il fallimento sui migranti è il fallimento dell’Europa

il fallimento europeo sui migranti

dal gioco dell’oca a quello del calamaro: in Bosnia tra i respinti d’Europa, senza dignità e diritti

YANNIS KOLESIDIS/EPA

C’è da chiedersi se il regista di Squid Game si sia fatto un giro sulla rotta balcanica prima di scrivere una delle serie di maggiore successo nella storia di Netflix. Perché il “GAME” della rotta balcanica, così battezzato dai migranti, perché dalla Bosnia alla Croazia si torna sempre alla casella di partenza, ormai assomiglia più che al gioco dell’oca al gioco del calamaro, quello in cui sei disposto a tutto, anche a morire pur di ottenere in palio una vita decente.

E invece di 1-2-3 Stella o del gioco delle biglie qui si partecipa a un gioco ancora più adrenalitico, quello che termina direttamente nel Cimitero dei Senza Nome di Merzarje. Solo che i rifugiati, i migranti, i viaggiatori senza diritti che sono accampati alla meno peggio tra le foreste della Bosnia, in un limbo umidiccio e nebbioso, non se la sono scelti loro di essere gli emarginati del mondo, gli invisibili da confinare lontano dalla vita “normale”.

Andare in Bosnia a visitare i campi profughi, come ho fatto con alcuni colleghi del Parlamento europeo (Pietro Bartolo, Alessandra Moretti, Pierfrancesco Majorino) è il minimo sindacale che uno che fa il nostro mestiere deve fare. Il problema è che si torna indietro con la prova provata del fallimento dell’Ue sulla politica migratoria. Di quel modello di esternalizzazione della gestione dei flussi migratori, che forse è l’unico possibile di fronte a 12 paesi europei che hanno la sfacciataggine di chiedere soldi per costruire muri, ma che continua a essere quello più sbagliato di sempre.

Dalla Siria, dal Pakistan, dall’Afghanistan i viaggiatori senza diritti con mezzi di fortuna e molto con i piedi (spellati e incancreniti) arrivano in Bosnia con la speranza di attraversare la frontiera con la Croazia per entrare finalmente nell’Unione europea e nei paesi desiderati, Italia, Francia, Spagna. Ma il “gioco” della vita è balordo e non perdona: alla frontiera con la Croazia la polizia continua a perpetrare violenze, così raccontano, a picchiare e derubare i migranti che arrivano e a “pushbeccarli” (pushback), cioè a rispedirli al mittente. Pochissimi i vincitori del GAME, quelli che arrivano a Trieste, e ottengono il premio; poter forse raggiungere la meta 

Ibrahim, un insegnate pakistano di inglese, mi dice che ha provato ad attraversare la frontiera 26 volte, e che ci riproverà. Racconta di essere stato picchiato e soprattutto denudato e poi in mutande rimandato indietro. Ha una moglie e un padre in Grecia, la figlia e la madre in Turchia, e chiede che a Lipa almeno le docce abbiano l’acqua calda, altrimenti chi se la fa tutti i giorni la doccia con l’acqua gelata? Mi fermo con alcuni di loro e colpisce la dignità con cui ti rivelano l’unica loro colpa: la sfiga di essere nati in un posto di serie B, rispetto a quelli della Premiere League.

La situazione di Lipa, il campo noto per le immagini di bambini coi piedi nudi sulla neve dello scorso gennaio, è migliorata, va detto. Organizzazioni come OIM e UNHCR stanno costruendo anche con finanziamenti europei un nuovo insediamento con spazi comuni adeguati e riscaldati e container per la notte piccoli ma certamente preferibili rispetto alle tende montate alla meno peggio. L’impegno di associazioni come IPSIA, Croce Rossa, Caritas, SOS è insostituibile e sono loro i nostri referenti per visitare e capire.

Ma l’impressione rimane quella del confino, del confinamento dei migranti lontano dal resto del mondo, sospesi nel tempo e nello spazio. E rimangono molte ambiguità sulla gestione dei 90 milioni trasferiti dal 2018 dall’Ue alla Bosnia, in un paese in cui i livelli di corruzione sono giganteschi. Ci proviamo con tutta la nostra insistenza e antipatia a chiedere al sindaco di Bihàc e al Governatore del Cantone di Una Sana. La risposta è sempre troppo vaga.

