Boff: un mondo strutturato violentemente

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amara riflessione di Leonardo Boff su questo nostro mondo in cui i diritti umani sono a tutti i livelli violati: invece di progredire nel rispetto della dignità umana e nei diritti delle persone, dei popoli e degli ecosistemi, stiamo regredendo al livello della barbarie. Le violazioni non conoscono frontiere e le forme di questa aggressione sono ogni volta più sofisticate

è una dolorosa costatazione fatta anche dal documento annuale di Amnesty International, del 2013, che si riferisce al 2012 e riguarda 159 paesi:

Gli aerei senza pilota, la violazione più codarda dei diritti umani

Viviamo in un mondo in cui i diritti umani sono violati, praticamente a tutti i livelli, famigliare, locale, nazionale e planetario. Il documento annuale di Amnesty International, del 2013, che si riferisce al 2012 e riguarda 159 paesi, fa esattamente questa dolorosa costatazione. Invece di progredire nel rispetto della dignità umana e nei diritti delle persone, dei popoli e degli ecosistemi, stiamo regredendo al livello della barbarie. Le violazioni non conoscono frontiere e le forme di questa aggressione sono ogni volta più sofisticate.

La forma più codarda è l’azione dei droni, aerei senza pilota che, da una base del Texas, condotti da un giovane militare, davanti ad uno schermo di un computer, come se stesse giocando, puntano ad identificare un gruppo di afghani che stanno celebrando un matrimonio in cui presumibilmente deve essere presente qualche guerrigliero di Al Quaeda. Basta questa supposizione per, con un piccolo click, lanciare una bomba che stermina tutto il gruppo con molte madri e bambini innocenti.

Questa è la forma perversa della guerra inaugurata da Bush e portata avanti criminalmente dal presidente Obama che non ha mantenuto le promesse della sua campagna elettorale in riferimento ai diritti umani, così come sul carcere di Guantanamo o sulla soppressione del Patriot Act (antipatriottico) con cui qualsiasi persona, negli Stati Uniti può essere imprigionata per terrorismo, senza bisogno di avvisare la sua famiglia. Ciò significa sequestro illegale che noi in America Latina conosciamo assai bene. In termini economici e allo stesso tempo per i diritti umani, si sta producendo una autentica latinoamericanizzazione degli Stati Uniti, nello stile dei momenti peggiori delle nostre dittature militari. Oggi, secondo lo stesso documento citato di Amnesty Intarnational, gli Stati Uniti sono il paese che viola di più i diritti della persona e dei popoli.

Con la massima indifferenza, come un imperatore romano assoluto, Obama nega di poter dare qualsiasi motivazione in merito allo spionaggio mondiale che fa capo al suo governo con la scusa della sicurezza nazionale, coprendo campi che vanno dallo scambio di e-mail affettuose tra innamorati, fino ai commerci riservati e miliardari di Petrobrás, violando il diritto alla privacy delle persone e la sovranità di tutto un paese. La sicurezza annulla la validità dei diritti irrinunciabili.

Il continente che soffre maggiori violazioni è l’Africa. E’ il continente dimenticato e devastato. Le grandi multinazionali e la Cina comprano terre (land grabbing) per produrre in esse alimenti per le loro popolazioni. Questa è una neocolonizzazione più perversa della precedente.

 Le migliaia e migliaia di rifugiati e migranti a causa della fame, della erosione delle loro terre sono più vulnerabili. Costituiscono una sottoclasse di persone respinte da quasi tutti i paesi “in una globalizzazione della insensibilità” come la chiamò Papa Francesco. La situazione di molte donne, dice il documento di Amnesty International è drammatica. Sono più della metà della popolazione mondiale, molte di loro soggette a violenze di ogni tipo, in varie parti dell’Africa, dell’Asia, per di più sottoposte obbligatoriamente alla mutilazione genitale

La situazione del nostro paese è preoccupante, dato il livello di violenza diffusa ovunque. Direi che non è violenza ma piuttosto che siamo posizionati su strutture di violenza sistematica che grava su più della metà della popolazione afroamericana, sugli indigeni che lottano per mantenere le loro terre contro la voracità irrefrenabile del mercato alimentare, sui poveri in generale e sui LGTB, discriminati e perfino assassinati. Poiché mai realizziamo una riforma agraria, né politica e né tributaria, vediamo che le nostre città si riempiono di centinaia e centinaia di comunità povere (favelas) dove il diritto alla salute, alla scuola, alle infrastrutture e alla sicurezza sono assicurati in maniera del tutto carente.

