quando un rom è anche gay: la sua difficoltà

Quando il gay è rom

(minoranza nella minoranza)

Rom Rainbow

due omo

interessante esperienza di un ‘maestro’ gay (non sono riuscito a rintracciare più precisi dati identificativi) con dei ragazzi rom

il confronto tra le reciproche situazioni di ‘svantaggio’ data dall’essere  reciprocamente una ‘minoranza’, l’una in riferimento alla sessualità, l’altra in rapporto alla cultura

e quando un rom si scorge egli stesso omosessuale? (cominciano effettivamente ad emergere ed evidenziarsi i primi casi, da sempre prima accuratamente tenuti nascosti perché inevitabilmente e inesorabilmente e violentemente censurati) 

“Quello che mi domando è: come può un rom fronteggiare la scoperta della propria omosessualità? Come fa ad accettarsi un rom gay? Nella lingua romanés neanche esiste un termine per definire l’omosessualità”

struggente è la declinazione delle analogie delle reciproche difficoltà nel superare la ghettizzazione in cui ciascuno in quanto ‘minoranza’ è relegato e l’inasprirsi delle difficoltà quando un rom, oltre a dover gestire la emarginazione culturale, quando anche è gay deve con maggiori difficoltà far fronte alla dura censura sessuale:

In questi giorni in cui la legge contro l’omofobia sta tornando come tema principale della mobilitazione nazionale LGBT, mi è capitato sotto gli occhi l’articolo di Matteo Winkler de “Il Fatto Quotidiano” dal titolo “L’omofobia è razzismo” già pubblicato nel 2010 e riproposto in questi giorni, dove si evidenzia il ponte tra “Razzismo” e “Omofobia” che l’Unione Europea ha delineato nel definire proprio l’omofobia. Rileggendolo mi è tornato alla mente un episodio di quando vivevo a Roma e lavoravo all’interno di una associazione per la tutela dei Rom.

Piccola Pulce 1: Maestro posso farti una domanda? Maestro: sì Piccola Pulce 1: ma tu sei gay? Maestro: sì Piccola Pulce 2: cioè tu sei frocio? Maestro: sono gay, frocio è come se io dicessi a te “zingaro” invece gay è la parola giusta, come quando io dico che tu sei rom. Piccola Pulce 1: ma che significa se uno è gay? Maestro: significa che una persona si innamora di persone dello stesso sesso; un maschio di un altro maschio e una donna di un’altra donna. Piccola Pulce 1: giura che sei gay? Maestro: non ci credi? Guarda che non te lo devo giurare, te lo sto dicendo. Piccola Pulce 2: e com’è che uno è gay? tu… scegli…? Maestro: no, non si sceglie; è così, uno ci nasce… così come tu sei nato rom, io sono nato gay. Piccola Pulce 2: e i tuoi fratelli sono gay? Maestro: no, loro no. Piccola Pulce 2: e perché? Maestro: forse ti ho spiegato male, non è che se uno è gay lo è tutta la famiglia come per i rom, diciamo che ogni tanto in una famiglia nasce un gay. Piccola pulce 1: e tu stai bene? cioè va bene che sei gay? Maestro: sì, io sto bene… Piccola Pulce 2: e lo sanno tutti? Maestro: sì, lo sanno tutti. Mi dovrei vergognare di quello che sono? Piccola Pulce 1: io voglio essere come voi… voi gaggi [i non rom]… Maestro: come mai? Piccola Pulce 1: per voi è più facile… per noi… però no! io sono felice di essere zingaro. Maestro: devi essere felice di essere rom, è quello che sei. Piccola pulce 1: Io dico “zingaro” che mi piace di più. Mi piace la gente mia e poi io sono il maschio più grande quindi mi fanno tanti regali, mica come voi… cioè li fanno pure ai miei fratelli piccoli però a me di più. Piccola pulce 2: pure io sono il più grande e pure a me mi fanno i regali. Maestro: ah, siete fortunati allora… ora torniamo ai verbi, “io avevo…”?

