quando un rom è anche gay: la sua difficoltà

Quando il gay è rom

(minoranza nella minoranza)

Rom Rainbow

due omo

interessante esperienza di un ‘maestro’ gay (non sono riuscito a rintracciare più precisi dati identificativi) con dei ragazzi rom

il confronto tra le reciproche situazioni di ‘svantaggio’ data dall’essere  reciprocamente una ‘minoranza’, l’una in riferimento alla sessualità, l’altra in rapporto alla cultura

e quando un rom si scorge egli stesso omosessuale? (cominciano effettivamente ad emergere ed evidenziarsi i primi casi, da sempre prima accuratamente tenuti nascosti perché inevitabilmente e inesorabilmente e violentemente censurati) 

“Quello che mi domando è: come può un rom fronteggiare la scoperta della propria omosessualità? Come fa ad accettarsi un rom gay? Nella lingua romanés neanche esiste un termine per definire l’omosessualità”

struggente è la declinazione delle analogie delle reciproche difficoltà nel superare la ghettizzazione in cui ciascuno in quanto ‘minoranza’ è relegato e l’inasprirsi delle difficoltà quando un rom, oltre a dover gestire la emarginazione culturale, quando anche è gay deve con maggiori difficoltà far fronte alla dura censura sessuale:

In questi giorni in cui la legge contro l’omofobia sta tornando come tema principale della mobilitazione nazionale LGBT, mi è capitato sotto gli occhi l’articolo di Matteo Winkler de “Il Fatto Quotidiano” dal titolo “L’omofobia è razzismo” già pubblicato nel 2010 e riproposto in questi giorni, dove si evidenzia il ponte tra “Razzismo” e “Omofobia” che l’Unione Europea ha delineato nel definire proprio l’omofobia. Rileggendolo mi è tornato alla mente un episodio di quando vivevo a Roma e lavoravo all’interno di una associazione per la tutela dei Rom.

Piccola Pulce 1: Maestro posso farti una domanda? Maestro: sì Piccola Pulce 1: ma tu sei gay? Maestro: sì Piccola Pulce 2: cioè tu sei frocio? Maestro: sono gay, frocio è come se io dicessi a te “zingaro” invece gay è la parola giusta, come quando io dico che tu sei rom. Piccola Pulce 1: ma che significa se uno è gay? Maestro: significa che una persona si innamora di persone dello stesso sesso; un maschio di un altro maschio e una donna di un’altra donna. Piccola Pulce 1: giura che sei gay? Maestro: non ci credi? Guarda che non te lo devo giurare, te lo sto dicendo. Piccola Pulce 2: e com’è che uno è gay? tu… scegli…? Maestro: no, non si sceglie; è così, uno ci nasce… così come tu sei nato rom, io sono nato gay. Piccola Pulce 2: e i tuoi fratelli sono gay? Maestro: no, loro no. Piccola Pulce 2: e perché? Maestro: forse ti ho spiegato male, non è che se uno è gay lo è tutta la famiglia come per i rom, diciamo che ogni tanto in una famiglia nasce un gay. Piccola pulce 1: e tu stai bene? cioè va bene che sei gay? Maestro: sì, io sto bene… Piccola Pulce 2: e lo sanno tutti? Maestro: sì, lo sanno tutti. Mi dovrei vergognare di quello che sono? Piccola Pulce 1: io voglio essere come voi… voi gaggi [i non rom]… Maestro: come mai? Piccola Pulce 1: per voi è più facile… per noi… però no! io sono felice di essere zingaro. Maestro: devi essere felice di essere rom, è quello che sei. Piccola pulce 1: Io dico “zingaro” che mi piace di più. Mi piace la gente mia e poi io sono il maschio più grande quindi mi fanno tanti regali, mica come voi… cioè li fanno pure ai miei fratelli piccoli però a me di più. Piccola pulce 2: pure io sono il più grande e pure a me mi fanno i regali. Maestro: ah, siete fortunati allora… ora torniamo ai verbi, “io avevo…”?

