togliere i bambini rom alle loro famiglie – parola di assessora e per di più … donna – la replica di REYN

l’assessora Donazzan non ha dubbi: ‘per il loro bene’ i bambini rom vanno tolti alle famiglie per ‘educarli’

 la replica di REYN Italia

(Romani Early Years Network – Rete per la Prima Infanzia Rom)

Veneto

l’assessore regionale Donazzan

“Basta ipocrisia, togliere i figli ai rom per educarli”

La frase durante una discussione in Consiglio Regionale sull’inserimento scolastico. L’assessora ha anche rilanciato su Facebook: “Usare il buonsenso” Per educare i figli di rom e sinti bisogna toglierli ai genitori. A fare la controversa affermazione, che non è ancora una proposta, è l’assessora all’istruzione del Veneto, Elena Donazzan, che ha risposto così a un emendamento di un consigliere Pd che aveva proposto di sostenere l’inserimento scolastico dei bambini rom e sinti. Lo riporta La Nuova Venezia.

L’assessore ha anche rilanciato sul suo Facebook la sua frase, chiedendo di togliere “il velo dell’ipocrisia” e “usare il buonsenso”.

 

La Donazzan ha fatto il parallelo con una famiglia italiana. “Se un italiano si comportasse così con i propri figli, un assistente sociale glieli toglierebbe subito”. Per la Donazzan “se si vuole avere qualche speranza che vengano educati, bisogna togliere i bambini dagli 0 ai 6 anni ai genitori rom e sinti”. L’assessore ha spiegato che è d’accordo sul principio di educare, ma che è la situazione a non permetterlo.

Il consigliere Pd ha replicato: “Perché non si possono aiutare questi bambini come fanno altri Comuni, magari con un mediatore culturale? Non si possono togliere i bambini ai genitori, nessun magistrato lo farebbe”.

Reyn Italia scrive all’Assessora Donazzan

no all’antiziganismo, puntare sulle buone pratiche

In seguito alle dichiarazioni dell’Assessora Regionale Elena Donazzan («Se si vuole avere qualche speranza che vengano educati, bisogna togliere i bambini dagli 0 ai 6 anni ai genitori rom e sinti») la rete REYN Italia ha scritto e inviato una lettera alla rappresentante istituzionale. Di seguito la versione integrale del documento:

Gentile Assessora,

siamo una Rete nazionale formata da persone che lavorano a stretto contatto con le comunità rom nel campo dello sviluppo nella prima infanzia. Abbiamo seguito attoniti le sue affermazioni relative all’educazione dei figli dei rom e dei sinti che sono state riportate da diversi quotidiani – iIl Giornale di Vicenza, la Repubblica, Il Mattino di Padova, Il Giornale – e che lei stessa ha postato sulla sua pagina Facebook invitando “a togliere il velo dell’ipocrisia” e ad “usare il buonsenso”. Nel suo post sui social lei sembra confermare quella che ritiene possa essere una proposta applicabile, ovvero quella di “togliere i bambini dagli 0 ai 6 anni ai genitori rom e sinti”, affermando successivamente che “se un italiano si comportasse così con i propri figli, un assistente sociale glieli toglierebbe subito”.

A questo proposito, ci preme informarla che in Italia il 60% della popolazione rom e sinti è di cittadinanza italiana e solo 1 rom su 5 in Italia vive in emergenza abitativa, in condizione di esclusione sociale e precarietà economica.

Le sue affermazioni, oltre ad apparire pericolose, risultano palesemente discriminatorie e contrarie ai principi fondamentali sanciti dalla Costituzione.
La sottrazione di un figlio dalla propria famiglia rappresenta un provvedimento estremo che viene preso dall’autorità giudiziaria nei confronti di un soggetto con manifesta incapacità genitoriale, che non deve avvenire mai per motivi economici e comunque sempre applicato a situazioni individuali, nel maggiore interesse del minore. Peraltro l’allontanamento rappresenta sempre e comunque un evento doloroso per il bambino e per la famiglia, per cui va sempre ponderato. Si tratta di un provvedimento che riguarda indistintamente cittadini italiani e stranieri, rom e sinti compresi, in base alle valutazioni delle autorità giudiziarie, per cui è già una legge uguale per tutti.

