Razzismo, un caso al giorno di cattiva informazione e odio contro rom

popolo rom

A far luce sulla loro discriminazione è il rapporto “Antiziganismo 2.0”. Dei 370 casi di incitamento all’odio e alla discriminazione, il 75% sono opera di esponenti politici, 58 di privati cittadini e 20 di giornalisti.

Politica, media e internet: la cattiva informazione su rom e sinti scorre abbondante nei canali che plasmano l’opinione pubblica. Modificando la percezione e alimentando pregiudizi antichi che inseguono da sempre questi popoli. A far luce sulla loro discriminazione è il rapporto “Antiziganismo 2.0”, presentato dall’ “Osservatorio 21 luglio” e realizzato grazie al monitoraggio di circa 140 fonti selezionate tra i principali mezzi di informazione italiani. Nel mirino dei ricercatori, dal primo settembre 2012 al 15 maggio 2013, parole chiave quali rom, zingari, nomadi, sinti e giostrai.

I risultati dello studio confermano che politica e stampa contribuiscono in modo determinante alla discriminazione dei rom: ogni giorno, in Italia, si registrano in media 1,43 casi di incitamento all’odio, per lo più da parte di esponenti politici; mentre sono in media 1,86 gli episodi quotidiani di informazione scorretta su giornali nazionali e locali. In totale, negli otto mesi e mezzo di osservazione, sono stati rilevati 370 casi di incitamento all’odio e 482 casi di informazione scorretta.

Numeri che danno un’idea delle dimensioni dell’antiziganismo. Fenomeno definito dalla “Commissione europea contro il razzismo e l’intolleranza” come “una forma di razzismo particolarmente persistente, violenta, ricorrente e comune”. Nell’Europa dei diritti e della cittadinanza, insomma, i rom sono ancora considerati ospiti indesiderati. Anche se sono la minoranza europea più numerosa: solo nei paesi membri del Consiglio d’Europa, contano tra gli 11 e i 12 milioni di persone. La maggioranza di loro, inoltre, non sono affatto nomadi. E nel nostro paese, dove sono circa 200mila, almeno la metà sono cittadini italiani.

“L’emergenza non sono i rom ma le politiche europee. Per fortuna si moltiplicano gli appelli per la piena parità dei diritti e dei doveri”, osserva a questo proposito Giovanni Rossi, presidente della Federazione Nazionale della Stampa Italiana. “Il problema non è solo italiano, ma europeo. Sono stati spesi troppi milioni per politiche sbagliate”.

Scavando tra i dati raccolti dall’Osservatorio, si comprende meglio la geografia dell’antiziganismo: dei 370 casi di incitamento all’odio e alla discriminazione, 281 (il 75% del totale) sono opera di esponenti politici, 58 di privati cittadini e 20 di giornalisti.

I quotidiani risultano il principale strumento di diffusione (234 casi), seguiti da Internet (51), Twitter (23), e Facebook (10). Per la carta stampata, la maglia nera va al Corriere della sera, che tra edizioni locali e nazionali raccoglie il numero più elevato di segnalazioni (12,9%), seguito da Tirreno (11%), Messaggero (7,5%), Tempo (6%) e Repubblica (6%). Quasi sempre, comunque, non si tratta di scorrettezze deliberate, ma di informazioni diffuse in modo acritico e tale da rafforzare stereotipi e pregiudizi.

Ancora più interessante è l’analisi del panorama politico. Il 59% dei casi di incitamento all’odio riguarda esponenti di partiti di destra o centro-destra. Per 90 volte, i responsabili sono politici della Lega Nord, seguiti dal Popolo delle libertà (74), la Destra (30) e Forza Nuova (11). Neanche il Partito Democratico, con 9 segnalazioni, risulta immacolato.

Dal punto di vista geografico, la discriminazione vede al primo posto il centro-nord, con il 52% delle segnalazioni, di cui il 22% nella sola Lombardia. Il centro-sud si attesta invece sul 43%, di cui il 34% nella sola Roma, che registra così quasi un terzo di tutte le segnalazioni sul territorio nazionale.