Le Piccole Pulci erano due ragazzini di 12 anni che vivono nell’insediamento rom dove svolgevo, tra le altre cose, attività di doposcuola. Proprio questi due erano tra le principali pesti che mi davano filo da torcere ogni santissimo giorno, però, come tutti i bambini, se presi da parte sono degli angioletti… più o meno; infatti dopo aver finito i compiti hanno tappezzato l’insediamento di post-it con su scritto “Il maestro è gay”. Ma almeno ora non usano più la parola “frocio”, e già questa è stata una piccola grande vittoria. La cosa che più mi ha colpito è quello che difficilmente riesco a trascrivere: il non verbale; la Piccola Peste 1 quando ha iniziato a dire che lui vorrebbe essere come noi gaggi aveva gli occhi bassi, la schiena ricurva, il tono della voce più basso, le mani che giocherellavano nervosamente con la penna e poi di scatto si è alzato, ha riportato la schiena dritta e il petto in fuori per dire “però no! io sono felice di essere zingaro“. Non ho potuto fare a meno di pensare a come siamo simili. Anche io credo che per gli etero sia più facile e che sarebbe molto più semplice se io non fossi… ma poi tutto impettito (mi) ripeto che sono fiero di essere frocio.

Dovrebbe essere scontato sapere che io e le piccole pesti siamo simili: siamo entrambi minoranze. Entrambi siamo i diversi, “costretti” ad accettarci, a essere fieri di quel che siamo per essere felici, anche se, a oggi, è solo una parvenza di felicità, perché come io sogno il riconoscimento del mio matrimonio, loro sognano il riconoscimento della loro cultura ecc ecc…

Mentre andavo via dall’insediamento quel giorno mi sono ritrovato a pensare a come vivrebbe un gay nella cultura rom. Per quel che mi è dato sapere, dalla mia esperienza quadriennale in contatto con questa cultura, posso dire che i gay non sono propriamente ben visti, e non è difficile immaginarlo visto l’altissimo tasso di analfabetismo e il bassissimo livello socio-culturale.

Infatti anche nel relazionarmi con gli adulti dell’insediamento il mio orientamento sessuale ha influito. Molti avevano difficoltà a restare da soli con me nell’ufficio dove cercavo di sviscerare i cavilli giuridici per far ottenere loro un permesso di soggiorno o trovargli un lavoro, altri addirittura evitavano di parlare con me e preferivano rivolgersi a operatori con altre mansioni. Conosco alcuni casi di prostituzione omosessuale maschile tra i rom (tenuti comunque ben segreti), ma niente di più in merito. Probabilmente l’omosessualità viene completamente nascosta e vissuta nella clandestinità, qualora ci si riesca.

Walter Halilovic

Walter Halilovic (foto di repubblica.it)

Leggendo l’intervista al rom Valter Halilovic, mediatore culturale di religione islamica (e chi più di lui minoranza nella minoranza?), rilasciata a Repubblica in occasione del suo intervento all’Europride del 2011 le cose non sembrerebbero così drammatiche come ve le racconto io. Lui riporta di come, nonostante i tabù, alla fine i rom “ci stanno”! Già, perché la natura è natura, la carne è carne, puoi combatterla quanto vuoi… ma alla fine quella viene fuori. Ma come sempre non è questo quello che conta! Giovanardi potrà pure essere un gay represso, come spesso additiamo gli omofobi, ma questo riguarda la sua vita privata, il problema è quello che dice, quello che fa nella vita pubblica (ancor di più visto il ruolo che ricopre). I rom possono pure avere rapporti omosessuali appartati nelle loro roulotte… ma il problema è poi quello che dicono e fanno all’interno della comunità. Le conseguenze delle loro azioni, delle loro parole, si ripercuotono (a differenza degli amplessi che restano celati e circoscritti) su quelle persone che sentono premere i loro impulsi sessuali e i loro sentimenti ma che sono costretti a occultare e reprimere per non essere ghettizzati; e se pure il sesso prima o poi uno lo sperimenta e lo reitera sicuramente il sentimento invece non ha via di scampo ed è costretto a perire. Muore soffocato dalle risatine, dalle battute, dalla derisone e dai “pede” (come i rom chiamano i gay in senso dispregiativo) gridati agli omosessuali o presunti tali.

