la famiglia in radiografia in vista del sinodo straordinario

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in vista del sinodo straordinario dell’autunno prossimo sui problemi e le nuove modalità di fare famiglia oggi, in ambito cattolico si intensifica la riflessione e la discussione su tali problematiche

con la pubblicazione dell’ ‘instrumentum laboris’ che serve da base di discussione su tali problematiche la stampa registra appunto tale ulteriore intensità di riflessione e discussione: qui di seguito (con l’aiuto insostituibile del sito ‘finesettimana’) il link a una parte degli articoli apparsi un questi giorni:

 

Dai gay ai divorziati la svolta dei vescovi “Basta  condanne” di Paolo Rodari in la Repubblica del 27 giugno 2014

La difficile realtà delle coppie di fatto, i divorziati risposati e il nodo dei sacramenti, la denuncia del femminicidio e della pedofilia, la questione dell’omosessualità con il «no» al matrimonio gay ma la richiesta di maggiore attenzione pastorale alle coppie dello stesso sesso. Il coraggio delle ragazze madri e lo snellimento delle procedure per la nullità matrimoniale, la contraccezione e la difficoltà del popolo di Dio a seguire l’enciclica Humanae Vitae di Paolo VI. C’è tutto questo nell’ Instrumentum Laboris,
La dottrina ecclesiastica è lontana dalla famiglia nelle forme in cui oggi è conosciuta”. È la stessa Chiesa ad ammettere questa distanza definita “preoccupante” all’interno dell’ Instrumentum Laboris, documento preparatorio in vista del Sinodo straordinario sulla famiglia voluto da Papa Francesco, in programma in Vaticano dal 5 al 19 ottobre.
La «rivoluzione» di Francesco a proposito di morale sessuale, famiglia, matrimonio è soprattutto di approccio, stile, metodo. È in termini di attenzione, sensibilità, vicinanza senza pregiudizi che dal Vaticano spira aria fresca e nuova.
Di là dai singoli punti, l’essenziale lo dice l’arcivescovo Bruno Forte, segretario speciale del Sinodo, quando parla di «una Chiesa accogliente, in uscita» e di un documento che esprime «rigore e onestà nel non chiudere gli occhi di fronte ad alcun problema, per quanto inquietante o scomodo possa sembrare»…
“L’Instrumentum laboris, la traccia che orienterà il dibattito e che è stata presentata ieri mattina in Vaticano, offre una fotografia allarmante di quanto poco conosciuto sia l’insegnamento cattolico in fatto di morale sessuale, soprattutto in Europa e America… (ndr.: forse anche il magistero conosce troppo poco il modo di pensare di vivere di molti credenti)
L’impianto complessivo, pur privo dei toni definitivi di altri documenti vaticani emanati durante i pontificati di Wojtyla e Ratzinger, ribadisce la visione tradizionale della famiglia cattolica: fondata sul matrimonio fra uomo e donna e aperta alla procreazione. Ma all’interno di questo quadro che ovviamente non poteva essere smentito, si notano aperture e sforzi di comprensione delle nuove situazioni.
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la chiesa e la mafia

 le tacite connivenze con la mafia

 

papa-francesco

 

 

 

 

non sono molti giorni che papa Francesco si è pronunciato durissimamente nei confronti delle mafie e in particolare della ‘ndrangheta, in occasione della sua visita pastorale in Calabria: una vera e propria scomunica

ciò ha provocato una singolare reazione: uno ‘sciopero della messa’ da parte di detenuti del carcere di Larino, nel Molise, che se per un verso può interpretarsi come un positivo prender atto della necessità di una conversione radicale per prendere parte fruttuosamente alle celebrazioni religiose, per altro verso sembra più vicino al vero interpretare questa reazione come un rifiuto di tale condanna

sicuramente non tiene conto delle parole del papa chi ha organizzato la processione con la Madonna ad Oppido Mamertino, in provincia di Reggio Calabria: durante la processione vi è stata la sosta e l’inchino di chi portava la statua della Madonna davanti alla casa del capo di una cosca ‘ndranghedista

la cosa, ovviamente, ha suscitato le più forti reazioni anche perché sembra che al clero presente alla processione questo non sia stato affatto vissuto come una cosa strana, anzi addirittura insostenibile al punto di dover prendere le distanze fino a uscire dalla processione stessa, come invece hanno fatto, meritoriamente, i carabinieri presenti

ciò non può che riproporre la riflessione sui rapporti chiesa-mafia e la stampa odierna riproduce bene l’intensità della problematica e relativa discussione

riproduco di seguito i link a diversi articoli apparsi sulla stampa odierna in riferimento a tutto ciò (con l’aiuto insostituibile della rassegna stampa di ‘finesettimana’):

 

“Può essere questo l’indizio che nel mondo della criminalità organizzata stia maturando l’orientamento ad allentare i rapporti con la religione della tradizione, a considerare i due poteri (mafia e chiesa) come meno intrecciati e collusi.” “Ma lo sciopero della messa attuato dai detenuti mafiosi … può anche essere letto da un’altra prospettiva: quella della negoziazione di un nuovo rapporto con la chiesa cattolica, della ricerca di uno “sconto di pena”
le parole di Papa Francesco non solo scuotono questa connivenza, questo avallo reciproco, questo patto silenzioso fra potere criminale e Chiesa locale – ed è già un fatto straordinario – ma entrano in uno spazio diverso, più sottile, più scoperto: quello della coscienza dei singoli. Agiscono su un terreno nuovo, che non riguarda solo una collettività, ma chiama in causa – uno per uno – chi ha creduto che la fede nel Dio dei cristiani e l’essere parte di un clan mafioso potessero coesistere.
quanto è accaduto a Oppido Mamertina, quel parroco che ha consentito che si mantenesse quel perverso intreccio tra sacro e sacrilego, denunciato con forza da Papa Francesco proprio in Calabria ha turbato la comunità cristiana. «Non c’è nessun margine e nessuna possibilità di commistione tra fede e malavita» ha commentato il vescovo di Cassano allo Jonio e segretario della Cei, monsignor Nunzio Galantino

