dell’Istat dava, richiamata dal Presidente della Repubblica nel discorso di fine anno: la maggioranza dei bambini stranieri in Italia ha come migliore amico un bambino italiano.

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