Il fondamento ultimo della realizzazione dei diritti umani risiede nella dignità di ciascuna persona e nel rispetto che le è dovuto. Dignità significa che essa è portatrice di spirito e di libertà che le permettono di modellare la sua stessa vita. Il rispetto è il riconoscimento che ogni essere umano possiede un valore intrinseco, è un fine in se stesso, e giammai un mezzo per nessun’altra cosa.

Davanti ad ogni essere umano, per anonimo che sia, tutto il potere incontra il suo limite, anche lo Stato.

Il fatto è che viviamo in un tipo di società mondiale che ha posto l’economia come suo asse strutturale. La ragione è solamente utilitarista e tutto, persino la persona umana, come denuncia Papa Francesco, è convertito in un “bene di consumo che, una volta usato, si può scartare”. In un società del genere non vi è posto per i diritti, ma solo per gli interessi. Persino il diritto sacro al cibo e al bere sono garantiti a chi unicamente può pagare. Se non può, sarà ai piedi della mensa, insieme ai cani, sperando in qualche briciola che cada dalla tavola ripiena degli epuloni.

In questo sistema economico, politico e commerciale si stabiliscono le cause principali, non esclusive, che portano permanentemente alla violazione della dignità umana. Il sistema vigente non ama le persone, ma soltanto la loro capacità di produrre e di consumare. Del resto, sono solamente avanzi, olio consumato nella produzione.

Lo scopo quindi inoltre da umanitario ed etico si fa principalmente politica: come trasformare questo tipo di società malvagia in una società in cui gli esseri umani possano comportarsi umanamente ed acquisire diritti basilari. In caso contrario, la violenza è la norma.

Traduzione di Carlo Felice

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ritorno del razzismo sulla stampa?

 

Hate speech

razzismo a mezzo stampa

 

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 ‘hate speech’: alla lettera ‘discorso d’odio’ o ‘incitamento al razzismo’ veicolato in abbondanza anche da noi da giornalisti ,politici, mass media: rom e sinti sono tra le prime vittime del cosiddetto “hate speech”: a volte, si ha persino l’impressione che una dichiarazione razzista, inaccettabile in altri contesti e per altri destinatari, sia considerata “normale”, o almeno “comprensibile”, se riferita ai cosiddetti “zingari”:

a seguire, una bella puntualizzazione di S. Bontempelli:

Nei paesi anglosassoni lo chiamano “hate speech”, che letteralmente significa “discorso d’odio”. Dalle nostre parti si parla di “incitamento al razzismo”. È l’insieme dei discorsi pubblici – di solito veicolati da giornalisti, mass-media e politici – che incoraggiano, sostengono, alimentano e producono il disprezzo nei confronti di rom, migranti e minoranze. E che qualche volta legittimano violenze e discriminazioni.
Rom e sinti sono tra le prime vittime del cosiddetto “hate speech”: a volte, si ha persino l’impressione che una dichiarazione razzista, inaccettabile in altri contesti e per altri destinatari, sia considerata “normale”, o almeno “comprensibile”, se riferita ai cosiddetti “zingari”. Non a caso molti attivisti e studiosi – ad esempio Lorenzo Guadagnucci, Moni Ovadia e Leonardo Piasere – invitano i loro lettori a sostituire la parola “ebreo” alla parola “zingaro”, per capire meglio il senso di certe dichiarazioni di politici e giornalisti.
«Pensiamo», dice ad esempio l’antropologo Leonardo Piasere, «all’effetto che farebbe sentir parlare del “Piano ebrei” o del “Centro di Raccolta degli ebrei della capitale”». Probabilmente la cosa ci farebbe – giustamente – accapponare la pelle. Eppure, a Roma si è elaborato un “piano nomadi”, e si è pensato di allestire “centri di raccolta” o “villaggi attrezzati” dove confinare i rom: e nessuno (o quasi) ha avuto nulla da ridire.
In alcune città i Sindaci lamentano «numeri eccessivi di presenze rom», e propongono una «equa ripartizione del carico tra territori diversi». Pensiamo, di nuovo, all’effetto che farebbe sentir parlare di «eccessivo numero di ebrei», e della necessità di «redistribuirli», in modo che nessuna città debba sopportare «il peso di troppi ebrei»… Roba da ventennio mussoliniano…