Un gesto clamoroso di ribellione alla Chiesa», concordano vescovi e cappellani in prima linea contro le cosche. La scomunica di Francesco ai mafiosi fa effetto sui detenuti ad alta sicurezza del carcere di Larino, in quella provincia di Campobasso che sabato la visita del Papa ha trasformato in laboratorio del Vangelo sociale.
E’ inquietante, questa sincronia di tempi. L’inchino ai boss era stato addirittura «ufficialmente proibito» in un decreto del febbraio di quest’anno. Aver contravvenuto al provvedimento non è un gesto estemporaneo. È la mafia che non ci sta e non accetta la scomunica, come non accettò la «ribellione» di don Pino Puglisi che ignorava i «consigli» dei boss.

abbiamo a che fare con una mentalità radicata, una sorta di assuefazione a certi comportamenti. Non è che questo possa cambiare da un momento all’altro… Abbiamo bisogno di metterci tutti a lavorare, di impostare un processo di educazione, di purificazione della pietà popolare. Di non lasciare soli i sacerdoti, i parroci di frontiera del paesino dove tutti sanno chi è il mafioso. E non lasciare soli neanche i vescovi»
“coloro che commettono certi crimini omicidi, delitti di stampo mafioso etc – sono di per sé fuori dalla grazia di Dio e come tali non possono più accedere ai sacramenti. È un po’ la medesima cosa che accade, ovviamente con i dovuti distinguo, per un divorziato risposato. Questi non può accedere alla comunione a motivo di quanto ha fatto.” (ndr.: il divorziato risposato, con i dovuti distinguo, è come un mafioso assassino? Anzi, è peggio di un mafioso assassino, perché quest’ultimo può pentirsi e quindi ricevere i sacramenti, mentre il divorziato risposato no?)
Non accettano la scomunica di papa Francesco i detenuti del carcere di Larino e vogliono continuare a prendere i sacramenti. Per questo hanno avviato una protesta contro il cappellano del carcere, don Marco Colonna: «Padre, se non li possiamo più prendere, noi alla funzione religiosa non veniamo più».
Monsignor Nunzio Galantino, segretario generale della Cei, ha detto «che la Madonna non si inchina ai malavitosi. Chi ha fatto fare l’inchino alla Madonna le ha fatto fare un gesto che la Madre di Dio non avrebbe mai fatto. Si è inchinata la statua, non la Madonna».
“Questo sciopero non dice: «Il Papa ci ha tolto la patente di cristiani, non possiamo più battere le strade della messa e della comunione ». Perché questo è falso. Papa Francesco nel suo viaggio in Calabria ha fatto un gesto comunicativamente geniale, è andato a trovare i detenuti nel carcere di Castrovillari e ha detto loro «anche io sbaglio, anche io ho bisogno di perdono»: è in questa frase la vera forza della sua dichiarazione di scomunica. Non è contro l’uomo che in carcere appartiene all’organizzazione ma contro l’organizzazione. La scomunica non è all’assassino, … La scomunica è all’assassinio… alla prassi mafiosa
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il commento al vangelo della domenica

 

i biblisti p. Maggi e p. Smulders commentano il vangelo della domenica quattordicesima (6 luglio 2014) del tempo ordinario:

Mt 11,25-30

In quel tempo Gesù disse: «Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. Tutto è stato dato a me dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo. Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero».

