di chi è la pasqua? “lettera ad un povero Cristo a cui son cadute le braccia”

la pasqua o è degli ultimi e degli impoveriti o non è

 

 

In questi giorni si celebra la dinofrisulloPasqua. Il giorno in cui coloro che si credono “bravi cristiani”(quelli che difendono le “radici cristiane” e che vogliono sempre stare nelle prime fila in chiesa la domenica mattina) si ritrovano tutti insieme a festeggiare nel caldo delle case tra agnello e cioccolata, seduti su tavole imbandite in case calde e comode.

Eppure pare che Tu sia nato al freddo e al gelo come un barbone qualsiasi. Quei barboni che puzzano e danno fastidio, chiedono sempre l’elemosina e non lavorano mai. Orrore e paura della gente bene! E infatti qualche mese fa si sono inventati la schedatura dei “senza fissa dimora” e il reato di clandestinità. Perché chi fugge dalla miseria e chi dalla povertà non riesce ad uscire sono nemici dell’ordine pubblico e della sicurezza. Eppure a Pasqua e Natale sono sempre i primi a festeggiare.

Pare che tu sia stato condannato a morte, incatenato,  scaraventato nel buio delle carceri. Negli ultimi anni in Italia ci sono stati centinaia di suicidi e di persone massacrate a morte.

Alla fine di marzo a Parma una persona è stata trovata morta assassinata sul ciglio della strada, in prossimità di una discarica. Aveva 29 anni. Non ha avuto alcun clamore mediatico. Era clandestina e transessuale e quindi la sua vicenda è stata trascurata da tutti.

Periodicamente  tornano a parlare di amore, dell’amore di Cristo e dei Vangeli. Bisogna amare, vivere e credere nell’amore. E, infatti, voleva solo poter amare Alfredo Ormano, poeta siciliano perseguitato in vita e in morte. Dopo l’ennesimo documento della Prefettura per la Congregazione della Fede che condannava l’omosessualità e discriminava tutte le forme di amore diverse da quello eterosessuale, il 13 gennaio 1998 si è dato  fuoco in piazza San Pietro ed è morto dopo dieci giorni di una dolorosa agonia. Su  specifici ordini del Vaticano gli organi di stampa hanno censurato le parole da lui scritte prima dell’addio e messo a tacere la sua vicenda, mentre negli anni per varie volte è stato impedito il suo ricordo.

Tutti gli anni la Quaresima è un fiorire, neanche fosse il prato di una canzone di Morandi, di fioretti e fiorellini. Spicca tra tutti la rinuncia alla carne nei venerdì. E’ la tradizione, la sacra tradizione da rispettare(è peccato!!). Nessun bravo cristiano trasgredirebbe mai (tanto si recupera la Domenica di Pasqua quando dell’Agnello ci sarà solo il sangue che scorrerà sulle tavole imbandite e nelle località del turismo di lusso), si rifiuterebbe sdegnato. Mentre in pochi, negli scorsi anni, hanno sentito la necessità e il dovere di rifiutarsi di azzannare l’animo sofferente del dolore che ha dilaniato nelle carni, due persone che hanno chiesto di veder leniti i loro calvari e rispettata la loro dignità. Non è stato considerato peccato il rifiutare il dolore di uno dei due per “un motivo di ordine logico”.

E’ peccato “mangiare la carne il venerdì di quaresima” ma in quante chiese si è sentito gridare che è peccato uccidere e lucrare sulle vite altrui? Mentre continuano a ribadire la loro vicinanza al Vaticano e a sbandierare croci, i governanti italiani stanno completando l’acquisto di 135 cacciabombardieri da guerra, strumenti di morte e di sterminio. Affermano di voler difendere le “radici cristiane” ma hanno chiuso le porte agli ultimi e agli impoveriti, a chi bussa alle porte di un’Europa sempre più trafficante d’armi (dalla Libia alla Turchia, dal Qatar alla Siria, senza dimenticare i conflitti in terra d’Africa) e protagonista di guerre permanenti. Eppure il Gesù Cristo che dicono di adorare, ancora in fasce, dovette fuggire “clandestino” in Egitto e, mentre l’ora della Crocifissione si avvicinava disse “chi di spada ferisce di spada perisce”.