Sguardi americani 
In questi giorni un sito web statunitense – Global Post – ha pubblicato una piccola «rassegna dell’orrore»: una carrellata di dichiarazioni di parlamentari e leader politici di tutta Europa a proposito di rom e sinti. Il titolo è un po’ involuto, ma ha il pregio di essere esplicito: «14 cose incredibilmente razziste che i politici europei hanno detto sui rom».
Scorrere questa “galleria” è istruttivo. E ci aiuta a sfatare qualche mito. Ad esempio, le dichiarazioni razziste non sono appannaggio dei soli leader di destra, o di centro-destra. Manuel Valls, giusto per dirne uno, è il Ministro degli Interni francese, fa parte di un governo a guida socialista, ed è orgogliosamente “di sinistra”. Ma la sua dichiarazione del 25 settembre scorso non è esattamente un esempio di “spirito di tolleranza”: «La maggior parte [dei Rom] dovrebbe essere allontanata dalla Francia. Noi non siamo qui per accogliere queste persone. Vorrei ricordare quel che disse Michel Rocard [ex premier socialista, ndr.]: “Non è compito della Francia risolvere il problema della miseria di tutto il mondo”».
Global Post, peraltro, fa notare maliziosamente come Valls sia «nato a Barcellona da genitori immigrati spagnoli». Viene da chiedersi cosa avrebbe detto il citato Michel Rocard sulla mamma e sul papà dell’attuale Ministro…

Il ritorno del razzismo
La carrellata proposta dal sito statunitense ci aiuta a sfatare un altro mito: quello secondo cui molte dichiarazioni “ostili” di politici e giornalisti non sarebbero “razziste”. Pare di sentirla, l’obiezione: «Non è un problema di razzismo, è un problema di legalità» (o, a seconda dei casi, di ordine pubblico, di rispetto delle regole, di “sicurezza” e quant’altro). E magari, qualcuno potrebbe aggiungere: «se gli zingari non rubassero, nessuno ce l’avrebbe con loro…».
Non è vero. Molte dichiarazioni sono ispirate ad un razzismo più che esplicito. Gilles Bourdouleix, parlamentare ed esponente del centro-destra francese, ha affermato senza mezzi termini – il 21 luglio scorso – che «forse Hitler non ha ammazzato abbastanza zingari». Zsolt Bayer, co-fondatore del partito ungherese Fidesz (affiliato al Partito Popolare Europeo) ha affermato agli inizi del 2013 che «i rom sono persone inadatte alla coesistenza: sono animali, e si comportano come animali; suoni inarticolati escono dai loro crani bestiali [!!!!]. A questi animali non dovrebbe essere permesso di esistere».
E del resto, le recenti vicende di (presunti) “rapimenti di bambini” dovrebbero far riflettere. In Grecia e in Irlanda, alcuni piccoli rom sono stati sottratti alle loro famiglie perché “troppo biondi per essere zingari”. Come se l’appartenenza a un gruppo minoritario fosse una questione di tratti somatici. Come se esistesse una “razza” zingara, ovviamente di carnagione scura…
«La vicenda greca», ha scritto di recente Elena Tebano sul Corriere della Sera online, «testimonia della nostra incapacità di pensare fuori dai pregiudizi “razziali”, sintomo forse di un sostrato razzista di cui neppure noi siamo consapevoli».

Antiziganismo in Italia
È quasi superfluo dirlo, ma l’Italia è tutt’altro che immune da questa vera e propria “ondata” di odio razziale (o cripto-razziale). Lo ha appurato una recente ricerca, curata dall’Associazione 21 Luglio e dedicata proprio all’«antiziganismo», cioè alla forma specifica di razzismo che colpisce rom e sinti.
Dal 1 settembre 2012 al 15 maggio 2013 il monitoraggio, effettuato su circa 140 fonti, ha rilevato 370 casi di incitamento all’odio e discriminazione. Vuol dire 1,43 episodi al giorno. «Stereotipi e pregiudizi», aggiunge la 21 Luglio, «sono alimentati anche da una media giornaliera di 1,86 casi di informazione scorretta ad opera di giornalisti di testate locali e nazionali».
Anche qui, non siamo di fronte ad un fenomeno che coinvolge solo le frange più estreme della destra politica. Dal rapporto emerge che il 59% delle segnalazioni si riferisce ad iscritti ad un partito di destra e di centro destra, ma una fetta consistente (quasi il 40%) è da attribuire ad altre aree politiche. In 90 casi, l’autore di una dichiarazione discriminatoria e incitante all’odio è stato un esponente della Lega Nord; seguono il Popolo della Libertà (74), La Destra (30) e Forza Nuova (11). In 9 casi l’autore è stato invece un esponente del Partito Democratico.
Tra i casi di informazione scorretta, la 21 Luglio cita articoli di testate giornalistiche prestigiose e “affidabili”: dalCorriere della Sera a La Repubblica, dal Messaggero ai tanti giornali di informazione locale.
L’antiziganismo, il razzismo e i fenomeni di “hate speech” sono, insomma, il pane quotidiano della comunicazione politica. In Italia come in Europa. Non c’è da stare allegri.