Nei centri per minori la situazione è migliore rispetto a Lipa. I bambini e i ragazzi vanno a scuola e le famiglie stanno insieme (anche se, stacci tu in tre famiglie in una stanza). Una bimba, Halima, di tre anni, mi segue ovunque, ha capito che faccio alcuni scatti e appena riesce si mette davanti a me in posa per farsi ritrarre, come una attrice consumata. Velocissima, spunta fuori da tutte le parti e si fa fotografare decine di volte. Con la spensieratezza di una bimba di 3 anni che forse non ha visto altro che quelle stanze e quel refettorio, e non ha sentito che quell’odore.

Provo a scacciare l’immagine dei miei figli, per evitare un contrasto insopportabile e tiro dritto prendendo una marea di appunti. E provo a scacciarla ancora quando incontriamo la famiglia Adday, siriana, separata per un puro incidente del destino in Grecia e infilata in un’odissea che neanche ad ascoltarla ci credi. Madre a Berlino e un ricongiungimento che sembra impossibile. Quel papà e quei tre ragazzi che giganteggiano in dignità e vengono a scusarsi per averci fatto piangere. Ma come?

Tenere insieme le contraddizioni di un’Europa che si è finalmente svegliata dopo la pandemia e che ha sterzato con NextGenEu verso una solidarietà concreta, ma che si porta dietro queste ombre e gli eterni egoismi di governi incapaci di guardare oltre la frontiera del consenso immediato non è semplice. La rotta balcanica e il GAME sono lì a ricordarci che il puzzle ancora non torna, che i tasselli non si compongono l’uno con l’altro. Anzi.

“non possiamo … dirci cristiani” contro una blasfema interpretazione del vangelo

un fallimento la sequela di Gesù?

di p. Felice Scalia, gesuita

 

 

pubblicato su HOREB    n. 1 del 2019  (82) 
RISVEGLIARE PASSIONI GIOIOSE

 

