razzismo a Mantova, ma solo a Mantova!

Forni crematori e saponi: il razzismo 2.0 verso i sinti di Mantova

mercoledì, 9 luglio 2014

I sinti che vivevano in un campo alla periferia di Mantova dovranno andare via entro il 20 agosto. La giunta di centrodestra guidata dal sindaco di Forza Italia Nicola Sodano ha deciso ormai da tempo di espropriare questi terreni, ma l’esecuzione di questa misura ha incontrato molte proteste da parte della comunità sinta. Nella giornata di lunedì i sinti mantovani hanno messo in atto una protesta che si è conclusa con un incontro con il primo cittadino. La notizia è stata riportata sul profilo Facebook del più importante quotidiano locale, “Gazzetta di Mantova”, e, come si vede da questo foto ripresa dal sito del Fatto Quotidiano, sulla bacheca del giornale sono arrivati numerosi commenti razzisti.

Alcuni, firmati, erano particolarmente pesanti, con tanto di invito alla riapertura dei forni crematori e al trasformare i sinti in sapone. La foto è stata diffusa dall’associazione Sucar Drom, che si è chiesta perché le autorità non intervengano di fronte a così evidenti casi di razzismo.

 

Carlo Berini, segretario di “Sucar Drom”, l’istituto di cultura Sinta di Mantova, ha rimarcato al “Fatto” come gran parte di questi commenti razzisti e xenofobi, a dir poco ora sono spariti, ma io li ho salvati e pubblicati sulla nostra pagina Facebook. Chiedo l’immediato intervento della Digos e della Procura della Repubblica, poiché chi ha scritto quelle frasi si è firmato e non deve passarla liscia. Non si può permettere che chi alimenta istigazione all’odio razziale rimanga impunito”. La tensione sul tema è piuttosto elevata, tanto che un consigliere della Lega Nord, il partito che più si è speso contro la presenza dei rom a Mantova, è stato accompagnato dalla Digos al consiglio comunale poi caratterizzato dalla protesta dei sinti locali. Il sindaco Sodano ha promesso un intervento, anche se ha rimarcato come l’esproprio dei terreni lottizzate abusivamente non possa essere ritirato.

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una chiesa sganciata da ogni potere

V. Mancuso riflette su un modo evangelico di essere chiesa

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soltanto se ha il coraggio e la determinazione, tutta evangelica, di prendere le distanze, non solo dal potere mafioso, ma da ogni tipo di potere, sia esso economico, finanziario, politico, militare, si può dire che la chiesa comincia a configurarsi secondo l’evangelico: “tra voi non sia così”

“In Calabria la processione si ferma davanti alla casa del boss, a Milano davanti alle banche e ai consigli di amministrazione, a Roma davanti ai palazzi della politica, e così via in ogni altra città di questo mondo. La questione quindi è molto semplice e consiste nel dovere della Chiesa di rinnovarsi in radice, mostrando di non voler più sedere accanto ai poteri costituiti per venirne a sua volta riconosciuta e legittimata quale potere, ma di non avere altra finalità se non esercitare la contraddizione profetica che fu del suo Fondatore rispetto alla logica dei poteri di questo mondo”