IO SONO MITE E UMILE DI CUORE

commento al Vangelo di p. Alberto Maggi

maggi

Dopo il lamento di Gesù sulle città della Galilea che hanno rifiutato il messaggio del Regno, e l’hanno rifiutato perché sono città dominate dalla sinagoga, dall’insegnamento degli scribi e dei farisei, Gesù benedice invece quelli che lo hanno accolto. Matteo capitolo 11 versetto 25. “In quel tempo”, quindi l’evangelista lega questo che adesso presenta con quanto precede il lamento di Gesù, “Gesù disse: «Ti rendo lode Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli»”. Chiariamo subito che Gesù non prende posizione contro il sapere, contro la cultura, tutt’altro. I sapienti e i dotti sono i dottori della legge, il magistero ufficiale di Israele, quelli che già hanno condannato Gesù come bestemmiatore. Perché Gesù dice che il Padre a loro ha nascosto queste cose? Perché il Dioamore è nascosto ai cultori della legge. Chi è abituato a rapportarsi alle situazioni, agli avvenimenti, alle persone, in base a un codice, in base a una legge, non può comprendere il volto di un Dio che è amore, un Dio che crea l’uomo e ama e difende la sua creatura. Quindi il criterio di interpretazione della scrittura, della Bibbia e della parola di Dio, deve essere il bene dell’uomo. Chi invece ne fa una dottrina, una legge, nella quale l’osservanza di comandamenti, di precetti, è più importante del bene dell’uomo, ebbene queste persone rischiano di avere come un velo davanti agli occhi che impedisce loro di scoprire il disegno d’amore di Dio sull’umanità.  «E le hai rivelate ai piccoli»”. Il termine indica i semplici, cioè le persone che non hanno difficoltà ad accogliere un Dio-amore perché è di questo che hanno bisogno. «Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza»”. Quindi Dio ha deciso che il criterio per conoscerlo è l’amore, non la legge, non la dottrina. «Tutto è stato dato a me dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo»”. Cosa vuol dire Gesù con questa espressione così importante? Gesù è stato presentato dall’evangelista fin dall’inizio del suo vangelo come il “Dio con noi”, un Dio che non è da cercare, ma da accogliere. E, accogliendo questo Dio, andare con lui e come lui, non verso Dio, ma verso gli uomini. Quindi con Gesù Dio si è fatto uomo, e questo è l’unico valore sacro, l’unico valore importante, l’unico traguardo nella vita del credente. E perché Gesù dice che nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo? Il verbo “rivelare” significa togliere quello che impedisce di vedere, cioè la legge. La legge impediva di conoscere l’amore del Padre. E invece il criterio per accogliere Gesù e per comprendere il Padre è mettere nella propria vita come unico valore assoluto, come unico valore sacro, il bene dell’uomo. E detto questo Gesù, dopo aver preso la distanza da questi sapienti, da questi dotti, che fanno della legge un piedistallo per dominare il popolo, Gesù si rivolge proprio a quelli che sono dominati, gli oppressi. Ed è un invito di una forza, di una tenerezza incredibile. «Venite a me voi tutti»”, Gesù invita tutti quanti, «che siete stanchi e oppressi»”. Stanchi e oppressi per quale motivo? Per via del carico della legge, che non gliela fanno ad osservare tutte queste regole, tutte queste dottrine, tutte queste imposizioni. E questo li stanca, li opprime perché l’osservanza di tutte queste regole, che non riescono praticare, li fa sentire sempre in colpa, sempre in debito nei confronti del Signore. Ed ecco l’annunzio di Gesù: «E io vi darò ristoro»”. Il verbo adoperato dall’evangelista “dare ristoro” significa “far riposare, far cessare la fatica”, cioè recuperare il fiato. E’ Gesù che dice “Io sarò il vostro respiro”. Quindi quanti sono oppressi da un rapporto con Dio che non riescono a portare avanti per via delle troppe leggi e regole, Gesù dice “accogliete me, io sarò il vostro respiro. Io sarò quello che vi darà fiato”. E infatti Gesù continua: «Prendete il mio giogo»”. Il giogo, lo sappiamo, è l’attrezzo che si metteva sopra agli animali per dirigerli nel lavoro. Ebbene, l’osservanza della legge divina era chiamata “giogo”. Era una legge impossibile da osservare. Anche Pietro negli Atti degli Apostoli, quando vogliono imporre queste leggi anche ai pagani, Pietro dice: “Perché continuate a tentare Dio volendo sul collo dei discepoli un giogo che né i nostri padri né noi siamo stati in grado di portare?” Quindi è un fallimento. Questa dottrina, questa imposizione è stata un fallimento perché nessuno è riuscito a seguirle e questo ha fatto sentire sempre l’uomo in colpa, in debito nei confronti di Dio. E quando ci si sente in colpa non si può sperimentare il suo amore.  Allora Gesù dice: «Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me che sono mite e umile di cuore»”. Gesù qui non sta dicendo di imitare le qualità del suo carattere – una cosa impossibile avere il carattere e le qualità di Gesù. La mitezza e l’umiltà di Gesù non si riferiscono al carattere, alla qualità di una persona, ma alla condizione sociale. Nella beatitudine “beati i miti”, essi erano i diseredati, gli ultimi della società, e gli umili, in greco tapinos, sono coloro che sono insignificanti. Gesù ha fatto una scelta: s’è messo a fianco degli ultimi, degli invisibili, delle persone insignificanti. Quindi questo si può fare. E cosa significa? Non escludete nessuno dal raggio d’azione del vostro amore. Non cercate le persone importanti, quelle ai primi posti, ma mettetevi a fianco degli ultimi, perché è lì che sono io. Quindi, «imparate da me che sono mite e umile di cuore e troverete ristoro per la vostra vita»”. Quindi Gesù ci invita a orientare la nostra vita al servizio degli altri e in questo c’è il respiro, quello che dà animo e forza all’esistenza del credente. E Gesù conclude rinnovando l’invito. «Il mio giogo»”, quindi non il giogo della legge, ma il suo giogo, e il giogo di Gesù sono le beatitudini, cioè un invito a tutto quello che concorre alla piena felicità dell’uomo. «Il mio giogo infatti è dolce»”, letteralmente “buono”, “«e il mio peso leggero»”. Ed è un peso leggero perché non ci sono regole da osservare, ma un amore da accogliere. Non una dottrina da accettare nella propria esistenza, ma un Gesù che chiede di essere accolto per fondersi con l’uomo, dandogli la sua stessa capacità d’amore.

il commento al vangelo di p. Smulders:

croce

 

 

a) Una chiave di lettura:

Quando Gesù si rese conto che i piccoli capivano la buona novella del Regno, si rallegrò intensamente. Spontaneamente si rivolse al Padre con una preghiera di ringraziamento e fece un invito generoso a tutti i sofferenti, oppressi dal peso della vita. Il testo rivela la tenerezza di Gesù nell’accogliere i piccoli e la sua bontà nell’offrirsi ai poveri come fonte di riposo e di pace.

Matteo 11,25-30b) Una divisione del testo per aiutare nella lettura:

Mt 11,25-26: Preghiera di ringraziamento al Padre
Mt 11,27: Gesù si presenta come via che porta al Padre
Mt 11,28-30: Invito a tutti i sofferenti e gli oppressi.
c) Il testo:

25-26: In quel tempo Gesù disse: «Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così è piaciuto a te.
27: Tutto mi è stato dato dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare.
28-30: Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per le vostre anime. Il mio giogo infatti è dolce e il mio carico leggero».

3. Un momento di silenzio orante
perché la Parola di Dio possa entrare in noi ed illuminare la nostra vita.

4. Alcune domande
per aiutarci nella meditazione e nell’orazione.
a) Qual è il punto del testo che ha richiamato maggiormente la mia attenzione e che più mi piace?
b) Nella prima parte (25-27), Gesù si rivolge al Padre. Quale immagine del Padre Gesù rivela nella sua preghiera? Quali i motivi che lo spingono a dar lode al Padre? E io, quale immagine ho di Dio? Come e quando lodo il Padre?
c) A si chi rivolge Gesù nella seconda parte (28-30)? Quale era il giogo che maggiormente pesava sul popolo di allora? E oggi, quale è il giogo che più affatica?
d) Quale è il giogo che mi da ristoro?
e) Come le parole di Gesù possono aiutare la nostra comunità ad essere un luogo di riposo per le nostre vite?
f) Gesù si presenta come rivelatore e come via al Padre. Chi è Gesù per me?