 
La liturgia e tanta esegesi biblica vedono nel Servo di Jhwh di Isaia il volto, il compito, i sentimenti profondi del Cristo di Dio Gesù di Nazareth.
Al capitolo 49,4 l’inviato da Dio dice: «Inutilmente mi sono affaticato, ho consumato tutte le mie forze senza risultato». E più avanti (53,3) è lo stesso popolo che conferma questo fallimento: «Noi l’abbiamo rifiutato, disprezzato, come un uomo pieno di sofferenze e di dolore. Come uno che fa ribrezzo a guardarlo, che non vale niente, non lo abbiamo tenuto in considerazione».
Non vogliamo affatto leggere la storia della salvezza soltanto sulla base di queste nere affermazioni. Il Regno di Dio non è una quercia o un cedro del Libano – diceva Gesù – è un semino gettato in terreno problematico se non addirittura ostile. È un pugnetto di lievito che vuole tempo per
fare lievitare la pasta. È una sciabolata di luce all’orizzonte, che squarcia le tenebre ed annunzia un’aurora ancora lontana.
Dalla risurrezione del Cristo non sono mai mancati sulla Terra uomini “nuovi”, “risorti”, “rinati”, che a prezzo del loro sangue hanno voluto modellare la propria esistenza sulla Parola del Maestro. Tuttavia ci sono momenti nella storia in cui sembra che l’umanità sia nella condizione di quell’uomo della parabola che, liberato dal demonio, si vede invaso da una legione di spiriti peggiori del primo e la sua condizione da ardua si fa pessima, forse irrimediabile (cf. Lc 11,24-26). Ebbene pare che noi stiamo vivendo uno di questi momenti.
Papa Francesco parlando durante il suo viaggio alle Repubbliche Baltiche nell’ottobre scorso, affermava con semplicità:
«Credo che il Signore stia chiedendo un cambiamento alla sua chiesa”, cioè di portare avanti il Vaticano II e di “entrare con Dio” negli inferi concreti e nel caos di questo tempo difficile. Il Papa ci autorizza dunque a non farci sconti nel guardare la realtà ed a porci interrogativi radicali. 
Siamo al fallimento della “vicenda Gesù di Nazareth”? Siamo ad un post-cristianesimo? E chi ha condotto a tale esito? La stessa “utopia gesuana” o quei suoi seguaci che egli chiamava la “sua chiesa”?»
Ai discepoli di Gesù è andata bene…
Qualcuno ha definito Gesù di Nazareth, un “fallito di successo”. Fa pensare questa definizione se la si legge non nell’ottica della “metastorica” Risurrezione, ma della fin troppo tragica e concreta storia da Lui vissuta nell’arco dei suoi tre decenni di vita tra noi. Una carriera (“Un cammino” – se preferiamo) che finisce sul Golgota, non è proprio un successo.Non pretendiamo in questa sede di dire una parola definitiva su questo argomento, ma come possiamo dimenticare che forse non arrivano neppure alle dita di una mano quelli che, durante la sua vita terrena, lo hanno davvero compreso, accolto, seguito, nei suoi “sogni” radicali di palingenesi per fare uscire l’umanità dagli orrori della violenza sistemica del suo e del nostro tempo?
È nota la lontananza del suo parentado che non solo non lo comprende, ma emette una condanna psichiatrica nei suoi riguardi: “È fuori di testa”, è pericoloso e da rinchiudere in casa per l’onore della nostra onesta famiglia. Lo registra Marco al 3,21 del suo Vangelo. Luca ci fa sapere che neppure Maria capiva molto quel figlio strano, eccentrico, insieme ubbidiente e sempre un passo oltre l’ordinarietà della vita e della saggezza comune. Lei “conservava e meditava nel suo cuore” quello che succedeva e sentiva, ma tanti altri non ci perdevano tempo.Quel nazareno dunque chi è? Lo strambo di Galilea, un senza fissa dimora, che fa, autorizzato da nessuno, il predicatore errante. Forse, anzi probabilmente, anzi con sicurezza, quel Gesù è un diavolo alleato col capo dei diavoli – si vocifera tra le persone per bene (cf. Lc 11,14ss). Vestito di luce come pare agli ingenui, miscuglio di sovversione, blasfemia, empietà, ipocrisia, populismo, come appare ai saggi anziani, ai capi religiosi e culturali, ai sacerdoti, ed allo stesso Sommo Sacerdote in carica.
Che ne ha fatto della sua vita quel ragazzino che a 12 anni nel Tempio pareva promettere tanto? Un miracolo di niente, un capolavoro di fallimento, così grave, da lasciare questo mondo come un maledetto, appeso ad una croce.Se questa catastrofe nasce nel seno dei legami di sangue e nell’establishment del potere, ci si aspetterebbe almeno che tra gli amici scelti da lui stesso, qualche successo lo avesse registrato. Non è andata così. Anche con le affezioni elettive Gesù sembra una frana: avventato, imprudente, ancora una volta populista, se li sceglie tra “teste calde galilee” i suoi Apostoli, tra simpatizzanti per il movimento terrorista del tempo, lo “zelotismo”, tra ex vessatori del popolo, tra noti peccatori e teste dure, pietrose, se non ottuse. Tutti costoro lo seguono e – Pietro in testa – dichiarano di “avere lasciato tutto per stargli dietro”. Ma davvero hanno lasciato tutto?