Sergio Bontempelli

 

 

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gli ‘zingari’ e i nostri stereotipi

 

«Così educata, non sembra proprio zingara»

riproduco qui una bella pagina che nei giorni scorsi Sergio Bontempelli ha pubblicato nel suo sito: il racconto, più o meno, di un’ordinaria giornata nella quale percepiamo e respiriamo in abbondanza le precomprensioni e i pregiudizi o stereotipi attraverso i quali ci rapportiamo agli ‘zingari’ che presumiamo di racchiudere tutti entro precisi atti, comportamenti, atteggiamenti, stili di vita e in base a questi identificarli con certezza, valutarli e condannarli:”I rom, quelli veri e in carne ed ossa, non sono come li immaginiamo. Come dice un mio amico sinto, «se vuoi davvero sapere chi siamo, devi conoscerci uno a uno, perché i sinti non sono tutti uguali». E’ una verità semplice, questa. Ma chissà perché, quando si parla di rom, anche le cose banali diventano complicate da vedere e da capire”

Donna rom che chiede l'elemosina

 

Per un attivista che “si occupa di rom” – come si usa dire – il posto più difficile da frequentare è il bar. Perché se tieni una conferenza, o se entri in una scuola a discutere coi ragazzi, hai tempo e modo di articolare un discorso. Provi a decostruire pregiudizi e stereotipi, e i tuoi uditori ti ascoltano in silenzio. Lo vedi che sono scettici, che non credono a quel che dici: ma almeno ti guardano con il rispetto che si deve all’«esperto».
Al bar no. Al bar, davanti a un cappuccino caldo, tutti sono “esperti”, soprattutto dell’argomento “zingari”. «Te lo dico io, non si integrano, vivono di furti e di illegalità». Le tue statistiche e i tuoi studi non contano nulla. «Puoi raccontarmi quel che ti pare, ma io li conosco, l’altro giorno mi sono entrati in casa e hanno rubato l’argenteria di famiglia…». Stop. Fine del ragionamento.

Come si distingue un rom?
Ecco, fuori dal bar il discorso sull’argenteria sarebbe interessante da approfondire. Ti hanno rubato in casa, e tu hai visto il ladruncolo mentre scappava. Era uno “zingaro”, dici: ma come fai a saperlo? Con quale criterio distingui un rom? Lo riconosci dal colore della pelle, dai tratti somatici, dall’aspetto? Impossibile, perché tra i rom ci sono i biondi, i mori e i castani, c’è chi ha la pelle chiara e chi è più scuretto, chi è alto e chi è basso…
Forse hai riconosciuto il “tipico abbigliamento zingaro”. Magari non era un ladro ma una ladra, e aveva la gonna lunga e colorata… Ora, ammesso (e non concesso) che la gonna lunga sia “tipicamente rom”, non ti viene il sospetto che la ragazza in fuga abbia usato un travestimento per sviare i sospetti? E d’altra parte, se la ladra era davvero rom perché è andata a rubare vestita in modo così riconoscibile?
Forse un buon criterio per identificare un rom potrebbe essere la lingua, ma quanti sono in grado di riconoscere una persona che parla romanes?
Al bar, però, obiezioni del genere non contano. Suonano come i sofismi di uno che ha studiato troppo. «Il ladruncolo era uno zingaro, l’ho visto coi miei occhi, cosa vuoi di più?». Stop. Fine del ragionamento.
Al bar non contano i ragionamenti, contano le storie. E allora proviamo a raccontarla, una storia. E’ una storia vera che mi è accaduta in questi giorni. E che mostra come i pregiudizi condizionino non solo le nostre idee, ma anche le percezioni, quel che “vediamo coi nostri occhi”, quel che ci sembra oggettivo e irrefutabile.

