prima di tutto … contro il decreto Minniti

prima di tutto vennero a prendere gli zingari…

“Prima di tutto vennero a prendere gli zingari. E fui contento perché rubacchiavano. Poi vennero a prendere gli ebrei. E stetti zitto, perché mi stavano antipatici. Poi vennero a prendere gli omosessuali, e fui sollevato, perché mi erano fastidiosi. Poi vennero a prendere i comunisti, ed io non dissi niente, perché non ero comunista. Un giorno vennero a prendere me, e non c’era rimasto nessuno a protestare.”

Pensavo a questa drammatica espressione di Brecht, oggi, allorché aprendo il giornale leggevo dell’approvazione del decreto Minniti. Probabilmente molti non ci faranno caso, la deriva securitaria che stiamo vivendo farà pensare che sia giusto; che, anzi, bisognava pensarci prima; e che fa bene “la sinistra” a rispondere “alla destra” sulla sicurezza; questi, tanti, si esprimeranno in questo modo senza nemmeno leggere il testo, senza nemmeno sapere di cosa stiamo parlando.         Ma il problema è di natura politica: Minniti, figlio di quel partito fondamentalmente anti europeista e certamente poco propenso alla contaminazione multi etnica che fu il PCI, si gioca sull’immigrazione una importante battaglia politica, la sua, e di una vasta fascia del suo partito per il controllo delle poltrone nel paese. Mai espressione fu più felice a proposito del suo partito, Poltrone e Divani, parafrasando il nome di un famoso marchio di arredamento. E si gioca la sua partita sapendo che su questo stesso campo altri giocatori, di etnia padana, fanno sfaceli e sbancano nei sondaggi. Una “bella” lotta a chi la dice più grossa sugli immigrati. Che poi queste porcherie, che chiamano leggi, calpestino quel foglio di carta che è diventata la nostra Costituzione, poco importa. Bisogna dimostrare al paese che noi non abbiamo paura e che con ogni mezzo fermeremo l’invasione; anche con dati falsi, con leggi farlocche e con il rischio di creare macerie, odio sociale e politico; la definirei la strada italiana al nuovo fascismo quella coniata dal ministro della paura.

Questo da un lato; dall’altro, e lo dico da avvocato che da almeno vent’anni si occupa di diritto dell’immigrazione, facendo fatica a districarsi tra una serie incredibile di leggi, decreti e circolari che giocano con la pelle dei migranti, assistendo ad una sorta di diritto creativo senza precedenti, l’approvazione del decreto minniti sancisce la nascita di un altro diritto, quello per i poveri e per gli oppressi, che oggi sono i migranti, ma che domani saranno ampi strati della nostra società; minniti sta facendo le prove, alla pari di quei dottori che provano sui topi (perché questa è la considerazione che il nostro governo ha di loro) i farmaci che domani sperano di poter dare agli uomini; ecco perché quando un giorno verranno a prendere anche me non potrò dire nulla, perché non ci sarà rimasto nessuno a protestare…. L’abolizione di un grado di giudizio, ossia del reclamo in Corte d’Appello, che fa rabbrividire Arci e Caritas, che fa gridare ad una “pericolosa compressione delle garanzie” al CSM, di fatto introduce nel nostro ordinamento, introduce nella patria del diritto, in Italia, una sorta di diritto differenziato, che si fonda sul censo, sul colore della pelle; altro che la legge è uguale per tutti, la legge non esiste più se riesce a coniare simili aberrazioni.

E si badi bene, il decreto interviene in un ambito già molto ristretto: il richiedente asilo che arriva in Italia ha i suoi diritti ridotti al lumicino: non fatevi ingannare da gente ignorante come Salvini e Minniti, da speculatori seriali; l’intervista al richiedente asilo innanzi le commissioni territoriali è per il migrante una corsa ad ostacoli dove spesso anche l’interprete rema contro di lui; introdurre la video registrazione significa togliere allo stesso ogni garanzia: in un clima di intimidazione generale non dirà una parola, per paura di ritorsioni, per vergogna, immaginate una donna vittima di tratta che dovrà parlare di uno stupro, o di una mutilazione genitale; immaginate un omosessuale nigeriano, che è perseguitato nel suo paese per il suo status sessuale; lasciatevelo dire da chi ha esperienza di “sportello”, dove solo dopo due o tre incontri, quando va bene, si riesce a comprendere cosa è accaduto.