Aveva 22 anni e tutto un futuro davanti. Non lo avrà più. Mentre le chiese italiane erano impregnate dell’incenso delle celebrazioni è morta, ennesima donna assassinata dal proprio lavoro. 5 euro l’ora in nero. Aveva 33 anni (incredibilmente gli stessi anni di Cristo), terza vittima nello stesso impianto. Il 17 ottobre 2007 era morto un altro operaio, lasciando a 32 anni un bambino di due anni e la moglie incinta del secondo figlio. Nel giugno 2008 è morto sul colpo, cadendo da 20 metri, un 24enne.

Alcuni anni fa mi è stata raccontata una storia. Non ricordo i dettagli precisi e quindi non posso raccontarla per intero. Si narrava di una festa enorme, con fuochi d’artificio, corandioli, banda musicale, tavole imbandite. Per ore e ore tutti parteciparono, mangiando, bevendo, divertendosi e godendosi lo spettacolo. Alla fine, quando tutti erano già andati via, in fondo alla sala fu trovato un bambino piangente. Era il festeggiato …

Se non sappiamo chinarci sul dolore delle tante Eluana e dei tanti Piergiorgio, se distrattamente passiamo oltre alle tante e ai tanti che ogni giorno muoiono, se non impariamo a rispettare l’amore di persone come Armando, se non sappiamo scandalizzarci davanti ai miliardi spesi in strumenti di morte (mentre per gli impoveriti e gli ultimi si riserva solo muri e fili spinati, ingiustizie, disumanità, diritti calpestati, cancellati, negati) e allo scandalo contro i più piccoli, aver festeggiato la  Pasqua è stata una bestemmia esecrabile, un atto disumano ipocrita e anticristiano.

Questo brano, in una versione che è stata modificata, era già stato pubblicato nel 2010 col titolo “lettera ad un povero Cristo a cui son cadute le braccia”. Alcuni riferimenti temporali sono ormai datati, ma la situazione è sempre quella. Se non peggiorata. In questi sei anni sempre più c’è stata xenofobie, odii, guerre, traffico di armi sono aumentati. Mentre la “crisi” si è abbattuta sempre più sugli impoveriti di ogni latitudine e longitudine, sui lavoratori, sugli ultimi e sui penultimi. Il crocifisso è stato ancora brandito come un’arma, contro e non per. “Oggi più di ieri domina l’ingiustizia” – riprendendo i versi del “Don Chisciotte” di Guccini – e la mancanza di umanità, l’ideologia capitalista di dominio e oppressione. Per questo quella “lettera ad un povero Cristo a cui son cadute le braccia” mi è apparsa ancora terribilmente attuale. E la ripropongo.  

 

Alessio Di Florio

 

Durante un tributo a Dé Andre Dori Ghezzi riservò duecentocinquanta posti per la Comunità San Benedetto. Qualcuno tentò dall’organizzazione di confinarli nel loggione. Don Andrea raccontò che fermò “il traffico della sala e come un vigile li feci sedere in platea, tre qui, due là, tossici, barboni, prostitute accanto a notai, dame e politici”. E continua nel racconto: “No, lì no. Lì ci va il Ministro della Cultura Giovanna Melandri” gli intimarono. Don Andrea rispose: “Allora le mettiamo accanto una puttana delle vecchie case, vedrai come esce arricchita dall’incontro!”. Concluse il racconto della serata: “Erano tutti molto preoccupati, mi chiedevano garanzie su ciò che sarebbe successo e io li tenevo sulle spine rispondendo che nn potevo saperlo, essendo io un prete, non un indovino. Invece sapevo benissimo ciò che poi accadde: i miei emarginati erano tutti quelli che durante le canzoni piangevano veramente!”

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anche i rom possono insegnare qualcosa alla chiesa

Lettera aperta al papa. Quello che i rom possono insegnare alla Chiesa

lettera aperta al papa

quello che i rom possono insegnare alla Chiesa

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 13 del 02/04/2016

Caro papa Francesco, siamo un gruppetto di laici, religiosi e sacerdoti che si è formato attraverso l’amicizia con rom e sinti: una lunga amicizia fatta di frequentazioni e di vita vissuta dentro i campi.

