M. Gramellini e la scelta di Brittany

GramelliniDignità

massimo gramellini

Per il Vaticano la scelta della malata terminale californiana Brittany Maynard di anticipare di qualche settimana una fine dolorosa e scontata è da considerarsi «priva di dignità». La Chiesa ha ovviamente tutto il diritto di fare la Chiesa e di interpretare i dettami della divinità a beneficio di coloro che le riconoscono la funzione di intermediaria. Ma definire indegna la decisione di una donna colpita da un tumore devastante al cervello significa non sapere più dove stia di casa la parola «umanità». Nelle astrazioni della dottrina si possono anche costruire scintillanti cattedrali di ghiaccio. Ma la vita, per chi la conosce e la ama, è un’altra storia e ci racconta che qualsiasi strada percorsa con coraggio conduce a destinazione. Una persona che combatte fino all’ultimo contro il dolore e l’umiliazione della malattia ha la stessa dignità di chi preferisce sottrarre il suo corpo e i propri cari a un simile strazio. Nessun condannato a morte si avvia volentieri al patibolo, a meno che sia un martire invasato: categoria di cui da sempre abbondano soprattutto le religioni. Se sceglie di anticipare l’esecuzione, è solo perché vuole andarsene con consapevolezza. C’è molta più dignità nelle lacrime di congedo della vitalissima Brittany che in chi, ancora una volta, ha deciso di salire sull’onda di un caso mediatico per zavorrare di aggettivi infamanti la libera e drammatica scelta di un essere umano.

 

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le politiche abitative per i rom in Italia e le norme dell’UE

 

Campi rom

a rischio le politiche abitative «di segregazione nei confronti dei nomadi»:

verso procedura
di infrazione Ue per La Barbuta 
dalla Commissione richiesta di maggiori informazioni sul campo ai confini con Ciampino

di Redazione Roma Online

 

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L’Italia rischia una procedura di infrazione da parte della Commissione europea, per via delle politiche abitative segregative nei confronti dei nomadi. Lo rende noto l’Associazione 21 luglio, che cita una lettera inviata dalla Direzione Generale Giustizia della Commissione Ue al Governo italiano. L’organismo europeo punta il dito contro la «condizione abitativa dei rom» nel nostro Paese chiedendo all’Italia informazioni aggiuntive, in particolare sul campo nomadi in località La Barbuta a Roma.

«Alloggi che limitano i ditti fondamentali»

«La Commissione potrà decidere di avviare una procedura di infrazione nei confronti dell’Italia inviando una lettera di messa in mora per violazione della direttiva 2000/43/CE» è la conclusione della lettera. Nella missiva, riguardo al campo nomadi della Barbuta, la Commissione Ue afferma di condividere «le preoccupazioni espresse dal Commissario per i diritti dell’uomo del Consiglio d’Europa circa questo tipo di “alloggio” fornito ai rom in un sito molto remoto e non accessibile, e dotato di recinti e impianti di sorveglianza». Alloggi di questo tipo, si sottolinea, «risultano limitare gravemente i diritti fondamentali degli interessati, isolandoli completamente dal mondo circostante e privandoli di adeguate possibilità di occupazione e istruzione».

 

Un nuovo campo

«Malgrado il rischio di una procedura di infrazione paventato dall’Europa – sottolinea l’Associazione 21 luglio – il Comune di Roma sembra voler continuare con una politica che rafforza il “sistema campi”, programmandone la progettazione e la costruzione di nuovi.Proprio nel sito La Barbuta, infatti, potrebbe vedersi realizzata la costruzione di un nuovo campo per soli romche sostituirebbe quello esistente oggi, che verrebbe così abbattuto». E per la prima volta, dice ancora l’associazione, «nel nostro Paese sarebbe una multinazionale, Leroy Merlin Italia, a farsi carico della realizzazione di un campo rom, grazie alla costituzione di un’Associazione temporanea di impresa alla quale parteciperebbe anche la Comunità di Capodarco di Roma. In cambio dell’investimento, pari a 11,5 milioni di euro (interamente a carico di Leroy Merlin Italia), la multinazionale francese del bricolage riceverebbe dal Comune la concessione gratuita per 99 anni del terreno su cui oggi sorge il campo La Barbuta, per installarvi così le proprie attività commerciali».

La campagna

Per scoraggiare la multinazionale dal realizzare «l’ennesimo ghetto per soli rom nella Capitale», l’Associazione 21 luglio lancia una campagna di mobilitazione pubblica e di pressione nei confronti di Leroy Merlin Italia, con un appello che invita cittadini e utenti del web a inviare una e-mail, con un semplice clic dal sito della campagna, per chiedere alla multinazionale di non farsi coinvolgere nella creazione dell’ennesimo ghetto a Roma. «Diffonderemo la campagna anche all’estero, chiederemo alle persone di condividerla sui social media e di unirsi così alla nostra battaglia per dire basta alla creazione di nuovi ghetti – afferma l’associazione – i campi sono luoghi di sospensione dei diritti umani, che rendono impossibile l’inclusione sociale, che creano disagi al resto della cittadinanza e che alimentano nella pubblica opinione un clima di ostilità verso le comunità rom. L’unica soluzione percorribile è dunque quella di superare i campi, come prevede la Strategia Nazionale d’Inclusione dei Rom redatta dal governo italiano nel 2012. Convincere Leroy Merlin Italia a ritirare il progetto sarebbe un passo molto importante in questa direzione».

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l’attualità dell’eutanasia fa esplodere un forte dibattito

L’addio di Brittany: muoio con dignità 

 

Brittany Maynard è morta, come programmato, sabato sera. Oltre al suo dramma, in eredità lascia un dibattito sull’eutanasia che negli Usa è tornato a dividere la gente. Brittany ha preso i farmaci letali nel letto della sua nuova casa di Portland, circondata dal marito Dan Diaz, la madre Debbie Ziegler, e il patrigno Gary Holmes, per evitare le sofferenze del cancro al cervello che l’aveva comunque condannata.

Brittany

Su Facebook, ha lasciato quest’ultimo messaggio: «Addio a tutti i miei cari amici e alla mia famiglia, che amo. Oggi è il giorno che ho scelto per morire con dignità, davanti alla mia malattia terminale, questo terribile cancro che ha portato via così tanto da me, ma che avrebbe preso ancora di più. Il mondo è un bel posto, il viaggio è stato il mio maestro più grande, i miei amici più stretti sono le persone più generose e altruiste. Ho anche un cerchio di supporto intorno al mio letto, mentre scrivo… Addio mondo. Spargete buona energia. Siate generosi, pagate in anticipo per restituire ad altri il bene che ricevete».

Brittany, 29 anni, aveva saputo di essere malata a gennaio. I medici le avevano dato sei mesi di vita, e lei aveva scelto di evitare le cure che avrebbero rovinato la fine della sua esistenza, senza darle una vera speranza di guarire. Si era trasferita in Oregon con la sua famiglia per approfittare del Death With Dignity Act, la legge che in quello Stato consente il suicidio assistito

l’attualità dell’eutanasia ha scatenato comprensibilmente un grande dibattito, non solo negli Stati Uniti: riporto qui sotto – con l’aiuto preziosissimo del sito ‘finesettimana’ – alcuni dei principali articoli (i titoli coi rispettivi link) usciti sulla nostra stampa per avere il quadro delle varie posizioni rispetto a questo problema (segnalando in modo particolare l’ultimo articolo di G. Piana che affronta l’argomento da raffinato e sensibile teologo):

Certa gente mi critica perché non aspetto più a lungo; altri hanno deciso per conto loro cos’è meglio per me. Tutto questo mi addolora perché sono io quella che rischia: rischio ogni singolo giorno, ogni volta che mi sveglio al mattino…

spesso dare “fattibilità legale” a tali comportamenti può finire – questo è ciò che ci dice con chiarezza Verspieren – per renderli anche “moralmente accettabili” demolendo agli occhi di molti, e per di più in nome della legge, gli ultimi ostacoli alla loro attuazione.
Non si giudica il dolore altrui, ma riflettere si può e si deve. Brittany ha detto di voler « morire con dignità», come se la sofferenza le rubasse dignità. Ma non è vero: dirlo è una trappola. Anche se una risposta al senso del dolore nessuno la possiede
Sabato la 29enne si è tolta la vita, dopo aver inviato un messaggio di ringraziamento ad amici e familiari. In tanti, nelle ultime settimane, hanno voluto accompagnare la giovane nella sofferenza, al di là della sua scelta.
Ogni persona deve aver la possibilità di decidere come uscire da questo mondo. Il diritto all’eutanasia è strettamente legato al principio di autodeterminazione. Non dobbiamo aver paura del morire, ma dobbiamo garantire a tutti una morte dignitosa.