Dalle sue dichiarazioni sembra che lei invece auspicherebbe una norma che permetta indiscriminatamente di togliere i bambini nella fascia 0-6 ai genitori rom e sinti in quanto intrinsecamente incapaci di educare i propri figli. Tale affermazione, oltre a stridere con i principi costituzionali, ci proietta in un passato non troppo lontano quando, in diversi Paesi europei, la sottrazione dei minori rom rappresentava il principale strumento per lottare contro quella che veniva definita la “piaga zingara”.

Ci preme ricordarle come il suo ruolo istituzionale le impone il preciso mandato di adoperarsi per rimuovere gli ostacoli che negano il pieno raggiungimento del diritto all’istruzione di tutti i bambini e i ragazzi, con particolare attenzione a chi i mezzi non li ha o vive in situazione di disagio socio-economico. Una vasta letteratura scientifica e numerose esperienze dimostrano come il denaro investito in politiche educative nell’età 0-6 anni, soprattutto per le fasce economicamente e socialmente più deboli, è vantaggioso sia in termini di risultati educativi e sociali che anche in termini meramente economici.

Il nostro Paese non ha bisogno di affermazioni sensazionalistiche e utili solo a incrementare un pericoloso antiziganismo.

Se ha intenzione di affrontare in modo serio e rigoroso il problema dell’infanzia che vive in condizione di precarietà economica e segregazione abitativa, di azioni utili se ne possono fare parecchie, iniziando da percorsi educativi inclusivi e di qualità per tutti che nell’esperienza internazionale della nostra Rete sono il risultato di azioni volte a rafforzare il coinvolgimento delle famiglie nei percorsi di studio dei bambini in condizioni di fragilità, a promuovere interventi educativi e strategie didattiche personalizzate e motivanti, avvalersi di personale specializzato nella mediazione culturale e educativa, sostenere le scuole perché possano attivare percorsi extrascolastici e non-formali per sostenere i bambini che hanno maggiore difficoltà nell’apprendimento.

Siamo in grado di fornirle molteplici esempi di esperienze virtuose ed efficaci consolidate in diverse città italiane, per questo restiamo a disposizione per un incontro che ci auguriamo voglia accordarci.

Le auguriamo una più approfondita riflessione sul tema,
e buon lavoro,

REYN Italia (Romani Early Years Network – Rete per la Prima Infanzia Rom)
https://reynitaliablog.wordpress.com/

i due bambini che ci fanno vergognare

il piccolo Mohammed e la foto della nostra follia

di Giulia Carcasi
in “Il Sole 24 Ore”

Abbiamo a disposizione tecnologie sempre più avanzate. Abbiamo video delle tragedie. Abbiamo audio, con dentro i rumori dell’inferno. Abbiamo microfoni già aperti per edizioni speciali e dibattiti. Eppure è l’immagine ferma e afona di una fotografia il linguaggio che meglio racconta la lucida follia dei nostri tempi: tutta la velocità convulsa di un tentativo di fuga è racchiusa nell’immobilità del corpo di un bambino.

Il bambino si chiamava Mohammed Shoahyet, aveva sedici mesi, apparteneva ai Rohingya, una minoranza musulmana perseguitata dai militari birmani. È stato trovato seminudo, senza vita, sulla sponda del fiume Naf. È morto, assieme al fratellino e alla madre, mentre cercavano di raggiungere il Bangladesh. Un altro bambino era stato trovato morto nel 2015 su una spiaggia, a Bodrum, in Turchia. Si chiamava Aylan Kurdi, aveva tre anni, era di etnia curda siriana. È annegato mentre cercava di salvarsi dalla guerra raggiungendo l’Europa.

Vediamo le foto e cerchiamo di archiviarle definendole montature, strumentalizzazioni. Ce la prendiamo con chi le ha scattate, con chi non ha afferrato un telo per coprire i due bambini, con chi non li ha allontanati dalla battigia e dagli sguardi. Ma quelle foto sono il monumento del fallimento della nostra società. Non sono i fotografi, è la società a lasciare scoperto chi dovrebbe tenere al riparo.

Esistono altre specie che uccidono così i propri cuccioli o nell’involuzione l’uomo ha conquistato anche questo vergognoso primato?

