“il dolore dei poveri verifica l’umanità prima della religiosità”

il dolore dei poveri

«Il popolo crocifisso è la continuazione storica del servo di Yahvė a cui il peccato del mondo continua a togliere ogni apparenza umana e che i poteri del mondo continuano a spogliare di tutto, strappandogli persino la vita, soprattutto la vita»

Ellacuría

Il dolore dei poveri è un abisso. Di fronte a quegli sguardi senza orizzonte si ha la sensazione di sprofondare insieme a loro.

Il dolore dei poveri svuota le parole del loro contenuto invalidandone forza e senso.

Il dolore dei poveri annulla le certezze ereditate, le presunte competenze, l’ottimismo peloso costruito a tavolino e con il bancomat in tasca.

Il dolore dei poveri fornisce un’altra versione delle poesie sulla bellezza della vita, delle speranze narrate, dei romanzi a lieto fine.

Il dolore dei poveri è l’unica Verità che non può essere contraddetta e per cui vale la pena testimoniare (nel senso di dare la vita).

Il dolore dei poveri verifica l’umanità prima della religiosità.

Il dolore dei poveri è sacro perché è il dolore di Dio.

Il dolore dei poveri giudicherà il mondo.

Il dolore dei poveri annebbia gli sforzi volontaristici e lascia vivere solo la compassione.

Il dolore dei poveri manda in crisi la fede e la ragione, tutte le fedi e tutte le ragioni, ma non l’Amore.

Il dolore dei poveri è pura disperazione da condividere, non da spiegare o trattare in modo infantile.

Il dolore dei poveri rende inique le gioie effimere dei ricchi.

Il dolore dei poveri non è involontario ma causato.

Il dolore dei poveri parla con le lacrime perché ha finito le parole.

Il dolore dei poveri, agli occhi di Dio, rimane innocente anche quando, per le leggi umane, è colpevole.

Il dolore dei poveri è il riassunto di tutta la Bibbia, di tutta la spiritualità, di tutta la morale.

Il dolore dei poveri è l’unico dogma che converte realmente.

 

se non hai soldi puoi crepare …

l’alba dei migranti

«Quale diritto avete di opprimere il mio popolo, di pestare la faccia ai poveri?»

profeta Isaia 3,15

 

Sei malato, ma devi dormire fuori perché non hai i documenti e neanche i soldi.
Non basta la malattia, il bisogno; ci vogliono i documenti o almeno i soldi.
Infatti, se hai i soldi, anche malato e senza documenti, un posto te lo trovano.

Nel cuore dell’Impero (e dicono del cristianesimo) funziona così: i documenti contano più della malattia e del bisogno. E i soldi contano più dei documenti, della malattia e del bisogno.

Gli abitanti felici di questo inferno la chiamano legalità: che hanno promosso a quarta virtù teologale accanto alla  fede, alla speranza e alla carità. Sulle ultime tre un compromesso si trova ma sulla legalità sono rigidi. È ammessa solo una deroga: i soldi.

Gli abitanti felici di questo inferno difendono il decoro:  che sei tu a violare dormendo sui cartoni, non loro a lasciarti fuori.

Sei malato, non hai documenti e neanche i soldi.

Quindi dormi fuori.
Domani l’alba arriverà solo per te. Per gli abitanti dell’inferno infatti è sempre notte.

messaggio di papa Francesco per la giornata mondiale del povero

papa Francesco a pranzo insieme alle persone povere nell’Aula Paolo VI 

“I poveri ci evangelizzano”

messaggio per la II Giornata Mondiale dei Poveri

Messaggio del Santo Padre

 di seguito il testo del Messaggio del Santo Padre Francesco per la II Giornata Mondiale dei Poveri che si celebrerà la XXXIII Domenica del Tempo Ordinario – quest’anno il 18 novembre 2018 – sul tema Questo povero grida e il Signore lo ascolta:

1. «Questo povero grida e il Signore lo ascolta» (Sal 34,7). Le parole del Salmista diventano anche le nostre nel momento in cui siamo chiamati a incontrare le diverse condizioni di sofferenza ed emarginazione in cui vivono tanti fratelli e sorelle che siamo abituati a designare con il termine generico di “poveri”.

Chi scrive quelle parole non è estraneo a questa condizione, al contrario. Egli fa esperienza diretta della povertà e, tuttavia, la trasforma in un canto di lode e di ringraziamento al Signore. Questo Salmo permette oggi anche a noi, immersi in tante forme di povertà, di comprendere chi sono i veri poveri verso cui siamo chiamati a rivolgere lo sguardo per ascoltare il loro grido e riconoscere le loro necessità. Ci viene detto, anzitutto, che il Signore ascolta i poveri che gridano a Lui ed è buono con quelli che cercano rifugio in Lui con il cuore spezzato dalla tristezza, dalla solitudine e dall’esclusione. Ascolta quanti vengono calpestati nella loro dignità e, nonostante questo, hanno la forza di innalzare lo sguardo verso l’alto per ricevere luce e conforto. Ascolta coloro che vengono perseguitati in nome di una falsa giustizia, oppressi da politiche indegne di questo nome e intimoriti dalla violenza; eppure sanno di avere in Dio il loro Salvatore. Ciò che emerge da questa preghiera è anzitutto il sentimento di abbandono e fiducia in un Padre che ascolta e accoglie.

Sulla lunghezza d’onda di queste parole possiamo comprendere più a fondo quanto Gesù ha proclamato con la beatitudine «Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli» (Mt 5,3). In forza di questa esperienza unica e, per molti versi, immeritata e impossibile da esprimere appieno, si sente comunque il desiderio di comunicarla ad altri, prima di tutto a quanti sono, come il Salmista, poveri, rifiutati ed emarginati. Nessuno, infatti, può sentirsi escluso dall’amore del Padre, specialmente in un mondo che eleva spesso la ricchezza a primo obiettivo e rende chiusi in sé stessi.