Proprio perché si deve riflettere su temi tanto complessi riproponiamo l’ampia riflessione svolta sull’eutanasia e sull’autodeterminazione da Giannino Piana lo scorso anno. “la questione dell’autodeterminazione di fronte alla morte è una questione complessa, meritevole come tale di attenta riflessione. Le ragioni a favore dell’autodeterminazione, comprese quelle di ordine teologico, sono tutt’altro che peregrine. Le argomentazioni contrarie, le quali fanno appello alla radicale indisponibilità della vita umana perché «dono» di Dio o perché dotata di una costitutiva «santità», risultano insufficienti: esse si collocano infatti a livello metaetico o parenetico, e in quanto tali non possono rivestire un carattere assoluto né tanto meno venire immediatamente trasposte in ambito normativo.”

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per una pastorale per le persone omosessuali e transessuali

Antonietta Potente: “Dall’esilio all’inclusione, dall’attesa alla partecipazione: … e resteremo volontariamente nell’esilio”

intervento della teologa e suora domenicana Antonietta Potente* tenuto a “Le strade dell’Amore”, Conferenza internazionale per una pastorale con le persone omosessuali e transessuali (Roma, Italy, 3 ottobre 2014)

POtente
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Rileggiamo la lunga storia di esclusione; raccogliamo le singole narrazioni di chi ha attraversato con i suoi sogni, i muri culturali e religiosi costruiti dall’immaginario collettivo sul genere. Oggi, invece, partecipiamo a un cammino di riscatto e dignità, ma nonostante tutto, continueremo a percorrere le vie dell’esilio, se questo significa parresia evangelica e vita secondo lo Spirito, nell’ambito politico-sociale dove si gioca la nostra fede.

Vorrei iniziare dando alcuni flash che più che essere luci che brillano ai nostri occhi, vorrei fossero davvero dei suoni forti per i nostri orecchi, o delle martellanti inquietudini per la nostra riflessione e per le nostre coscienze. D’altronde tutte-tutti, sappiamo che ci sono parole che non emettono solo suoni, ma permettono la visione di qualcosa di totalmente nuovo; parole che risvegliano la vista e fatti che risvegliano l’udito.
In oltre dovendo scegliere un linguaggio per comunicare qualcosa che mi sta davvero a cuore, scelgo il linguaggio mistico-poetico, quello che ciascuno conosce, perché non appartiene ai dotti, ai dogmatici, ai giuristi, ma all’anima-animus e all’essenzialità della natura.
Se per caso, qualcuno lo troverà difficile o penserà che non serva a nulla, non se ne vada ma, asceticamente, resti e poi si prenda un po’ di tempo per riflettere. Costui o costei, scoprirà che quel linguaggio che a prima vista sembra difficile, in realtà è familiare. Ma lo stesso facciano anche coloro che pensano di capire tutto al volo: restino in silenzio.

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Porta d’entrata

Allora inizio e provo a far brillare e risuonare questi flash. Questi suoni e queste immagini simboliche, non le ho inventate io, ma le riprendo da un’antica tradizione che fa parte anche della tradizione cristiana e, io penso, non cristiana ma semplicemente umana.
Sono tratte dal testo profetico della storia del profeta Ezechiele. Il testo scritto a cui faccio riferimento, senza leggerlo tutto è: Ez 12, 1-12. Ma raccolgo solo alcuni elementi di questa dolcissima e insieme faticosa composizione mistico-poetica che racconta l’esperienza del profeta.

“Questa parola del Signore mi fu riferita: «Figlio dell’uomo, tu abiti in mezzo a una genia di ribelli, che hanno occhi per vedere e non vedono, hanno orecchi per udire e non odono, perché sono una genia di ribelli. … fa’ il tuo bagaglio da deportato e, di giorno davanti ai loro occhi, preparati a emigrare; emigrerai dal luogo dove stai verso un altro luogo, davanti ai loro occhi: … Prepara di giorno il tuo bagaglio, come il bagaglio d’un esiliato, davanti ai loro occhi; uscirai però al tramonto, davanti a loro, come partirebbe un esiliato. … perché io ho fatto di te un simbolo per gli Israeliti». Io feci come mi era stato comandato: preparai di giorno il mio bagaglio come il bagaglio d’un esiliato e sul tramonto feci un foro nel muro con le mani, uscii nell’oscurità e mi misi il bagaglio sulle spalle sotto i loro occhi. Al mattino mi fu rivolta questa parola del Signore: «Figlio dell’uomo, non t’ha chiesto il popolo d’Israele, quella genia di ribelli, che cosa stai facendo? … Tu dirai: Io sono un simbolo per voi …”

Ora cercherò di ritradurre ciò che significa per me questa narrazione, ma lasciamo per un attimo, lì, queste parole o flash.

Lungo tutta la storia, sembra che ci sia un movimento come quello del mare che possiamo osservare quando stiamo sulla riva. Un movimento di andare e venire; la storia infatti è piena di tentativi, di ricerca, di progetti realizzati e altri no.

Credo che in questo momento storico sono tante le persone che vorrebbero dire che le loro storie sono passate dall’esclusione all’inclusione; altre che vorrebbero raccontarci come hanno fatto, quanti martiri hanno avuto in questi percorsi; quanti figli e figlie desaparecidos, quante case abbandonate, quanti deserti attraversati. Ma anche quanti “sit in” nelle piazze; quante marce, quanti blocchi stradali, scioperi della fame, ecc. ecc.

Processi che oggi sembrano conclusi e invece non lo sono, perchè ci sono ancora onde lunghe che oltrepassano la riva, come se dovessero ricordarci che bisogna “osare ancora”.

L’esclusione infatti è come un’ombra che minaccia la possibilità di una vita insieme; insieme con altre e altri, insieme con i propri popoli e con popoli diversi; insieme con l’ambiente; insieme con noi stessi, con la nostra coscienza e responsabilità, due aspetti non vendibili, perché non ricattabili.

Sono ancora troppe le persone, i gruppi umani, le realtà sociali, che continuano a subire dei processi di esclusione, ma l’esclusione genera sempre più assenti: milioni e milioni di donne e uomini esclusi, è come se non esistessero più, anche se tutti i giorni vediamo i loro volti sui giornali, nel mondo virtuale di internet e nei monotoni telegiornali televisivi. L’esclusione genera solo assenza.

Tutti sappiamo chi sta dietro i processi di esclusione e le moltitudini di profughi. I Fondamentalisti dell’Oriente e dell’Occidente; i gruppi della Finanza Mondiale; i Paesi che gestiscono l’ONU; le mafie che gestiscono ogni tipo di illegalità; quelle che stanno dietro le grandi Case Farmaceutiche che a loro volta gestiscono virus, batteri e per conseguenza i vaccini. E non parliamo delle nostre piccole grandi lobby politiche che sono l’esempio più eclatante di cosa significa pensare e attuare per mantenere la maggioranza delle persone esclusa dalla partecipazione, o quelle religiose che, nonostante oggi mettano in prima fila il Vescovo di Roma Francesco, sono sempre in agguato per non perdere i loro assurdi poteri e, in fin dei conti, non permettono grandi trasformazioni.

Ora, qualcuno mi dirà che sono stata invitata per dare un contributo teologico, ma chiedo scusa, questa è la mia teologia; la teologia dell’anamnesi, della memoria, del ricordo e, mentre sollevo il velo delle cose, mi stupisco di quanto ho osservato, infinitamente di più di quanto riesco a dire, come scriveva Virginia Woolf.

Perché se si vuole fare delle richieste, se vuol diventare protagonisti, non bisogna mai raggiungere gli spazi del riconoscimento da soli. Bisogna arrivarci sempre con qualcuno: questa è teologia cristiana.

Il luogo dell’Epifania divina è la storia, nonostante questi dolorosissimi parti. Dio nessuno l’ha mai visto (Cfr. Gv 1,18) è Indicibile, Invisibile e Inviolabile e proprio perché Dio è Indicibile, Invisibile e Inviolabile, allora chi fa teologia e chi è credente ha sempre il dovere di ricordare che questa Indicibilità, Invisibilità e Inviolabilità, appartiene a tutta l’umanità e a tutto l’universo.

