una riflessione di E. Bianchi sulla quaresima

inizia la quaresima

di Enzo Bianchi
in “Il Blog di Enzo Bianchi” del 17 febbraio 2021

ENZO BIANCHI

Ogni anno ritorna la quaresima, un tempo pieno di quaranta giorni da vivere da parte dei cristiani
tutti insieme come tempo di conversione, di ritorno a Dio. Sempre i cristiani devono vivere lottando
contro gli idoli seducenti, sempre è il tempo favorevole ad accogliere la grazia e la misericordia del
Signore, tuttavia la Chiesa – che nella sua intelligenza conosce l’incapacità della nostra umanità a
vivere con forte tensione il cammino quotidiano verso il Regno – chiede che ci sia un tempo preciso
che si stacchi dal quotidiano, un tempo “altro”, un tempo forte in cui far convergere nello sforzo di
conversione la maggior parte delle energie che ciascuno possiede. E la Chiesa chiede che questo sia
vissuto simultaneamente da parte di tutti i cristiani, sia cioè uno sforzo compiuto tutti insieme, in
comunione e solidarietà. Sono dunque quaranta giorni per il ritorno a Dio, per il ripudio degli idoli
seducenti ma alienanti, per una maggior conoscenza della misericordia infinita del Signore.
La conversione, infatti, non è un evento avvenuto una volta per tutte, ma è un dinamismo che deve
essere rinnovato nei diversi momenti dell’esistenza, nelle diverse età, soprattutto quando il passare
del tempo può indurre nel cristiano un adattamento alla mondanità, una stanchezza, uno
smarrimento del senso e del fine della propria vocazione che lo portano a vivere nella schizofrenia
la propria fede. Sì, la quaresima è il tempo del ritrovamento della propria verità e autenticità, ancor
prima che tempo di penitenza: non è un tempo in cui “fare” qualche particolare opera di carità o di
mortificazione, ma è un tempo per ritrovare la verità del proprio essere. Gesù afferma che anche gli
ipocriti digiunano, anche gli ipocriti fanno la carità (cf. Mt 6,1-6.16-18): proprio per questo occorre
unificare la vita davanti a Dio e ordinare il fine e i mezzi della vita cristiana, senza confonderli.
La quaresima vuole riattualizzare i quarant’anni di Israele nel deserto, guidando il credente alla
conoscenza di sé, cioè alla conoscenza di ciò che il Signore del credente stesso già conosce:
conoscenza che non è fatta di introspezione psicologica ma che trova luce e orientamento nella
Parola di Dio. Come Cristo per quaranta giorni nel deserto ha combattuto e vinto il tentatore grazie
alla forza della Parola di Dio (cf. Mt 4,1-11), così il cristiano è chiamato ad ascoltare, leggere,
pregare più intensamente e più assiduamente – nella solitudine come nella liturgia – la Parola di Dio
contenuta nelle Scritture. La lotta di Cristo nel deserto diventa allora veramente esemplare e,
lottando contro gli idoli, il cristiano smette di fare il male che è abituato a fare e comincia a fare il
bene che non fa! Emerge così la “differenza cristiana”, ciò che costituisce il cristiano e lo rende
eloquente nella compagnia degli uomini, lo abilita a mostrare l’Evangelo vissuto, fatto carne e vita.
Il mercoledì delle Ceneri segna l’inizio di questo tempo propizio della quaresima ed è
caratterizzato, come dice il nome, dall’imposizione delle ceneri sul capo di ogni cristiano. Un gesto
che forse oggi non sempre è capito ma che, se spiegato e recepito, può risultare più efficace delle
parole nel trasmettere una verità. La cenere, infatti, è il frutto del fuoco che arde, racchiude il
simbolo della purificazione, costituisce un rimando alla condizione del nostro corpo che, dopo la
morte, si decompone e diventa polvere: sì, come un albero rigoglioso, una volta abbattuto e
bruciato, diventa cenere, così accade al nostro corpo tornato alla terra, ma quella cenere è destinata
alla resurrezione.
Simbolica ricca, quella della cenere, già conosciuta nell’Antico Testamento e nella preghiera degli
ebrei: cospargersi il capo di cenere è segno di penitenza, di volontà di cambiamento attraverso la
prova, il crogiolo, il fuoco purificatore. Certo è solo un segno, che chiede di significare un evento
spirituale autentico vissuto nel quotidiano del cristiano: la conversione e il pentimento del cuore
contrito. Ma proprio questa sua qualità di segno, di gesto può, se vissuto con convinzione e
nell’invocazione dello Spirito, imprimersi nel corpo, nel cuore e nello spirito del cristiano,
favorendo così l’evento della conversione.
Un tempo nel rito dell’imposizione delle ceneri si ricordava al cristiano innanzitutto la sua
condizione di uomo tratto dalla terra e che alla terra ritorna, secondo la parola del Signore detta ad
Adamo peccatore (cf. Gen 3,19). Oggi il rito si è arricchito di significato, infatti la parola che
accompagna il gesto può anche essere l’invito fatto dal Battista e da Gesù stesso all’inizio della loro
predicazione: “Convertitevi e credete all’Evangelo”… Sì, ricevere le ceneri significa prendere
coscienza che il fuoco dell’amore di Dio consuma il nostro peccato; accogliere le ceneri nelle nostre
mani significa percepire che il peso dei nostri peccati, consumati dalla misericordia di Dio, è “poco
peso”; guardare quelle ceneri significa riconfermare la nostra fede pasquale: saremo cenere, ma
destinata alla resurrezione. Sì, nella nostra Pasqua la nostra carne risorgerà e la misericordia di Dio
come fuoco consumerà nella morte i nostri peccati.
Nel vivere il mercoledì delle ceneri i cristiani non fanno altro che riaffermare la loro fede di essere
riconciliati con Dio in Cristo, la loro speranza di essere un giorno risuscitati con Cristo per la vita
eterna, la loro vocazione alla carità che non avrà mai fine. Il giorno delle ceneri è annuncio della
Pasqua di ciascuno di noi.