In questo scenario, il rapporto dell’Osservatorio 21 luglio è un contributo utile per comprendere e, quando possibile, prendere decisioni: “Il fenomeno assume oggi in Italia dimensioni preoccupanti. Ai rom si associano indistintamente e automaticamente degrado, incuria, malvivenza, pericolosità sociale”, dichiara Carlo Stasolla, presidente dell’Osservatorio. “E’ necessario contrastare questi stereotipi e pregiudizi, alimentati da esponenti politici che intendono parlare alla pancia del proprio elettorato”.

di Gabriele Carchella

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don Angelo Casati commenta il vangelo di domani

la parola della domenicaAnno liturgico C omelia di don Angelo nella 26ª Domenica del Tempo Ordinario mare fiore

Am 6,1.4-7  Sal 14 1 Tm 6,11-16  Lc 16,19-31

Tra le due parabole, quella della scorsa domenica -la parabola dell’amministratore astuto e questa del ricco e del povero Lazzaro-, c’è una notazione di Luca che fa quasi da cerniera: “I farisei” -è scritto- “che erano attaccati al denaro, ascoltava- no tutte queste cose e si burlavano di lui. Egli disse: “voi vi ritenete giusti davanti agli uomini, ma Dio conosce i vostri cuori: ciò che è esaltato fra gli uomini è cosa detestabile davanti a Dio”.

Noi, ma forse no, non ci beffiamo di Gesù, non arriviamo al punto di deriderlo. Però è proprio così vero che noi non esaltiamo ricchi e potenti? Non è forse vero che sono loro a fare notizia, loro ad avere giullari e cortigiani, loro circondati di deferenza, quasi una sacra deferenza? Loro hanno un nome. Condanniamo i farisei che si facevano beffa di Gesù. Però nei nostri criteri, quelli correnti che riguardano la vita di tutti i giorni, diciamo sì “beati i poveri”, però il culto lo diamo ai ricchi. I ricchi che dispongono già di una corte: anche il ricco del vangelo. Il povero – Lazzaro – non ha nessuno, solo come un cane e vegliato dai cani. I ricchi hanno un nome, i poveri no. Che è proprio il contrario di quello che vuole Dio. Per Lui il nome l’hanno i poveri. Non per nulla nella parabola il ricco che ha tutto -è nella casa, veste di porpora, ha amici con cui banchetta- ha tutto. Non ha un nome, per Dio non ha nome. Al contrario ha un nome quel povero che non ha niente, non ha casa, non ha soldi, non ha salute, non ha amici. Eppure ha un nome: Lazzaro, dall’antico El’azar) che significa “Dio ha aiutato”. Ha un nome per Dio. E per me? -mi chiedo-, chi ha un nome per me? Sono i poveri o i ricchi ad avere un nome per me?

Perché -vedete- anche se non siamo ricchi ci può essere -è sottile- questa seduzione della ricchezza. Ma approfondiamo il discorso. Perché è condannato il ricco della parabola-? Non perché sia un violento o un oppressore. Non è detto. Non perché sia contro Dio, non perché sia contro il prossimo. Non è detto. Potremmo dire che viene condannato non per le sue azioni, ma per le sue omissioni. E già questo è motivo di riflessione; perché noi siamo facili ripararci dietro l’alibi: non ha fatto nulla di male. D’accordo. Ma poi come sta in quanto a omissioni? Il ricco è condannato perché non “pensa”: la sua è una vita da spensierati.

E sta scritto nel rotolo di Amos: “guai agli spensierati di Sion, a quelli che si considerano sicuri sulla montagna di Samaria”. Guai agli spensierati: è da condannare ma del “non pensare” o del pensare solo a se stessi. Il ricco è condannato perché “non vede”. E anche questo è tremendo e ci riguarda. Tremendo e sconcertante, perché, fosse stato lontano Lazzaro, e invece è alla sua porta e non lo vede. Così come è vicina la Parola di Dio -hanno Mosè e i profeti: l’hanno e non la vedono. Sono in cerca di apparizioni. Ma se non ascoltano Mosè e i profeti, le apparizioni sono semplicemente prurito religioso e non convertono il cuore. Secondo Gesù! E non è forse vero che quando un altro Lazzaro tornò da morte, correvano tutti a vederlo, ma mica si convertirono. Era uno spettacolo! Dicevo: Lazzaro il povero è vicino e non lo vede. La Parola è vicina e non l’ascolta.

Ecco, qui sta il pericolo del “vivere da ricchi”. Il pericolo sta qui. E ci riguarda. I segni sono vicini, ma non li vedi. Le voci ci sono ma non le senti. Non sono dunque le voci che mancano, è la libertà. La libertà soffocata o dalla magia del possedere o dal vuoto della spensieratezza. Questo il dramma: una società di spensierati o di uomini e donne che si preoccupano solo di sé può convivere con -all’uscio!- realtà drammatiche senza avvedersene? Sono vicini. Ma c’è un abisso. L’abisso dell’al di là. “Tra noi e voi è stabilito un grande abisso” dice Abramo. L’abisso dell’al di là è semplicemente la prosecuzione dell’abisso di quaggiù.

