il commento al vangelo della domenica

 il Signore è dentro al nostro dolore


Il Signore è dentro al nostro dolore

(In quel tempo) il popolo stava a vedere; i capi invece deridevano Gesù dicendo: «Ha salvato altri! Salvi se stesso, se è lui il Cristo di Dio, l’eletto».(…) Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: «Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!». L’altro invece lo rimproverava dicendo: «Non hai alcun timore di Dio, tu che sei condannato alla stessa pena? Noi, giustamente, perché riceviamo quello che abbiamo meritato per le nostre azioni; egli invece non ha fatto nulla di male». E disse: «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno». Gli rispose: «In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso».

il commento di E. Ronchi al vangelo della trentaquattresima domenica del tempo ordinario

Sul Calvario, fra i tre condannati alla stessa tortura, Luca colloca l’ultima sua parabola sulla misericordia. Che comincia sulla bocca di un uomo, anzi di un delinquente, uno che nella sua impotenza di inchiodato alla morte, spreme, dalle spine del dolore, il miele della compassione per il compagno di croce Cristo. E prova a difenderlo in quella bolgia, e vorrebbe proteggerlo dalla derisione degli altri, con l’ultima voce che ha: non vedi che anche lui è nella stessa nostra pena? Parole come una rivelazione per noi: anche nella vita più contorta abita una briciola di bontà; nessuna vita, nessun uomo sono senza un grammo di luce. Un assassino è il primo a mettere in circuito lassù il sentimento della bontà, è lui che apre la porta, che offre un assist, e Gesù entra in quel regno di ordinaria, straordinaria umanità. Non vedi che patisce con noi? Una grande definizione di Dio: Dio è dentro il nostro patire, crocifisso in tutti gli infiniti crocifissi della storia, naviga in questo fiume di lacrime. La sua e nostra vita, un fiume solo. “Sei un Dio che pena nel cuore dell’uomo” (Turoldo). Un Dio che entra nella morte perché là entra ogni suo figlio. Per essere con loro e come loro. Il primo dovere di chi vuole bene è di stare insieme a coloro che ama.Lui non ha fatto nulla di male. Che bella definizione di Gesù, nitida, semplice, perfetta: niente di male, a nessuno, mai. Solo bene, esclusivamente bene. Si instaura tra i patiboli, in faccia alla morte, una comunione più forte dello strazio, un momento umanissimo e sublime: Dio e l’uomo si appoggiano ciascuno all’altro. E il ladro che ha offerto compassione ora riceve compassione: ricordati di me quando sarai nel tuo regno. Gesù non solo si ricorderà, ma lo porterà via con sé: oggi sarai con me in paradiso. Come un pastore che si carica sulle spalle la pecora perduta, perché sia più agevole, più leggero il ritorno verso casa. “Ricordati di me” prega il peccatore, “sarai con me” risponde l’amore. Sintesi estrema di tutte le possibili preghiere. Ricordati di me, prega la paura, sarai con me, risponde l’amore. Non solo il ricordo, ma l’abbraccio che stringe e unisce e non lascia cadere mai: “con me, per sempre”. Le ultime parole di Cristo sulla croce sono tre parole da principe, tre editti regali, da vero re dell’universo: oggi-con me-nel paradiso. Il nostro Gesù, il nostro idealista irriducibile, di un idealismo selvaggio e indomito! Ha la morte addosso, la morte dentro, e pensa alla vita, per quel figlio di Caino e dell’amore che sgocciola sangue e paura accanto a lui. È sconfitto e pensa alla vittoria, a un oggi con me, un oggi di luce e di comunione. Ed è già Pasqua.

(Letture: Secondo libro di Samuele 5,1-3; Salmo 121; Lettera ai Colossesi 1,12-20; Luca 23,35-43)

il commento al vangelo della domenica

la verità ultima del vivere: l’amore

Gesù Cristo Re dell’Universo


La verità ultima del vivere: l'amore
il commento di Ermes Ronchi al vangelo della domenica trentaquattresima del tempo ordinario (22 novembre 2020):

 

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria. Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra. […]».