2. Il Salmo caratterizza con tre verbi l’atteggiamento del povero e il suo rapporto con Dio. Anzitutto, “gridare”. La condizione di povertà non si esaurisce in una parola, ma diventa un grido che attraversa i cieli e raggiunge Dio. Che cosa esprime il grido del povero se non la sua sofferenza e solitudine, la sua delusione e speranza? Possiamo chiederci: come mai questo grido, che sale fino al cospetto di Dio, non riesce ad arrivare alle nostre orecchie e ci lascia indifferenti e impassibili? In una Giornata come questa, siamo chiamati a un serio esame di coscienza per capire se siamo davvero capaci di ascoltare i poveri. E’ il silenzio dell’ascolto ciò di cui abbiamo bisogno per riconoscere la loro voce. Se parliamo troppo noi, non riusciremo ad ascoltare loro. Spesso, ho timore che tante iniziative pur meritevoli e necessarie, siano rivolte più a compiacere noi stessi che a recepire davvero il grido del povero. In tal caso, nel momento in cui i poveri fanno udire il loro grido, la reazione non è coerente, non è in grado di entrare in sintonia con la loro condizione. Si è talmente intrappolati in una cultura che obbliga a guardarsi allo specchio e ad accudire oltremisura sé stessi, da ritenere che un gesto di altruismo possa bastare a rendere soddisfatti, senza lasciarsi compromettere direttamente.

3. Un secondo verbo è “rispondere”. Il Signore, dice il Salmista, non solo ascolta il grido del povero, ma risponde. La sua risposta, come viene attestato in tutta la storia della salvezza, è una partecipazione piena d’amore alla condizione del povero. E’ stato così quando Abramo esprimeva a Dio il suo desiderio di avere una discendenza, nonostante lui e la moglie Sara, ormai anziani, non avessero figli (cfr Gen 15,1-6). E’ accaduto quando Mosè, attraverso il fuoco di un roveto che bruciava intatto, ha ricevuto la rivelazione del nome divino e la missione di far uscire il popolo dall’Egitto (cfr Es 3,1-15). E questa risposta si è confermata lungo tutto il cammino del popolo nel deserto: quando sentiva i morsi della fame e della sete (cfr Es 16,1-16; 17,1-7), e quando cadeva nella miseria peggiore, cioè l’infedeltà all’alleanza e l’idolatria (cfr Es 32,1-14). La risposta di Dio al povero è sempre un intervento di salvezza per curare le ferite dell’anima e del corpo, per restituire giustizia e per aiutare a riprendere la vita con dignità. La risposta di Dio è anche un appello affinché chiunque crede in Lui possa fare altrettanto nei limiti dell’umano.

La Giornata Mondiale dei Poveri intende essere una piccola risposta che dalla Chiesa intera, sparsa per tutto il mondo, si rivolge ai poveri di ogni tipo e di ogni terra perché non pensino che il loro grido sia caduto nel vuoto. Probabilmente, è come una goccia d’acqua nel deserto della povertà; e tuttavia può essere un segno di condivisione per quanti sono nel bisogno, per sentire la presenza attiva di un fratello e di una sorella. Non è un atto di delega ciò di cui i poveri hanno bisogno, ma il coinvolgimento personale di quanti ascoltano il loro grido. La sollecitudine dei credenti non può limitarsi a una forma di assistenza – pur necessaria e provvidenziale in un primo momento –, ma richiede quella «attenzione d’amore» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 199) che onora l’altro in quanto persona e cerca il suo bene.

4. Un terzo verbo è “liberare”. Il povero della Bibbia vive con la certezza che Dio interviene a suo favore per restituirgli dignità. La povertà non è cercata, ma creata dall’egoismo, dalla superbia, dall’avidità e dall’ingiustizia. Mali antichi quanto l’uomo, ma pur sempre peccati che coinvolgono tanti innocenti, portando a conseguenze sociali drammatiche. L’azione con la quale il Signore libera è un atto di salvezza per quanti hanno manifestato a Lui la propria tristezza e angoscia. La prigionia della povertà viene spezzata dalla potenza dell’intervento di Dio. Tanti Salmi narrano e celebrano questa storia della salvezza che trova riscontro nella vita personale del povero: «Egli non ha disprezzato né disdegnato l’afflizione del povero, il proprio volto non gli ha nascosto ma ha ascoltato il suo grido di aiuto» (Sal 22,25). Poter contemplare il volto di Dio è segno della sua amicizia, della sua vicinanza, della sua salvezza. «Hai guardato alla mia miseria, hai conosciute le angosce della mia vita; […] hai posto i miei piedi in un luogo spazioso» (Sal 31,8-9). Offrire al povero un “luogo spazioso” equivale a liberarlo dal “laccio del predatore” (cfr Sal 91,3), a toglierlo dalla trappola tesa sul suo cammino, perché possa camminare spedito e guardare la vita con occhi sereni. La salvezza di Dio prende la forma di una mano tesa verso il povero, che offre accoglienza, protegge e permette di sentire l’amicizia di cui ha bisogno. E’ a partire da questa vicinanza concreta e tangibile che prende avvio un genuino percorso di liberazione: «Ogni cristiano e ogni comunità sono chiamati ad essere strumenti di Dio per la liberazione e la promozione dei poveri, in modo che essi possano integrarsi pienamente nella società; questo suppone che siamo docili e attenti ad ascoltare il grido del povero e soccorrerlo» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 187).