Ho preso il caso dei rom perché è quello che ho avuto davanti agli occhi. E ci tengo a precisare che “rom” può essere sostituito con qualsiasi altra nazionalità, etnia o anche religione che è minoranza e che non accetta l’omosessualità. Quello che mi domando è: come può un rom fronteggiare la scoperta della propria omosessualità? Come fa ad accettarsi un rom gay? Nella lingua romanés neanche esiste un termine per definire l’omosessualità. Io, come tanti altri della mia generazione, ho avuto il web come principale mezzo per confrontarmi e acculturarmi sul tema, ma anche il confronto con gli amici e in seguito con persone LGBT; quando sento affermazioni come quelle riportate nello spot “Spegniamo l’odio” realizzato da Arcigay in occasione della raccolta firme per un legge contro l’omofobia senza se e senza ma, io, grazie alla mia cultura, posso trovare il modo di rielaborare e interpretare quelle frasi e imparare a farmele scivolare di dosso o a contrastarle, per esempio facendo il volontario in Arcigay, ma i rom sono un popolo molto chiuso, rimangono all’interno del campo e difficilmente stringono rapporti con i non rom, tendono subito a sottolineare il “noi” e il “voi”, i casi di matrimonio tra persone rom e non rom sono malvisti dalla comunità, la loro cultura non scritta viene tramandata di padre in figlio in modo verbale e quelle parole e i pregiudizi sull’omosessualità vengono trasmessi e reinculcati senza troppe possibilità di cambiamento visto lo scarso confronto. La mia domanda è: se già per noi italiani è difficile essere quello che siamo, scoprirci tali, percorrere la strada dell’accettazione, fare tutti i gironi i conti con l’omofobia, ecc, com’è per chi, oltre a subire l’assenza di diritti, l’omofobia, i pregiudizi per la propria omosessualità, deve subire un carico maggiore dovuto all’appartenenza ad un altra minoranza? Tweet gay cristianiGià perché nei momenti di sconforto io ho, oltre alla comunità gay, anche quella buona parte di italiani che riconosce come normale l’omosessualità, sono sì una minoranza, ma la mia minoranza non è isolata. Invece, chi appartiene a queste minoranze dove l’omosessualità è generalmente rifiutata e ghettizzata, con cosa si ritrova? A chi chiede sostegno, comprensione e/o confronto? Si dovrebbe ritrovare con la comunità gay dei “gaggi”. Noi. Siamo noi che dovremmo essere pronti ad accoglierli. Però ahimè la nostra comunità, quella LGBT (e non solo), è composta anche da quelli che i rom li vorrebbe arrestare, malmenare, scacciare e rispedire non si sa bene dove (visto che moltissimi rom sono rom italiani essendo arrivati qui in Italia fin dal lontano 1400), da quelli che “gli stranieri tornassero da dove so’ venuti”, “vengono a rubarci il lavoro”, “so’ tutte troie che vengono qui a sposarsi i vecchietti per l’eredità”, “i musulmani sono arretrati mentalmente”. Ma anche senza arrivare a vere e proprie esternazioni razziste spesso ci dimentichiamo il significato della parola “inclusione” e “accoglienza” delle pluralità (e non “diversità” che pare sia brutto usare ormai).

Siamo in tanti a volere la piena estensione della Legge Mancino per quanto riguarda l’omofobia ma troppo spesso ci ritroviamo a far nostri comportamenti e atteggiamenti dettati dal razzismo come il mettere la mano sulla tasca del portafogli/stringere a sé la borsetta, se entra nel pullman una persona rom, guardare con aria di disprezzo lo straniero che ti chiede l’elemosina fuori dal supermercato o a dire “quel rumeno di merda” o ancora a ghettizzare i cattolici… Forse, continuando a gridare l’esigenza di tutele e pari diritti, dovremmo farci anche un esame di coscienza. Ci è diventato facile additare, giustamente, l’omofobia, ma dovremmo anche imparare a riconoscere le altre discriminazioni e a combatterle. Tutte.

Smorzo un po’ i toni di questo mio post che in alcuni punti è anche troppo semplicistico portandovi un caso interessante che ho scovato qualche anno fa, quello della star bulgara Azis, omosessuale di origine rom sposato in Germania, che è stato più volte nell’occhio del ciclone per aver tappezzato le città con foto del suo di dietro depilato, o in cui si bacia col suo compagno. Non so Azis che rapporti abbia con la sua comunità d’origine, i casi di rom inseriti perfettamente nella società (e che spesso hanno rinnegato la loro origine) sono migliaia, anche in Italia

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natale: dove nascerebbe oggi il bambino?

 

 

 

natività

Il bambino oggi sarebbe nato in un campo profughi

Il Medioriente sull’orlo dell’abisso

 in un poco più che ‘biglietto natalizio’, nel suo Huffigton Post, Lucia Annunziata tenta di rispondere alla domanda: Gesù bambino dove nascerebbe oggi?

” queste righe sono solo un cartoncino natalizio, una nota per ricordare a noi stessi dove siamo. E magari per ricordarlo anche ai nostri politici. In effetti sarebbe bello se ogni tanto alzassero il naso dalle claustrofobiche battaglie italiane e ci facessero sapere cosa pensano del mondo grande in cui viviamo”

Il bambino la cui nascita festeggiamo, sarebbe nato oggi in un campo profughi. E non si parla qui di buoni sentimenti natalizi. E nemmeno si parla qui di cattolici e mussulmani, di ebrei e palestinesi, sunniti e sciiti.