5. Una chiave di lettura
per chi vuole approfondire maggiormente il contenuto.
a) Il contesto letterario delle parole di Gesù: capitoli 10-12 del Vangelo di Matteo.
* Nel Vangelo di Matteo, il discorso della Missione occupa tutto il capitolo 10. Nella parte narrativa, che segue dopo i capitoli 11 e 12, dove si descrive come Gesù realizza la Missione, appaiono incomprensioni e resistenze che Gesù deve affrontare. Giovanni Battista, che guardava Gesù con uno sguardo del passato, non lo comprende (Mt 11, 1-15). Il popolo, che guardava Gesù a scopo di interesse, non è capace di capirlo (Mt 11,16-19). Le grandi città attorno al lago, che avevano udito la predicazione e avevano visto i miracoli, non vogliono aprirsi al suo messaggio ( Mt 11, 20-24). Gli scribi e i dottori, che giudicavano tutto a partire dalla loro scienza, non sono capaci di capire la predicazione di Gesù (Mt 11,25). Neppure i parenti lo capiscono (Mt 12,46-50). Solo i piccoli capiscono e accettano la buona novella del Regno. (Mt 11,25-30). Gli altri vogliono sacrifici, ma Gesù vuole misericordia (Mt 1″, 8). La resistenza contro Gesù porta i farisei a cercare di ucciderlo (Mt 12, 9-14). Essi lo chiamano Beelzebul (Mt 12,22-32). Ma Gesù non torna indietro: egli continua ad assumere la missione del Servo, descritto dal profeta Isaia (Is 42, 1-4) e citato per intero da Matteo (Mt 12, 15-21).
* Così, questo contesto dei capitoli 10-12 suggerisce che l’accettazione della buona novella da parte dei piccoli è la realizzazione della profezia di Isaia. Gesù è il Messia atteso, ma è diverso da quello che la maggioranza immaginava. Non è il Messia glorioso nazionalista, neppure un giudice severo, né un Messia re potente. Ma è il Messia umile e servo che “non spezza una canna incrinata, né spegnerà il lucignolo fumigante” (Mt 12,20). Egli proseguirà, lottando, fino a quando la giustizia e il diritto non prevarranno nel mondo (Mt 12,18.20-21). L’accoglienza del Regno da parte dei piccoli è la luce che brilla (Mt 5, 14), è il sale che dà sapore (Mt 5, 13), è il granello di senape che (una volta divenuto albero grande) permetterà agli uccelli del cielo di annidarsi fra i suoi rami (Mt 13, 31-32).
b) Breve commento alle parole di Gesù:
* Matteo 11,25-26: Solo i piccoli possono capire e accettare la buona novella del Regno.
Di fronte all’accoglienza del messaggio del Regno da parte dei piccoli, Gesù ha una grande gioia e, spontaneamente, trasforma la sua gioia in una preghiera di giubilo e di ringraziamento al Padre: “Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenute nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, Padre, perché così è piaciuto a te“. I sapienti, i dottori di quel tempo, avevano creato una serie di leggi attorno alla purezza legale, che poi imponevano al popolo in nome di Dio (Mt 15, 1-9). Essi pensavano che Dio esigesse tutte quelle osservanze, perché il popolo potesse avere pace. Ma la legge dell’amore, rivelata da Gesù, affermava il contrario. Di fatto, quello che conta, non è ciò che facciamo per Dio, ma piuttosto quello che Dio, nel suo grande amore, fa per noi! I piccoli ascoltavano questa buona novella e si rallegravano. I sapienti e i dottori non riuscivano a capire un tale insegnamento. Oggi, come in quel tempo, Gesù sta insegnando molte cose ai poveri e ai piccoli. I sapienti e gli intelligenti farebbero bene a diventare alunni di questi piccoli.
Gesù pregava molto! Pregava con i discepoli, pregava con il popolo, pregava da solo. Passava notti intere in preghiera. Giunse a riassumere tutto il suo messaggio in una preghiera di sette domande, che è il Padre Nostro. A volte, come in questo caso, i vangeli ci informano sul contenuto della preghiera di Gesù (Mt 11,25-26; 26,39; Gv 11,41-42; 17,1-26). Altre volte, ci fanno sapere che Gesù pregava i Salmi (Mt 26, 30; 27,46). Nella maggioranza dei casi, però, dicono semplicemente che Gesù pregava. Oggi ovunque si stanno moltiplicando i gruppi di orazione.
Nel vangelo di Matteo, il termine piccoli (elachistoi, mikroi, nepioi) a volte indica i bambini, altre volte indica i settori esclusi della società. Non è facile distinguere. A volte ciò che è detto piccolo in un vangelo, è chiamato bambino in un altro. Inoltre non sempre è facile distinguere fra quello che appartiene all’epoca di Gesù e quello che è invece del tempo delle comunità per le quali sono stati scritti i vangeli. Ma anche così, ciò che risulta chiaro è il contesto di esclusione che vigeva in quell’epoca e l’immagine di persona accogliente verso i piccoli che le comunità primitive si facevano di Gesù.
* Matteo 11,27: L’origine della nuova Legge: il Figlio conosce il Padre
Gesù, essendo il Figlio, conosce il Padre e sa quello che il Padre voleva quando, in passato, aveva chiamato Abramo e Sara per formare un popolo o quando consegnò la Legge a Mosè per stringere l’alleanza. L’esperienza di Dio come Padre aiutava Gesù a intendere in maniera nuova le cose che Dio aveva detto in passato. Lo aiutava a riconoscere errori e limiti, dentro i quali la buona novella di Dio era stata imprigionata dall’ideologia dominante. L’intimità con il Padre gli offriva un criterio nuovo che lo collocava a diretto contatto con l’autore della Bibbia. Gesù non andava dalla lettera alla radice, ma dalla radice alla lettera. Egli cercava il senso nella fonte. Per capire il senso di una lettera, è importante studiare le parole che contiene. Ma l’amicizia con l’autore della lettera può aiutare a scoprire una dimensione più profonda in quelle parole, che il solo studio non è capace di rivelare.
* Matteo 11,28-30
Gesù invita tutti coloro che sono stanchi e promette loro riposo. Il popolo di quel tempo viveva stanco, sotto il duplice peso delle imposte e delle osservanze esigiate dalle leggi di purità. E Gesù disse: “Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore e troverete ristoro per le vostre anime. Il mio giogo infatti è dolce e il mio carico leggero“. Attraverso il profeta Geremia, Dio aveva invitato il popolo a scrutare nel passato per conoscere quale cammino buono poteva dar ristoro alle anime (Ger 6,16). Questa strada buona appare ora in Gesù. Gesù offre ristoro alle anime. Egli è la via (Gv 14, 6).
Imparate da me che sono mite e umile di cuore . Come Mosè, Gesù era mite e umile (Num 12,3). Molte volte questa frase è stata manipolata per chiedere al popolo sottomissione, mansuetudine e passività. Quello che Gesù vuol dire è il contrario. Egli chiede che il popolo, per poter capire le cose del Regno, non dia tanta importanza ai “sapienti e dottori”, cioè ai professori ufficiali della religione del tempo, e che confidi di più nei piccoli.
Nella Bibbia molte volte la parola umile è sinonimodiumiliato. Gesù non faceva come gli scribi che si vantavano della loro scienza, ma era come il popolo umile e umiliato. Egli, il nostro Maestro, sapeva per esperienza che cosa passasse per il cuore del popolo e quanto il popolo soffrisse nella vita di ogni giorno. Gli oppressi devono cominciare ad imparare da lui, da Gesù, che è “mite e umile di cuore”.