Situazioni da tragedia, ma non ne siamo sfiorati, siamo troppo pieni di noi stessi, troppo occupati dai nostri giochi: viviamo da ricchi. Il Signore ci liberi dal troppo pieno. Ricordavo la storiellina zen, del professore universitario che andò un giorno a far visita al maestro zen e questi gli versò del the in una tazza. E quando fu colma, continuò a versare. E il professore universitario vedendo il the trasbordare non si contenne e disse. “E’ ricolmo, non ce ne entra più”. “Come questa tazza” -disse Nanin- “tu sei ricolmo delle tue opinioni e congetture. Come posso spiegarti lo zen, se prima non vuoti la tua tazza?” Come possiamo vedere il povero vicino o ascoltare la Parola vicina -ci dice il Vangelo- se siamo pieni di noi stessi?

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p. Maggi commenta il vangelo di domani

 

p. Maggi

XXVI TEMPO ORDINARIO – 29 settembre 2013

NELLA VITA, TU HAI RICEVUTO I TUOI BENI, E LAZZARO I SUOI MALI; MA ORA LUI E’ CONSOLATO, TU INVECE SEI IN MEZZO AI TORMENTI – Commento al Vangelo di p. Alberto Maggi
Lc 16,19-31
In quel tempo, Gesù disse ai farisei:  «C’era un uomo ricco, che indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti. Un povero, di nome Lazzaro, stava alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe.
Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli accanto ad Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando negli inferi fra i tormenti, alzò gli occhi e vide di lontano Abramo, e Lazzaro accanto a lui. Allora gridando disse: “Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell’acqua la punta del dito e a bagnarmi la lingua, perché soffro terribilmente in questa fiamma”.
Ma Abramo rispose: “Figlio, ricordati che, nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora in questo modo lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti. Per di più, tra noi e voi è stato fissato un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi, non possono, né di lì possono giungere fino a noi”.
E quello replicò: “Allora, padre, ti prego di mandare Lazzaro a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca severamente, perché non vengano anch’essi in questo luogo di tormento”. Ma Abramo rispose: “Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro”. E lui replicò: “No, padre Abramo, ma se dai morti qualcuno andrà da loro, si convertiranno”. Abramo rispose: “Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti”».