Un viaggio da manager
E’ Martedì, e come sempre vado al lavoro di buon mattino. Oggi però è un giorno speciale, devo uscire dall’ufficio un po’ prima perché parto: mi hanno invitato a tenere un ciclo di seminari proprio sull’argomento rom, a Udine. Per arrivare dalla mia Toscana al lontano Friuli devo fare un percorso lungo e accidentato, con tre cambi di treno: dopo il regionale da Montecatini Terme a Firenze, devo prendere l’Alta Velocità per Venezia-Mestre, quindi di nuovo un regionale che mi porta a Udine.
Armato di pazienza, comincio il mio viaggio sul regionale. Salgo, prendo posto, mi siedo e accendo il computer: devo finire le slide che mi servono per far lezione, e comincio a lavorare. Sono ben vestito (meglio del solito, almeno…), consulto libri e documenti, armeggio col mouse, prendo qualche appunto sull’Ipad e di tanto in tanto rispondo al cellulare: devo avere l’aria di uno quegli odiosissimi manager che lavorano ovunque, sul treno come in ufficio, alla fermata dell’autobus come sulla panchina al parco… Intorno a me noto occhi curiosi che mi scrutano, con un senso di rispetto misto a invidia.

La “zingara” del treno regionale…
Mentre lavoro vedo passare Maria, una ragazza rom romena che conosco di vista: di solito chiede l’elemosina sul treno, e io le do sempre qualcosa. Si avvicina e mi tende la mano per chiedere qualche spicciolo: poi mi riconosce, trasale e sorride. Col mio rumeno un po’ maccheronico le chiedo come sta. Mi dice che nelle ultime settimane la vita è più dura del solito, la questua non “rende” bene e lei non ha i soldi per mangiare.
Può darsi che sia vero, può darsi che sia un modo per strappare qualche spicciolo in più: per me non ha importanza, e le allungo una moneta da due euro. Lei sorride di nuovo, mi ringrazia e si siede un attimo. Continuiamo a parlare del più e del meno, le chiedo se ha programmi per Natale e lei mi dice che, finalmente, passerà le vacanze a casa, in Romania. «Fa freddo laggiù», spiega, «adesso c’è la neve». Poi si alza, saluta e se ne va.
La scenetta non è passata inosservata. I viaggiatori mi guardano attoniti. Prima sembravo un manager indaffarato, ma i manager di solito non parlano con gli zingari. Già, perché Maria sembra proprio una “zingara”: ha l’aspetto trasandato, chiede l’elemosina e porta una gonna lunga e colorata…

… e la strana ragazza sull’Eurostar
Arrivato a Firenze, corro al binario e salgo sul treno Alta Velocità, quello per Venezia. L’ambiente è decisamente diverso: qui non ci sono i pendolari, ma – appunto – i manager indaffarati. Rispondono al telefono e li senti parlare di bilanci, di contratti, di accordi commerciali da perfezionare, di meeting da organizzare. La voce dell’altoparlante invita a gustare le prelibatezze del bar al centro del treno: fuori dal finestrino, le gallerie si alternano ai paesaggi delle montagne toscane. Cullato dal treno, mi addormento.
Dopo poco più di mezzora siamo a Bologna. Sale una ragazza giovanissima e si siede accanto a me. E’ vestita elegante ed è truccata con molta cura. Saluta il fidanzato dal finestrino e gli manda un bacio romantico, uno di quelli “soffiati” sul palmo della mano… Poi, quando il treno riparte, si mette a sfogliare una rivista.
Nel bel mezzo del viaggio le squilla il cellulare. Si mette a conversare al telefono e sento che non è italiana: parla una lingua che non riesco a identificare. Frequentando gli immigrati, mi sono abituato a sentirne tante, di lingue: ovviamente non le capisco, ma sono in grado di distinguere un albanese da uno slavo, un rumeno da un ucraino, un russo da un georgiano. Ma la ragazza proprio no, non capisco da dove viene. La ascolto con attenzione e mi pare di sentire qualche parola in romanes. Però no, non può essere rom: non ne ha l’aspetto, non parla con la tipica gestualità “alla zingara”, non è vestita da rom… E poi, si è mai vista una rom sul treno ad Alta Velocità?