A vario titolo siamo stati un’espressione dell’UNPReS (Ufficio Nazionale Pastorale Rom e Sinti) della Migrantes, fino a quando, per una riforma infelice, non solo si è demandato alle diocesi la responsabilità pastorale, il che è più che giusto, ma si è abolito l’Ufficio nazionale che sensibilizzava e richiamava l’attenzione su questo ambito e che aveva il compito di preparare specificamente gli operatori pastorali e far sorgere una pastorale specifica e coordinata a livello nazionale. 

Ci siamo interrogati varie volte sull’utilità di scrivere queste nostre impressioni. A distanza di qualche mese abbiamo deciso di farlo e di diffondere questo nostro scritto, nella speranza che possa essere compreso e accolto.

Quello che ci spinge a scriverti, con spirito fraterno, è il discorso che hai tenuto all’udienza con i rom e sinti, al quale eravamo presenti, in occasione dell’anniversario del pellegrinaggio a Pomezia di cinquant’anni fa. 

Sostanzialmente, nelle parole che hai rivolto ai sinti e rom non abbiamo ritrovato lo Spirito di quel cammino pluridecennale di una Chiesa (sia pur piccola e fragile) che vive a contatto con questo popolo. Una Chiesa che con uno sguardo di Fede, cerca e trova anche in questo popolo, il riflesso del Volto Misericordioso di Dio. Siamo convinti che la loro vita continua ad essere per noi un “luogo teologico”, nel quale veniamo anche noi “evangelizzati” da loro. È possibile «vivere il Vangelo con i piedi dentro queste periferie», che in genere sono i campi rom-sinti. Lo stupore nello scoprire che c’è anche un “magistero” che fiorisce dalle periferie, da chi vive al margine della società. Non a distanza, ma da dentro: condividendo, accompagnando e custodendo amicizie, percorsi anche difficili, ma vissuti insieme. La nostra “missione” non è tanto quella di organizzare progetti, nemmeno quella di volerli integrare nei nostri schemi o di porci come risolutori del “problema rom”, anche per il fatto che per noi questo popolo non è affatto un “problema”, come lo è per i più, ma un’opportunità umana e spirituale. Desideriamo semplicemente essere una “presenza ponte” capace di accogliere, di bene-dire, di comprendere punti di vista diversi dai nostri e di raccogliere con cura e attenzione la voce dello Spirito che sussurra, attraverso le vite dei sinti e rom, il Suo Magistero. 

Tra di noi c’è chi ha speso la sua vita all’interno dei campi rom, imparando a conoscere e ad amare i suoi abitanti per come sono, con i loro difetti e le loro ricchezze, e alcuni vivono ancora in questi “mondi di mondi”.

Condividere la loro vita ha significato per ognuno di noi dei cambiamenti, graduali ma arricchenti, non sempre facili o scontati. Siamo loro riconoscenti perché ci hanno permesso di entrare nelle loro vite, ci siamo lasciati accompagnare da loro e questa fiducia ci ha permesso di vedere e leggere la realtà con occhi diversi, fino a scoprire, quasi con stupore e meraviglia, che anche “il punto di vista” di chi vive nelle carovane, nelle baracche dei campi merita attenzione, rispetto e ascolto. 

Siamo testimoni di perle di Vangelo, nascoste nelle loro esistenze, che nonostante il disprezzo e il pregiudizio di cui sono spesso vittime brillano e illuminano dando senso anche alle nostre vite. Ma per notare questa loro ricchezza, è importante spogliarsi dei pregiudizi presenti e radicati nella maggioranza, e che purtroppo non mancano neanche in chi li avvicina a fin di bene. Un processo che può avvenire a condizione di saper perdere le nostre rigidità mentali, sociali e religiose. La condizione, almeno per noi è “stare dentro” questo mondo. Non può certo avvenire a distanza. A distanza le cose si vedono sfocate, notiamo solo quello che a noi disturba, difficile percepire le sfumature, si rischia di non comprendere in profondità la realtà, le sue dinamiche.