Una scena potente, drammatica, quel “giudizio universale” che in realtà è lo svelamento della verità ultima del vivere, rivelazione di ciò che rimane quando non rimane più niente: l’amore. Il Vangelo risponde alla più seria delle domande: che cosa hai fatto di tuo fratello? Lo fa elencando sei opere, ma poi sconfina: ciò che avete fatto a uno dei miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me! Straordinario: Gesù stabilisce un legame così stretto tra sé e gli uomini, da arrivare a identificarsi con loro: l’avete fatto a me! Il povero è come Dio, corpo e carne di Dio. Il cielo dove il Padre abita sono i suoi figli. Evidenzio tre parole del brano: 1). Dio è colui che tende la mano, perché gli manca qualcosa. Rivelazione che rovescia ogni precedente idea sul divino. C’è da innamorarsi di questo Dio innamorato e bisognoso, mendicante di pane e di casa, che non cerca venerazione per sé, ma per i suoi amati. Li vuole tutti dissetati, saziati, vestiti, guariti, liberati. E finché uno solo sarà sofferente, lo sarà anche lui. Davanti a questo Dio mi incanto, lo accolgo, entro nel suo mondo. 2). L’argomento del giudizio non è il male, ma il bene. Misura dell’uomo e di Dio, misura ultima della storia non è il negativo o l’ombra, ma il positivo e la luce. Le bilance di Dio non sono tarate sui peccati, ma sulla bontà; non pesano tutta la mia vita, ma solo la parte buona di essa. Parola di Vangelo: verità dell’uomo non sono le sue debolezze, ma la bellezza del cuore. Giudizio divinamente truccato, sulle cui bilance un po’ di buon grano pesa di più di tutta la zizzania del campo. 3). Alla sera della vita saremo giudicati solo sull’amore (San Giovanni della Croce), non su devozioni o riti religiosi, ma sul laico addossarci il dolore dell’uomo. Il Signore non guarderà a me, ma attorno a me, a quelli di cui mi son preso cura. «Se mi chiudo nel mio io, pur adorno di tutte le virtù, e non partecipo all’esistenza degli altri, se non sono sensibile e non mi impegno, posso anche essere privo di peccati ma vivo in una situazione di peccato» (G. Vannucci). La fede non si riduce però a compiere buone azioni, deve restare scandalosa: il povero come Dio! Un Dio innamorato che ripete su ogni figlio il canto esultante di Adamo: «Veramente tu sei carne della mia carne, respiro del mio respiro, corpo del mio corpo». Poi ci sono quelli mandati via. La loro colpa? Hanno scelto la lontananza: lontano da me, voi che siete stati lontani dai fratelli. Non hanno fatto del male ai poveri, non li hanno umiliati, semplicemente non hanno fatto nulla. Indifferenti, lontani, cuori assenti che non sanno né piangere né abbracciare, vivi e già morti (C. Péguy).
(Letture: Ezechiele 34,11-12.15-17; Salmo 22; 1 Corinzi 15,20-26.28; Matteo 25,31-46)

il commento al vangelo della domenica

Il Vangelo

un nuovo regno, dove il più potente è colui che serve


Un nuovo regno, dove il più potente è colui che serve
Ermes Ronchi
Gesù Cristo Re dell’Universo
Anno B

In quel tempo, Pilato disse a Gesù: «Sei tu il re dei Giudei?». Gesù rispose: «Dici questo da te, oppure altri ti hanno parlato di me?». Pilato disse: «Sono forse io Giudeo? La tua gente e i capi dei sacerdoti ti hanno consegnato a me. Che cosa hai fatto?». Rispose Gesù: «Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù». Allora Pilato gli disse: «Dunque tu sei re?». Rispose Gesù: «Tu lo dici: io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce».

Osserviamo la scena: due poteri uno di fronte all’altro; Pilato e il potere inesorabile dell’impero; Gesù, un giovane uomo disarmato e prigioniero. Pilato, onnipotente in Gerusalemme, ha paura; ed è per paura che consegnerà Gesù alla morte, contro la sua stessa convinzione: non trovo in lui motivo di condanna.
Con Gesù invece arriva un’aria di libertà e di fierezza, lui non si è mai fatto comprare da nessuno, mai condizionare.
Chi dei due è più potente? Chi è più libero, chi è più uomo?
Per due volte Pilato domanda: sei tu il re dei Giudei? Tu sei re?
Cerca di capire chi ha davanti, quel Galileo che non lascia indifferente nessuno in città, che il sinedrio odia con tutte le sue forze e che vuole eliminare. Possibile che sia un pericolo per Roma?
Gesù risponde con una domanda: è il tuo pensiero o il pensiero di altri? Come se gli dicesse: guardati dentro, Pilato. Sei un uomo libero o sei manipolato?
E cerca di portare Pilato su di un’altra sfera: il mio regno non è di questo mondo. Ci sono due mondi, io sono dell’altro. Che è differente, è ad un’altra latitudine del cuore. Il tuo palazzo è circondato di soldati, il tuo potere ha un’anima di violenza e di guerra, perché i regni di quaggiù, si combattono. Il potere di quaggiù si nutre di violenza e produce morte. Il mio mondo è quello dell’amore e del servizio che producono vita. Per i regni di quaggiù, per il cuore di quaggiù, l’essenziale è vincere, nel mio Regno il più grande è colui che serve.
Gesù non ha mai assoldato mercenari o arruolato eserciti, non è mai entrato nei palazzi dei potenti, se non da prigioniero. Metti via la spada ha detto a Pietro, altrimenti avrà ragione sempre il più forte, il più violento, il più armato, il più crudele. La parola di Gesù è vera proprio perché disarmata, non ha altra forza che la sua luce. La potenza di Gesù è di essere privo di potenza, nudo, povero.
La sua regalità è di essere il più umano, il più ricco in umanità, il volto alto dell’uomo, che è un amore diventato visibile.
Sono venuto per rendere testimonianza alla verità. Gli dice Pilato: che cos’è la verità? La verità non è qualcosa che si ha, ma qualcosa che si è. Pilato avrebbe dovuto formulare in altro modo la domanda: chi è la verità? È lì davanti, la verità, è quell’uomo in cui le parole più belle del mondo sono diventate carne e sangue, per questo sono vere.
Venga il tuo Regno, noi preghiamo. Eppure il Regno è già venuto, è già qui come stella del mattino, ma verrà come un meriggio pieno di sole; è già venuto come granello di senapa e verrà come albero forte, colmo di nidi. È venuto come piccola luce sepolta, che io devo liberare perché diventi il mio destino.

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