c) Per fare luce sull’atteggiamento di Gesù:
* Lo stile di Gesù nell’annuncio della buona novella del Regno
Nel suo modo di annunciare la buona novella del Regno, Gesù rivela una grande passione per il Padre e per il popolo umiliato. Diverso dai dottori del tempo, Gesù annuncia la buona novella di Dio in qualunque luogo dove incontra gente che lo ascolta. Nelle sinagoghe durante la celebrazione della Parola (Mt 4,23). Nelle case degli amici (Mt 13,36). Camminando per strada con i discepoli (Mt 12,1-8). Lungo il mare, sulla riva della spiaggia, seduto sulla barca (Mt 13,1-3). Sulla montagna, da dove proclama le beatitudini (Mt 5,1). Nelle piazze dei villaggi e delle città, dove il popolo trasporta i malati (Mt 14,34-36). Anche nel tempio di Gerusalemme , durante i pellegrinaggi (Mt 26,55)! In Gesù, tutto è rivelazione di quello che dentro lo anima! Non solo annuncia la buona novella del Regno, ma è egli stesso una prova viva del Regno. In lui appare ciò che accade quando una persona umana lascia che Dio regni e prenda possesso della sua vita.
* L’invito della Sapienza Divina a tutti quelli che la cercano
Gesù invita tutti coloro che soffrono sotto il peso della vita a trovare in lui riposo e sollievo (Mt 11,25-30). In questo invito risuonano le parole tanto belle di Isaia che consolava il popolo stanco per l’esilio (Is 55,1-3). Questo invito è in relazione con la Sapienza divina, che convoca attorno a sé le persone (Sir 24, 18-19), affermando che “le sue vie sono vie deliziose e tutti i suoi sentieri conducono al benessere” (Pro 3,17). Essa dice ancora: “La Sapienza educa i suoi figli e si prende cura di quanti la cercano. Chi la ama, ama la vita, quanti la cercano solleciti saranno ricolmi di gioia” (Sir 4,11-12). Questo invito rivela un aspetto molto importante del volto femminile di Dio: la tenerezza e l’accoglimento che consola, rivitalizza le persone e le fa sentire bene. Gesù è il sollievo che Dio offre al popolo affaticato!

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la durezza della crisi a Lucca

a Lucca in 10 anni triplicati i poveri

allarme Caritas

        un forte impoverimento sta colpendo famiglie e giovani a Lucca: è la denuncia contenuta nel dossier della Caritas Diocesana in questi giorni presentato nel rapporto annuale sulle povertà e sulle risorse
        “Dai dati raccolti ed elaborati nei centri di ascolto dislocati su tutto il territorio diocesano affiora una situazione altamente preoccupante: in dieci anni il numero delle persone indigenti che si rivolge alle suddette strutture è lievitato da 382 nel 2003 a 1656 nel 2013 e in tutti i casi si tratta di vere e proprie difficoltà di sussistenza quotidiana. Ancor più allarmante è l’aumento della povertà minorile”:

 

caritas unoReinvestire sulle comunità per far fronte all’impoverimento che sta colpendo duramente famiglie e minori: questo è quanto emerge dal rapporto annuale sulle povertà e sulle risorse, contenuto nel dossier della Caritas diocesana, Grano e Granai, presentato questa mattina (3 luglio) all’Arcidiocesi di Lucca, dalla dirigente della Caritas, Donatella Turri, dall’arcivescovo Italo Castellani e dalla ricercatrice Elisa Mattutini. Dai dati raccolti ed elaborati nei centri di ascolto dislocati su tutto il territorio diocesano affiora una situazione altamente preoccupante: in dieci anni il numero delle persone indigenti che si rivolge alle suddette strutture è lievitato da 382 nel 2003 a 1656 nel 2013 e in tutti i casi si tratta di vere e proprie difficoltà di sussistenza quotidiana. Ancor più allarmante è l’aumento della povertà minorile. Il 58% di questi nuovi poveri, infatti, è legato ad un nucleo familiare e nel 75% dei casi ha un figlio minore che si trova pertanto a vivere una situazione precaria di deprivazione materiale. Non si tratta di una condizione meramente contingente, bensì di una piaga a lungo termine: le difficoltà incontrate da questi bambini nel mondo dell’educazione e negli aspetti sociali si tradurranno in età adulta in una carenza di risorse da spendere nei vari ambiti della vita, ponendo le basi per l’emergere di nuove fasce di povertà.