Le guerre, la povertà appositamente programmata e tutto ciò che è finalizzato a escludere, crea milioni e milioni di indicibili, invisibili e inviolabili e per questo devo parlare di loro; devo ricordarli giorno e notte; devo crescere ed educare i miei figli e le mie figlie, perché quando cresceranno sappiano che non potranno lasciare indietro nessuno, altrimenti saranno complici con questa storia di esclusione.

E’ un po’ come l’antico imperativo biblico: ti ricorderai, lo ripeterai quando sarai seduto in casa tua, quando ti coricherai, quando ti alzerai; lo scriverai ovunque, davanti agli occhi, lo ripeterai ai tuoi figli maschi e femmine, lo ricorderai ai tuoi animali, nei tuoi campi, per la strada, tra le cose di casa tua. [Sto parafrasando –e chiedo scusa- il testo delle Scritture: Dt 6,4).

L’esclusione è dunque una ferita troppo grande per la storia di ogni tempo e anche per la nostra, di oggi. Lo sappiamo noi donne, lo sa ogni tipo di genere che ha disobbedito ai paradigmi prestabiliti; lo sanno i non conformisti e gli appassionati dell’Invisibile.

Allora, la soluzione sembra molto facile: dobbiamo lottare contro ogni esclusione, certamente sì, ma non è sufficiente.

Mentre cercheremo di superare ogni esclusione continueremo a percorrere le vie dell’esilio, perché questo significa parresia evangelica e vita secondo lo Spirito.

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Ermeneutica del testo

E qui viene il testo del profeta Ezechiele citato precedentemente. Bisogna stare all’erta; essere entrati nella città come luogo o spazio ufficiale, di riconoscimento, non significa abbandonare questo nostro modo di essere e di stare nella storia. Probabilmente tutti noi, dovremo continuare a fare un buco nelle mura della città, dovremmo aprire con le mani un varco, una porta, sempre, ovunque.

Proseguire il nostro cammino con la consapevolezza dell’esilio: fa’ il tuo bagaglio da deportato e, di giorno davanti ai loro occhi, preparati a emigrare; emigrerai dal luogo dove stai verso un altro luogo, davanti ai loro occhi: … Si tratta della consapevolezza dell’insufficienza di ogni nostra rivendicazione e anche di ogni nostra bella e soddisfacente riuscita. Perché non vogliamo essere riconosciuti e riconosciute, per perpetuare dei modelli, per ripetere sempre la stessa storia.

…. Io feci come mi era stato comandato: preparai di giorno il mio bagaglio come il bagaglio d’un esiliato e sul tramonto feci un foro nel muro con le mani … Questa simbologia gravida di realtà: feci un foro con le mani … È lo sforzo consapevole; non solo uno sforzo mentale, ma fisico, è preferire la condizione di esiliato –si preparò il bagaglio-.

Ma cosa significa questo per noi, oggi: non voler acquistare una posizione di riconoscimento per ripetere dei modelli. Non tradire la differenza. Ogni condizione ritrovata, scoperta, reincorporata nelle nostre esistenze, non va mai dimenticata, non va venduta, non va tradita.

Non tradite la differenza sessuale; non tradite la differenza del vostro umano più umano; non tradite la differenza della vostra sensibilità. Non cadete nel baratto dei ruoli classici: uomo, donna, padre, madre, marito, moglie, ecc. Sarebbe come ricadere nel vecchio sistema dell’esclusione.

I diritti di cittadinanza giustamente acquisiti e altri ancora da acquisire, ma non ci distolgono da questo impegno di essere comunque scultori o scultrici di brecce nel muro, per non restare omologati in quegli stessi parametri che noi abbiamo contestato e rifiutato per anni.

Probabilmente la nostra posizione non sarà mai accettata, al di là del diritto e delle leggi; nessuno, ci chiederà: cosa stiamo facendo, così come avvenne per il profeta: … Al mattino mi fu rivolta questa parola del Signore: «Figlio dell’uomo, non t’ha chiesto il popolo d’Israele, quella genia di ribelli, che cosa stai facendo? … Tu dirai: Io sono un simbolo per voi …”.

Questa è una condizione totalmente gratuita, appartiene alla logica dello Spirito, non entra dentro le lineali rette del ragionamento umano; non entra dentro ciò che comunemente aspettiamo; quelle sensibilità ben definite, che vivono sempre il futuro come fosse già noto: “di padre in figlio” (guarda caso non esiste l’espressione: di madre in figlia).

Tutto fila “nella norma”, appunto e resta “nella norma”. Peccato che “la norma” non è la legge dello Spirito, ma quella della finitudine e delle demarcazioni dell’umano.

Lo Spirito non sappiamo da dove viene e dove va, descrive bellamente Giovanni alla sua comunità (Cfr. Gv 3,8-9): una specie di principio di Indeterminazione.

Lo Spirito da sempre, ha frantumato gli schemi umani e religiosi. Tramite Gesù si percepì appena chi era Dio, ma poi Gesù aprì un altro varco, come il profeta e “uscì” e lasciò lo Spirito. Lo Spirito non ha delle caratteristiche normative, anzi le dis-ordina, le scompiglia, le scompone

Solo una Teologia di Gesù secondo lo Spirito, può provocare altri passi nella nostra vita di ecclesia. Non quella di un Gesù dogmatico o moralista.

Mi domando se oggi, la questione di genere non sia la questione di un nuovo principio di indeterminazione, per quell’umano così comodo nelle vecchie gerarchie della vita; così chiuso verso l’imprevisto e dunque anche verso l’Innominabile, l’Invisibile e l’Inviolabile. Sì perché Dio probabilmente ha un nome, ma lo svela solo quando il momento è opportuno, come risuona nell’impronunciabile tetragramma biblico: sarò colui che sarò; mi mostrerò in quanto mi mostrerò (Es 3,14).

Quello che a noi è chiesto, restare complici con il desiderio umano-cosmico.

Stare in un andare e venire, in un travaso continuo, andando e venendo, direbbe la filosofa spagnola Maria Zambrano, per non riformare delle ambigue certezze che torneranno solo a coltivare esclusione.

Il varco deve restare aperto: … Tu dirai: Io sono un simbolo per voi …, dice ancora il testo; non un modello, ma un semplice simbolo. E questo significa che le vostre scelte devono rimandarci alla vita divina: la vita dello Spirito.
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Avvicinandomi al varco

A questo punto, mi permetto di dire qualcosa sulla bozza del vostro Documento per il Sinodo. Fossi al vostro posto non chiederei molte cose alla comunità Ecclesiale, se non che ammetta la sua ottusità e le sue innumerevoli colpe legate a questa problematica. I suoi abusi sulla carne viva delle persone; il suo falso potere che ha bloccato la creatività del bene nella vita di donne e uomini semplicemente umani.Così come dovete opporvi a un concetto di famiglia che ha fatto tanti danni e voi, non dovete più riprodurla. Questo, lo dico come donna, non sposata per scelta, ma che vive dei legami che vanno al di là dei legami familiari. Infatti preferisco vivere come esiliata, piuttosto che appartenere a quella visione di un mondo che ha provocato tanta ingiustizia.

Alla comunità credente chiederei uno spazio reale per contribuire alla riflessione teologica. Non chiedete solo accompagnamento, comprensione, perché altrimenti la Chiesa farà ciò che ha fatto per secoli con i popoli considerati poveri. Non permettete e non continuate a dare adito a queste relazioni di falsa benevolenza.

Nessuno di voi è un “poverino”; ciascuno nell’assemblea cristiana deve entrarci e parlare con parresia e questa sarà la sua autorità, per aiutare a capire, insieme ad altri e altre che fanno scelte diverse, come prenderci cura della storia. Voi non dovete attirare l’attenzione, ma solo spostarla.
Ricordate alla comunità credente che là dove due o tre si uniscono nel suo nome, Lui o Lei che sia, sta in mezzo e che chi ascolta la Sua Parola e la mette in pratica diviene dimora di Dio (Cfr. Gv 14,23-29). Sono questi i principii che dovrebbero interessare alla chiesa.
Mi rendo conto che questa mia riflessione è semplicemente un varco e, per di più, un varco aperto. Ora sì: posso uscire. Tocca a voi essere fedeli alla vostra bella differenza.

