la crisi ecclesiale italiana generalizzata e di motivazioni

i preti abbandonano, ma i laici di più

 

Se fossero rimasti dei dubbi in merito, Diotallevi li spazza via del tutto: il clero italiano è in crisi. Il fenomeno dell’abbandono del sacerdozio ministeriale e la più generale crisi della fede nella Chiesa italiana è al centro dell’intervista di Sarah Numico al sociologo Luca Diotallevi, sul numero 2 di Regno-attualità 

 

Crisi di numeri

Innanzitutto numerica: in 30 anni c’è stato un calo di quasi il 20% dei presbiteri diocesani: da poco più di 36.000 si è arrivati a poco più di 29.000 nel 2020. L’età media supera i 61 anni; i preti che hanno meno di 30 anni sono 600. Intanto è cresciuta la fetta di sacerdoti stranieri che presta servizio nelle 25.595 parrocchie italiane e che oggi rappresenta l’8,3% del totale.
A questo calo in entrata, occorre aggiungere la crescita degli abbandoni. Per quasi due decenni, dopo il 2000, ci sono stati in media 40 abbandoni. Più o meno 1,3 per 1.000 presbiteri diocesani. Questa percentuale si è mantenuta tra lo 0,9% e il 2% fino al 2018.
Nel 2019 è schizzata a 7 abbandoni per 1000 presbiteri. Nel 2020 è di nuovo scesa un poco, a 3,6 per 1.000. Un altro fenomeno relativamente nuovo è che non si tratta più di abbandoni concentrati nel primo anno di presbiterato, ma spalmati lungo tutta la carriera.

Crisi di motivazioni

Poi formativo-motivazionale: dalla letteratura internazionale disponibile in merito, si può evincere che le ragioni dell’abbandono sono passate dalle crisi ideologiche degli anni Sessanta a crisi vocazionali dalle motivazioni psicologiche ed esistenziali. In estrema sintesi: non si riesce a reggere un ruolo diventato una maschera che socialmente non funziona più (cf. anche Regno-att. 2,2021,51; 16,2021,492).
Inoltre, la selezione nei seminari è fortemente diminuita. Il rapporto tra ingressi nei seminari e ordinazione oggi è arrivato molto vicino a 1, mentre in passato c’era una fortissima selezione. Un altro elemento nuovo è l’indisponibilità di un numero crescente di preti a fare i parroci, con un impegno che li vincoli a una comunità. Sempre più sacerdoti vogliono fare i battitori liberi, secondo il modello del prete-star. Se non si dà, subentra la delusione.

Crisi generalizzata

Tuttavia – conclude Diotallevi – la crisi è più generale e riguarda anche il laicato, il cui calo nella partecipazione alla vita ecclesiale è più rapido di quello dei preti. Il quadro è terribile non per i numeri – pochi preti – ma per la concezione del rapporto clero-popolo come elemento decisivo dell’autocomprensione della Chiesa. Il protagonismo clericale di preti in sempre minor numero e con sempre minor esperienza indebolisce e svilisce la Chiesa e si combina con una fuga dei laici.
Il punto non sta nel numero dei preti (tant’è che il fenomeno è presente anche nelle Chiese che scelgono il clero uxorato e l’ordinazione delle donne), ma è più di fondo: se un sacramento diventa un bene di consumo, s’attiva una dinamica per cui bisogna avere buoni venditori di quel bene. Questo però significa che, con estrema facilità, il consumatore religioso può cambiare il negozio di beni religiosi in cui fare acquisti.

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