La romnì «invisibile»
Mentre cerco di identificare la provenienza della ragazza, mi squilla il telefono. E’ un amico senegalese che ha problemi con il permesso di soggiorno. Gli fornisco qualche consiglio, poi gli dico di passare al mio ufficio: l’argomento è delicato, ed è bene capire la situazione controllando di persona documenti e carte.
Quando riaggancio mi accorgo che la ragazza mi sta guardando. «Ma tu sei un avvocato?», mi chiede. Le rispondo che no, non sono avvocato, lavoro per i Comuni e mi occupo di permessi di soggiorno. Mi spiega che suo padre ha problemi con i documenti, e mi chiede consigli. Scopro così che la ragazza è macedone. Ma qualcosa non torna.
Conosco bene la lingua macedone. Voglio dire, non la parlo e non la capisco, ma la riconosco quando la sento. E la ragazza no, proprio non parlava macedone. Nei Balcani ci sono consistenti minoranze albanesi, ma lei non parlava neanche albanese. Non riesco a vincere la curiosità, e mi faccio avanti: «ma che lingua era quella al telefono?». La ragazza trasale, ha un momento di imbarazzo e farfuglia: «no, non era macedone… la mia lingua è…». Si ferma un attimo. Si vede che non sa proprio come dirmelo. «Ecco, in casa parliamo una specie di… di lingua sinta…».
«Una specie di lingua sinta» significa che la ragazza parla romanes. E’ una romnì macedone («romnì», per chi non lo sapesse, è il femminile di «rom»). Provo a sciogliere il suo imbarazzo, le dico che ho molti amici rom che vengono proprio dalla Macedonia. Ci mettiamo a parlare, e scopro che la ragazza abita a Bologna, ma il fidanzato è un sinto di Pisa, la mia città. Facciamo amicizia e alla fine ci scambiamo i numeri di telefono. «Se mi sposo a Pisa ti chiamo e vieni alla mia festa di matrimonio».

La morale della favola
La “morale” di questa piccola storiella ci riporta alle conversazioni da bar di cui si parlava prima. Crediamo tutti di sapere chi sono gli “zingari”, e come sono fatti. Chiunque è (crede di essere) in grado di riconoscere un rom, o una romnì. E su questa percezione intuitiva costruiamo i nostri discorsi: «tutti i nomadi chiedono l’elemosina, nessuno lavora» (come se l’elemosina fosse una cosa orribile, e non un lavoro come gli altri: ma questo è un altro discorso, e ci porterebbe lontano…). «Io li ho visti, rubavano i portafogli ai passanti». «Ero sull’autobus e c’era una nomade che non aveva pagato il biglietto: non ce n’è una che rispetti le regole…». E gli esempi potrebbero continuare.
Non pensiamo mai che quel che vediamo è anch’esso frutto di pregiudizi. Non ci viene in mente che il nostro educato vicino di casa, che incontriamo sull’ascensore al mattino, potrebbe essere rom. Sul treno, non ho pensato che la mia “compagna di viaggio”, elegante e ben vestita, era una romnì macedone.
I rom, quelli veri e in carne ed ossa, non sono come li immaginiamo. Come dice un mio amico sinto, «se vuoi davvero sapere chi siamo, devi conoscerci uno a uno, perché i sinti non sono tutti uguali». E’ una verità semplice, questa. Ma chissà perché, quando si parla di rom, anche le cose banali diventano complicate da vedere e da capire.

Sergio Bontempelli

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consiglio comunale straordinario sulle casette per i sinti a Lucca

Dopo la Befana i nomadi arrivano in consiglio comunale

così titola il sito on line ‘lo Schermo’: “i nomadi (gente che è a Lucca da circa quarant’anni!) arrivano in consiglio comunale” alludendo alla polemica che nei giorni scorsi si è sviluppata a Lucca tra la gente e sui media, specie social media, in riferimento alla notizia di una ristrutturazione del ‘campo nomadi’(come in genere viene chiamato), o più propriamente (come il Comune lo ha sempre voluto) ‘campo sosta’ di via delle Tagliate: un’area di grande disagio dove tutto è fatiscente e richiede senz’altro una serie di migliorie (comprese le ‘casette in legno’ di cui si è parlato nei giorni scorsi, anche se certamente i sinti che abitano quest’area  correranno il grosso rischio (ancorché oggi si dicano contenti: sentir parlare di casette nuove non può che far contenti i beneficiati che da anni abitano roulotte alla meglio e comunque del tutto insufficienti a far fronte alle esigenze di famiglie a volte numerose) di vedere trasformata l’area da loro gestita in un’area come grande contenitore di disagio sociale perché raccoglitore di casi di sofferenza sociale o di tutta la realtà della migrazione accolti a Lucca (così come esplicitamente viene delineato da membri dell’amministrazione):