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* Antonietta Potente, teologa. Nata vicino al mar ligure nel 1958, dopo gli studi percorre il cammino della spiritualità mendicante, che segue tuttora diventando suora Domenicana. Nel 1989, a Roma, consegue il dottorato in teologia morale. Fino al 1993 insegnerà a Roma e a Firenze, presso università e centri di studi teologici. Il contatto con altre geografie, soprattutto quelle dell’America Latina e dell’Africa, dovuto al suo lavoro teologico, la sospingerà a lasciare l’Italia. Dal 1994 fino al 2012 vivrà in Bolivia; insegnando all’università cattolica di Cochabamba e in altri centri di teologia dell’America Latina e accompagnando il processo di progressiva liberazione del popolo boliviano e di alcuni gruppi di donne nella periferia della stessa città. La sua teologia entrerà nel dialogo quotidiano con le culture e con altre discipline, uscendo dagli schemi più classici. Attualmente collabora con alcuni centri universitari in Italia. La sua passione misticopolitica, la porta alla ricerca costante di un pensiero e di una pratica teologica che non si separi dalla realtà e soprattutto, perché la teologia non diventi proprietà di una piccola élite. Ama l’arte della scrittura. Tra i suoi numerosi scritti citiamo solo gli ultimi due: Un bene fragile: riflessioni sull’etica, Mondadori, 2011 e Umano più Umano, Ed. Le Piagge, 2013.

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“i forni crematori per gli zingari”

 

 

«Per i rom ci vorrebbero i forni»
Bufera su consigliere comunale

sembra diventare uno sport sempre più nazionale spalancare la bocca o scarabocchiare  su fb la prima banalità o battuta razzista o nostalgia nazista che passa per la mente, subito pronti a legittimarla come ‘provocazione’ alla prima reazione giustamente scandalizzata di chi la sente o la legge; sentite questa:
Massimilla Conti, eletta in una lista civica di centrodestra, su Facebook si è lasciata andare con frasi razziste che hanno scatenato un putiferio

di Giovanna Maria Fagnani

 

Massimilla Conti
Massimilla Conti
“Se tra i cani ci sono razze che vengono più predisposte a aggredire, perché non ammettiamo che i rom sono più portati a commettere certi reati”. E ancora “Le telecamere servono per punire tutti ‘sti bastardi! Comunque niente gattabuia, ci vorrebbero i forni…metto a disposizione la mia taverna. Se vedete del fumo strano che esce dal tetto non vi preoccupate’”.

Queste le parole usate su “Facebook” da Massimilla Conti, 30 anni, consigliere comunale di maggioranza a Motta Visconti, nel commentare i post di alcuni amici, vittime di episodi di microcriminalità. Ma ora i consiglieri di opposizione del Pd chiedono le sue dimissioni, mentre il deputato Pd Vinicio Peluffo annuncia che presenterà un’interrogazione urgente al ministro dell’Interno Angelino Alfano.

Contro i rom
A denunciare le frasi razziste della consigliera, eletta nella lista di centrodestra “Liberamente Motta”, è stato il segretario del Pd locale, Leonardo Morici, che ha fotografato i commenti della Conti, definendoli “semplicemente aberranti” e li ha postati a sua volta, chiedendone immediatamente le sue dimissioni. “E’ inconcepibile che una persona che esprime concetti di questa gravità, che violano Costituzione e codice penale, sieda in un consiglio comunale” dicono Morici e Peluffo. “Chiedere il ritorno dei forni crematori è un limite che non si può oltrepassare – aggiunge Morici – Sono uscite indegne, ancora più gravi visto il ruolo che ricopre. Spero che le dimissioni arrivino volontariamente, altrimenti le chiederemo in consiglio comunale”.
 
Niente dimissioni

A dimettersi, però, il consigliere non ci pensa proprio. “Sono una persona umana e ho usato Facebook come fanno tutti, ho commentato le frasi di un amico con leggerezza. E’ stato lo sfogo di un momento – racconta Massimilla Conti – In un anno ho subito due furti e uno a pochi giorni dalla scomparsa di mia madre. I ladri mi hanno portato via molti suoi ricordi. Uno dei commenti che il Pd cita l’ho scritto in quei giorni, non adesso”. Quanto al paragonare i nomadi ai cani “non è vero che la penso così, non sono razzista e lo dimostro con i fatti e con le mie amicizie. Tornando indietro non userei più questi toni e sono pronta a dare spiegazioni a chiunque dei miei cittadini me le chiederà. Non devo darle al Pd”. Il sindaco Primo De Giuli difende la consigliera: “Il Pd fa attacchi personali, perché non ha altri argomenti – spiega il primo cittadino – Il consigliere ha usato frasi sbagliate per esprimere amarezza per gli episodi di delinquenza, ma non erano rivolte ai rom in particolare. E soprattutto non parlava a nome della nostra lista. Sono cavolate che si scrivono su Facebook, che, oltre a essere sbagliate, non sono opportune, dato il ruolo che ricopre”.

dal sito ‘l’altra Europa’:

NESSUN POSTO NELLE ISTITUZIONI PER CHI RIMPIANGE  
LO STERMINIO DEI ROM E DEI SINTI NEI CAMPI NAZISTI

 Una consigliera comunale di Motta Visconti, Massimilla Conti, ha postato sulla sua pagina Facebook queste parole: “… se tra i cani ci sono razze che vengono considerate più predisposte ad aggredire perché non ammettiamo che i rom sono più portati a commettere reati?” E poi: “Le telecamere servono per punire sti bastardi! Comunque niente gattabuia, ci vorrebbero i forni…metto a disposizione la mia taverna. Se vedete del fumo strano che esce dal tetto non vi preoccupate!”
  Noi Rom e Sinti chiamiamo il nostro sterminio Porrajmos. Significa divoramento, annientamento totale, significa oltre 500.000 uomini donne e bambini morti nei campi di sterminio nazisti. Questa è una parte della nostra storia che ci perseguita ancora, la memoria è viva e dolorosa. Non c’è un solo rom o sinto in Europa che dentro di se non porta e non mantiene ancora viva la memoria di qualche membro della sua famiglia, qualche antenato, parente, nonno, nonna, zia o zio morti in qualche campo di concentramento. Questa è la parte della nostra storia che condiziona in modo significativo la nostra vita quotidiana, le nostre paure e il nostro status sociale.
  Noi siamo un popolo pacifico, non abbiamo mai fatto guerre, non abbiamo mai avuto pretese territoriali, siamo una nazione di 12 milioni di persone senza uno stato, viviamo in tutti stati europei, parliamo tutte le lingue europee, abbiamo tutte le religioni. Portiamo dentro di noi una storia e una cultura millenaria e bellissima. Siamo un vero popolo europeo. Per questo la dichiarazioni di Massimilla Conti, una rappresentante delle istituzioni, colpisce sì, nel cuore le nostre comunità, ma colpisce anche nel cuore la civiltà e la democrazia italiana, un paese che nella sua storia ha visto il fascismo e tra le sue pagine non scritte oltre 50 campi di concentramento soltanto per i Rom e i Sinti.
  Ci aspettiamo che il consiglio comunale di Motta Visconti chieda le dimissioni della consigliera Massimilla Conti e chiediamo al Capo dello stato italiano Giorgio Napolitano in quanto garante della Costituzione italiana, al Presidente del Consiglio italiano Matteo Renzi in quanto rappresentante del governo italiano, a tutti i capo gruppi del Parlamento italiano in quanto rappresentanti del popolo italiano e a tutti i partiti italiani di condannare pubblicamente queste dichiarazioni perché quei fantasmi non tornino tra noi.
 Per aderire: STOPODIORAZZIALE@gmail.com
 

 

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qualcosa sembra che cambi davvero nella chiesa!