I Maria e i Giuseppe odierni, in fuga dai despoti di turno, gli Erode sempre in forza in Medioriente, qualunque sia la loro denominazione, non avrebbero certo modo di  raggiungere l’Egitto da Betlemme, o il Libano dalla Siria, o la Giordania dall’Iraq, o, se è per questo, l’Italia dalle spiagge della Libia. Ed è probabile che la loro vita finirebbe con l’essere quella delle centinaia di migliaia di rifugiati che in questo momento sono sospesi fra confini nazionali e religiosi ormai collassati.

Mai come in questo Natale è evidente che i luoghi dov’è nata una buona parte della identità, volere o meno, del mondo in cui viviamo, sono vicini alla loro scomparsa. Il Medioriente come lo conosciamo è sull’orlo dell’abisso. In decenni di conflitti, terrorismo e guerre internazionali, pure non si è mai verificata la situazione attuale con ben quattro grandi stati, Iraq, Siria, Egitto e Libia, contemporaneamente e di fatto in piena guerra civile.

Il giorno della nascita del bambino di Betlemme ha fornito – involontariamente – il termometro di quanto alta sia la temperatura. In Egitto un’auto bomba contro le forze di sicurezza ha ucciso alla vigilia del Natale 13 persone e ne ha ferito 134. L’auto bomba, tragico simbolo delle guerre fratricide mediorientali, arma resa famosa dalla guerra in Libano negli anni Ottanta, rispunta ora in varie altre nazioni, come una rondine di una nuova tragica primavera.

L’auto di cui parliamo è esplosa nella città di Mansoura, nel Delta del Nilo. Ma di esplosioni in Egitto se ne contano ormai molte, dopo la cacciata del Presidente Morsi, e il  ritorno al potere dei militari. Molti degli attentati sono avvenuti in Sinai, ma il 5 Settembre è al Cairo che una bomba contro il convoglio in cui viaggiava quasi uccide il Ministro degli Interni Mohamed Ibrahim.

Rimanendo in argomento, è sempre un’auto bomba, la prima, quella usata in Libia alcuni giorni fa per attaccare a 50 chilometri da Bengazi, in direzione del confine con l’Egitto, un checkpoint militare. Sette le vittime.

Natale è stato invece festeggiato in Siria (e sì, ci sono ancora cristiani in quella nazione) da botti speciali: il 23 dicembre è stato il decimo giorno di bombardamenti sull’antica città di Aleppo. Impiegate, come si diceva, bombe speciali, si chiamano barrel bomb e sono semplici barili imbottiti di esplosivo e ogni sorta di pezzi di metallo, che rilasciano una micidiale pioggia di schegge all’impatto. Vengono buttate dagli elicotteri, costano molto poco, sono facili da fare, e non sono nella lista delle armi bandite dalle convenzioni internazionali, come quelle chimiche (su cui il mese prossimo si dovrebbe tenere una prima conferenza internazionale).

Secondo l’Osservatorio Siriano dei Diritti Umani, organizzazione basata a Londra, nell’ultima settimana in Siria le vittime del conflitto sarebbero 1,460. Ad Aleppo le vittime sarebbero 364, di cui 105 bambini. E ancora un’altra strage, questa volta a Bagdad, nel giorno di Natale, con un’autobomba che è esplosa vicino a una chiesa nel sud della città subito dopo una funzione di natale. I morti sarebbero almeno 15.

Mi fermo qui.

Non voglio neppure toccare il perché e il per come di quanto accade. Di libri e analisi sul Medioriente ne abbiamo pieni gli scaffali, e senza grande utilità, in verità. Prova che il sapere non porta necessariamente a soluzioni.

Diciamo che queste righe sono solo un cartoncino natalizio, una nota per ricordare a noi stessi dove siamo. E magari per ricordarlo anche ai nostri politici. In effetti sarebbe bello se ogni tanto alzassero il naso dalle claustrofobiche battaglie italiane e ci facessero sapere cosa pensano del mondo grande in cui viviamo.

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p. Zanotelli: “ma che natale celebra questo paese?”

vittime

le forti puntualizzazioni e critiche di p. Zanotelli a una politica e ad una realtà ecclesiale senza animo e senza autenticità evangelica:

 

Ma che Natale celebra questo paese?