Scusaci se te lo diciamo con franchezza, ma il tuo discorso ai sinti e ai rom ci è sembrato un po’ distante, perché abbiamo sentito riproporre più o meno gli stessi schemi della maggioranza che osserva le cose a distanza e che spesso si limita fare discorsi moralistici: dovete cambiare, scuola, minori, legalità, integrazione… ma senza accompagnamento. In altre occasioni e contesti, invece, sei riuscito a immergerti, capire le situazioni e fare una lettura diversa, coraggiosa e per niente scontata. Ecco questa lettura “altra” ci è sembrata assente nel tuo intervento, eppure il cammino della Chiesa che vive in carovana, da Pomezia ad oggi, ci ha reso sensibili a questa lettura altra e alta.

I campi rom e sinti sono quelle “periferie” di cui ci parli e a cui solleciti la Chiesa a prestare attenzione e ascolto. È un’immagine che ci piace tanto, stimolante ed arricchente: per noi i campi rom sono un “luogo teologico” da contemplare innanzitutto, perché sovente «lo Spirito Santo precede l’arrivo e l’azione dei missionari» (Evangelii nuntiandi).

Sì certo, siamo ben consapevoli delle difficoltà, delle ferite che ci sono all’interno e che ci sono, in modi diversi, in ogni gruppo sociale; alcune sono ben visibili, altre più nascoste e spesso passano inosservate, inascoltate. Contempliamo e celebriamo la vita, fatta di resistenze, di attenzione, di lotta, di fatiche, di paure, di violenza, di prevaricazioni, di riconciliazioni, di gioie, di attaccamento alla vita, nonostante tutto, di sogni e di delusioni. Come tutte le periferie, sono spazi dove il bello e il brutto convivono insieme, si attraversano, si contagiano, ma per noi rimangono spazi di Vita, perché riconosciamo che anche nei loro campi, ci sono manifestazioni di vita buona. Quasi mai questo emerge, si fa risaltare invece solo ciò che è brutto, si sottolinea esclusivamente la devianza o il maltrattamento di pochissimi. Eppure, questa periferia, la vita dei rom, ha qualcosa da insegnare nella Chiesa e con essa alla società. Così è successo a noi.

Tempo fa hai usato l’immagine (bellissima!) del pastore con l’odore delle pecore. L’abbiamo sentita adatta alla nostra esperienza, calzante con la nostra vita a fianco dei rom e sinti. Il loro “odore” è anche un po’ il nostro e il nostro si è trasmesso un po’ a loro e questo disturba non pochi, sia dentro la Chiesa che nella società. 

Sono molti oggi ad avvicinarsi a  queste periferie con in mano “deodoranti” per coprire il loro odore e renderlo simile al nostro presunto profumo, più presentabile ai nostri nasi, sentendosi incaricati, inviati a decidere cosa devono fare, cosa devono cambiare, decretando anche i tempi e le modalità. Quasi sempre ciò avviene sulle loro teste, senza coinvolgimento e partecipazione dei diretti interessati. La nostra esperienza invece, proprio perché cerchiamo di contemplare la vita che pulsa nei campi, ci dice che sinti e rom sanno cosa è meglio per il loro futuro, quali strade intraprendere e cosa cambiare.

Molti si avvicinano, entrano anche nei campi, ma fanno fatica ad accompagnare e a sedersi a mani vuote nelle loro esistenze per comprenderle meglio. È triste questo: non trovare la strada per saper riconoscere i valori che l’altro ci può comunicare.

Un’ultima nota riguarda il silenzio di una triste realtà che coinvolge migliaia di rom in Italia e non solo, e che senz’altro toccava la maggioranza di quelli che erano presenti all’udienza: la questione degli sgomberi e il suo uso politico. Ci saremmo aspettati almeno un accenno di condanna per il fatto che, sull’altare della sicurezza e del consenso elettorale, vengono scartati interi nuclei familiari, buttati per strada e abbandonati a se stessi, privati dei loro diritti riconosciuti anche dalla Legge: tanto sono “zingari”!

Caro papa Francesco ti abbracciamo forte, sappi che la nostra fiducia in te non è per nulla scalfita, ma ci preme farti conoscere anche questo lungo e arricchente cammino pastorale che stiamo portando avanti, anche grazie ai sinti e rom che ci accolgono e sostengono con la loro fiduciosa amicizia.