 

LA LOTTA DEI MOVIMENTI FA BENE ALL’UMANITÀ
L’INCONTRO DELLE ORGANIZZAZIONI POPOLARI IN VATICANO

sinodo

 

 

 

 

questa sembra davvero la volta buona, che qualcosa cambi davvero nella chiesa! Il pontificato di papa Francesco sembra procedere lentamente ma coerentemente verso un cambiamento: sembra rappresentare un ‘cambiar verso’ non alla Matteo Renzi ma averso la direzione giusta

il grande evento dei giorni scorsi ne è la dimostrazione più evidente: l’evento che  ha visto protagonisti i più di 100 delegati di organizzazioni popolari di tutto il mondo convenuti a Roma per l’incontro organizzato dal Pontificio Consiglio Giustizia e Pace, dalla Pontificia Accademia delle Scienze Sociali e da esponenti dei movimenti stessi, con l’appoggio esplicito di papa Francesco

di seguito la bella sintesi che dei lavori e delle presenze assolutamente impensabili prima di ora hanno fatto Claudia Fanti e Alberto Bobbio:

 

 È stato un momento storico, come l’ha definito Ignacio Ramonet sottolineando che qualcosa sta cambiando nella Chiesa e sta cambiando «nella direzione giusta», quello che ha visto protagonisti i più di 100 delegati di organizzazioni popolari di tutto il mondo convenuti a Roma per l’incontro organizzato dal Pontificio Consiglio Giustizia e Pace, dalla Pontificia Accademia delle Scienze Sociali e da esponenti dei movimenti stessi, con l’appoggio esplicito di papa Francesco.

Un momento storico perché mai prima d’ora si era svolta in Vaticano e con l’avallo del pontefice un’assemblea che si può considerare come una sorta di Forum Sociale Mondiale, convocato con il preciso obiettivo di individuare le cause strutturali dell’esclusione e i modi per combatterle, tracciando nuovi cammini di inclusione sociale, a partire da tre grandi tematiche: Pane (lavoratori dell’economia informale, giovani precari e nuova problematica del mondo del lavoro); Terra (contadini, problematica ambientale e sovranità alimentare, agricoltura); Casa (insediamenti informali e problematica delle periferie urbane).

Un incontro inteso come una grande esperienza di dialogo, punto di partenza del processo di costruzione di una sorta di coordinamento delle organizzazioni popolari, con il sostegno della Chiesa, come ha affermato il card. Peter Turkson, presidente del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace, introducendo i lavori. Un incontro, ha spiegato il cardinale, che non può non richiamarsi all’insegnamento di Giovanni XXIII, il quale «voleva che la Chiesa tenesse le finestre spalancate sul mondo», nella convinzione che «nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco» nel cuore dei discepoli di Cristo. E, a distanza di quasi 50 anni dalla chiusura del Concilio, «è questo – ha evidenziato Turkson – il motivo principale per cui vi abbiamo invitato qui», rispondendo all’esortazione rivolta dal papa alla Chiesa e al mondo tutto ad ascoltare il grido dei poveri e degli esclusi, i quali devono essere, ha sottolineato il cardinale, «non semplici e passivi destinatari di elemosine altrui», ma artefici della propria vita, protagonisti della ricerca di una vita più dignitosa e di un diverso modello di sviluppo. 

vedere…

Un protagonismo di cui i rappresentanti dei movimenti presenti hanno dato senz’altro grande prova, raccontando le proprie esperienze di lotta e di liberazione, in base al programma del primo giorno dei lavori, quello destinato a mettere a fuoco la realtà di esclusione attraverso le testimonianze dei partecipanti, secondo il metodo, proprio della teologia latinoamericana, del vedere-giudicare-agire.

A prendere la parola sono stati quindi i/le rappresentanti del popolo degli esclusi, a cominciare dalla cilena Luz Francisca Rodriguez, di Via Campesina Internazionale, la quale ha espresso tutto l’orgoglio dell’identità contadina, della missione – la più nobile che vi sia – di garantire alimenti sani per tutta l’umanità, proteggendo al contempo la Madre Terra. Ma anche denunciando l’avanzata senza freni del capitale sulle campagne; la mancanza di adeguate politiche agrarie da parte dei governi; il disprezzo nei confronti delle conoscenze e delle culture contadine; il ruolo di una scienza al servizio del capitale, disposta persino a mettere a repentaglio la vita, attraverso per esempio l’imposizione delle colture transgeniche.

E non si poteva parlare di Terra, di Pane e di Casa, senza affrontare il nodo dell’emergenza ambientale e climatica, «un problema – ha sottolineato l’esperto di cambiamenti climatici Veerabhadran Ramanathan – che si trasformerà ben presto in un disastro». Per risolverlo, secondo Ramanathan, occorre operare profondi cambiamenti nel nostro atteggiamento nei confronti della natura e degli altri, in una mobilitazione che non può fare a meno dell’aiuto dei leader religiosi. È un problema, peraltro, che chiama in causa la giustizia, dal momento che, ha evidenziato, i tre miliardi di poveri che contribuiscono alle emissioni di gas ad effetto serra per meno del 5% sono anche quelli che pagheranno maggiormente le conseguenze del riscaldamento globale. 

E a indicare i veri colpevoli ci ha pensato Silvia Ribeiro dell’Etc Group, ricordando come l’1% più ricco dell’umanità controlli quasi il 50% della ricchezza globale e come al 70% della popolazione mondiale resti meno del 3% delle ricchezze. «Gli esperti chiamano Antropocene l’attuale fase planetaria, per sottolineare l’impatto dell’umanità sulla vita della Terra. Non sono d’accordo», ha concluso: «Quella attuale è l’era della plutocrazia, quella in cui 85 miliardari, da soli, consumano risorse quanto la metà della popolazione mondiale».

… giudicare…

La seconda giornata dei lavori ha avuto il suo culmine nell’incontro con papa Francesco che ha esordito riconoscendo il protagonismo dei poveri, i quali, ha sottolineato, non sono solo coloro che soffrono l’ingiustizia, ma anche coloro che lottano contro l’ingiustizia, che non aspettano passivamente gli aiuti degli organismi internazionali, che non attendono da altri soluzioni che non arriveranno mai.  

Questo incontro, ha evidenziato, esprime l’anelito concreto verso quei «diritti sacri» che devono essere garantiti a tutti: terra, casa, lavoro. E a chi dice che «il papa è comunista» non si può non ricordare che «è questo il fulcro del Vangelo». 

Al principio, ha sottolineato il papa soffermandosi sul primo di questi «diritti sacri», Dio ha creato l’essere umano come custode del creato. Un compito che viene tradito con l’accaparramento di terre, con la deforestazione, con l’appropriazione delle fonti d’acqua, con la trasformazione del cibo in merce. Contro tutto ciò, il papa ha dichiarato con forza che «la fame è un crimine», «l’alimentazione è un diritto inalienabile», «la riforma agraria è non solo una necessità politica, ma un obbligo morale». 

Quanto alla casa, il secondo dei diritti sacri, ha ricordato che le città che conosciamo, nel momento stesso in cui offrono tutti i servizi possibili a una minoranza ricca, negano un tetto a migliaia di abitanti, chiamati elegantemente «persone di strada»: è incredibile – ha notato il papa – quanto proliferino gli eufemismi nel mondo dell’ingiustizia. E come, dietro a ogni eufemismo, si nasconda sempre un crimine. Basti pensare alle tristi immagini degli sgomberi forzati, così simili a «immagini di guerra».

Infine, il lavoro: «Non esiste peggiore povertà materiale di quella che impedisce alle persone di guadagnarsi il pane», come conseguenza di un sistema economico che pone gli interessi privati al di sopra della persona e dell’umanità, e come espressione di una cultura dello scarto che trasforma l’essere umano in un bene di consumo, in nome «di un sistema che mette al centro il dio Denaro». Un’aggressione a cui in tanti rispondono reinventandosi un’occupazione nell’ambito dell’economia popolare e del lavoro comunitario e questo, ha detto il papa, «non è solo lavoro, è poesia».

E, per finire, un’esortazione ai movimenti popolari, perché continuino a organizzarsi, rivitalizzando le nostre democrazie, in maniera che non vi sia più nessun contadino senza terra, nessuna famiglia senza casa, nessun lavoratore senza diritti. «Voi avete i piedi nel fango, sapete di polvere di strada, di popolo, di lotta. Senza di voi – ha detto – tutti i buoni propositi dei discorsi ufficiali rimangono lettera morta»: «Continuate a lottare perché la vostra lotta è una benedizione per l’umanità».

E se una delle grandi sfide dei movimenti popolari è, come ha evidenziato Margaret Archer, presidente della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali, quella di tradursi in «forma legittima di governo», secondo il principio di «una democrazia partecipativa che trasmetta dal basso verso l’alto le esigenze dei poveri», nessuno era più indicato di Evo Morales, leader cocalero diventato presidente della Bolivia, per affrontare la questione.