5. E’ per me motivo di commozione sapere che tanti poveri si sono identificati con Bartimeo, del quale parla l’evangelista Marco (cfr 10,46-52). Il cieco Bartimeo «sedeva lungo la strada a mendicare» (v. 46), e avendo sentito che passava Gesù «cominciò a gridare» e a invocare il «Figlio di Davide» perché avesse pietà di lui (cfr v. 47). «Molti lo rimproveravano perché tacesse, ma egli gridava ancora più forte» (v. 48). Il Figlio di Dio ascoltò il suo grido: «“Che cosa vuoi che io faccia per te?”. E il cieco gli rispose: “Rabbunì, che io veda di nuovo!”» (v. 51). Questa pagina del Vangelo rende visibile quanto il Salmo annunciava come promessa. Bartimeo è un povero che si ritrova privo di capacità fondamentali, quali il vedere e il lavorare. Quanti percorsi anche oggi conducono a forme di precarietà! La mancanza di mezzi basilari di sussistenza, la marginalità quando non si è più nel pieno delle proprie forze lavorative, le diverse forme di schiavitù sociale, malgrado i progressi compiuti dall’umanità… Come Bartimeo, quanti poveri sono oggi al bordo della strada e cercano un senso alla loro condizione!

Quanti si interrogano sul perché sono arrivati in fondo a questo abisso e su come ne possono uscire! Attendono che qualcuno si avvicini loro e dica: «Coraggio! Alzati, ti chiama!» (v. 49). Purtroppo si verifica spesso che, al contrario, le voci che si sentono sono quelle del rimprovero e dell’invito a tacere e a subire. Sono voci stonate, spesso determinate da una fobia per i poveri, considerati non solo come persone indigenti, ma anche come gente portatrice di insicurezza, instabilità, disorientamento dalle abitudini quotidiane e, pertanto, da respingere e tenere lontani. Si tende a creare distanza tra sé e loro e non ci si rende conto che in questo modo ci si rende distanti dal Signore Gesù, che non li respinge ma li chiama a sé e li consola.

Come risuonano appropriate in questo caso le parole del profeta sullo stile di vita del credente: «sciogliere le catene inique, togliere i legami del giogo, rimandare liberi gli oppressi e spezzare ogni giogo […] dividere il pane con l’affamato, […] introdurre in casa i miseri, senza tetto, […] vestire uno che vedi nudo» (Is 58,6-7). Questo modo di agire permette che il peccato sia perdonato (cfr 1 Pt 4,8), che la giustizia percorra la sua strada e che, quando saremo noi a gridare verso il Signore, allora Egli risponderà e dirà: eccomi! (cfr Is 58,9).

6. I poveri sono i primi abilitati a riconoscere la presenza di Dio e a dare testimonianza della sua vicinanza nella loro vita. Dio rimane fedele alla sua promessa, e anche nel buio della notte non fa mancare il calore del suo amore e della sua consolazione. Tuttavia, per superare l’opprimente condizione di povertà, è necessario che essi percepiscano la presenza dei fratelli e delle sorelle che si preoccupano di loro e che, aprendo la porta del cuore e della vita, li fanno sentire amici e famigliari. Solo in questo modo possiamo scoprire «la forza salvifica delle loro esistenze» e «porle al centro della vita della Chiesa» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 198).

In questa Giornata Mondiale siamo invitati a dare concretezza alle parole del Salmo: «I poveri mangeranno e saranno saziati» (Sal 22,27). Sappiamo che nel tempio di Gerusalemme, dopo il rito del sacrificio, avveniva il banchetto. In molte Diocesi, questa è stata un’esperienza che, lo scorso anno, ha arricchito la celebrazione della prima Giornata Mondiale dei Poveri. Molti hanno trovato il calore di una casa, la gioia di un pasto festivo e la solidarietà di quanti hanno voluto condividere la mensa in maniera semplice e fraterna. Vorrei che anche quest’anno e in avvenire questa Giornata fosse celebrata all’insegna della gioia per la ritrovata capacità di stare insieme. Pregare insieme in comunità e condividere il pasto nel giorno della domenica.

Un’esperienza che ci riporta alla prima comunità cristiana, che l’evangelista Luca descrive in tutta la sua originalità e semplicità: «Erano perseveranti nell’insegnamento degli apostoli e nella comunione, nello spezzare il pane e nelle preghiere. […] Tutti i credenti stavano insieme e avevano ogni cosa in comune; vendevano le loro proprietà e sostanze e le dividevano con tutti, secondo il bisogno di ciascuno» (At 2,42.44-45).

7. Sono innumerevoli le iniziative che ogni giorno la comunità cristiana intraprende per dare un segno di vicinanza e di sollievo alle tante forme di povertà che sono sotto i nostri occhi. Spesso la collaborazione con altre realtà, che sono mosse non dalla fede ma dalla solidarietà umana, riesce a portare un aiuto che da soli non potremmo realizzare. Riconoscere che, nell’immenso mondo della povertà, anche il nostro intervento è limitato, debole e insufficiente conduce a tendere le mani verso altri, perché la collaborazione reciproca possa raggiungere l’obiettivo in maniera più efficace. Siamo mossi dalla fede e dall’imperativo della carità, ma sappiamo riconoscere altre forme di aiuto e solidarietà che si prefiggono in parte gli stessi obiettivi; purché non trascuriamo quello che ci è proprio, cioè condurre tutti a Dio e alla santità.