Sono andati oltre quella simpatia che ci fa seguire qualcuno “come un bambino, naso in aria, segue l’aquilone”? Hanno capito qualcosa di quella radicalità di “rivoluzione-conversione” che il Maestro proponeva e che chiamava “venuta del Regno di Dio”? No. Erano disposti ad andarsene via anche essi, i suoi amici, dopo la crisi di Cafarnao raccontata da Giovanni 6,22ss, se solo avessero saputo dove andare. E fino alla fine litigavano come bambini per i primi posti in quel “Regno di David” (non di Dio) che pur doveva prevedere primi ministri, reggenti, ciambellani, cortigiani, plenipotenziari; cioè prestigio personale e rigida gerarchia.
Gesù stesso riconosce che con i suoi presunti amici non c’è niente da fare. Si arrende e dice: 
“Vi manderò lo Spirito che vi farà capire ogni cosa, io non ci sono riuscito” (cf. Gv 14,23-29).
Sappiamo bene che in un’ottica di fede la sua Risurrezione è il riscatto personale e perfino l’assicurazione divina che le Parole del Figlio, nonostante l’insuccesso, anzi in forza di quel fallimento, sono le uniche strade di Vita che il Padre ci indica. «Quando sono debole è allora che sono forte» (2Cor 12,10) – scrive Paolo rifacendosi al Maestro. Quando gli uomini ripudiano la Luce è proprio allora che la Luce rimane aspirazione decisiva per non cadere nei burroni. E quando il Giusto viene chiamato “malfattore”, è proprio in quel momento che gli uomini dimostrano l’abisso in cui si trovano e la necessità di quanto ha detto il Crocifisso. È risaputo: la resistenza alla guarigione è un fenomeno che le scienze umane notano almeno da qualche secolo. Noi stiamo bene nelle tenebre e ci rifiutiamo di uscirne perché – nota Gesù – “non vogliamo che le nostre opere vengano alla luce” (cf. Gv 3,19).
Ne segue che se con la morte di Gesù, non tutto del Galileo è andato in fumo, e se quel pugno di discutibilissimi Apostoli non hanno lasciato questo mondo da seguaci falliti di un Fallito, insomma se sono sopravvissuti alla delusione di “avere abbandonato tutto” per un signor nessuno che li aveva imbrogliati, lo si deve al fatto che l’esperienza del Risorto fece risorgere la loro fede e la loro speranza, e lo Spirito della Pentecoste diede quel coraggio per portare il “Lieto Annunzio” a gran parte del mondo di allora.
E a noi cristiani del nostro tempo, come sta andando?
È andata dunque più che bene ai Dodici. Il problema che qui ci assilla è un altro: a noi, ai discepoli dei Discepoli, come sta andando? In altre parole, il Cristo è al sicuro nella gloria del Padre. Indiscutibile. Ma il Cristianesimo? Ma la sua Chiesa? Ma il mondo che la Chiesa dovrebbe evangelizzare? Dove è andato a finire quel fuoco che Gesù era venuto a portare nel mondo se oggi le uniche passioni che abbiamo sono “fredde”, “tristi”, legate come sono alla sopraffazione, allo scempio di vite umane, alla vittoria sui deboli, alla solitudine dei narcisisti, al disprezzo per tutto ciò che non è moneta e potere?
La storia si ripete come fosse determinata da una invincibile coazione a ripetere. Nota Papa Francesco, facendo riferimento alla situazione di alcune carceri del nord Africa: «Noi oggi ci strappiamo le vesti per quello che hanno fatto i comunisti, i nazisti e i fascisti…, ma oggi? Non accade anche oggi? Certo, lo si fa con guanti bianchi e di seta!».
Se mi è lecito riferire una brutta esperienza, mi permetto di ricordare un paio di incontri avuti con ecclesiastici di rilievo. Nel loro volto un grande dolore, come una cocente inguaribile delusione. “Il cattolicesimo si è sgretolato” – mi confidava uno. Ed aggiungeva “Sgretolato nella dottrina, nella cultura, nella disciplina, nel suo diritto, nell’arte, nella stima goduta, nella sua prassi, nei suoi vertici…” L’altro uomo di Chiesa, con una espressione che non dimenticherò mai, mi confidava fissandomi negli occhi: “Siamo diventati tutti atei”.
Prendendo quasi a simbolo questi due incontri, mi pare che il primo interlocutore esprima con sofferenza il decadimento di una “chiesa-istituzione” che non riesce più a cantare che “Christus vincit, regnat, imperat”, dando decoro, potere e prestigio anche ai preti suoi plenipotenziari. Si tratta
di quella parte di Chiesa, clericale e non, che osteggia Papa Francesco, reo di volere mettere il Vangelo della gioia e della fraternità al centro della Chiesa e del mondo. Quel Francesco che distingue bene la Parola che è Gesù, dalle nostre tante parole che creano strutture ed organizzazioni. Che non identifica tante nostre tradizioni umane, con la Tradizione evangelica.