Ed è con il suo racconto dell’esperienza di rifondazione della Bolivia che si è conclusa la seconda giornata dei lavori, evidenziando la necessità per i movimenti di passare dalla fase della resistenza a quella dell’appropriazione del potere politico, dalla lotta sociale alla lotta elettorale, in nome di una democrazia che rappresenti gli interessi del popolo e non del mercato e che sia dominata non dalla logica della maggioranza e della minoranza, ma da un processo decisionale fondato sul consenso. 

Ma se apprezzatissimo è stato il discorso del papa, non sono comunque mancate critiche all’istituzione ecclesiastica: al ruolo da questa giocato nel passato, nei confronti per esempio dei popoli indigeni, e nel presente, riguardo, ad esempio, al sostegno prestato al colpo di Stato in Honduras, sulle cui conseguenze si è soffermata un’appassionata lettera consegnata a papa Francesco dal Copinh (Consejo civico de organizaciones populares e indigenas de Honduras) e letta in plenaria dalla dirigente Berta Caceres: «Vogliamo che in Honduras – si legge nella lettera – rinasca una Chiesa impegnata con i più impoveriti e le più impoverite, come auspicavano i nostri santi e i nostri martiri, da p. Guadalupe Carney a mons. Romero, non con cardinali che concedono la loro benedizione a colpi di Stato e a sistemi di potere che perseguitano quanti percorrono il cammino di liberazione all’interno della stessa Chiesa». Dove il riferimento è chiaramente al card. Rodriguez Maradiaga, ribattezzato dal suo popolo, all’epoca del colpo di Stato, “cardinale golpista” o “cardeMal”, per il suo aperto appoggio al regime golpista, e poi scelto da papa Francesco per presiedere il gruppo di cardinali incaricato di elaborare un progetto di riforma della Curia. 

agire!

L’ultimo giorno dei lavori è stato invece incentrato sull’elaborazione e la discussione dei documenti finali dell’incontro, quelli ad uso interno come pure la Dichiarazione finale dell’incontro dei movimenti popolari (che può essere letta sul sito www.movimientospopulares.org). Né è mancata una sintesi di tutto il dibattito svoltosi nell’ultimo giorno, affidata a João Pedro Stedile, leader del movimento dei Senza Terra, e a Paola Estrada, dell’Alba dei movimenti, e articolata attorno ai tre ambiti tematici della terra, del lavoro e della casa.

Così, rispetto alla Terra, il proclama «non vi sia nessun contadino senza terra» va affiancato a quello «nessun popolo senza il suo territorio»: i movimenti popolari sono chiamati a lottare per una Riforma Agraria Popolare, integrale, democratica, centrata sulla sovranità alimentare, sull’accesso universale all’acqua, sul controllo delle sementi, sull’agroecologia, sulla produzione di alimenti sani per tutto il popolo. 

E poi, sviluppando il principio «non vi sia nessun lavoratore senza diritti», occorre lottare perché tutti abbiano diritto a un lavoro degno e a un reddito tale da garantire una vita dignitosa, perché a tutti vengano riconosciuti i diritti del lavoro e perché tutti possano trovare lavoro nei propri luoghi di vita, senza essere costretti ad emigrare. Ma i movimenti sono anche chiamati a lottare contro ogni forma di discriminazione e ogni forma di schiavitù e a denunciare la subordinazione di Stati, governi e sindacati agli interessi delle transnazionali.

In base quindi al principio «non vi sia nessuna famiglia senza una casa dignitosa», i movimenti si impegnano, tra l’altro, a trasformare le periferie degradate in spazi comunitari di solidarietà e buen vivir, a combattere la speculazione finanziaria e immobiliare, a promuovere processi di autogestione cooperativa, a lottare per il diritto al ritorno di tutte le popolazioni sfollate, a difendere occupazioni collettive di edifici e di terreni inutilizzati per risolvere il problema della casa. 

Accanto a questi, altri impegni sono stati proposti dai rappresentanti dei movimenti, come la creazione di una rete di solidarietà che consenta di mobilitarsi contro ogni caso di ingiustizia e di persecuzione in qualsiasi Paese del mondo, la collaborazione con tutte le tradizioni religiose per coscientizzare il popolo sulla necessità dell’organizzazione, il ricorso all’insegnamento di papa Francesco per diffondere tra i popoli l’esigenza di lottare per i cambiamenti necessari nel mondo, la promozione di nuovi modi di consumo e di nuovi stili di vita, in maniera, ha evidenziato Stedile, che «nessun lavoratore insegua il sogno di diventare un piccolo borghese». Infine, l’accento dei delegati è stato posto sulla necessità di continuare a riunire i settori organizzati in lotta per la terra, il lavoro e la casa, di creare una piattaforma di comunicazione tra i partecipanti per la promozione di azioni comuni, di mantenere un dialogo continuo con papa Francesco in vista della creazione di un’istanza di collaborazione permanente. (claudia fanti) (Rimandiamo alla nostra pagina Facebook per la lettura integrale dei resoconti della nostra redattrice)

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Per tre giorni l’Incontro mondiale dei Movimenti Popolari: da Banca Etica ai Sem Terras ai centri sociali italiani un centinaio di sigle portano le voci delle periferie in Vaticano.

Alberto Bobbio
Si chiama Incontro mondiale dei Movimenti popolari e si svolge in Vaticano per tre giorni da lunedì 27 ottobre coordinati dal Pontificio Consiglio per la giustizia e la pace e dalla Pontificia Accademia delle scienze. In pratica è il Social Forum mondiale che si trasferisce da papa Francesco. E’ lui che ha voluto far incontrare e parlare con loro, le organizzazioni di base che lavorano nell’ambito della giustizia sociale e che di solito non hanno alcun riconoscimento da parte delle istituzioni. Sono un centinaio di sigle di tutto il mondo, a loro volta rappresentanti di reti nazionali e internazionali, che operano nei Paesi ricchi e nel Terzo Mondo e che una volta all’anno si trovano nel “Social forum”, una sorta di congresso- happening, nato in Brasile a Porto Alegre anni fa con lo slogan “Un altro mondo è possibile” per poter contrastare le analisi dei banchieri e degli imprenditori globali riuniti ogni anno a Davos in Svizzera. Al Social Forum da dieci anni partecipano anche alcune organizzazioni cattoliche, tra cui Caritas italiana, sacerdoti, missionari e vescovi.