“L’aspetto che salta subito all’occhio leggendo i dati è l’aumento della povertà e contestualmente la crescita delle diseguaglianze socio-economiche, dovuta alla concentrazione della ricchezza nelle mani di una ristretta cerchia di individui – ha spiegato Donatella Turri -. La proposta politica avanzata dalla Caritas è un invito a riflettere sul ruolo delle comunità nel contrastare l’impoverimento: l’azione istituzionale non basta più, è necessario reinvestire sui meccanismi della cittadinanza solidale e responsabile per far fronte a questa grave emergenza”. Anche il profilo dell’indigente è cambiato: il divario fra uomini e donne si è affievolito con l’aumento della componente maschile che oggi raggiunge il 43%, l’età media è compresa fra i 35 e i 54 anni e dunque si tratta di persone in piena capacità lavorativa, sebbene disoccupate nell’ 80% dei casi, inoltre il 16% percepisce un reddito del tutto inadeguato a soddisfare i bisogni primari del nucleo familiare. I meccanismi di fragilità economica si muovono di pari passo con quelli affettivi: il rischio di impoverimento, infatti, è più elevato nella esperienze di rottura come separazioni e divorzi che incidono sulla vulnerabilità di almeno uno dei membri. “La ricchezza del Paese è aumentata negli ultimi anni, il problema sono i meccanismi di ridistribuzione che fanno acqua da tutte le parti – ha aggiunto Elisa Mattutini -, i dati devono servire come un campanello d’allarme per le istituzioni e per i cittadini, che dovranno pensare a strategie di intervento congiunte e tempestive per tentare di porre rimedio a una tale situazione”. Dall’incontro degli esponenti della Caritas con i sacerdoti della diocesi è emerso l’intento di promuovere il ruolo attivo delle comunità, che appaiono inventive, creative e ben disposte a raccogliere questa nuova sfida. “Queste persone non devono essere recuperate, bensì incluse – ha affermato l’arcivescovo Castellani – ed è doveroso come cristiani prendere coscienza della situazione e cercare una risposta che implichi una collaborazione per risolvere le cause strutturali della povertà e promuovere lo sviluppo con gesti di solidarietà”. Gli intenti della Caritas sono chiari: “Non possiamo attendere oltre prima di intervenire sulle questioni di lavoro e casa, che rappresentano i macro aspetti fondamentali dell’impoverimento – ha detto Donatella Turri -, dobbiamo raggiungere i problemi delle persone prima che questi diventino troppo gravi e infine pianificare insieme il cambiamento”. Ad oggi le problematiche della Caritas sono la mancanza di una struttura di prima accoglienza che possa ospitare più di due nuclei familiari per volta e la carenza di centri di accoglienza diurna, per quelle persone che hanno necessità di detergersi, lavare gli indumenti, consultare un pc e mettersi in contatto con i servizi sociali. A tal proposito l’Arcivescovo si è appellato ai cittadini rammentando la possibilità di acquistare un edificio molto capiente in città ad un prezzo ribassato, 600mila euro, che, se donato alla Caritas, potrebbe svolgere un’importante funzione sociale.
Il rapporto nel dettaglio.
Nel 2013 i soggetti ascoltati sono stati 1656 vale a dire 187 in più rispetto al 2012. Nel 2008 il flusso era pari a 635 persone. Una delle maggiori trasformazioni nelle caratteristiche delle persone accolte ai centri di ascolto negli ultimi anni, in particolar modo a partire dal 2009, è rappresentata dalla distribuzione per genere dei richiedenti. La prevalenza femminile si è andata progressivamente riducendo. Ad oggi la componente maschile ha raggiunto il 42,93%. All’interno di quest’ultima l’aumento più consistente si è registrato tra i cittadini italiani.Appare sempre più marcato il fenomeno del ritorno ai centri di ascolto di una parte consistente di persone incontrate negli anni passati. Molti dei soggetti ascoltati sono conosciuti dagli operatori dei Cda da tempo (circa uno su due). Questa informazione è indicativa della difficoltà incontrata dalle persone nello smarcarsi dalla povertà una volta che questa abbia intercettato la loro vita.