Il dialogo tra le diverse esperienze e l’umiltà di prestare la nostra collaborazione, senza protagonismi di sorta, è una risposta adeguata e pienamente evangelica che possiamo realizzare. Davanti ai poveri non si tratta di giocare per avere il primato di intervento, ma possiamo riconoscere umilmente che è lo Spirito a suscitare gesti che siano segno della risposta e della vicinanza di Dio. Quando troviamo il modo per avvicinarci ai poveri, sappiamo che il primato spetta a Lui, che ha aperto i nostri occhi e il nostro cuore alla conversione. Non è di protagonismo che i poveri hanno bisogno, ma di amore che sa nascondersi e dimenticare il bene fatto. I veri protagonisti sono il Signore e i poveri. Chi si pone al servizio è strumento nelle mani di Dio per far riconoscere la sua presenza e la sua salvezza. Lo ricorda San Paolo scrivendo ai cristiani di Corinto, che gareggiavano tra loro nei carismi ricercando i più prestigiosi: «Non può l’occhio dire alla mano: “Non ho bisogno di te”; oppure la testa ai piedi: “Non ho bisogno di voi”» (1 Cor 12,21).

L’Apostolo fa una considerazione importante osservando che le membra del corpo che sembrano più deboli sono le più necessarie (cfr v. 22); e che quelle che «riteniamo meno onorevoli le circondiamo di maggiore rispetto, e quelle indecorose sono trattate con maggiore decenza, mentre quelle decenti non ne hanno bisogno» (vv. 23-24). Mentre dà un insegnamento fondamentale sui carismi, Paolo educa anche la comunità all’atteggiamento evangelico nei confronti dei suoi membri più deboli e bisognosi. Lungi dai discepoli di Cristo sentimenti di disprezzo e di pietismo verso di essi; piuttosto sono chiamati a rendere loro onore, a dare loro la precedenza, convinti che sono una presenza reale di Gesù in mezzo a noi. «Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25,40).

8. Qui si comprende quanto sia distante il nostro modo di vivere da quello del mondo, che loda, insegue e imita coloro che hanno potere e ricchezza, mentre emargina i poveri e li considera uno scarto e una vergogna.

Le parole dell’Apostolo sono un invito a dare pienezza evangelica alla solidarietà con le membra più deboli e meno dotate del corpo di Cristo: «Se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme; e se un membro è onorato, tutte le membra gioiscono con lui» (1 Cor 12,26). Alla stessa stregua, nella Lettera ai Romani ci esorta: «Rallegratevi con quelli che sono nella gioia; piangete con quelli che sono nel pianto. Abbiate i medesimi sentimenti gli uni verso gli altri; non nutrite desideri di grandezza; volgetevi piuttosto a ciò che è umile» (12,15-16). Questa è la vocazione del discepolo di Cristo; l’ideale a cui tendere con costanza è assimilare sempre più in noi i «sentimenti di Cristo Gesù» (Fil 2,5). 9. Una parola di speranza diventa l’epilogo naturale a cui la fede indirizza. Spesso sono proprio i poveri a mettere in crisi la nostra indifferenza, figlia di una visione della vita troppo immanente e legata al presente. Il grido del povero è anche un grido di speranza con cui manifesta la certezza di essere liberato. La speranza fondata sull’amore di Dio che non abbandona chi si affida a Lui (cfr Rm 8,31-39).

Scriveva santa Teresa d’Avila nel suo Cammino di perfezione: «La povertà è un bene che racchiude in sé tutti i beni del mondo; ci assicura un gran dominio, intendo dire che ci rende padroni di tutti i beni terreni, dal momento che ce li fa disprezzare» (2, 5). E’ nella misura in cui siamo capaci di discernere il vero bene che diventiamo ricchi davanti a Dio e saggi davanti a noi stessi e agli altri. E’ proprio così: nella misura in cui si riesce a dare il giusto e vero senso alla ricchezza, si cresce in umanità e si diventa capaci di condivisione.

10. Invito i confratelli vescovi, i sacerdoti e in particolare i diaconi, a cui sono state imposte le mani per il servizio ai poveri (cfr At 6,1-7), insieme alle persone consacrate e ai tanti laici e laiche che nelle parrocchie, nelle associazioni e nei movimenti rendono tangibile la risposta della Chiesa al grido dei poveri, a vivere questa Giornata Mondiale come un momento privilegiato di nuova evangelizzazione. I poveri ci evangelizzano, aiutandoci a scoprire ogni giorno la bellezza del Vangelo. Non lasciamo cadere nel vuoto questa opportunità di grazia. Sentiamoci tutti, in questo giorno, debitori nei loro confronti, perché tendendo reciprocamente le mani l’uno verso l’altro, si realizzi l’incontro salvifico che sostiene la fede, rende fattiva la carità e abilita la speranza a proseguire sicura nel cammino verso il Signore che viene.

Dal Vaticano, 13 giugno 2018
FRANCESCO

i poveri non sono bambini, né ‘de-menti’ né colpevoli della loro situazione

i costi del vangelo

 

“Sulla via maestra del conformismo non si casca mai, mentre sul filo teso dello sporgersi verso i lontani l’equilibrio è un’arte che tutta la vita non ci basterà per apprendere bene”

(Don Lorenzo Milani)

stare dalla parte dei poveri è difficile

starci veramente intendo.

Se vuoi aiutarli senza colpevolizzarli per la loro situazione, ma difendendoli in quanto vittime di un Sistema profondamente ingiusto, subisci il peso dell’incomprensione di chi dice che hanno sbagliato, dunque sono solo delinquenti, ubriaconi, parassiti, depravati.

Ma ora siamo stanchi di questo peso: la colpa è nostra, della nostra indifferenza, della nostra profonda separazione tra valore della giustizia proclamato a parole e giustizia da vivere fino in fondo, smentita dai fatti.

Se vuoi aiutarli senza aver organizzato nessun progetto, con nessuna istituzione, ma semplicemente stando in relazione con loro per dirgli che esistono, subisci il peso dell’incomprensione di chi dice che quello che fai è totalmente inutile.