C’è avvilimento in tutto questo, come se 2000 anni di cristianesimo sfociassero in una vita che si mostra col volto livido della insensatezza umana e religiosa.
Il secondo interlocutore mi fa ancora pensare. Può il cristianesimo essere una via lunga ma sicura per l’ateismo? Può l’Angelo di Luce che è il Cristo, rivelarsi un agente segreto del Mistero delle tenebre? Questo affermava la cricca di scribi e farisei omicidi. Può l’Amico appassionato degli uomini essere il loro vero nemico con la sua smania di volere tutti liberi ed eguali? Proprio di questo accusava il Gesù tornato nella Siviglia del XVI secolo, durante un crudele “spettacolo” di esecuzione capitale, il
“Grande Inquisitore” di Dostoevskij.
Domande inquietanti che nessuno può prendersi il lusso di sottovalutare.
È un dato di fatto che oggi il cosiddetto Occidente cristianizzato, anche quello laico che – a detta di Benedetto Croce – “non può non dirsi cristiano”, ha rinnegato il Cristo ed il suo Vangelo. Peggio, presenta come verità evangelica la sua interpretazione atea della proposta cristiana.
Annunzia infatti al mondo che il Cristo ed il cristianesimo sono archeologia o folklore, perché non hanno nulla da dire alla vita. Ufficialmente, per tradizione, dobbiamo continuare a dire che tutti siamo fratelli e figli dello stesso Padre, che la legge è uguale per tutti, ma a patto che nella realtà dura della stessa vita consideriamo “scarto” i popoli “canaglia”, i malati terminali, i rom, gli omosessuali, i diversi da noi, i non-occidentali, i poveri che non consumano e non producono, quanti si oppongono alla rapina del loro territorio e della loro dignità, quanti pretendono di avere diritti inviolabili alla vita ed alla pace, quanti sentono il bisogno lancinante di credere che un mondo “altro” è possibile.
Questa “anti-buona-notizia” imposta con la forza o col condizionamento, come è ovvio, è pensata su misura dei forti e dei prepotenti, non di tutta l’umanità. Dopo esserci gloriati dell’“Età dei diritti” (le varie “Carte” dal 1789 al 1948), affermiamo a chiare lettere che ci sono uomini e sottouomini, alcuni nati per essere “salvati” e la maggior parte nati per essere “sommersi”. In poche parole: basta con questa fede nell’Amore come orizzonte dei nostri rapporti interpersonali e sociali; pieghiamoci al fatto incontrovertibile che solo la Forza domina, il Potere, il Denaro. Dunque nessun Dio diAmore esiste, forse – se proprio lo vogliamo – ci sarà un Dio beffardo che ci ha scaraventato nel mondo per gioco, come gladiatori nel Colosseo. Più probabilmente veniamo dal caso e corriamo verso il nulla.
Verso una blasfema interpretazione del Vangelo
Quell’ecclesiastico che mi sussurrava stravolto “Siamo diventati tutti atei”, non parlava dell’umanità ma della Chiesa, dei battezzati, di quelli che convolano a giuste nozze davanti ad un prete, che al petto, in casa o sulle loro cattedrali mantengono una Croce, che vanno a Messa e “fanno la comunione”. Lasciando da parte tutto l’Est europeo, convertitosi al Denaro ed al Consumo appena ha potuto, restringendoci alla nostra Italia, fa pensare che un politico abbia potuto proclamare il suo oscuro vangelo di xenofobo e razzista, impugnando con una mano proprio il Vangelo e con l’altra la corona del Rosario. Quasi a dire: se volete essere cristiani e mariani, e se insieme ci tenete alla vostra sopravvivenza, respingete i migranti, fateli marcire in Libia, fateli affogare nel Mediterraneo, perché questi non sono le vittime del vostro egoismo, non sono vostri fratelli nella sventura, sono solo i vostri nemici. Aggiungendo: smettetela di odiare le armi, di bandire la pena di morte, anzi armate la vostra famiglia, insegnate ai vostri figli a sparare, ferite, uccidete anche, qualsiasi estraneo che nella vostra casa o nel vostro negozio ritenete pericoloso.
Dobbiamo aggiungere il peggio del peggio: questa “moderna” e blasfema interpretazione del cristianesimo non ci sarebbe mai stata, non avrebbe avuto il consenso che ha tra i pii frequentatori di chiese e processioni, se non fosse stata sostenuta da preti, vescovi, qualche cardinale e tanti laici lanciati a cavalcare la paura seminata da decenni di televisione spazzatura.
Se quando nacque il “crimine” della clandestinità, la nostra gerarchia ecclesiastica avesse avuto il coraggio di spendere una sola parola a favore dei disperati di Africa e Medio-Oriente; se avesse chiarito che quegli sventurati in fuga dalle loro case, erano le nostre vittime, e non i nostri carnefici… forse non saremmo arrivati a questo ennesimo, cinico“pacchetto sicurezza”.
 