Più della metà delle persone accolte ha un’età compresa tra i 35 e i 54 anni. Il 58,33% vive all’interno di un nucleo familiare e in quasi due casi su tre si è in presenza di persone con figli minori. Sempre più marcata appare la sofferenza dei nuclei familiari con figli e in particolar modo dei contesti familiari numerosi. Questo dato rappresenta un indicatore importante circa il fenomeno della povertà infantile, con le devastanti conseguenze che da esso possono derivare in termini di definizione dei percorsi di vita degli adulti di domani, nati da persone che oggi sperimentano la povertà.
Solitamente, continua il rapporto, le donne che si presentano ai centri d’ascolto in cerca di aiuto hanno un’età inferiore a quella degli uomini. Più del 50% dei maschi invece si concentra nella fascia d’età che va dai 45 ai 54 anni. In generale l’età media degli italiani è molto più elevata rispetto a quella degli stranieri.
Dalla lettura dei dati emergono anche crescenti forme di vulnerabilità legata al progressivo sgretolamento delle reti di relazioni informali, come ad esempio nel caso di fratture familiari legate a separazioni, divorzi e lutti. Il contesto familiare più allargato sembra inoltre non riuscire a svolgere le funzioni di protezione tipiche del passato. In molti casi infatti anche questo risulta sfibrato dalla persistenza delle richieste di aiuto provenienti dai suoi membri.
A soffrire di più per questo tipo di dinamiche, come noto, sono le donne, soprattutto se con figli. Esse, infatti, presentano maggiori fragilità in una pluralità di ambiti, primo tra tutti quello lavorativo e in particolar modo con riferimento alla possibilità di riuscire a trovare una collocazione all’interno del mercato del lavoro tale da permettere una conciliazione dei tempi di vita con quelli richiesti in ambito professionale. Ciò nonostante, come nel 2012, anche tra i maschi la separazione costituisce un crescente elemento di criticità economica che, in molti casi può esporre ad una condizione di forte isolamento.
Nonostante l’incremento delle persone di cittadinanza italiana, la popolazione straniera continua a rappresentare una fascia molto importante di persone che si rivolgono ai centri d’ascolto della Diocesi. Nel 2013 i cittadini di nazionalità straniera accolti sono stati 1013, registrando un ulteriore incremento rispetto al 2012.
Il 53,98% delle persone incontrate proviene da un paese appartenente alla Comunità Europea. La distribuzione delle persone accolte in base all’area geografica di provenienza mostra una situazione nel complesso stabile rispetto agli anni passati.
La cittadinanza maggiormente rappresentata è quella marocchina (23,61%) seguita da quella Romena (13,04%).
Anche per il 2013 appare elevata la presenza di persone che si trovano in Italia da ormai molti anni. Quasi il 60% degli stranieri vive nel nostro Paese da più di dieci anni. Tali dati sono ancora una volta indicativi del protrarsi di elevati livelli di sofferenza  che queste persone incontrano in un momento successivo a quello di arrivo in Italia e appaiono legati in particolar modo alla impossibilità di trovare un’occupazione adeguata alle esigenze proprie e della famiglia. L’assenza del lavoro costituisce una delle principali emergenze delle persone accolte. Proprio la perdita del lavoro spesso è alla base della riemersione di forme di deprivazione sperimentate e superate nel passato.
Le persone accolte durante il 2013 mediamente hanno un titolo di studio basso. Il 73,44% degli uomini e il 65,09% delle donne sono in possesso della licenza media inferiore o di un titolo più basso. Ad essere maggiormente istruite sono le donne rispetto agli uomini. Tra queste ultime le qualifiche più elevate sono detenute dalle straniere. Tale dato sottolinea nuovamente come la crisi economica che perdura ormai da tempo nel territorio abbia colpito con grande intensità le occupazioni associate a profili professionali meno qualificati.
Dai dati raccolti ai centri d’ascolto appare consistente anche la sofferenza avvertita da persone che pur avendo una qualche forma di occupazione non riescono a reperire le risorse necessarie al sostentamento proprio e della famiglia (15,82%).
I costi per l’abitazione continuano a costituire una fonte di spesa in grado di incidere in maniera significativa nel bilancio familiare dei soggetti. Il ricorso all’abitazione in affitto interessa il 48,67% delle persone accolte, mentre le persone che possono fare affidamento su una abitazione di proprietà sono una minoranza (9,12%). Il ricorso all’alloggio di edilizia popolare pubblica interessa il 12,92% delle persone accolte, nel 78,5% dei casi si tratta di cittadini italiani.
Nel 2013 è rimasto rilevante anche il numero di soggetto che dispongono solo di situazioni abitative altamente precarie e provvisorie (5,98%).Con riferimento alle principali problematiche manifestate dalle persone accolte e le richieste di aiuto formulate ai centri d’ascolto sembra emergere anche che la povertà economica viene avvertita come la principale causa della situazione di bisogno da circa una persona su due di sesso maschile e da circa il 40% delle donne. Mercato del lavoro e sostenimento dei costi legati all’abitazione sono gli ambiti nei quali si concentrano maggiormente le problematiche presentate dai cittadini ascoltati.
Come ogni anno, anche nel 2013 si riscontra la presenza di persone che si rivolge ai centri d’ascolto in cerca di ascolto del proprio vissuto di povertà e disagio sociale.
Le richieste di aiuto più frequenti riguardano la possibilità di risorse finalizzate alla sussistenza e sono rappresentate dalla fornitura di beni e servizi materiali come viveri (21,94%), vestiario (9,30%), mensa e buoni pasto (8,31%) e prodotti per l’infanzia. Anche per il 2013, come negli anni passati, la richiesta di sussidi economici, nonostante la condizione di grave deprivazione nella quale vertono buona parte delle persone incontrate, rimane piuttosto contenuta: 7,62% e interessa in misura maggiore i cittadini italiani rispetto agli stranieri.  

Jasmine Cinquini

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non siamo più capaci di indignazione!

migranti

 

l’indignazione è morta

 

faccio mia questa amara considerazione che il sito dei frati Comboniani hanno pubblicato per l’indifferenza generale in riferimento alle stragi di umanità disperata che lastrica dei loro corpi affogati i nostri confini marini:

 

Non solo quella istituzionale, capace di risvegliarsi oramai solo quando in ballo ci sono interessi economici o politici propri, ma anche quella sociale. La nostra, insomma.

migranti-tuttacronaca

 

 

 

Oramai i migranti morti in mare vengono contati a spanne dai media. Circa 30, almeno 60, ne mancherebbero altri 64… Numeri approssimativi, che se fossero “nostri” sarebbero raccontati come una strage, che se si riferiscono a “numeri” vivi vengono descritti come invasione. Ma non sono “nostri”, per cui l’approssimazione non ci riguarda. Per noi i “circa”, gli “almeno”, l’uso del condizionale non fanno la differenza. Non sono “nostri”. E l’indignazione è morta.

Dopo le 366 vittime del 3 ottobre, che per giorni hanno riempito le pagine dei giornali, indignato (?!) le istituzioni, gli altri corpi recuperati così, “alla spicciolata”, ci scivolano addosso.

La differenza della notizia, lo insegnano nelle scuole di giornalismo, è data dalla vicinanza. Più è vicina, più è sentita. E noi questi morti li sentiamo lontani. Non percepiamo la strage, sentiamo l’invasione.
Siamo inumani sì, ma da manuale. Capaci di commuoverci davanti all’Olocausto, di indignarci contro chi allora non si oppose alla deportazione dei nostri ebrei, ma impassibili davanti ai morti migranti. Siamo professionisti dell’ipocrisia.

 
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il calcio è una vera religione

il calcio come religione laica universale

 

Boff L.

 

 

 

 

 

 

 

il teologo italo-brasiliano L. Boff, in occasione dei mondiali di calcio che si stanno disputando in Brasile, riflette da par suo sulle modalità con cui le due totalizzanti realtà, la religione e il calcio, sono vissute cogliendo tante analogie fra esse, anzi un’unica struttura di fondo che dalla religione viene riprodotta nel calcio trasformandolo in una vera religione laica universale:

La coppa mondiale di calcio disputata quest’anno in Brasile, come pure altri grandi eventi calcistici, assumono caratteristiche proprie delle religioni. Per milioni di persone, il calcio – lo sport che forse più di ogni altro stimola spostamenti di persone nel mondo intero – tiene il posto tradizionalmente occupato dalla religione.