Ma che Natale celebrano le comunità cristiane d’Italia?

 

I gravi eventi di questi giorni ci obbligano a porre questi interrogativi. Le immagini del video- shock: immigrati nudi e al gelo, nel CIE di Lampedusa, per essere ‘disinfestati’ dalla scabbia con getti d’acqua. Immagini che ci ricordano i lager nazisti.

Le foto degli otto tunisini e marocchini del CIE di Porta Galeria a Roma con le labbra cucite in protesta alle condizioni di vita del centro. Bocche cucite che gridano più di qualsiasi parola!

Ed ora il deputato Khaled  Chaouki che si rinchiude nel CIE di Lampedusa ed inizia lo sciopero della fame, per protestare contro le condizioni disumane del centro e in solidarietà con i sette immigrati che , per le stesse ragioni, digiunano .

Sono le urla dei trecento periti in mare il 3 ottobre a Lampedusa, le urla dei quarantamila immigrati morti nel Mediterraneo che è diventato ormai un cimitero.

Tutto questo è il risultato di una legislazione che va dalla Turco-Napolitano che ha creato i CIE, alla Bossi-Fini che ha introdotto il crimine di clandestinità e ai decreti dell’allora ministro degli Interni, Maroni, che trasudano di razzismo leghista. Possiamo riassumere il tutto con una sola parola: Razzismo di Stato.

Le domande che sorgono sono tante e angoscianti.

Come mai un paese che si dice civile ha permesso che si arrivasse ad una tale legislazione razzista e a una tale tragedia?

Come mai la  Conferenza Episcopale Italiana sia rimasta così silente davanti a un tale degrado umano?

Come mai la massa delle parrocchie e delle comunità cristiane non ha reagito a tante barbarie?

“Sono venuto a risvegliare le vostre coscienze- ha detto Papa Francesco quando è andato a Lampedusa.” Ed ha aggiunto: “La cultura del benessere ci rende insensibili alle grida degli altri.”

Ma allora viene spontaneo chiederci: “Ma che Natale celebriamo?” Natale non è forse fare memoria di quel Bimbo che nasce sulle strade dell’Impero (“non c’era posto per lui nell’albergo”) e diventa profugo per fuggire dalle mani di Erode? Natale è la proclamazione che il Verbo si fa carne, carne di profughi, di impoveriti, di emarginati. “La carne dei profughi-ci ha ricordato Papa Francesco- è la carne di Cristo.”

E allora se vogliamo celebrare il Natale, sappiamo da che parte stare, con chi solidarizzare.

Ecco perché dobbiamo avere il coraggio di chiedere al governo italiano , come dono di Natale, l’abolizione delle leggi razziste emanate in questi anni dalla Turco-Napolitano alla Bossi-Fini , e il varo di una legislazione che rispetti i diritti umani e la Costituzione. Inoltre chiediamo che in questa nuova legislazione venga introdotto il diritto all’asilo politico e allo ius soli.

E altrettanto chiediamo, come dono di Natale, ai vescovi italiani un documento che analizzi, in chiave etica, la legislazione razzista italiana e proponga le strade nuove da intraprendere per arrivare a una società multietnica e multireligiosa. Proprio per evitare quel pericolo che Papa Francesco ha indicato nel suo discorso a Lampedusa: ”Siamo caduti nell’atteggiamento ipocrita del sacerdote e del levita, di cui parla Gesù nella parabola del Buon Samaritano: guardiamo il fratello mezzo morto sul ciglio della strada e continuiamo per la nostra strada, non è compito nostro; e con questo ci sentiamo a posto.”

Auguro a tutti di posare davanti al presepe dove troverete un Bimbo-profugo vegliato da una famiglia transfuga e attorniato dal bue e dall’asino che ci ricordano le parole del profeta Isaia:

“Il bue conosce il proprietario

e l’asino la greppia del padrone,

ma il mio popolo non comprende.”