Una fotografia ruberà pure le anime, come si riteneva un tempo, ma l’insensatezza, l’incapacità e l’avidità dei governi stanno rubando i corpi. È davvero questione di razze, etnie, religioni? Se, all’istante, tutti ci convertissimo allo stesso credo, finirebbero i massacri? L’unica risposta che conosco l’ha data Pier Paolo Pasolini, mezzo secolo fa. Nel suo film “Uccellacci e Uccellini”, due frati vengono incaricati da San Francesco di predicare l’amore di Dio sia ai falchi sia ai passeri. I frati riescono a comunicare con gli uni e gli altri e li convertono alla stessa religione. Ma subito dopo un falco in picchiata uccide un passero e se ne ciba. Se guardo il mondo, oggi, non vedo una società divisa nelle tante particolareggiate fazioni che la cronaca individua. Vedo ancora soltanto due categorie: uccellacci e uccellini. Mi domando se riusciremo mai a essere, semplicemente, uccelli.aylan

i bambini siriani nati sotto le bombe invidiano Gesù Bambino che ha la fortuna di nascere in una grotta

il grido di Samir Nassar arcivescovo maronita di Damasco:

“il bambino Gesù ha molti compagni in Siria”

di Paolo Affatato
in “La Stampa-Vatican Insider”

«Il rumore infernale della guerra soffoca il canto di Gloria degli angeli. La sinfonia angelica del Natale lascia il posto all’odio, a crudeli atrocità compiute nell’indifferenza globale. Oggi chiediamo all’Emmanuele, al Dio-con-noi, di portare, con la sua grazia, i doni di cui la Siria ha urgente bisogno: la pace, il perdono e la compassione»

è l’appello di Samir Nassar, arcivescovo di maronita di Damasco che, in vista del Natale, torna a chiedere a tutti gli attori sul campo e alla comunità internazionale un serio impegno per pacificare la nazione siriana. Di fronte all’ondata di attacchi terroristici che hanno colpito nuovamente anche l’Europa e la Turchia, il vescovo Nassar ricorda a Vatican Insider che

«dopo cinque anni di guerra, la popolazione in Siria condivide il destino di tutti coloro che soffrono e vivrà un altro Natale in preda al disagio, all’assenza di cibo, al freddo, in condizione di indigenza e povertà, tra lutto e sofferenza, mentre il paese è ancora devastato dalla violenza».

«Il bambino Gesù ha molti compagni in Siria. Milioni di bambini non hanno più casa e vivono senza riparo, in tende o in alloggi di fortuna, proprio come la stalla di Betlemme. Gesù non è solo nella sua miseria. I bambini siriani, abbandonati, orfani e psicologicamente devastati dalle scene di violenza che hanno provato e visto, vorrebbero tanto essere al posto di Gesù, perché il Cristo almeno ha sempre i suoi genitori. Questa amarezza si vede nei loro occhi, nello loro lacrime e nel loro mortificante silenzio»

racconta con parole accorate il vescovo maronita.

«Molti bambini siriani invidiano Gesù  perché Lui ha trovato almeno un posto umile per nascere e un riparo, mentre alcuni di loro sono nati sotto le bombe o durante un esodo che li ha portati lontano dalla loro patria».

Anche le donne siriane si identificano con la Vergine Maria:

«Ci sono in Siria tante madri in difficoltà: madri sfortunate che vivono in condizioni di estrema povertà, costrette ad assolvere ai doveri familiari da sole, senza i loro mariti, morti o dispersi. Donne che cercano in Cristo un po’ di consolazione. Quando guardano alla Sacra Famiglia e vedono la presenza rassicurante di Giuseppe, queste madri piangono per le loro famiglie prive di un padre: questa assenza alimenta paura, ansia e preoccupazione».
«Allo stesso modo gli uomini, disoccupati o stremati dalla fatica di cercare il sostentamento per i loro cari, vedono in san Giuseppe un uomo che ha saputo prendersi cura della sua famiglia, nel momento del bisogno, della fame e del pericolo, anche fuggendo, in un viaggio da profughi, in Egitto», rileva Nassar, continuando nell’immagine di un moderno «presepe siriano».

Anche i pastori e le loro greggi

«parlano dei pastori siriani che hanno perso il loro bestiame in questa guerra» e «perfino i cani dei pastori simpatizzano per la sorte degli animali domestici in Siria, che vagano tra le rovine e si nutrono di brandelli di cadaveri o di spazzatura».