Ma ora siamo stanchi di questo peso: i poveri non devono essere trattati come utenti di un servizio. Non sono numeri, ma nomi. La freddezza dell’assistenzialismo non restituirà mai loro l’umanità che gli è stata violentemente strappata.

Se vuoi aiutarli senza imporre loro delle regole, ma dando spazio alle loro esigenze, subisci il peso dell’incomprensione di chi dice che vanno responsabilizzati, altrimenti non cambieranno mai la loro situazione.

Ma ora siamo stanchi di questo peso: le regole non responsabilizzano. Non l’hanno mai fatto. La gratuità sì. Sapere di poter accedere serenamente a ciò di cui hanno bisogno e non solo a ciò che è loro concesso responsabilizza. Inoltre va detto anche che non c’è niente da responsabilizzare: i poveri non sono bambini, né de-menti. Se li vediamo chiedere sempre qualcosa in più rispetto a quanto possiamo dare loro è perché nessuno è mai stato realmente solidale.

Se vuoi aiutarli senza stare dall’altra parte di un vetro, ma sedendoti sulla strada con loro, subisci il peso dell’incomprensione di chi dice che i poveri devono diventare come te (borghesi) e non tu come loro (figli prediletti di Dio).

Ma ora siamo stanchi di questo peso: siamo noi a doverci convertire, a dover smettere di giocare al borghese con l’hobby della solidarietà perché così non avremo vissuto il Vangelo, ma anzi, avremo aderito perfettamente alle logiche mondane. Gesù era sempre pieno di polvere e sedeva a tavola con i peccatori, non ha salvato l’umanità facendo lo scriba.

Se vuoi aiutarli senza contribuire all’ingiustizia di questo Sistema che li opprime, ma condividendo quel poco che (non) hai, subisci il peso dell’incomprensione di chi dice che guadagnando soldi l’aiuto è maggiore.

Ma ora siamo stanchi di questo peso: la povertà non si sconfigge calando dall’alto la nostra ricca bisaccia piena di denaro corrotto, ingiusto, non dignitoso, che ci ha messo in ginocchio davanti al (miserabile) padrone di turno. Piccola radicalità è sempre da preferire a larga ipocrisia. Meglio condividere pochi ridicoli spiccioli, che dare loro il prezzo pagato al Sistema affinché continuasse ad opprimerli per garantire la nostra opulenza.

Signore, aiutaci a non soccombere sotto questo peso. E’ veramente faticoso sopportarlo. Sappiamo che è lo stesso peso che hai portato tu, e ci hai promesso che il tuo invece è leggero, e che il tuo giogo è dolce*. E’ vero. E’ dolce e leggero: non certo perché il mondo ci comprende, ma perché nonostante ci facciano passare per falliti, incompetenti, strani, eccessivi, perdenti – per non dire di peggio – sentiamo nel profondo della nostra anima di essere sempre più aderenti a te, alla Buona Notizia che sei venuto ad annunciare ai nostri fratelli poveri. Mentre le assillanti voci del mondo ci sbraitano in faccia la nostra inettitudine, la sottile voce della nostra coscienza ci conferma di essere sulla strada giusta e ci dice si stare tranquilli, perché il Padre che vede nel segreto ci ricompenserà.  Non sappiamo quando, forse non in questa vita – neanche tu Signore sei stato ricompensato qui – ma ci basta credere che un giorno saremo consolati e pienamente accolti, insieme a tutti gli scartati di questo mondo.

*Vangelo Matteo 11,30

il vangelo ridotto, chiosato o rimosso

le rimozioni dal vangelo

Il Vangelo evidentemente soffre di rimozioni forzate ad opera dei predicatori abilitati e di quelli che si autoconsegnano la patente di interpreti autentici. Ad esempio: perché è così difficile affermare che la ricchezza è un male in sé in quanto appropriazione indebita del non-necessario? Infatti la sottrazione è ineludibilmente l’altra faccia della medaglia dell’accumulo.
«Le cose tolte ai poveri sono nelle vostre case. Quale diritto avete di schiacciare il mio popolo, di pestare la faccia ai poveri» (1).

È così difficile affermare che la ricchezza è antievangelica, l’ostacolo concreto alla diffusione dell’utopia liberante del Regno? Noi affermiamo il diritto per tutti ad una vita dignitosa resa possibile dalla pratica della compassione e della solidarietà. Il diritto al lusso non è espressione né del Vangelo né dell’umanesimo conseguente.

Guai a voi, ricchi, perché avete già ricevuto la vostra consolazione.

Guai a voi, che ora siete sazi, perché avrete fame.

Guai a voi, che ora ridete,

perché sarete nel dolore  e piangerete (2).
Questo, certo, non significa che i ricchi non possano salvarsi ma si devono convertire redistribuendo o meglio restituendo. Gesù è andato a casa del capo degli oppressori per indurlo a cambiare vita, non per legittimarlo come avviene troppo spesso nei ricevimenti della c.d. autorità in Vaticano. Infatti Zaccheo risponde:

«Ecco, Signore, io do la metà di ciò che possiedo ai poveri e, se ho rubato a qualcuno, restituisco quattro volte tanto»(3)

mentre gli altri, dopo la foto di rito con il Papa, rispondono continuando a bombardare, a negare i diritti fondamentali, a destabilizzare altri Paesi per interessi economici.

Un’altra forma di rimozione forzata riguarda la persona e la prassi di Gesù a vantaggio di una dottrina elaborata da uomini. Il Vangelo che siamo chiamati a vivere non consiste propriamente nella memorizzazione di un libro, né tantomeno di un codice, ma è una relazione con la Persona di Gesù, l’imitazione delle sue scelte concrete e l’adozione del suo paradigma non come imposizione ma come presupposto per realizzare pienamente la nostra libertà e dignità.