Alex Zanotelli

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la bibbia e l’omosessualità

una certa e tradizionale interpretazione della Bibbia  costringe molti omosessuali cattolici e di altre fedi a nascondere il proprio orientamento sessuale o identità di genere pur di rimanere inseriti nella comunità di fede alla quale appartengono

in questo processo soffrono molto e, disgraziatamente, alla lunga finiscono per allontanarsi dalla religione alla luce della quale sono stati allevati: tenta un’analisi più approfondita l’articolo qui sotto riportato:

 

L’omosessualità nella Bibbia

Le nuove interpretazioni

 di Daniel Shoer Roth

tratto da About.com – Comunidad Gay (Stati Uniti)

 
Gli atteggiamenti negativi delle istituzioni religiose tradizionali verso le persone omosessuali, centrati sull’affermazione che l’atto sessuale tra persone dello stesso sesso è peccato, si basa su interpretazioni delle Sacre Scritture che sembrano condannare l’omosessualità. In questo senso l’interpretazione della Bibbia costituisce una delle fonti storiche dell’omofobia che costringe molti omosessuali cattolici e di altre fedi a nascondere il proprio orientamento sessuale o identità di genere pur di rimanere inseriti nella comunità di fede alla quale appartengono.

In questo processo soffrono molto e, disgraziatamente, alla lunga finiscono per allontanarsi dalla religione alla luce della quale sono stati allevati. Gli insegnamenti religiosi che promuovono l’odio verso l’omosessualità coinvolgono anche i familiari delle persone LGBT, che a volte si vedono obbligati a scegliere tra i propri amati congiunti e le comunità religiose a cui appartengono, a causa della pressione di queste ultime.
Per i credenti omosessuali la Bibbia assume un significato speciale, dato che è di ispirazione divina. Per questo fanno fatica a conciliare i testi biblici che li svalutano come esseri umani e la propria identità. Tuttavia comprendiamo che gli autori di queste scritture hanno espresso concetti adeguati alle conoscenze dell’epoca e che oggi, vari millenni più tardi, non possono essere interpretati alla lettera.
L’epoca moderna
L’insegnamento cattolico proibisce l’atto omogenitale (sesso tra persone dello stesso sesso), così come gli anticoncezionali, la masturbazione, il sesso prima del matrimonio e fuori dal matrimonio, poiché considera che lo scopo dell’attività sessuale sia la procreazione. Ma oggi si potrebbe considerare che la maggior parte delle persone qualche volta si è masturbata, le coppie eterosessuali qualche volta hanno usato metodi anticoncezionali per prevenire la gravidanza e non tutto il mondo è arrivato vergine al matrimonio. Tuttavia in questo processo di condanna e isolamento di un gruppo perché ha violato queste norme, le persone omosessuali sono le più bersagliate e accusate dalla Chiesa di essere dei “peccatori”. Il mondo si evolve. Ad esempio, nell’epoca biblica, le spose e le figlie erano proprietà dell’uomo. Fino a cento anni fa le donne subivano ancora svantaggi legali. Ma in questa era contemporanea, per lo meno in Paesi progrediti, il ruolo della donna cristiana è cambiato è c’è uguaglianza di genere. Tutti noi esseri umani siamo figli di Dio, compresi gli omosessuali, e siamo stati creati a Sua immagine e somiglianza, non importa quale sia il nostro orientamento sessuale o la nostra identità di genere. Perciò l’omosessuale può avere una relazione con una persona dello stesso sesso ed essere un cristiano fedele.
Una nuova lettura
E’ fondamentale prestare attenzione ai diversi punti di vista e interpretazioni di un testo biblico, per via della sua antichità. La condanna dell’omosessualità si basa su qualche episodio il cui contesto non è molto chiaro. Come possiamo allora interpretare la lettura di questi passaggi che sono stati travisati per condannare l’identità sessuale? Non è facile sintetizzare tutta la mole di studi riguardanti l’omosessualità nella Bibbia. Ma queste sono le interpretazioni proposte da alcuni esperti, conclude Dignity USA, organizzazione che si adopera per ottenere cambiamenti in quello che è l’insegnamento della Chiesa a proposito dell’omosessualità. Con la sua autorizzazione ho riassunto e adattato alcuni passaggi.
Riferimenti all’omosessualità nella Bibbia
La storia di Sodoma e Gomorra nel libro della Genesi cap. 19 tratta dell’offesa al sacro dovere dell’ospitalità. Questa è l’interpretazione che Ezechiele 16:48-49 e altri profeti danno di questo testo. Il tentativo di violenza all’uomo in questo contesto è soltanto un’accentuazione dell’atrocità di non essere ospitali.
Levitico 18:22 proibisce il sesso tra due maschi e lo definisce “un abominio”. Ma la parola abominio in questo contesto significa soltanto un’impurità o un tabù religioso, come mangiare carne di maiale. Proprio come avveniva presso i cattolici che proibivano di mangiar carne il venerdì, pena il commettere peccato mortale; l’offesa non sta nell’azione in sè, ma nel tradimento della propria religione. Gli ebrei dell’epoca biblica erano soliti evitare pratiche considerate impure per motivi che alla nostra epoca appaiono ingiustificati.
Romani 1:27 parla di “uomini che hanno rapporti con uomini”. Ma i termini usati in questo racconto per descriverli sono “disonorati” e “svergognati”. Questi aggettivi si riferiscono direttamente al biasimo sociale e non ad una condanna morale. Paolo vede il sesso tra uomini come un’impurità (Romani 1:24) allo stesso modo della mancanza della circoncisione o del mangiare cibi proibiti.
Genesi 1-3 considera Adamo ed Eva creati per la reciproca compagnia e la procreazione. Questi racconti usano le relazioni umane più comuni per dare un insegnamento religioso. Il punto è l’amore e la sapienza di Dio, che ha creato tutto per il bene e non desidera per noi alcun male. Non c’è alcuna evidenza che suggerisca che gli autori biblici abbiano cercato di darci una lezione sull’orientamento sessuale.
Testo originale: Homosexualidad en la Biblia. Nueva perspectiva sobre pasajes bíblicos empleados contra los gays