Lo scorso anno la comunità cattolica maronita ha ricevuto il dono di una nuova chiesa, sorta nel quartiere di Kachkoul, alla periferia est di Damasco, e intitolata ai Beati Fratelli Massabki, martiri della capitale siriana, uccisi nel 1860. Quello è stato «un autentico dono del Natale: un’oasi di preghiera e un segno di gioia e di speranza in mezzo a un mondo di violenza, di intolleranza e di paura», ricorda il vescovo. Oggi per la popolazione provata dal conflitto, dalla precarietà e dalla violenza «la luce di Cristo è l’unica che porta consolazione e speranza. La sua vicinanza all’umanità, espressa nel mistero dell’Incarnazione, infonde il coraggio di vincere la morte e la fiducia in un futuro fatto di pace, perdono e compassione», nota.
Quella pace che i battezzati siriani, nelle loro celebrazioni natalizie, in chiese che saranno affollate nonostante i pericoli e i bombardamenti, invocano e auspicano anche per il Medio Oriente e per l’Europa, oggi segnata da nuovi atti di tragica violenza sui civili inermi: «La nostra comunità, ferita dalla sofferenza, sta imparando, con l’azione della grazia di Dio, a trarre il bene anche dal male, sperimentando ogni giorno compassione e solidarietà verso il prossimo». Uno spirito che può essere di esempio per tutti i cristiani, a tutte le latitudini.

bambini che scrivono ad altri bambini

bambini occidentali scrivono delle lettere ai bambini siriani

 

 Chi meglio di un bambino può capire un bambino?

World Vision USA, un’associazione che si occupa di cooperazione internazionale, ha realizzato questo video in cui alcuni bambini di una scuola di Seattle, negli Stati Uniti, scrivono una lettera ai loro coetanei siriani per trasmettergli la loro solidarietà e dargli la forza di andare avanti.


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“Abbiamo chiesto ai bambini […] di scrivere dei messaggi d’amore per i rifugiati siriani” scrivono sul canale YouTube a descrizione del video.

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“Non so niente di te, ma c’è una cosa che so: sei speciale” dice un bambino, “voglio che tu abbia sempre speranza”, continua. “Non mollare”, dice un altro, “voglio che tu sappia che io prego per te” scrive una bambina.

Parole, quelle dei bambini, che  commuovono

bambini usati come ostaggi per punire genitori inadempienti

i nuovi ostaggi

di Chiara Saraceno
in “la Repubblica” del 29 gennaio 2016

Saraceno

“i bambini degli “altri” – che siano figli di persone omosessuali, di piccoli evasori, o di migranti – hanno diritti diversi dai “nostri” e, se utile per punire i genitori, possono anche essere presi in ostaggio”