Per la terza e ultima volta appare nel vangelo di Luca l’espressione “uomo ricco”. Questa espressione è sempre negativa. E’ già apparsa una prima volta come l’uomo stolto, sciocco, ricco, ingordo, demolisce i granai per costruirne degli altri e il Signore gli dice “oh stupido! Questa notte muori e tutto quello che hai lasciato, per chi sarà?”
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Abbiamo visto la volta precedente la stessa espressione nell’uomo ricco che loda il fattore disonesto e Gesù denuncia il fatto che la ricchezza è sempre disonesta. I disonesti sono talmente perversi nel loro sistema di ricchezza e di valori, che ammirano i disonesti. E questa è la terza volta, è la parabola conosciuta da tutti come quella del ricco e del povero Lazzaro.
E’ il capitolo 16, versetti 19 e segg. di Luca.  L’evangelista dice “«C’era un uomo ricco»”, e con un’abile pennellata ne da un ritratto, “«indossava vestiti di porpora e di lino finissimo»”. Oggi potremmo dire che vestiva firmato da capo a piedi; la povertà interiore ha bisogno di esprimersi nel lusso esteriore.
“«E ogni giorno si dava a lauti banchetti»”, quindi una fame insaziabile; è la fame interiore che crede di sopire ingurgitando dei cibi. L’unica descrizione che Luca da del ricco è questa, non si dice che – come a volte si pensa – questo ricco sia  malvagio, cattivo, nulla di tutto questo. E’ un uomo ricco e, secondo la tradizione biblica ebraica, era benedetto da Dio perché Dio premiava i buoni con la ricchezza e li malediva con la povertà.
“«Un povero, di nome Lazzaro»”, l’unica volta che un personaggio delle parabole ha un nome, e questo nome significa ‘Dio aiuta’,  “«stava alla sua porta, coperto di piaghe»”. Le piaghe erano considerate un castigo inviato da Dio, secondo il libro del Deuteronomio, cap. 28. Quindi è un uomo che è colpevole della sua miseria e delle sue piaghe.
“«Bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma erano i cani»”, cioè gli animali più impuri, gli esseri considerati più impuri, “«che venivano a leccare le sue piaghe»”. Quindi è impuro chi vive fra gli impuri. Ebbene, a sorpresa, dice Gesù “«Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli».
L’uomo che sulla terra aveva come unica compagnia gli esseri più impuri, i cani, viene portato dagli angeli, cioè gli esseri più puri, quelli più vicini a Dio.  “«Accanto ad Abramo», per comprendere bene questa parabola di Gesù, notiamo che è rivolta ai farisei che si beffavano di Gesù che aveva detto che non è possibile servire Dio e il denaro, e, proprio perché rivolta ai farisei, Gesù parla con le categorie farisaiche del premio e del castigo da ricevere nell’aldilà.
E lo fa secondo un libro conosciutissimo a quell’epoca, il libro di Enoch, dove il regno dei morti veniva considerato un grande baratro, dove il punto più luminoso era il seno di Abramo, il punto più oscuro era dove andavano a finire i malvagi.
“«Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando negli inferi», il termine ‘inferi’ traduce il termine greco ‘ade’ che significa ‘regno dei morti’, “«tra i tormenti, alzò gli occhi»”, e finalmente si accorge di Lazzaro. Il ricco di questa parabola non viene condannato per essere stato malvagio nei confronti del povero, per averlo maltrattato, ma semplicemente non si è accorto della sua esistenza.
Solo adesso, quando è nel bisogno, finalmente se ne accorge. Ma i ricchi non cambiano, i ricchi sono animati da una perversione che non è possibile sradicare dalla loro esistenza. E infatti non chiede, ancora comanda, “«’Padre Abramo, mostrami pietà’»”, mostrami misericordia, e ordina, “«’Manda Lazzaro’»”, lui, il ricco pensa che tutto gli sia dovuto. Lui si serve delle persone, non ha mai servito. 2
E Abramo gli risponde, sempre secondo la teologia farisaica, con il fatto del premio e del castigo “«’Tu hai ricevuto i tuoi beni e Lazzaro i suoi mali’»”. E quindi, come in terra vivevano su due mondi differenti dove non si incontravano – ripeto il ricco ha ignorato l’esistenza del povero – adesso sono su due mondi completamente distanti.
Ma ecco l’egoismo del ricco, l’egoismo che non si può sradicare, che arriva fino in fondo. Dice, “«Allora padre, ti prego di mandare Lazzaro’»”, lui di Lazzaro di serve, “«’a casa di mio padre perché ho cinque fratelli’»”. Gli interessa soltanto la sua famiglia, non dice “mandalo al popolo, alla gente, mandalo ad annunciare cosa succede se accumulano denari, se non pensano agli altri”.
No, il ricco è incurabilmente egoista, pensa soltanto a sé stesso e che tutto gli sia dovuto. Allora manda ai suoi fratelli, alla sua famiglia, degli altri non gli interessa.
Ed ecco la risposta di Abramo, “«Hanno Mosè e i Profeti’»”, cioè quelli che hanno legiferato a favore dei poveri, Mosè ha detto “la parola del Signore è che nessuno sia bisognoso”, i profeti hanno tanto tuonato contro i ricchi,   “«’Ascoltino loro’»”.
E la replica del ricco: “«No, padre Abramo, ma se dai morti qualcuno andrà da loro, si convertiranno’»”. Ed ecco la sentenza importante e drammatica di Gesù, “«Abramo rispose: ‘Se non ascoltano Mosè’»”, la parabola è rivolta ai farisei, quelli che si fanno scudo della legge di Mosè, della dottrina, soltanto per coprire i propri interessi.
Queste persone tanto pie, tanto devote, i zelanti custodi della tradizione e della fede, quando non conviene, sono i primi ad ignorare la legge di cui sono difensori. “«’Se non ascoltano Mosè e i Profeti non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti’»”.
Perché Gesù afferma questo? Perché quanti sono stati incapaci di condividere il pane con l’affamato, non riusciranno mai a credere nel Gesù risorto, che è riconoscibile soltanto – come scriverà Luca nell’episodio di Emmaus – nello spezzare del pane. Quindi è un monito molto severo contro il cancro della ricchezza.
Una persona che viene affetta da questa malattia è incurabile e non si guarisce neanche nell’aldilà.

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