 

LUCCA, 19 dicembre 

Forza Italia parte al contrattacco sulle questioni legate al campo nomadi di via delle Tagliate. Il tema sarà discusso nel consiglio comunale di Lucca in programma per il 7 gennaio. E’ quanto è stato deciso oggi nel corso della conferenza dei presidenti dei gruppi consiliari. Dopo le prime indicazioni del consigliere Luca Leone (Impegno Comune) – interessato soprattutto a capire se l’amministrazione ha un progetto di lungo periodo sul campo di via delle Tagliate e se quello resterà il luogo permanente di abitazione – ecco che Marco Martinelli e Mauro Macera (Forza Italia) portano un ordine del giorno nel quale, oltre a invitare il Comune “a concentrare gli aiuti verso le giovani coppie, gli anziani e le famiglie lucchesi in difficoltà”, ricordano i 25mila euro richiesti in conferenza dei sindaci e dicono che “nonostante sia stato speso denaro pubblico (oltre 70mila euro) per lavori di sistemazione al campo nomadi, ancora regna incertezza sulla destinazione della struttura, nata come campo di transito e trasformatasi nella realtà in luogo di sosta permanente”.
Ecco, nel dettaglio, l’odg presentato da Forza Italia che sarà discusso il prossimo 7 gennaio.

Premesso che i riferimenti normativi attinenti al progetto di intervento relativo all’insediamento Rom di Lucca sono richiamati nella delibera di Giunta regionale 128/2013 istitutiva del “tavolo regionale per l’inclusione delle popolazioni Rom e Sinte”. Considerato che nell’ambito della applicazione di recenti indicazioni nazionali ed europee richiamate in tale delibera la Regione Toscana ha chiesto al competente organismo dell’UE una revisione del POR CREO nel contesto dell’asse V “Valorizzazione delle risorse endogene per lo sviluppo territoriale sostenibile”, “interventi di recupero e riqualificazione dell’ambiente urbano e delle aree da destinare a spazi e servizi a fruizione collettiva, al terziario avanzato, nonché alla realizzazione di infrastrutture e servizi alla persona”. Considerato che a seguito della prevista prossima approvazione della revisione del POR CREO e nell’ambito di tale revisione rientra la realizzazione di un intervento di qualificazione delle condizioni abitative dell’insediamento Rom di Lucca. Visto che nonostante sia stato speso denaro pubblico (oltre 70.000 euro) per lavori di sistemazione al campo nomadi, ancora regna incertezza sulla destinazione della struttura di Via delle Tagliate, nata come campo di transito e trasformatasi nella realtà in luogo di sosta permanente.                                                                                                Visto che in sede di conferenza dei sindaci il Comune di Lucca ha voluto fortemente destinare al campo rom altri 25.000 euro. Considerato che ogni giorno molte attività, sia nel centro storico, sia in periferia, sono costrette ad abbassare le saracinesche colpite da una crisi senza precedenti. Considerato che soprattutto in questo periodo di crisi economica è opportuno concentrare le risorse prima di tutto per aiutare le giovani coppie, gli anziani e le famiglie lucchesi in difficoltà.
Tutto ciò premesso e considerato, invita il Sindaco e la Giunta: – a chiarire al Consiglio Comunale se sia allo studio un progetto che mira alla creazione di strutture abitative per i nomadi e per gli immigrati; – a rendere noti nel dettaglio i lavori eseguiti al campo nomadi di Via delle Tagliate con una spesa di oltre 70.000 euro sostenuta dalla comunità lucchese; – a chiarire al Consiglio Comunale, se esiste la possibilità che il Comune, attraverso i  servizi sociali, si faccia carico delle eventuali morosità che si potrebbero verificare nel pagamento delle bollette dell’acqua, visto che sono stai attivati un numero di contatori pari a quante sono le piazzole di sosta presenti nel campo nomadi.
Impegna il Sindaco e la Giunta: – vista la crisi economica e la scarsità di risorse pubbliche a disposizione dell’Ente Comunale a concentrare gli aiuti verso le giovani coppie, gli anziani e le famiglie lucchesi in difficoltà.
Marco Martinelli e Mauro Macera (Forza Italia)
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