Mentre si organizza il Family day succedono cose davvero strane e in palese contrasto con la difesa dei diritti dei bambini e proprio da parte di esponenti di un partito che è tra i sostenitori più entusiasti del Family day e delle sue parole d’ordine: “Salviamo i nostri figli” e “I bambini hanno diritto ad avere un padre e una madre”. La sindaca leghista di San Germano Vercellese ha deciso che i figli di genitori che non pagano, pur potendolo, le imposte comunali e le rette per la mensa non verranno più ammessi non solo alla mensa e ai centri estivi, ma persino ai parchi giochi, con buona pace del diritto (anche) al gioco solennemente sancito dalla Dichiarazione internazionale dei diritti del fanciullo. Non è chiaro come verrà fatto osservare il divieto: forse obbligando i bambini a portare un segno distintivo ben in vista, in modo da essere immediatamente identificati ed espulsi non appena si avvicinano agli scivoli e alle altalene? Un altro sindaco leghista, quello di Corsico, alza ulteriormente il tiro. Dopo aver escluso dalla refezione scolastica i bambini dei genitori in debito con l’amministrazione, ora minaccia di non lasciarli iscrivere alle scuole comunali (nidi e materne, immagino). I bambini diventano così, a tutti gli effetti, ostaggi delle amministrazioni, utilizzati per fare pressione sui genitori. Qualcuno dice che queste iniziative sono state prese in funzione anti-immigrati, perché tra questi non solo si anniderebbero i più poveri, ma anche sarebbero anche più frequenti i contribuenti illegittimamente morosi. Lasciamo il beneficio del dubbio, ed anche il sospetto che non stiamo parlando dei grandi evasori, di quel mezzo milione di mancati contribuenti totali o parziali che il fisco quest’anno ha stanato, che fruiscono della sanità, della scuola, delle infrastrutture ecc. senza contribuire pur non essendo poveri, anzi. Partiamo dall’ovvia constatazione che un Comune, come lo Stato, non può semplicemente ignorare che ci sono contribuenti morosi i cui consumi di beni collettivi sono a carico della collettività. Pagare le tasse e le rette, se dovute, è un obbligo non solo legale, ma civile. Non pagarle, se dovute, costituisce non solo un indebito sfruttamento della solidarietà collettiva, ma anche un atto diseducativo nei confronti dei propri figli, che in questo modo non possono imparare che l’appartenenza ad una comunità comporta sia diritti sia doveri e che tutti debbono contribuire ai beni comuni secondo i propri mezzi. Chi ritiene di non poterselo temporaneamente permettere dovrebbe avere accesso a procedure tramite le quali presentare le proprie ragioni. Se queste procedure non ci sono, o non funzionano adeguatamente, occorre darsi da fare perché vengano approntate. È dovere di una pubblica amministrazione definire in modo equo le proprie imposte e tenere conto della loro sopportabilità per i singoli. Ma è anche diritto della pubblica amministrazione, a livello nazionale come locale, perseguire gli evasori con ogni mezzo lecito. Non rientra, tuttavia, tra questi mezzi rivalersi sui figli per punire i genitori. I figli non sono pure appendici dei genitori. Sono soggetti con diritti propri (maggiori, mi verrebbe da dire, proprio perché più vulnerabili degli adulti). Se si vuole, si deve punire gli adulti dopo aver esperito tutte le procedure di moral suasion e conciliazione, si possono pignorare le auto o altri beni non essenziali, rivalersi su una quota dello stipendio o altro ancora, ma senza intaccare i diritti fondamentali dei bambini, tra cui il diritto all’istruzione, alla salute, al gioco. Invece, troppo spesso i bambini, specie i più svantaggiati, sono considerati pure appendici dei genitori, senza diritti propri, che si tratti di punire, appunto, i genitori, o di mettere a punto politiche di contrasto alla povertà o di concedere il diritto d’asilo o al ricongiungimento famigliare. Ci si può intenerire per un giorno per un bambino che studia sotto un lampione o che, annegato, viene lasciato dal mare sul bagnasciuga con il vestitino in ordine. Ma la normalità è diversa. Il quotidiano sacrificio di bambini che si consuma ai nostri e altrui confini, così come la povertà dei minori che vivono in Italia, non mobilitano neppure una frazione delle energie e dei “valori” che si investono per “difendere i nostri figli” dalla minaccia della genitorialità omosessuale. I bambini degli “altri” – che siano figli di persone omosessuali, di piccoli evasori, o di migranti – hanno diritti diversi dai “nostri” e, se utile per punire i genitori, possono anche essere presi in ostaggio.

violenza sui minori in Italia

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“Centomila bambini e adolescenti vittime di abusi e maltrattamenti in Italia”

Un’indagine a cura di Terres des Hommes e Cismai disegna un quadro chiaro del fenomeno: tra le cause principali trascuratezza materiale o affettiva (52,7%), violenza assistita (16,6%), danni psicologici (12,8%), violenza sessuale (6,7%), patologie delle cure (12,8%), maltrattamento fisico (4,8%)

 Elisabetta Ambrosi su il Fatto Quotidiano del 17 settembre

Quasi 100mila, lo 0,98% dei minori, in maggioranza femmine (52,51%): tanti sono i bambini o adolescenti vittime di maltrattamenti e abusi in Italia. Per la prima volta nel nostro Paese, infatti, un’indagine a cura di Terres des Hommes e Cismai (Coordinamento italiano dei servizi contro il maltrattamento e l’abuso dell’infanzia), presentata oggi a Roma presso la presidenza del consiglio dei ministri, disegna un quadro chiaro del fenomeno. Anche se «i dati emersi», come spiega Dario Merlino, presidente del Cismai, «indicano solo i casi di minori ufficialmente presi in carico dai servizi per il maltrattamento – 15,46% del totale dei casi – mentre le cifre del sommerso potrebbero essere molto più alte: sarebbero circa 700.000 minori a rischio, di cui 140.000 in condizioni di maltrattamento».