Le Piccole Pulci erano due ragazzini di 12 anni che vivono nell’insediamento rom dove svolgevo, tra le altre cose, attività di doposcuola. Proprio questi due erano tra le principali pesti che mi davano filo da torcere ogni santissimo giorno, però, come tutti i bambini, se presi da parte sono degli angioletti… più o meno; infatti dopo aver finito i compiti hanno tappezzato l’insediamento di post-it con su scritto “Il maestro è gay”. Ma almeno ora non usano più la parola “frocio”, e già questa è stata una piccola grande vittoria. La cosa che più mi ha colpito è quello che difficilmente riesco a trascrivere: il non verbale; la Piccola Peste 1 quando ha iniziato a dire che lui vorrebbe essere come noi gaggi aveva gli occhi bassi, la schiena ricurva, il tono della voce più basso, le mani che giocherellavano nervosamente con la penna e poi di scatto si è alzato, ha riportato la schiena dritta e il petto in fuori per dire “però no! io sono felice di essere zingaro“. Non ho potuto fare a meno di pensare a come siamo simili. Anche io credo che per gli etero sia più facile e che sarebbe molto più semplice se io non fossi… ma poi tutto impettito (mi) ripeto che sono fiero di essere frocio.

Dovrebbe essere scontato sapere che io e le piccole pesti siamo simili: siamo entrambi minoranze. Entrambi siamo i diversi, “costretti” ad accettarci, a essere fieri di quel che siamo per essere felici, anche se, a oggi, è solo una parvenza di felicità, perché come io sogno il riconoscimento del mio matrimonio, loro sognano il riconoscimento della loro cultura ecc ecc…

Mentre andavo via dall’insediamento quel giorno mi sono ritrovato a pensare a come vivrebbe un gay nella cultura rom. Per quel che mi è dato sapere, dalla mia esperienza quadriennale in contatto con questa cultura, posso dire che i gay non sono propriamente ben visti, e non è difficile immaginarlo visto l’altissimo tasso di analfabetismo e il bassissimo livello socio-culturale.

Infatti anche nel relazionarmi con gli adulti dell’insediamento il mio orientamento sessuale ha influito. Molti avevano difficoltà a restare da soli con me nell’ufficio dove cercavo di sviscerare i cavilli giuridici per far ottenere loro un permesso di soggiorno o trovargli un lavoro, altri addirittura evitavano di parlare con me e preferivano rivolgersi a operatori con altre mansioni. Conosco alcuni casi di prostituzione omosessuale maschile tra i rom (tenuti comunque ben segreti), ma niente di più in merito. Probabilmente l’omosessualità viene completamente nascosta e vissuta nella clandestinità, qualora ci si riesca.

Walter Halilovic

Walter Halilovic (foto di repubblica.it)

Leggendo l’intervista al rom Valter Halilovic, mediatore culturale di religione islamica (e chi più di lui minoranza nella minoranza?), rilasciata a Repubblica in occasione del suo intervento all’Europride del 2011 le cose non sembrerebbero così drammatiche come ve le racconto io. Lui riporta di come, nonostante i tabù, alla fine i rom “ci stanno”! Già, perché la natura è natura, la carne è carne, puoi combatterla quanto vuoi… ma alla fine quella viene fuori. Ma come sempre non è questo quello che conta! Giovanardi potrà pure essere un gay represso, come spesso additiamo gli omofobi, ma questo riguarda la sua vita privata, il problema è quello che dice, quello che fa nella vita pubblica (ancor di più visto il ruolo che ricopre). I rom possono pure avere rapporti omosessuali appartati nelle loro roulotte… ma il problema è poi quello che dicono e fanno all’interno della comunità. Le conseguenze delle loro azioni, delle loro parole, si ripercuotono (a differenza degli amplessi che restano celati e circoscritti) su quelle persone che sentono premere i loro impulsi sessuali e i loro sentimenti ma che sono costretti a occultare e reprimere per non essere ghettizzati; e se pure il sesso prima o poi uno lo sperimenta e lo reitera sicuramente il sentimento invece non ha via di scampo ed è costretto a perire. Muore soffocato dalle risatine, dalle battute, dalla derisone e dai “pede” (come i rom chiamano i gay in senso dispregiativo) gridati agli omosessuali o presunti tali.