“Lasciare tutto” e ritornare al Vangelo
Nel decennio caldo del riarmo atomico (dalla fine degli anni ’70 a tutti gli anni ’80), mentre il mondo protestava ed i grandi del mondo giocavano ad organizzare vertici che non portavano a niente, ci fu una “strana” e saggia lettera aperta che il Presidente Usa inviò al Cremlino. Nella sostanza ecco il suo incipit: «È possibile, Signor Presidente, che un capo di Stato dimentichi il bene del popolo e cerchi il proprio prestigio personale?».
Forse una domanda simile sarebbe salutare tra i cristiani ed i responsabili della Chiesa. È possibile che il Vangelo di Cristo sia piegato a fini personali di tranquillità accidiosa personale, di carriera e ricchezza, e da annunzio di liberazione nella verità dell’amore si trasformi in rassegnazione per tutti i vinti della terra, ed in giustificazione per l’arbitrio (a volte criminale) dei potenti?
La storia ci dice che questo non è solo possibile, ma crudamente reale. Stravolgendo un “avvenimento” come la venuta del Cristo, in dottrina sul mistero di Dio, ammettendo nella Chiesa la “potestas dominandi” (gabellandola per “sacra potestas”), dimenticando l’unico potere ammesso da Gesù, quello di “servire”, giustificando la guerra, alleandosi col potere politico, si corre inevitabilmente verso la divisione dicotomica dell’unico popolo di Dio in “ecclesia docens et ecclesia discens”, in “spirituales” e “carnales”, mentre sul versante puramente umano si va dritti verso la divisione del mondo in amici e nemici, verso il ripudio della legge del Cristo, “Amatevi come io vi ho amato”, verso la negazione del Dio Amore. Non ci sentiamo per questo autorizzati a dire che il cristianesimo è fallito. Non siamo tra quelli che assolutizzano i fatti. Noi crediamo ancora nella Verità. E la Verità dei fatti descritti è che abbiamo bisogno di una “metanoia”, di una “conversione” così radicale che a buon diritto ci ricorda la “rivoluzione”. Siamo ad un punto di non ritorno – dicono gli scienziati riguardo alle mutazioni climatiche. Siamo al fallimento ed al disincanto radicale – dicono i profeti di sventura. Noi diciamo solo che quando una strada è sbarrata abbiamo bisogno, per andare avanti, di tornare indietro e riprendere la via abbandonata, proprio lì dove l’avevamo lasciata.
Detto in altro modo: ora che abbiamo tutto, sentiamo il bisogno, la nostalgia di “Altro”.
Ritornare al Vangelo, lasciare “tutto” (ogni bagaglio ingombrante che ci ha fatto rinnegare il Cristo) metterci dietro il Maestro, dargli credito, questo solo può dare respiro all’uomo e speranza alla stessa Madre Terra.
Felice Scalia
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