Ti auguriamo ogni bene e mentre ti chiediamo la benedizione del Signore, sappi che preghiamo per te, insieme a tanti sinti e rom che ti ammirano e ti guardano con amicizia,

suor Carla e suor Rita Viberti (campo Rom Torino), p. Luciano Meli (Lucca), don Piero Gabella (Brescia), don Agostino Rota Martir (campo Rom Pisa), Marcello Palagi e Franca Felici (Carrara – Avenza)

*Immagine di Nestor Galina, tratta dal sito Flickr, immagine originale e licenza. La foto è stata ritagliata. Le utilizzazioni in difformità dalla licenza

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la ‘politica’ di papa Francesco

papa Francesco

c’è più politica nella ‘sua’ Lavanda dei piedi che nei deliri della guerra

 
Profilo blogger

 
Non occorre essere credenti e neppure cattolici per provare ammirazione per un uomo che si inginocchia davanti ad altri uomini e lava i loro piedi. Il rito della Lavanda dei piedi, ovviamente, non è nato con Francesco, ma lui ha deciso, anche quest’anno, di contrastare il triste “spirito dei tempi” e di recarsi nel centro di accoglienza dei richiedenti asilo di Castelnuovo di Porto, Roma. Qui sono “ospitate” oltre 900 persone scappate da guerre, terrorismo, torture.

lavanda dei piedi

Molti di loro hanno un altro colore della pelle, pregano un altro Dio e  la maggioranza appartiene alla comunità musulmana. Quei piedi da lavare rappresentano la geografia della disperazione, dell’esclusione sociale, della cancellazione di ogni diritto e speranza nel futuro. La “radicalità” di Francesco sta proprio nell’aver scelto questo luogo e questi piedi e di averlo fatto mentre tutto intorno risuonano i venti della guerra, del terrore, del razzismo.
C’è più Politica, con la P maiuscola, in quella lavanda che nei deliri, trasmessi a reti unificate, di chi cerca di usare anche i morti pur di conquistare un voto in più. L’immagine di Francesco che lava piedi siriani, nigeriani, pakistani, raggiungerà milioni di persone nel mondo e saranno un pugno nello stomaco dei “Signori della guerra e del terrore” che hanno bisogno dei muri e delle armi per perpetuare il loro dominio.
Chi è abituato a tagliare teste, gambe e piedi non può sopportare che esistano altre persone che, invece, preferiscono curare le piaghe e lavare le ferite, e non solo quelle fisiche.
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il posto dei sacerdoti per papa Francesco

“I sacerdoti scelgano di stare con gli scartati e gli oppressi

“Siamo talora ciechi per spiritualità light e mondanità virtuale”

“Come sacerdoti, – ha detto – noi ci identifichiamo con quel popolo scartato, che il Signore salva, e ci ricordiamo che ci sono moltitudini innumerevoli di persone povere, ignoranti, prigioniere, che si trovano in quella situazione perché altri li opprimono. Ma ricordiamo anche che ognuno di noi sa in quale misura tante volte siamo ciechi, privi della bella luce della fede, non perché non abbiamo a portata di mano il Vangelo, ma per un eccesso di teologie complicate”.
“Sentiamo – ha proseguito papa Francesco – che la nostra anima se ne va assetata di spiritualità, ma non per mancanza di Acqua Viva, che beviamo solo a sorsi, ma per un eccesso di spiritualità ‘frizzanti’, di spiritualità ‘light’. Ci sentiamo anche prigionieri, non circondati, come tanti popoli, da invalicabili mura di pietra o da recinzioni di acciaio, ma da una mondanità virtuale che si apre e si chiude con un semplice click”.mendicante1
“Siamo oppressi, – ha proseguito – ma non da minacce e spintoni, come tanta povera gente, ma dal fascino di mille proposte di consumo che non possiamo scrollarci di dosso per camminare, liberi, sui sentieri che ci conducono all’amore dei nostri fratelli, al gregge del Signore, alle pecorelle che attendono la voce dei loro pastori”.croce
http://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/Papa-Francesco-sacerdoti-scelgano-di-stare-con-gli-scartati-e-gli-oppressi-3c399323-03ef-429f-99d2-40c9b6c64f4d.html
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