«Guai a voi, dottori della Legge, che caricate gli uomini di pesi insopportabili, e quei pesi voi non li toccate nemmeno con un dito!»(4)

Il Concilio Vaticano II ha ribaltato la prospettiva (5) mettendo effettivamente al centro la Persona di Cristo rispetto alle conoscenze dogmatiche ma, a distanza di circa cinquanta anni, l’atteggiamento legalista, cattedratico della gerarchia è mutato più nella forma che nella sostanza. Pur riscontrando nei documenti e nella predicazione una maggiore consapevolezza dei disagi esistenziali e sociali del popolo di Dio rimane lo scandalo ancora non rimosso della distanza dalle sofferenze reali. La mera enunciazione, senza le opere concrete, dell’opzione preferenziale per i poveri e gli oppressi è il macigno che pesa sulla coscienza della Chiesa-Istituzione e ne mina la credibilità.

(1) Isaia 3, 14-15

(2) Vangelo di Luca 6, 24-25

(3) Vangelo di Luca 19, 8

(4) Vangelo di Luca 11,46

(5) Dei Verbum, 4; Cfr Teresa di Lisieux, LT 165 « Custodire la parola di Gesù, ecco l’unica condizione della nostra felicità, la prova del nostro amore per lui. Ma che cos’è questa parola? Mi sembra che la parola di Gesù sia lui stesso».

da ‘altranarrazione’

un sogno ad … occhi molto aperti

ho sognato il papa

«È uno scandalo che vi siano persone o istituzioni della Chiesa che non si interessano del povero e vivono tranquillamente»

Oscar Romero

 

 

Non mi capita spesso ma questo sogno desidero raccontarlo perché è speciale: è fatto ad occhi aperti.

C’erano molte persone raccolte in Piazza San Pietro, visibilmente emozionate. Guardavano in alto, in attesa che il nuovo Papa si affacciasse dal balcone. Si aprì, invece, il portone della Basilica e il pontefice neoeletto, senza scorta, uscì per salutare i fedeli presenti. Gli porsero, poco dopo, un megafono per farsi ascoltare dai più lontani. Prese a dire parole inaudite:

«Buonasera fratelli e sorelle! Desidero, innanzitutto, comunicarvi che oggi inizia un nuovo cammino per la Chiesa. Il cambiamento consisterà soprattutto nella rinuncia ad ogni forma di Potere, ai privilegi e ai comportamenti che ci allontanano dalla vita reale. Ci faremo guidare unicamente dal Vangelo, riscopriremo il carisma profetico denunciando le strutture di peccato, ci schiereremo, senza indugio, dalla parte dei poveri, degli oppressi e di tutti quelli a cui viene negata una seconda possibilità. Non faremo più calcoli, non guarderemo più alle convenienze sociali, non difenderemo più la Chiesa con mezzi umani, perché la Chiesa ha già il suo difensore: Cristo. Infatti a noi spetta imitare la sua prassi e condividere le sue opzioni. Quindi il nostro programma da oggi sarà quello indicato nel Vangelo di Luca – annunciare ai poveri un lieto messaggio, proclamare ai prigionieri la liberazione, la vista ai ciechi, la libertà agli oppressi, predicare la misericordia di Dio – e in quello di Matteo al capitolo 25. Ascolteremo i poveri e solo quando avremo finito con loro daremo spazio ai c.d. Capi di Stato. Consegneremo il Vaticano alle autorità civili, metteremo a disposizione della comunità tutte le ricchezze in esso contenute. La Chiesa vivrà nel mondo e stabilirà la sua sede legale in tutti i luoghi in cui l’uomo soffre. Lasceremo i Palazzi ed andremo negli ospedali, nelle carceri, negli accampamenti dei disperati, nelle fabbriche, nei call center… Liquideremo la Banca e la sostituiremo con l’unica Banca coerente con la testimonianza evangelica: quella della tempo e della solidarietà. Da oggi investiremo solo in gratuità e confideremo solo nelle risorse provenienti dal Fondo chiamato ‘Provvidenza’. Non useremo più elicotteri, ma ci sposteremo con i mezzi di trasporto che usano i poveri: quelli pubblici. Incontrerete il Papa su un autobus o in una metro e la sua nuova abitazione sarà presso una parrocchia di periferia. Sposeremo la causa degli ultimi perché lo richiede il Vangelo e perché la Chiesa ha bisogno di conversione. Rinunceremo alle sovvenzioni statali per vivere la grazia della sobrietà e per condividere la condizione di chi non riceve simili aiuti. Saremo una Chiesa povera e dei poveri sia per testimoniare che l’Amore di Dio –che è l’essenziale – è gratuito, sia per denunciare l’iniquità dell’attuale sistema economico-sociale che per garantire il profitto a pochi avidi sfrutta i popoli e devasta l’ambiente. Saremo radicali e ci inginocchieremo solo per pregare e non per ottenere qualcosa in cambio dai potenti. Saremo la voce dei poveri, la coscienza critica, avremo paura ma chiederemo a Cristo la forza per percorrere la sua stessa strada».

A questo punto mi sono svegliato, e rimango nell’attesa che tutto ciò diventi realtà.

da ‘altranarrazione’

la critica più radicale al paradigma borghese si trova nel vangelo

liturgie borghesi

«Una società dei consumatori non può che essere una società dell’eccesso, del superfluo e dello scarto abbondante»

(Z. Bauman)

 

Con Gino il bancario si gioca a tennis, con Ubaldo l’ingegnere si va allo stadio, con Pinuccio l’imprenditore si va al bistrò. Invece con Sandro il disoccupato, Marcello il disabile, e Hassan il migrante, non si va da nessuna parte.
Ci si ignora per 364 giorni, soprattutto nei momenti difficili, ma per il compleanno arriva l’immancabile, ulteriore, oggetto (definito regalo) utilissimo solo a far girare la ruota del criceto consumista.