le connivenze che Bergoglio vuole spezzare

di Vito Mancuso

in “la Repubblica” del 9 luglio 2014

Non esiste potere che non ami il riconoscimento e l’alleanza con altri poteri, sempre a condizione ovviamente che siano analoghi a sé quanto a potenza e che operino su piani diversi. Così il potere politico ama il riconoscimento del potere economico, il potere culturale il riconoscimento di quello sportivo, il potere cinematografico il riconoscimento di quello musicale, e così via in un circolo di molteplici, gradite e ricercate legittimazioni reciproche. È una logica che vale, da sempre, anche per il potere ecclesiastico, come appare dai vescovi e dai cardinali immancabilmente presenti nelle occasioni importanti della vita pubblica. Il riverente omaggio da parte della processione della Madonna alla casa del boss di Oppido Mamertina, provincia di Reggio Calabria, si inquadra esattamente in questa logica: esso non è stato altro che un pubblico riconoscimento di un potere costituito da parte di un altro potere costituito. È quanto in quei territori avviene da decenni, per non dire da secoli, con benefici da entrambe le parti, con un potere che consolida l’altro nelle menti della popolazione risultandone a sua volta consolidato. Papa Francesco non vuole più continuare questa politica connivente e oggi denuncia ciò che fino a ieri altri uomini di Chiesa quasi negavano. Si tratta di un’ottima notizia, sia per il cristianesimo sia per la società civile, ma deve essere chiaro che non si metterà fine a questa prassi solo scaricando la responsabilità sui preti e i cattolici delle regioni ad alta densità mafiosa. Infatti la logica che sottostà alla processione di Oppido Mamertina non è diversa da quella che ha portato papa Pio XI a firmare i concordati con l’Italia fascista del 1929 e con la Germania nazista del 1933, e poi papa Pio XII con la Spagna franchista del 1953. Quando vennero firmati i Patti lateranensi con Mussolini il fascismo aveva già abbondantemente mostrato il suo volto criminale e liberticida, basti pensare alla marcia su Roma del 1922, all’assassinio di Matteotti del 1924 e all’assunzione di responsabilità del Duce nel 1925; quando venne firmato il concordato con Hitler il suo antisemitismo era noto a tutti, come in quegli anni non cessavano di denunciare teologi come Barth e Bonhoeffer; e non parliamo di quanto fosse noto il vero volto di Francisco Franco nel 1953. La Chiesa cattolica però non esitò a fermare la sua processione davanti ai palazzi di quei dittatori sanguinari, ricevendone benefici e riconoscimenti e potendosi continuare a sedere tra i poteri forti d’Italia, di Germania e di Spagna. Sono solo esempi recenti di un fenomeno politico che la Chiesa cattolica ha spesso praticato nella sua lunga storia, a partire dall’epoca costantiniana, e che continua a praticare ancora oggi. Durante il potere berlusconiano l’azione del cardinal Bertone, per diversi anni numero due della gerarchia cattolica e da sempre fedelissimo di papa Benedetto XVI, che lo scelse in prima persona, è stata esattamente in questa prospettiva e oggi l’appartamento spaziosissimo che Sua Eminenza regala a se stesso in Vaticano è per la sua coscienza una giusta ricompensa per i servizi prestati alla Chiesa del potere amica dei potenti. Da tutto ciò consegue che quanto papa Francesco sta chiedendo ai cattolici delle regioni italiane infettate dalla mafia non riguarda solo i cattolici di quelle regioni, ma mette in discussione lo stile complessivo di essere Chiesa in tutto il mondo: se non si deve fermare la processione davanti alla casa del boss, neppure vi devono essere altri connubi, magari meno scandalosi, ma non per questo meno reali, con i poteri forti dei diversi territori su cui la Chiesa opera nel nome del suo fondatore. Infatti la ‘ndrangheta in quelle zone della Calabria, così come la camorra in alcune zone della Campania e la mafia in alcune zone della Sicilia non è semplice criminalità, neppure è riducibile a una criminalità organizzata in modo particolarmente efficace come potrebbero esserlo e ahimè lo sono alcune mafie straniere attive in Italia; è piuttosto un vero e proprio potere, che prima che sui corpi agisce nelle menti, vorrei dire nelle anime, delle popolazioni. Papa Francesco sta dicendo cose straordinarie e sta facendo gesti altrettanto straordinari: ma per non rimanere solo comunicazione-spettacolo, la sua azione si deve tradurre in scelte concrete che vanno a incidere sulla tradizionale politica di appartenenza ai poteri forti che la Chiesa cattolica, nel mondo intero, esercita da secoli. In Calabria la processione si ferma davanti alla casa del boss, a Milano davanti alle banche e ai consigli di amministrazione, a Roma davanti ai palazzi della politica, e così via in ogni altra città di questo mondo. La questione quindi è molto semplice e consiste nel dovere della Chiesa di rinnovarsi in radice, mostrando di non voler più sedere accanto ai poteri costituiti per venirne a sua volta riconosciuta e legittimata quale potere, ma di non avere altra finalità se non esercitare la contraddizione profetica che fu del suo Fondatore rispetto alla logica dei poteri di questo mondo.

 

 

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