Dicevamo che interviene in un ambito già ristretto, perché il migrante cui viene negato il diritto di asilo può si ricorrere al Tribunale, ma attraverso un procedimento sommario che gli garantisce poco o nulla, l’art. 702 bis del Codice di Procedura Civile; non una causa vera e propria, che è concessa a tutti, anche ai soci fondatori dell’azione cattolica come Totò Riina, ma un procedimento che si definisce in una sola udienza dove tutto è lasciato alla competenza ed alla conoscenza socio-politica del Giudice, che legge il ricorso dell’avvocato, le fonti e, se lo ritiene, ascolta il ricorrente-migrante, poi decide, il più delle volte alla stessa udienza.

Parlando di tribunali calabresi, ad esempio, a Catanzaro, dove dovrebbe nascere la sezione specializzata del nuovo Tribunale secondo il nuovo decreto, poche volte vengono sentiti i migranti; a Reggio Calabria, dove ad oggi si svolgono molti giudizi, attesa la presenza di una commissione che ha li la sede, quasi sempre. Eliminare la comparizione del ricorrente significa calpestare il Codice e la Costituzione; significa adottare  una legge speciale, che evoca passati remoti tragici per l’Italia. Lo comprendiamo questo? Abolire, come è stato fatto,  il secondo grado del giudizio, ossia il reclamo alla Corte d’Appello, significa tutto quello che ho detto fino ad ora, ma anche di più; significa attuare un colpo di stato giudiziario, un vulnus senza precedenti, nella nostra storia giudiziaria.

Protesteremo in ogni modo, in ogni ambito; prima di tutto nei confronti di quanti lo hanno votato: sono nostri nemici, sono nemici del Popolo; con loro non possiamo fare nessun tipo di alleanza; poi nelle aule giudiziarie, ove faremo fioccare i ricorsi alla Corte Costituzionale avverso il decreto del novello Kossiga, il decretuncolo del ministro della paura. Così, quando verranno a prenderci, se ci riusciranno, non lo potranno fare, perché ci saranno altri insieme a noi, bianchi, neri, rossi, gialli e saranno mazzate….

Avv. Adriano D’Amico

(Rifondazione Comunista – Comitato Politico Provinciale)

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p, Zanotelli a Napoli manifesta a favore dei rom

Napoli

manifestazione contro lo sgombero dei Rom:

«non sono animali»

di Melina Chiapparino

Rom:  ‘noi non siamo animali’
La scritta a caratteri cubitali si legge sui cartelloni indossati da Padre Alex Zanotelli ed i manifestanti riunitosi oggi sotto Palazzo San Giacomo. Dalle 11 del mattino è cominciata la protesta del ‘Comitato Campano con i Rom’ e del ‘Comitato di solidarietà dei cittadini di via S. Erasmo alle Brecce’ contro lo sgombero dei campi rom in via Brecce Sant’Erasmo a Poggioreale, avvenuto lo scorso 7 aprile su provvedimento della Procura di Napoli. Ad affiancare i manifestanti, oltre a Zanotelli che ha parlato di «una vera e propria deportazione a cui non è stata affiancata alcuna soluzione abitativa per più di 700 persone lasciate in mezzo alla strade», erano presenti il gesuita Padre Domenico Pizzuti, la pastora Valdese These Mueller e Cathrine Molok di Amnesty International.   
«L’unica cosa che il Comune di Napoli ha fatto è la costruzione di un campo attrezzato in via del Riposo, un lager così è definito da Amnesty International – si legge nel volantino diffuso durante la manifestazione dai Comitati – troviamo incredibile che né il Comune né la Regione trovino case o appartamenti per le famiglie rom come prevede la politica dell’Unione Europea ed è ancora più incredibile che la Prefettura abbia 16milioni di euro da destinare ai rom che nessuno sta utilizzando».
 

Temi centrali della protesta sono stati due filoni: la destinazione di una sola porzione dei 1300 Rom dei campi nell’attrezzatura in via del Riposo, con la conseguente problematica di non avere una sistemazione per le altre famiglie e la questione dei minori. «Tanti bambini sono stati portati via dall’oggi al domani trovandosi costretti a vivere in strada e arrangiarsi – insiste Zanotelli – si tratta di minori scolarizzati che frequentavano le classi delle scuole nei pressi dei campi e a cui si sta negando il diritto allo studio». Durante la manifestazione hanno partecipato anche alcuni rappresentati della comunità Rom come Patrick che ha dichiarato di vivere in auto con la famiglia da 4 giorni. «Non vogliamo creare problemi- ha spiegato- vogliamo solo un posto dove vivere tranquilli». Una delegazione dei manifestanti, inclusa la rappresentante di Amnesty International è stata ricevuta durante la mattinata dalla dirigenza dell’assessorato al Welfare di Roberta Gaeta, che non era presente, ma nessun risultato è stato portato a casa dai Comitati. «Al momento non ci sono spazi alternativi da offrire» hanno dichiarato dopo la riunione i rappresentati delle comunità Rom.