L’incontro che si apre lunedì in vaticano si intitola “Terra, Domus, Labor”. Bergoglio li conosce bene perché quando era arcivescovo di Buenos Aires creò un apposita vicaria per coordinare con loro il lavoro della Chiesa per i poveri. Scorrendo l’elenco si rimane sorpresi. Tra i movimenti italiani, oltre a Banca etica e all’Associazione Trentini nel mondo, che si occupa di cooperazione internazionale, c’è il centro sociale Leoncavallo di Milano, uno dei centri sociali storici del nostro Paese, e la rete “Genuino Clandestino”, un network di centri sociali che coordina i No-Tav e i movimenti No Expò, bocciato con lo slogan “Affamare il pianeta, energie per le lobby”. Genuino Clandestino nasce nel 2010 per sostenere il cibo contadino contro la grandi industrie alimentari dell’agrobusiness e contro i sistemi ufficiali di certificazione, ma è diventato via via una rete in cui convivono molte iniziative, si legge nella presentazione in rete, “fiero di essere clandestino” e di portare “avanti le sue lotte e la sua esistenza con o senza il consenso della legge”.
E c’è anche “Ri-Maflow” il progetto degli operai licenziati dalla Maflow, una multinazionale a capitale italiano e stabilimenti in tutto il mondo, nel cui sito di Trezzano sul Naviglio lavoravano 330 persone, una fabbrica ridotta al fallimento non già per crisi industriale ma per speculazione finanziaria e chiusa definitivamente nel dicembre 2012, che si sono riappropriati della fabbrica, decisi a dimostrare che una fabbrica autogestita, senza padroni e senza sfruttamento, può funzionare. Ci sono  gli “Indignados” spagnoli e la rete di “Democracia Real YA”, il nucleo storico degli indignados quelli che diedero il via al movimento occupando nel 2011 per molti giorni Puerta del Sol a Madrid. Dalla Spagna arriva, oltre la Gioventù operaia di Azione Cattolica, anche Enhe Bizkaia, il sindacato basco che esprime le posizioni del braccio politico dei separatisti. C’è il network internazionale di Via Campesina nelle sue varie articolazioni nazionali, a partire dall’associazione francese di José Bové, che anni fa guidò il movimento contadino d’Oltralpe nelle rivendicazioni contro la multinazionali del cibo e il governo di Parigi, e diventò un eroe nazionale quando assaltò insieme ad altri un McDonald’s a Millau, dove venne arrestato.
Il comunicato con  il quale il Vaticano ha annunciato l’incontro è firmato anche da Joao Pedro Stédile, leader dei Sem Terra brasiliani e coordinatore di Via Campesina Internacional, uno dei movimento sociali più influenti e potenti in Brasile. Stédile ha scritto alcuni anni fa che “un movimento contadino che contesta le classi dirigenti può considerare un trionfo il semplice fatto di esistere”. Poi c’è United Steelworkers, il maggiore sindacato americano del settore industriale impegnato per globalizzare le lotte dei lavoratori contro le multinazionali e per creare un’organizzazione mondiale di sindacati più incisiva nella difesa dei diritti dei lavoratori cosa che oggi non accade poiché i capitali sono globali mentre il lavoro è nazionale.
L’elenco comprende moltissime organizzazioni impegnate nella difesa delle sovranità alimentare dei popoli in tutti i continenti, tutte le associazioni che lottando in Africa contro il “land grabbing”, cioè l’acquisto di enormi appezzamento per culture intensive da destinare quasi sempre ai biocarburanti. Ci sono le comunità indigene, il coordinamento delle donne rurale di moltissimi Paesi, le organizzazioni che curano l’accesso al credito contro le regole delle grandi banche. Ma c’è anche la Cut, il potente sindacato brasiliano, il coordinamento dei movimento che in Grecia hanno contribuito al successo di Tzipras, i cartoneros e le empresas recuperadas argentina che hanno permesso a molta gente di sopravvivere con il riciclaggio di ogni cosa alla terribile crisi di Buenos Aires.
Il leader di questi movimenti argentini Juan Grabois, amico di Bergoglio dai tempi di Buenos Aires, e avvocato dei cartoneros era presente in Vaticano venerdì scorso alla conferenza stampa di presentazione dell’incontro: “Papa Francesco non si dimentica di noi, cioè di chi lotta, senza superbia, ma con coraggio, senza violenza, ma con tenacia per la dignità che ci hanno rubato e la giustizia sociale”.

Mons. Marcelo Sanchez Sorondo, cancelliere della Pontificia accademia delle Scienze ha spiegato che il Papa “non teme la politicizzazione, anzi questa è necessaria perché i politici si rendano conto dei problemi e dunque ci vuole una certa pressione”. Sorondo ha aggiunto che “diverse conferenze episcopali e vescovi non  sono consapevoli del problema”. Anche il cardinale  AppiahTurkson, presidente del Pontifico Consiglio della giustizia e della pace, allontana rischi di strumentalizzazione e le critiche che si tratta soprattutto di movimenti di sinistra: “Beati i poveri è una frase del Vangelo”. Sorondo ha ricordato che “il papa ha detto che sono i marxisti ad aver rubato la bandiera” e che lo stesso Bergoglio ha detto di non essere “trotskista, ma ha molti amici trotskisti”.
In Vaticano dovrebbe esserci anche Evo Morales, il presidente boliviano, che viene però come leader storico dei cocaleros boliviani, il movimento dei contadini che hanno rivendicato in passato la coltivazione della foglia di coca, come coltura nazionale e non come base del narcotraffico. Per la prima volta nella storia della Chiesa, fa notare Frei Betto, il sacerdote domenicano brasiliano uno dei leader della teologia dalla liberazione, “il Papa cambia interlocutori e ascolta coloro che veramente rappresentano i poveri”. Frei Betto ricorda che l’unico precedente è stato un incontro di Karol Wojtyla nel 1980 durante il primo viaggio in Brasile nella cappella del Collegio Santo Americo a San Paolo con alcuni sindacalisti, tra cui Lula, “ma si trattò di un incontro protocollare”.

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“quelle bidelle rom non le vogliamo”

 

Cagliari, mamme in rivolta per due bidelle rom: “Non le vogliamo a scuola coi nostri figli”

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una ‘guerra’ contro i rom

manifestaz rom 4“non si affitta agli zingari”: questa l’amara considerazione dei rom della Bigattiera (Pi) di fronte allo sgombero del loro campo dopo le promesse di fornirli di luce e acqua

su questo una puntualizzazione dal sito ‘la Bigattiera’ e una riflessione di p. Agostino Rota Martir

“Sospendere lo sgombero, fermare la guerra contro i rom”

Più di un anno fa, il Consiglio Comunale di Pisa approvava una mozione che chiedeva di ripristinare acqua, luce e scuolabus per il Campo della Bigattiera. Da allora nulla è stato fatto: niente acqua, niente luce, niente scuolabus. Nessun progetto di inserimento abitativo, che pure era stato promesso, e che figura tra gli obiettivi della Strategia di Inclusione dei rom approvata dal Governo italiano. Perché – è bene chiarirlo, ancora una volta – le famiglie della Bigattiera non vogliono stare al campo: vorrebbero abitare nelle case, come tutti, lavorando e pagando un regolare affitto. Ma quando si cerca casa la risposta è sempre la stessa, «non si affitta agli “zingari”»…

Negli ultimi giorni, le cose sono cambiate. Tutte le famiglie sono state convocate dagli assistenti sociali, che hanno annunciato l’imminente sgombero. La data non è stata comunicata, ma si sa che l’intervento verrà fatto nel giro di una o due settimane. Che fine faranno le famiglie, che fine faranno i bambini, dopo che il campo sarà chiuso? Gli assistenti sociali hanno prospettato poche e drastiche “soluzioni”.

E’ stato proposto, anzitutto, un programma di “rimpatrio assistito”: tornare al paese di origine, con il viaggio pagato dal Comune e un contributo di duecento euro a persona. Ci rimandano “a casa”, dicono. Ma la Macedonia, per noi, non è “casa”. Molte famiglie abitano a Pisa da venti, a volte da venticinque anni. Quasi tutti i bambini sono nati in Italia, o ci sono arrivati quando erano molto piccoli. Alcuni, tra l’altro, non hanno nemmeno la cittadinanza macedone: andrebbero a vivere in un paese in cui sono stranieri. La nostra casa è qui, in Italia, a Pisa: è questo il luogo dove molti di noi hanno vissuto gran parte della loro vita, è questo il luogo dove vogliamo vivere.

Per i rom regolari, è stato proposto l’invio in località “fuori dalla regione Toscana”: vogliono mandare via le famiglie, in città lontane e per loro sconosciute, senza alcuna garanzia di un inserimento sociale. E’ stato promesso anche un contributo all’affitto per i rom che dovessero trovare una casa: ma come troviamo una casa in due settimane, se non siamo riusciti a trovarla in tutti questi anni? Nessuno affitta una casa a un rom che abita in un campo, se non c’è un aiuto o un sostegno da parte del Comune.

La verità è un’altra. La verità è che vogliono semplicemente sgomberare il campo. La verità è che vogliono sbattere famiglie e bambini in mezzo a una strada, senza nessuna vera alternativa. Gli sgomberi fatti così, senza dare nessuna soluzione, sono illegali: l’Unione Europea, il Consiglio d’Europa, lo stesso governo italiano nella sua “Strategia Nazionale di Inclusione”, dicono da tempo che gli sgomberi sono illegali, se lasciano le famiglie in mezzo a una strada. E’ per questo che esiste un’unica soluzione: sospendere lo sgombero, fermare la guerra contro i rom, e tornare alla pace e al dialogo. Solo con il dialogo si possono individuare soluzioni efficaci e giuste per tutti.

I rom della Bigattiera e i cittadini solidali

 

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I Rom di Pisa, gli uccelli sui rami e il sasso lanciato contro..

 

La conferenza stampa tenuta ieri a Pisa sulla situazione del campo della Bigattiera, almeno per me ha segnato un momento significativo, soprattutto in ciò che riguarda il discorso della integrazione, che spesso è una bandiera sventolata a vanvera da tanti soggetti in causa.

Quanto avrei desiderato che il discorso del Rom della Bigattiera fosse ascoltato dagli stessi amministratori, discorso fatto fuori dal palazzo del Comune, ma capace di allargarsi sull’intera città, passando nelle scuole, piazze, Chiese..fino a raggiungere chiunque, compreso l’accampamento nascosto sotto qualche ponte della nostra città.