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natale mistico

 

presepe a Lucca

la fede una cosa da bambini? la fede ridotta ad una combinazione  di sentimento e fantasia dal momento che l’approccio critico al testo sacro evidenzia sempre più che la trdizionale ‘storia della salvezza’ che si riteneva poggiasse su fatti storici in realtà si rivela come una costruzione mitico-teologica?

M. Vannini, in questo bell’articolo apparso su ‘la Repubblica’ la vigilia di natale sostiene invece che “la fede non produce affatto credenze ma al contrario le toglie via tutte!:

Natale mistico

 

di Marco Vannini

in “la Repubblica” del 24 dicembre 2013

 

La nascita di Gesù fu posta dalla Chiesa latina al solstizio di inverno perché in quella data i romani

festeggiavano il sol invictus, ovvero il sole che, giunto al punto più basso del suo corso nel cielo,

non scompare, ma sembra fermarsi in attesa, e riprende da allora in poi vigore. Come molte altre,

questa festività cristiana prese così il posto di una pagana: Cristo, sole di giustizia, sostituì la

precedente divinità astrale.

In questi giorni del solstizio tutti provano comunque una sensazione di pace, che invita al

raccoglimento, alla meditazione, e non v’è dubbio che la stagione astronomica e meteorologica sia

per questo determinante: il tempo sembra fermarsi, la natura sembra silenziosa, in ascolto, la

vegetazione in attesa di rinascita. Oltre alla natura però contribuisce potentemente a questa

sensazione la cultura, ovvero il passato cristiano, la cui influenza continua a farsi sentire nella

nostra società post-cristiana: anche molti secoli dopo che Buddha era morto, come ricorda

Nietzsche, la sua ombra continuò ad essere presente.

E non meraviglia che sia così: quel passato era infatti ricco, forte, tanto – ad esempio – da dare a un

oscuro maestro elementare e a un povero parroco di villaggio l’ispirazione per quella

Stille Nacht, la cui struggente melodia, colma di nostalgia, muove tutti gli animi alla pace,

all’amore, indipendentemente da ogni religione.

Si capisce allora come la Chiesa cerchi di far leva su questo sentimento per cercare di ravvivare la

fede che una volta si riteneva fondata su reali eventi storici, ovvero sulla “storia della salvezza” che

da Adamo procede verso Cristo. Oggi, però, dal momento che quella storia appare per ciò che è, una

mera costruzione mitico-teologica, la fede si è ridotta a una combinazione di sentimento più

fantasia: una cosa da bambini, dunque. Non a caso ai nostri giorni il Natale è festa non solo per un

Bambino, ma soprattutto per bambini.

La fede è infatti in questo caso una credenza, che si difende con una sorta di infantile testardaggine,

ignorando la realtà, tanto storica quanto psicologica. Se invece la fede è volontà di verità, essa

guarda in faccia la realtà, scoprendo che quella credenza è desiderio di consolazione e

rassicurazione, frutto del desiderio di permanenza di un ego che si sente debole e incerto e che

perciò cerca “salvezza” nel rimando ad altro fuori di sé, restando così sempre nell’attesa,

nell’anelito. La fede allora non produce affatto credenze ma, al contrario, le toglie via tutte,

smascherando come menzogna anche l’immaginazione teologica. La fede – scrive san Giovanni

della Croce – «non solo non produce nozione e scienza, ma anzi accieca e priva l’anima di

qualunque altra notizia e conoscenza: la fede è notte oscura per l’anima e, quanto più la ottenebra,

tanto maggiore è la luce che le comunica». Fede come notte, dunque, ma una notte che mentre

libera da ogni presunto sapere di verità esteriori, fa risplendere una luce interiore, sapere non di

altro ma di se stessa, sapere che è un essere: questa, possiamo dire, è la vera stille nacht, heilige

nacht, notte silenziosa, notte santa.