Ho preso il caso dei rom perché è quello che ho avuto davanti agli occhi. E ci tengo a precisare che “rom” può essere sostituito con qualsiasi altra nazionalità, etnia o anche religione che è minoranza e che non accetta l’omosessualità. Quello che mi domando è: come può un rom fronteggiare la scoperta della propria omosessualità? Come fa ad accettarsi un rom gay? Nella lingua romanés neanche esiste un termine per definire l’omosessualità. Io, come tanti altri della mia generazione, ho avuto il web come principale mezzo per confrontarmi e acculturarmi sul tema, ma anche il confronto con gli amici e in seguito con persone LGBT; quando sento affermazioni come quelle riportate nello spot “Spegniamo l’odio” realizzato da Arcigay in occasione della raccolta firme per un legge contro l’omofobia senza se e senza ma, io, grazie alla mia cultura, posso trovare il modo di rielaborare e interpretare quelle frasi e imparare a farmele scivolare di dosso o a contrastarle, per esempio facendo il volontario in Arcigay, ma i rom sono un popolo molto chiuso, rimangono all’interno del campo e difficilmente stringono rapporti con i non rom, tendono subito a sottolineare il “noi” e il “voi”, i casi di matrimonio tra persone rom e non rom sono malvisti dalla comunità, la loro cultura non scritta viene tramandata di padre in figlio in modo verbale e quelle parole e i pregiudizi sull’omosessualità vengono trasmessi e reinculcati senza troppe possibilità di cambiamento visto lo scarso confronto. La mia domanda è: se già per noi italiani è difficile essere quello che siamo, scoprirci tali, percorrere la strada dell’accettazione, fare tutti i gironi i conti con l’omofobia, ecc, com’è per chi, oltre a subire l’assenza di diritti, l’omofobia, i pregiudizi per la propria omosessualità, deve subire un carico maggiore dovuto all’appartenenza ad un altra minoranza? Tweet gay cristianiGià perché nei momenti di sconforto io ho, oltre alla comunità gay, anche quella buona parte di italiani che riconosce come normale l’omosessualità, sono sì una minoranza, ma la mia minoranza non è isolata. Invece, chi appartiene a queste minoranze dove l’omosessualità è generalmente rifiutata e ghettizzata, con cosa si ritrova? A chi chiede sostegno, comprensione e/o confronto? Si dovrebbe ritrovare con la comunità gay dei “gaggi”. Noi. Siamo noi che dovremmo essere pronti ad accoglierli. Però ahimè la nostra comunità, quella LGBT (e non solo), è composta anche da quelli che i rom li vorrebbe arrestare, malmenare, scacciare e rispedire non si sa bene dove (visto che moltissimi rom sono rom italiani essendo arrivati qui in Italia fin dal lontano 1400), da quelli che “gli stranieri tornassero da dove so’ venuti”, “vengono a rubarci il lavoro”, “so’ tutte troie che vengono qui a sposarsi i vecchietti per l’eredità”, “i musulmani sono arretrati mentalmente”. Ma anche senza arrivare a vere e proprie esternazioni razziste spesso ci dimentichiamo il significato della parola “inclusione” e “accoglienza” delle pluralità (e non “diversità” che pare sia brutto usare ormai).

Siamo in tanti a volere la piena estensione della Legge Mancino per quanto riguarda l’omofobia ma troppo spesso ci ritroviamo a far nostri comportamenti e atteggiamenti dettati dal razzismo come il mettere la mano sulla tasca del portafogli/stringere a sé la borsetta, se entra nel pullman una persona rom, guardare con aria di disprezzo lo straniero che ti chiede l’elemosina fuori dal supermercato o a dire “quel rumeno di merda” o ancora a ghettizzare i cattolici… Forse, continuando a gridare l’esigenza di tutele e pari diritti, dovremmo farci anche un esame di coscienza. Ci è diventato facile additare, giustamente, l’omofobia, ma dovremmo anche imparare a riconoscere le altre discriminazioni e a combatterle. Tutte.

Smorzo un po’ i toni di questo mio post che in alcuni punti è anche troppo semplicistico portandovi un caso interessante che ho scovato qualche anno fa, quello della star bulgara Azis, omosessuale di origine rom sposato in Germania, che è stato più volte nell’occhio del ciclone per aver tappezzato le città con foto del suo di dietro depilato, o in cui si bacia col suo compagno. Non so Azis che rapporti abbia con la sua comunità d’origine, i casi di rom inseriti perfettamente nella società (e che spesso hanno rinnegato la loro origine) sono migliaia, anche in Italia

image_pdfimage_print