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il vangelo della domenica commentato da p. Maggi

È RISORTO E VI PRECEDE IN GALILEA

commento al vangelo della domenica di pasqua (16 aprile 2917) di p. Alberto Maggi:

Mt 28,1-10

Dopo il sabato, all’alba del primo giorno della settimana, Maria di Magdala e l’altra Maria andarono a visitare la tomba.
Ed ecco, vi fu un gran terremoto. Un angelo del Signore, infatti, sceso dal cielo, si avvicinò, rotolò la pietra e si pose a sedere su di essa. Il suo aspetto era come folgore e il suo vestito bianco come neve. Per lo spavento che ebbero di lui, le guardie furono scosse e rimasero come morte.
L’angelo disse alle donne: «Voi non abbiate paura! So che cercate Gesù, il crocifisso. Non è qui. È risorto, infatti, come aveva detto; venite, guardate il luogo dove era stato deposto. Presto, andate a dire ai suoi discepoli: “È risorto dai morti, ed ecco, vi precede in Galilea; là lo vedrete”. Ecco, io ve l’ho detto».
Abbandonato in fretta il sepolcro con timore e gioia grande, le donne corsero a dare l’annuncio ai suoi discepoli.
Ed ecco, Gesù venne loro incontro e disse: «Salute a voi!». Ed esse si avvicinarono, gli abbracciarono i piedi e lo adorarono. Allora Gesù disse loro: «Non temete; andate ad annunciare ai miei fratelli che vadano in Galilea: là mi vedranno».