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il commento al vangelo della domenica

la tentazione ti spinge a scegliere la tua bussola


La tentazione ti spinge a scegliere la tua bussola
il commento di Ermes Ronchi al vangelo della I Domenica di Quaresima Anno B

In quel tempo, lo Spirito sospinse Gesù nel deserto e nel deserto rimase quaranta giorni, tentato da Satana. Stava con le bestie selvatiche e gli angeli lo servivano. Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù andò nella Galilea, proclamando il vangelo di Dio, e diceva: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo».

Lo Spirito sospinse Gesù nel deserto e vi rimase quaranta giorni, tentato da Satana. La tentazione? Una scelta tra due amori. Vivere è scegliere. La tentazione ti chiede di scegliere la bussola, la stella polare per il tuo cuore. Se non scegli non vivi, non a pieno cuore. Al punto che l’apostolo Giacomo, camminando lungo questo filo sottile ma fortissimo, ci fa sobbalzare: considerate perfetta letizia subire ogni sorta di prove e di tentazioni. Quasi a dirci che essere tentati forse è perfino bello, che di certo è assolutamente vitale, per la verità e la libertà della persona.
L’arcobaleno, lanciato sull’arca di Noè tra cielo e terra, dopo quaranta giorni di navigazione nel diluvio, prende nuove radici nel deserto, nei quaranta giorni di Gesù. Ne intravvedo i colori nelle parole: stava con le fiere e gli angeli lo servivano. Affiora la nostalgia del giardino dell’Eden, l’eco della grande alleanza dopo il diluvio. Gesù ricostruisce l’armonia perduta e anche l’infinito si allinea. E nulla che faccia più paura.
Ma quelle bestie che Gesù incontra, sono anche il simbolo delle nostre parti oscure, gli spazi d’ombra che ci abitano, ciò che non mi permette di essere completamente libero o felice, che mi rallenta, che mi spaventa: le nostre bestie selvatiche che un giorno ci hanno graffiato, sbranato, artigliato. Gesù stava con… Impariamo con lui a stare lì, a guardarle in faccia, a nominarle. Non le devi né ignorare né temere, non le devi neppure uccidere, ma dar loro un nome, che è come conoscerle, e poi dare loro una direzione: sono la tua parte di caos, ma chi te le fa incontrare è lo Spirito Santo. Anche a te, come a Israele, Dio parla nel tempo della prova, nel deserto, lo fa attraverso la tua debolezza, che diventa il tuo punto di forza. Forse non guarirai del tutto i tuoi problemi, ma la maturità dell’uomo consiste nell’avviare un percorso, con pazienza (tu maturi non quando risolvi tutto, ma quando hai pazienza e armonia con tutto). Allora ti accorgi che Dio parla a te nella fragilità e che lo Spirito è colui che ti permette di re-innamorarti della realtà tutta intera, a partire dai tuoi deserti.
Dopo che Giovanni fu arrestato Gesù andò nella Galilea proclamando il vangelo di Dio. E diceva: il Regno di Dio è vicino.
Gesù proclama il “vangelo di Dio”. Dio come una “bella notizia”. Non era ovvio per niente. Non tutta la Bibbia è vangelo; non tutta è bella, gioiosa notizia; alle volte è minaccia e giudizio, spesso è precetto e ingiunzione. Ma la caratteristica originale del rabbi di Nazaret è annunciare vangelo, una parola che conforta la vita, una notizia gioiosa: Dio si è fatto vicino, è un alleato amabile, è un abbraccio, un arcobaleno, un bacio su ogni creatura.
(Letture: Genesi 9,8-15; Salmo 24; Prima Lettera di san Pietro apostolo 3,18-22; Marco 1,12-15)

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