La domenica si va alla Santa Messa servendo all’altare, raccogliendo le offerte o partecipando al coretto, gli altri giorni si ritarda il pagamento del salario ai lavapiedi, si usa il precariato per gonfiare il profitto, si inquinano l’aria e l’acqua per far crescere un numero, non a caso definito prodotto interno LORDO.
Nei corsi di formazione per comunione, cresima, matrimonio, ordine “si impara Dio” come  le tabelline, l’analisi logica, una tesi. In sostanza, ci si accerta che Dio sia effettivamente morto e che quindi ora non parli più o che sia effettivamente risorto ed andato in cielo e che quindi ora sia lontano.
Si visitano molti luoghi sacri per “adorare” l’architettura e le opere d’arte, tenendosi, invece, scientificamente alla larga dagli altri luoghi sacri nei quali Dio abita: poveri, oppressi, malati, detenuti.
Si vende, senza remore, il proprio tempo e la propria capacità al padrone di turno chiedendo in cambio solo comodità, vacanze e divertimento.
Si frequentano scuole, università ed altri cimiteri della creatività per poter essere accolti in pompa magna dal mercato.

Le liturgie borghesi sono innumerevoli, anche tenendo conto delle varianti e degli sviluppi.

L’opposto si chiama cristianesimo -cioè l’annuncio di Cristo dell’avvento del Regno di Dio- come spiegato, senza possibilità di fraintendimenti,  nel Vangelo.

le tre mense inseparabili del cristiano

il motto della chiesa

«Dove sono i poveri, lì ci troverete»

sarà il motto con cui la chiesa tornerà a convertirsi a Cristo e al Vangelo. Ed inizierà, finalmente, a contrapporsi al grande peccato fattosi struttura. Quel peccato che ha messo su una croce il Salvatore, sconfiggendolo, però, solo per tre giorni. Quel peccato che ancora mette su una croce gli oppressi, sconfiggendoli, però, solo per i tre giorni del tempo storico. La Chiesa tornerà dal suo Signore, si rimetterà alla sua sequela abbandonando le dottrine costruite da menti umane che l’hanno irrigidita, sostituendo la Giustizia di Dio verso i piccoli e gli umili con la giustizia che condanna chi trasgredisce norme. La Chiesa riunirà finalmente le mense dell’epifania di Dio: quella della Parola che annuncia la salvezza, quella dell’Eucaristia e degli altri sacramenti che l’attualizza e quella dei poveri che realizza il Regno di Dio.


«Saremo giudicati sull’amore concreto e sulla misericordia, non su quello cantato o recitato. Convinciamoci che non possiamo dividere le tre mense che fanno la nostra identità cristiana: la mensa della Parola, quella dell’Eucarestia e quella dei poveri. Se ne manca una le altre due sono falsate e non c’è comunità. Né basta scusarsi dicendo che c’è il gruppo della carità. Perché la carità è di tutti e non si può delegare. Ogni mensa rimanda all’altra: la Parola fa desiderare l’Eucarestia che fa sentire il bisogno di muoversi verso il povero» (1).
La Chiesa non testimonierà più semplicemente l’esistenza di Dio ma la sua Volontà: ossia un diverso paradigma da quello predicato dal mondo e che è chiamata a rifiutare. La Chiesa, così, rigetterà la mercificazione generata dagli attuali modelli economici e predicherà la gratuità, rigetterà il potere e vivrà il dono di se stessa ponendosi, come Cristo, tra gli scartati. La Chiesa si presenterà come radicale alternativa alla cultura dell’utilità e della funzione e testimonierà che la dignità risiede nella scelta di com-patire e nella prassi conseguente.
«La pietra che i costruttori hanno scartato è divenuta la pietra angolare, sasso d’inciampo e pietra di scandalo» (2).
Riconoscere il Figlio di Dio in quell’uomo dileggiato, sconfitto dal Potere, ed amaramente abbandonato dai discepoli non era impresa semplice. È un monito sempre valido per la Chiesa che è chiamata alla disponibilità, dimostrata dal centurione (3), ad accogliere l’assurdo di Dio, rispetto alle certezze dei saggi che diventano chiusure. La Chiesa, ancora oggi,  deve avere l’umiltà di imparare la fede da chi non ha fede e mettersi davanti ai reietti e riconoscere in essi il Figlio di Dio “che soffre nella storia” (4).

(1) card. Francesco Montenegro, Discorso pronunciato in occasione dell’apertura del Giubileo della Misericordia nell’arcidiocesi di Agrigento, Chiesa Concattedrale Santa Croce di Agrigento, 13/12/2015

(2) Prima lettera di Pietro 2, 7-8

(3) «Allora il centurione che gli stava di fronte, vistolo spirare in quel modo, disse: “Veramente quest’uomo era Figlio di Dio!”» (Vangelo di Marco 15,39)

(4) «Voi siete l’immagine del Crocifisso. Sono venuto a dirvi che voi siete il Cristo che soffre nella storia» (Oscar Romero ai campesinos, in Ettore Masina, L’arcivescovo deve morire. Oscar Romero e il suo popolo, Il Margine, Trento 2011, p. 98)

da ‘altranarrazione’

il vangelo è guardare la vita con gli occhi dei poveri e lottare con loro

pace e inquietudine

 