Nessun evangelista descrive la risurrezione di Gesù. L’immagine classica tradizionale conosciuta del Cristo trionfante, che esce dalla tomba, non appartiene infatti ai vangeli, ma ad un apocrifo del II secolo, chiamato il vangelo di Pietro. Ma tutti gli evangelisti danno indicazioni su come incontrare il Cristo vivente. L’esperienza del Cristo risorto, infatti, non è stato un privilegio concesso duemila anni fa ad un piccolo gruppo di persone, ma una possibilità per i credenti di tutti i tempi. Vediamo cosa ci dice al riguardo Matteo, nel capitolo 28, il capitolo della risurrezione. “Dopo il sabato”, ecco l’evangelista inizia con una notazione: l’osservanza del precetto del sabato ha ritardato la comunità primitiva di fare esperienza del Cristo risorto. “Dopo il sabato, all’alba del primo giorno”, il primo giorno richiama il primo giorno della creazione, in Gesù si realizza la nuova definitiva creazione della settimana. Il primo giorno della settimana, è il giorno ottavo, e il numero otto, nella chiesa primitiva, sarà il numero che avrà il significato del Cristo risorto, ed è il numero infatti delle beatitudini. “Maria di Magdala e l’altra Maria andarono a visitare la tomba”, manca una donna; alla crocifissione di Gesù erano tre le donne presenti: Maria di Magdala, l’altra Maria, la madre di Giacomo e Giuseppe, ma c’era anche la madre dei figli di Zebedeo. Non c’è più, perché? Questa donna ambiziosa, che voleva la gloria, il successo per i suoi figli, quando vede che il suo messia muore definitivamente, ha perso ogni speranza, quindi non sarà testimone della risurrezione. “Ed ecco, vi fu un gran terremoto”, il terremoto, nella Bibbia, è un segno della manifestazione divina, “e un angelo del Signore”, per angelo del Signore non s’intende un angelo inviato dal Signore, ma Dio quando entra in contatto con gli uomini. In questo vangelo appare per
ben tre volte: per annunciare la vita di Gesù, per proteggerla dalle mire omicide di Erode, e per confermarla(e) ora, che, quando la vita viene da Dio, è indistruttibile. “Un angelo del Signore, infatti, sceso dal cielo, si avvicinò, rotolò la pietra”, questa pietra era stata definita una gran pietra, “e si pose a sedere”, sedere  è segno di conquista, “su di essa”. A differenza delle donne, che, nel capitolo precedente, l’evangelista ci ha indicato che si erano sedute davanti alla tomba in segno di lutto, l’angelo siede sulla pietra in segno di vittoria. “Il suo aspetto era come folgore e il suo vestito bianco come neve”, sono le stesse descrizioni della trasfigurazione di Gesù e i colori della gloria divina. “Per lo spavento che ebbero di lui, le guardie furono scosse e rimasero come morte”, c’è l’irruzione della pienezza di vita, ma quanti appartengono al mondo della morte, per loro non è un’esperienza di vita, ma sprofondano ancora più nella morte. L’evangelista è ironico, perché quello che pensavano che è morto, in realtà è vivo, e quelli che erano vivi, dice sono come morti, sono morti. Ma “l’angelo disse alle donne: «Voi non abbiate paura!”, è strano questo, perché ad avere paura sono le guardie, e l’angelo invece le ignora e si rivolge alle donne, dice “«Voi non abbiate paura! So che cercate Gesù, il crocifisso”, cioè il maledetto, quello che era considerato morto per una maledizione divina, “Non è qui”. L’angelo non dice non è più qui, (ma) non è qui: il sepolcro non ha mai potuto contenere colui che era il vivente, ”È risorto, infatti”, e qui c’è un velato rimprovero, “come aveva detto”, l’aveva detto per ben tre volte, “venite, guardate il luogo dove era stato deposto”, e “Presto, andate a dire ai suoi discepoli: “È risorto dai morti, ed ecco, vi precede in Galilea”, la Galilea è importante nella narrazione della resurrezione, apparirà tre volte, “là lo vedrete”, questo verbo vedere è lo stesso che è apparso nella beatitudine di: beati i puri di cuore, e non indica la vista fisica, ma una profonda esperienza interiore. Gesù risuscitato in questo vangelo, il vangelo di Matteo, non si manifesterà mai a Gerusalemme, la città  assassina, la città che, fin dall’inizio, è sotto una cappa di tenebre, ma, per vedere Gesù, per sperimentarlo, occorre andare in Galilea, cioè il luogo della sua predicazione. “Abbandonato in fretta il sepolcro con timore e gioia grande”, nella misura che abbandonano il sepolcro, che mai ha potuto contenere il vivente, subentra una gioia grande, e “le donne corsero a dare l’annuncio”, il termine annuncio, in greco, contiene in sé la radice del vocabolo angelo. Le donne, considerate gli esseri più lontani da Dio, in realtà sono i più vicini, compiono la stessa funzione degli angeli, “l’annuncio ai suoi discepoli. Ed ecco”, l’espressione indica una sorpresa, “Gesù venne loro incontro”, quando si va a comunicare vita, quando si va ad annunciare vita, c’è sempre il Signore che viene incontro, per rafforzare, con la sua presenza, l’annuncio, ”e disse”, qui la traduzione è “«Salute a voi!»”, in realtà è “rallegratevi”, perché? Al termine delle beatitudini, nell’ultima beatitudine, quella dei perseguitati, Gesù aveva detto: rallegratevi perché grande è la vostra ricompensa nei cieli. Eccola qual è la ricompensa: una vita indistruttibile, una vita capace di superare la morte. “Ed esse si avvicinarono, gli abbracciarono i piedi e lo adorarono”, i piedi indicano un incontro reale, fisico non è uno spirito, un fantasma. Il fatto che lo adorarono (vuol dire) che riconoscono in lui la pienezza della condizione divina. “Allora Gesù disse loro: «Non temete; andate ad annunciare”, di nuovo il ruolo degli angeli, “ai miei fratelli”, per la prima volta i discepoli vengono chiamati i fratelli di Gesù, “che vadano in Galilea”, e, di nuovo, l’invito, “là mi vedranno”. Perché in Galilea è possibile vedere Gesù? Poi vedremo in seguito che i discepoli andranno in Galilea su “il monte che Gesù aveva loro indicato”. Ma Gesù non ha indicato nessun monte. Qual è questo monte? È il monte delle beatitudini. Qual è il messaggio allora dell’evangelista? Vivendo, accogliendo le beatitudini, manifestando in pienezza la buona notizia di Gesù, c’è la possibilità di fare l’esperienza, d’ incontrare nella propria vita, colui che è il vivente.

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