Studiosi della Religione, come Emilio Durckheim e Lucien Goldmann, tanto per citare due nomi importanti, sostengono che “La religione non è un sistema di idee; è piuttosto un sistema di forze che mobilizzano le persone fino a condurle alla più alta esaltazione” (Durckheim). La fede compare sempre abbinata alla religione. Questo stesso autore classico afferma nel suo famoso “Le forme elementari della vita religiosa”: «La fede è innanzitutto calore, vita, entusiasmo, esaltazione di tutta l’attività mentale, trasporto dell’individuo al di là di se stesso» (p. 607). E conclude Lucien Goldmann, sociologo della religione e marxista pascaliano: “Credere è scommettere che la vita e la storia hanno un senso; l’assurdo esiste ma non prevarrà”.

Dunque, a guardar bene, il calcio, per molta gente adempie caratteristiche religiose: fede, entusiasmo, calore, esaltazione, un campo di forza e una permanente scommessa che la loro squadra si aggiudicherà il trionfo finale.

La spettacolarizzazione dell’apertura dei giochi ricorda una grande celebrazione religiosa, carica di rispetto, riverenza, silenzio, seguiti da un fragoroso applauso e da grida di entusiasmo. Ritualizzazioni sofisticate, con musiche e sceneggiature delle varie culture presenti nel paese e la presentazione dei simboli del calcio (bandiere e stendardi), specialmente la coppa che mima un vero calice sacro, il santo Graal ambito da tutti. E c’è, salvo il rispetto, il pallone che funziona come una specie di Ostia con la quale tutti entrano comunione.

Nel calcio come nella religione – prendiamo la religione cattolica come punto di riferimento – esistono gli 11 apostoli (Giuda non conta) che sono gli 11 giocatori, inviati per rappresentare il paese; i santi di riferimento come Pelé, Garrincha, Beckembauer e altri; esiste inoltre un papa, presidente della Fifa, dotato di poteri quasi infallibili. Si presenta circondato da cardinali che costituiscono la commissione tecnica responsabile dell’evento. Seguono gli arcivescovi vescovi che sono i coordinatori nazionali della Coppa. Poi c’è la casta sacerdotale degli allenatori, questi portatori di speciale potere sacramentale di ammettere, confermare o togliere i giocatori. Dopo emergono i diaconi che formano il corpo dei giudici, maestri-teologi dell’ortodossia, vale a dire, delle regole del gioco, il lavoro concreto della conduzione della partita. Infine vengono (i chierichetti, che aiutano i diaconi.

Lo svolgersi della partita suscita fenomeni che avvengono anche nella religione: si odono invocazioni, canti (cori), si piange di commozione, si fanno preghiere, si emettono voti ( Filippo Scolari, allenatore brasiliano, ha mantenuto il voto di andare a piedi 20 km fino al santuario della Madonna di Caravaggio in Farroupilha, caso vincesse la Coppa come poi di fatto avvenne), scongiuri e altri simboli della diversità religiosa brasiliana. Santi forti, orixàs e energie di Axé sono evocate e invocate.

Esiste una Santa inquisizione, il corpo tecnico, la cui missione è zelare per l’ortodossia, dirimere conflitti di interpretazione ed eventualmente processare e punire giocatori o addirittura squadre intere.

Come nelle religioni e chiese, esistono nel calcio ordini e congregazioni religiose così come il “tifo organizzato”. Questi hanno i loro riti, i loro canti la loro etica, famiglie intere che scelgono di abitare vicino al Club della squadra, vere chiese, dove i fedeli si incontrano e comunicano i loro sogni. Si fanno fare tatuaggi sul corpo con i simboli della squadra. Il bambino non fa a tempo a nascere che la porticina dell’incubatrice è già ornata con i simboli della squadra del cuore per dire ‘siamo battezzati, non tradiremo la nostra fede’.

Considero ragionevole interpretare la fede come ha fatto il grande filosofo e matematico cristiano Blaise Pascal: una scommessa; se scommetti che Dio esiste hai tutto da guadagnare; se di fatto non c’è, non hai niente da perdere. Dunque è meglio scommettere che Dio esiste. Il tifoso vive di scommesse (la cui espressione maggiore è la lotteria sportiva) che la fortuna sarà a favore della sua squadra oppure che qualcosa all’ultimo minuto del gioco tutto può cambiare. Infine vincere per quanto forte sia l’avversario. Nella religione ci sono persone di riferimento, la stessa cosa vale per i campioni.

Nella religione esiste la malattia del fanatismo, dell’intolleranza e della violenza ai danni di altre espressioni religiose; lo stesso nel calcio: gruppi di di una squadra aggrediscono quelli della squadra rivale. Gli autobus vengono presi a sassate. E a volte ci scappa il morto, veri delitti conosciuti da tutti. Tifoserie organizzate e fanatiche possono ferire e perfino ammazzare tifosi del team avversario.

Per molti il calcio è diventato una cosmovisione, una forma di interpretare il mondo di dare senso alla vita. Alcuni sono depressi quando la loro squadra perde e euforici quando vince.

Io personalmente ho un grande apprezzamento per il calcio per una semplice ragione: essendo portatore di quattro protesi alle ginocchia e ai femori, mai avrei la possibilità di fare quelle corse con cadute spettacolari. Fanno quello che io non potrei mai fare senza cadere a pezzi. Ci sono giocatori che sono geniali artisti di creatività e abilità. Non senza ragione, il maggior filosofo del secolo 20º, Martin Heidegger non perdeva nessuna partita importante, perché vedeva nel calcio la concretizzazione della sua filosofia, la contesa tra Essere e Ente mentre si affrontano, si negano, si compongono e attuano l’imprevedibile gioco della vita che noi tutti stiamo giocando.

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