Vieni, sediamoci ed iniziamo a guardare la nostra vita con gli occhi dei poveri. Togliamoci le lenti ricevute in dotazione dal Sistema. Deformano la realtà: non colgono i contorni della persona ma solo competenze ed attitudini professionali. E togliamoci pure le cuffie ricevute in dotazione dal sistema. Deformano la realtà: infatti, trasmettono, ininterrottamente, la narrazione necessaria alla giustificazione dell’indifferenza e dell’esclusione. Ascoltiamo prima, prendiamo visione e informiamoci, controllando le fonti, poi, verifichiamo i risultati e confrontiamoli con quello che ci hanno iniettato fin da piccoli. È un lungo cammino di disintossicazione, alla fine potremmo ritrovarci soli, ma scopriremo il dono promesso da Dio: la pace interiore. Che non ha nulla a che fare con l’impassibilità frutto di pratiche ascetiche, ma è quella sensazione di giustizia creatrice di senso per la nostra vita. Una pace interiore determinata dal perseguimento della giustizia che si accompagna, dunque, necessariamente, all’inquietudine profetica non certo al disimpegno dei defilati, anche se devoti.

«Hai visto molte cose, ma senza farvi attenzione, hai aperto gli orecchi, ma senza sentire»

(Isaia 42, 20)

Mettiamoci nei panni dei poveri, comprendiamo l’assenza di opportunità e la violenza di un’economia fondata sulla funzionalità, un’economia che assorbe uomini e restituisce mansioni, un’economia che non riconosce persone ma solo ruoli. Spogliamoci dei privilegi derivanti dalla condizione sociale, rifiutiamo le dinamiche di asservimento che contraddicono, totalmente, la natura gratuita del nostro essere. Rifiutiamo il servizio all’iniquità e non contribuiamo alla ferocia della reiterazione. Le strutture che producono oppressione (c.d. strutture di peccato) non nascono dal caso e non sono fenomeni naturali, ma camminano sulle gambe di chi sceglie la disumanizzazione e funzionano con le braccia di chi sceglie lo sfruttamento.

Condividiamo il rifiuto che subiscono i poveri e la negazione di un riscatto. Mettiamoci nella condizioni di comprendere la violenza dei “ti faremo sapere”, “ripassa domani”, “torna a casa tua”. Camminiamo con loro per trovare due spiccioli, fatichiamo con loro per una burocrazia fantozziana, proviamo con loro la tristezza di una mensa. Lottiamo non solo per loro ma con loro. Uniamo la nostra voce alla loro e diventiamo la voce di chi è stato ammutolito.

vieni, mettiamoci tra i poveri: non ritroveremo solo Dio ma anche la nostra umanità

da ‘altranarrazione’

l’Italia non ama i poveri

perché l’Italia non è un paese per poveri


Francesco Delzio 

A chi non avesse ancora capito come mai cresce in Italia la “rabbia sociale” delle classi più povere verso le élite, di cui i risultati elettorali sono stati la punta dell’iceberg, consiglio caldamente la lettura dei dati pubblicati qualche giorno fa da Eurostat (e che hanno avuto scarsa eco sui media italiani). La grande crisi che ci siamo lasciati alle spalle è stata nel nostro Paese una vera e propria curva della storia sul piano della disuguaglianza, rivelandosi una “livella al contrario”: non solo la recessione ha colpito molto più duramente le classi più povere, ma da quando il trend economico si è invertito il vento della ripresa sta gonfiando esclusivamente le vele delle classi ricche e benestanti. Mentre quelle dei più poveri sembrano essere state ammainate, nonostante i numerosi allarmi lanciati e i primi provvedimenti adottati dagli ultimi due Governi.

Attenzione, però, a non cadere nello stereotipo classico della narrazione neo-marxista: come dimostra un’efficace analisi di Massimo Baldini su “LaVoce.info“, il divario tra ricchi e poveri è aumentato in Italia non perché sia aumentato negli ultimi anni il reddito dei più ricchi, ma a causa del crollo dei redditi più bassi. Durante la crisi, infatti, i redditi di tutti i decili della popolazione italiana sono mediamente diminuiti, ma la perdita è stata molto superiore per il 10% più povero della popolazione. Mentre nei primi anni della ripresa, tra il 2014 e il 2016, si è registrato un recupero dei redditi medio-alti, ma quelli bassi sono ancora diminuiti.
Eurostat ci rivela, inoltre, che il fenomeno di “impoverimento dei più poveri” – almeno negli ultimi anni – è stata un’anomalia italiana. Non è accaduto nulla di simile in Germania e in Francia, dove il reddito del primo e più povero decile della popolazione è aumentato, seguendo il corso della ripresa economica. Questo dato deve spingerci a una profonda riflessione. Potremmo dire, con uno slogan, che l’Italia non è un Paese per poveri. Perché se in Germania le classi povere beneficiano di un tasso di occupazione molto superiore al nostro e in Francia di un sistema fiscale molto più equilibrato di quello italiano (in virtù, ad esempio, dell’applicazione del quoziente familiare), in Italia non c’è nessun contrappeso sostanziale che mitighi gli effetti violenti di una crisi economica nei confronti dei più deboli.


Quale risposta dare alla “storica” esclusione dalla cittadinanza economico-sociale di una fascia enorme della popolazione italiana sarà, dunque, il tema cruciale del prossimo governo (di qualunque colore esso sia). Purtroppo il populismo dominante non aiuta a imboccare strade efficaci, spingendo verso (facili) soluzioni di natura assistenzialistica. Mentre l’unica strada virtuosa è quella di aumentare non solo la quantità, ma anche la qualità di lavoro disponibile. Sapendo che i “lavoratori poveri” sono oggi, insieme ai disoccupati, l’anello più debole della nostra catena sociale.
www.francescodelzio.it

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