Certo il discorso di Kamil non risolve le questione tutt’ora aperte riguardanti i Rom in genere, ma evidenzia le contraddizioni delle soluzioni che l’amministrazione di Pisa sta destinando sulla testa degli interessati.

Cosa ha detto in sostanza Kamil? Ha usato la semplice immagine degli uccelli che stanno seduti sui rami di un albero, qualcuno quando getta un sasso sull’albero gli uccelli volano via, ma poi ritornano ad appollaiarsi sopra lo stesso albero.

Gli sgomberi della Amministrazione sono il sasso lanciato contro gli uccelli, ma “noi Rom” prima o poi ritorniamo su quell’albero, perché Pisa è la nostra casa è il nostro albero, i nostri figli sono nati qui, non altrove. Voi ci date l’elemosina per ritornare al nostro paese (Macedonia), ma questa è la nostra casa, perché in Macedonia dovremmo vivere da clandestini? Il sangue non si compra, proprio come il volo degli uccelli, li puoi spostare solo nelle gabbie.

Il senso è che con le gabbie non c’è integrazione alcuna, essa è innanzitutto questione di sangue e cuore, prima ancora che di numeri! “Io mi sento Pisano”: i miei figli sono nati qui, come quelli di tanti altri Rom della Bigattiera, che vanno a scuola con i vostri figli..perché dovremmo andare in Macedonia o in un’altra regione Italiana per sentirci di nuovo “stranieri, mal visti e sospetti da tutti”?

Se voi adesso ci sgomberate (lanciate il sasso addosso), noi voleremo via senz’altro, ma ritorneremo qui, troveremo a Pisa un altro posto, con la nostra gente! Qui è il nostro albero, anche se agli assistenti sociali del comune non piace. Noi c’eravamo prima che loro iniziassero a lavorare, magari venendo loro da fuori.

E’ fuori dubbio che Kamil ieri non sapesse del discorso di papa Francesco fatto il giorno prima a Roma, ai partecipanti all’incontro mondiale dei movimenti popolari.. ma non è il solo a non saperlo o a ignorarlo, purtroppo! Sono sicuro che le sue parole avrebbero illuminato il cuore del vescovo di Roma, trovando forse spazio in qualche suo passaggio, soprattutto quando parla proprio degli sgomberi:

“Viviamo in città che costruiscono torri, centri commerciali, fanno affari immobiliari ma abbandonano una parte di sé ai margini, nelle periferie. Quanto fa male sentire che gli insediamenti poveri sono emarginati o, peggio ancora, che li si vuole sradicare! Sono crudeli le immagini degli sgomberi forzati, delle gru che demoliscono baracche, immagini tanto simili a quelle della guerra. E questo si vede oggi.”

Sono parole del Papa..mica mie o dei soliti fuori di testa.

Ad ogni modo grazie a Kamil per la bella lezione di “integrazione dall’albero di Pisa” sull’intera cittadinanza, spero che continui a volare attorno a noi.

Agostino Rota Martir

Campo Rom di Coltano (PI) .. pardon dallo “spazioso albero Rom” di Coltano, ancora ricco di rami.

31 Ottobre 2014

 

 

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il commento al vangelo

 

CHI CREDE NEL FIGLIO HA LA VITA ETERNA

E IO LO RISUSCITERO’ NELL’ULTIMO GIORNO 

Commento al Vangelo di p. Alberto Maggi 
COMMEMORAZIONE DI TUTTI I DEFUNTI 
2 novembre 2014

maggi

 
Gv 6,37-40

In quel tempo, Gesù disse alla folla:  «Tutto ciò che il Padre mi dà, verrà a me: colui che viene a me, io non lo caccerò fuori, perché sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato.
E questa è la volontà di colui che mi ha mandato: che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma che lo risusciti nell’ultimo giorno.  Questa infatti è la volontà del Padre mio: che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno».

Per la commemorazione dei fedeli defunti, la liturgia ha scelto un brano del vangelo di Giovanni, il  lungo discorso di Gesù nella sinagoga di Cafarnao sul pane della vita, al capitolo 6, versetti 37-40.
In questo lungo discorso ai suoi discepoli Gesù afferma che si fa pane, alimento di vita, perché quanti poi lo accolgono siano capaci a loro volta di farsi pane e alimento di vita per gli altri. In questo ricevimento del pane, che è Gesù, e nel farsi pane per gli altri c’è questa comunicazione della vita di Dio, di una vita divina, capace di superare la morte.
Ma sentiamo cosa dice Gesù secondo Giovanni. “Tutto ciò che il Padre mi dà, verrà a me”. Il desiderio di pienezza di vita che il Padre come creatore ha posto nell’intimo di ogni uomo trova la piena risposta in Gesù. Gesù è la piena risposta di Dio al bisogno di pienezza di vita che ogni persona si porta dentro.
E Gesù afferma “Colui che viene a me, io non lo caccerò fuori”. Il verbo “cacciare” in questo vangelo appare 6 volte, due volte quando Gesù caccia le pecore dal tempio e poi dal recinto dell’istituzione religiosa, significando la libertà che Gesù è venuto a portare ai suoi; una volta per l’istituzione che caccia, scaccia fuori dalla sinagoga coloro che credono in Gesù; e infine l’ultima volta  – positiva – l’annunzio che il principe del mondo sarà cacciato fuori.
E’ la vittoria della vita sulla morte, della luce sulle tenebre. Gesù non caccia nessuno, lui è solo accoglienza. 
“Perché sono disceso dal cielo ..”, questa discesa dal cielo non va intesa in senso spaziale, ma teologico. Vuol dire che l’origine di Gesù non è meramente umana, ma divina. Con la discesa dello Spirito Santo, Gesù, il Cristo, è la definitiva presenza di Dio tra gli uomini.
L’evangelista, al termine del suo Prologo, aveva scritto che Dio nessuno l’ha mai visto, solo il Figlio unigenito ne è la rivelazione. Gesù è la piena manifestazione, la piena presenza di Dio tra gli uomini.
 “Non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato”.  La volontà del Padre e la volontà di Gesù sono identiche: entrambi desiderano comunicare vita, e vita abbondante, agli uomini. E poi Gesù afferma “E’ questa la volontà”, con l’articolo determinativo, non ci sono tante volontà. A volte si fa coincidere la volontà di Dio con gli avvenimenti tragici, tristi, di sofferenza della vita. Nel vangelo la volontà è unica e positiva.
Sentiamola. “Questa è la volontà di colui che mi ha mandato: che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma che lo risusciti nell’ultimo giorno”.
Per la prima volta nel vangelo di Giovanni compare l’espressione “ultimo giorno” che poi comparirà sette volte, di cui quattro in questo lungo discorso, sempre associato al verbo “risuscitare”. L’ultimo giorno nel vangelo di Giovanni, che cadenza secondo il ritmo di una settimana il suo vangelo, è quello della morte di Gesù.
Quando Gesù, annunziando che tutto è compiuto, che il progetto di Dio sull’umanità si è realizzato, consegna il suo spirito, dona lo spirito. Quindi l’ultimo giorno è il giorno della morte, ma che è un’esplosione di vita. Gesù, morendo, consegna la vita di Dio, consegna il suo spirito. “Questa infatti è la volontà del Padre mio”.
Gesù torna di nuovo a ripetere, a ribadire quale sia la volontà. E Gesù si è definito il figlio dell’Uomo, è stato definito il figlio di Dio, qui si parla soltanto di “figlio”. Vedere il figlio significa riconoscere la capacità dell’uomo di essere il figlio di Dio realizzando in sé il progetto del creatore.
“Chiunque vede il Figlio e crede”, cioè da la sua adesione, “in lui abbia vita eterna”, senza l’articolo come invece viene tradotto. Perché questa definizione dell’evangelista? Perché l’omissione dell’articolo? Perché la vita eterna avrebbe potuto far pensare a quella della credenza giudaica, cioè una vita che iniziava dopo la morte, come un premio per la buona condotta tenuta nella vita presente. No Gesù dice “Che lui abbia vita eterna”, una vita che è già eterna, non tanto per la durata indefinita, ma per la qualità, che è divina e quindi indistruttibile.
Il dono dello spirito, ci assicura Gesù, porta con sé il dono della risurrezione già in questa vita. Gesù dirà poi più avanti che chi crede in lui non farà mai l’esperienza della morte.

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