La notte in cui Dio nasce nell’umanità è la notte prodotta dalla fede, ovvero il silenzio, il vuoto che

l’intelligenza ha fatto nell’anima. Il Natale, riferimento a una nascita del divino nel tempo, ha

dunque il senso di ri-cordare, nel suo senso etimologico di riportare all’interiorità, risvegliare

nell’anima nostra ciò che le è proprio ed essenziale: il divino che è nel suo fondo più intimo. Questo

è il passaggio

aus historie ins wesen, dalla storia all’essenza, come dicevano i mistici tedeschi,

ovvero da una verità esteriore, che non ha alcun effetto, a una verità interiore, che salva davvero.

La salvezza non è infatti dal peccato di un altro, Adamo, da cui un altro, Cristo, ti deve liberare, ma

da quel peccato davvero “originale” che è l’amore di sé. In te è Adamo, in te è Cristo, ovvero tanto

l’amore di te stesso quanto l’amore del Bene, e la salvezza ti appare nella sua realtà, non futura ma

presente, non sperata ma reale, quando il bene degli altri ti è caro quanto il tuo, assolutamente, in

nulla di meno. Niente può turbare allora la pace dell’anima: non a caso i mistici ripetono la

cosiddetta supposizione impossibile: se anche Dio mi destinasse all’inferno, sarei comunque

“salvo”.

Il senso vero del Natale non va dunque cercato all’esterno ma in se stessi, non in una costruzione

teologica, ma nel vuoto, nel distacco. Questo è anche il senso profondo della storia che precede e

rende possibile la nascita del Figlio, come del resto ogni nascita umana, ovvero la storia della

Madre: Maria fu capace di generare il divino per la sua umiltà, per la sua verginità, che non

significa una condizione fisica, ma il vuoto fatto in se stessa. Il Logos nasce infatti nell’anima di

ciascuno di noi quando essa è come Maria: distaccata, ovvero libera, spoglia di ogni preteso valore

e preteso sapere. Il mistico poeta Angelus Silesius perciò recita: «Davvero ancor oggi è generato il

Logos eterno! Dove? Qui, se in te hai dimenticato te stesso».

Il mistero del Natale si svela infatti quando si comprende il significato non blasfemo, ma al

contrario profondamente spirituale -anzi, esso solo cristiano, senza il quale la religione resta

superstizione, la fede credenza infantile – del principio che innerva la mistica: tutto quello che la

Sacra Scrittura dice di Cristo, si verifica totalmente anche in ogni uomo buono e divino.

Purtroppo tale principio fu condannato come eretico da uno di quei papi avignonesi che Dante

definisce “lupi rapaci”, separando così divino da umano, sacro da profano, avocando alla chiesa il

monopolio del sacro e con questo ribadendo la divisione ragione-fede, scienza-religione che perdura

ancora oggi e che costringe i “credenti” in quella condizione di minorità da cui l’illuminismo,

secondo le celebri parole kantiane, ha inteso togliere l’uomo occidentale.

Accanto a un Natale storico, nel quale una sola volta, in un solo luogo e in una sola persona, il

divino è nato sulla terra, c’è dunque un Natale eterno, per cui, secondo le parole di Origene, il

divino si genera nell’anima non una volta soltanto, ma in ogni istante, in ogni luogo e in ogni uomo,

in ogni pensiero che egli rivolge a Dio con purezza, in ogni gesto di amore che compie.

Anche se non legata al solstizio d’inverno, la nascita di Gesù è comunque un evento reale, non un

mito. In quanto ha a che fare con realtà profonde ed universali dell’anima umana, il mito riguarda

ciò che non è mai avvenuto ma in eterno avviene, come diceva un filosofo pagano, mentre per il

Natale noi dobbiamo dire: ciò che è avvenuto una volta e in eterno avviene. Attenzione però:

avviene solo se avviene. Perciò lo stesso poeta mistico che abbiamo prima citato lancia al suo

lettore un avvertimento davvero terribile: «Nascesse mille volte Cristo in Betlemme, se in te non

nasce, sei perduto in eterno».

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