Trascuratezza materiale o affettiva (52,7%), violenza assistita (16,6%), maltrattamento psicologico (12,8%), abuso sessuale (6,7%), patologie delle cure (12,8%), maltrattamento fisico (4,8%): queste le tipologie preponderanti del fenomeno, sul quale – come spiega Donatella Vergara, segretario generale Terres des Hommes – la mia associazione fa prevalentemente un lavoro di advocacy, aiuta cioè i decisori a trovare risposte adeguate, in termini di prevenzione e cura».

Ma proprio i decisori, emerge dal convegno, sono un punto debole della catena. Come fa notare nella sua relazione Vincenzo Spadafora, Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza (che tra l’altro ha potuto iniziare i suoi lavori solo un anno dopo la sua elezione), «attualmente la Commissione parlamentare per l’infanzia e danni ’adolescenza non è operativa, a causa del mancato accordo politico su presidenza e vicepresidenti, e questo ci priva di un interlocutore importante». Stesso problema per l’Osservatorio nazionale per l’infanzia e l’adolescenza, attualmente decaduto a causa della rimessa nelle mani di Enrico Letta della delega alla Famiglia del ministero delle Pari opportunità, dopo le dimissioni della ministra Josefa Idem.

L’indagine condotta da Cismai e Terres des hommes, anche in vista degli “Stati generali 2013 sul maltrattamento all’infanzia in Italia” (previsti a Torino il 12 e 13 dicembre prossimo), comincia a colmare un vuoto statistico sempre più ingiustificabile. «Anche se i comuni presi in considerazione sono 49, di cui 31 hanno risposto – spiega Federica Giannotta, responsabile diritti infanzia Terres des hommes – il campione – circa 5 milioni di abitanti, di cui 758.932 minori, di cui 48.280 in carico ai servizi sociali – è comunque rilevante, e non comprende solo grandi città».

Ma anche se le percentuali ufficiali che vanno emergendo, e che pure non comprendono il sommerso, non sono lontane da quelle degli altri paesi – 0,91% negli Stati Uniti, 0,76% in Australia, ma ricerche europee viaggiano su dati analoghi – i tagli ai Comuni stanno mettendo a dura prova l’assistenza attuale, dunque il quadro potrebbe peggiorare ulteriormente. Ne sa qualcosa Roberta Greta, assessore al Welfare del Comune di Napoli, dove il 20% della popolazione è minore e dove, spiega, «molti adolescenti vengono allontanati per comportamenti criminali, invece che tutelati. Oppure molti minori finiscono nei centri di riabilitazione, in cui sono curati solo da neuropsichiatri, senza che si indaghi sulle ragioni della loro sofferenza. Per non parlare, «conclude», del problema della presenza di minori non censiti».

Non basta dunque, continua l’Autorità garante Spadafora, annunciando tra l’altro l’avvio di un’indagine sui fondi spesi e su quelli, europei, non spesi, «approvare ottime leggi o ratificare convenzioni internazionali. Né fermarsi ai casi di cronaca, spesso trattati malamente o spettacolarizzati dai media. Di fronte a un’emergenza crescente (ci sono due milioni di bambini in famiglie povere o poverissime), serve soprattutto la volontà del Parlamento a completare gli sforzi delle associazioni e delle authorities». Il primo, urgente, obiettivo è arrivare a procedure di standard di registrazione e una omogeneità dei sistemi di classificazione. «Per questo», conclude», siamo pronti, nonostante i pochi fondi, a cofinanziare un’ulteriore passo dell’indagine condotta da Cismai e Terres des hommes».

«Bambini killer, uccidono più dei terroristi» – Corriere.it

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le statistiche dei bimbi che impugnano armi e uccidono, e il paragone con i terroristi, su suolo americano, senz’altro suona un po’ forzato: si tratta certamente di una provocazione che però evidenzia un serio problema e che la battaglia di Obama contro le armi è lungi dall’essere vinta

(vedi link qui sotto)

«Bambini killer, uccidono più dei terroristi» – Corriere.it.

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