il commento al vangelo della domenica

un angelo nel cielo delle nostre metropoli

il commento di E. Ronchi al vangelo della prima domenica di quaresima – anno A

In quel tempo, Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto, per essere tentato dal diavolo. Dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, alla fine ebbe fame. Il tentatore gli si avvicinò e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, di’ che queste pietre diventino pane». Ma egli rispose: «Sta scritto: “Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”»

In quel tempo. In questo tempo.
Come in una parabola dei nostri giorni, provo a immaginare il vangelo delle tentazioni nella città che conosco meglio: Milano. Il diavolo portò Gesù nella metropoli, capitale della finanza e della moda. Lo pose in alto, sopra la guglia centrale del Duomo, e gli mostrò la città ai suoi piedi: il Castello, la Borsa, la cintura delle banche, lo stadio, le vie della moda. E c’era folla sul corso, turisti e polizia. Qualcuno dei mendicanti stringeva un cagnolino in grembo, forse per un po’ di calore, forse per attivare un briciolo di pietà. Sull’asfalto grigio, coriandoli e stelle filanti di carnevale, e la pioggia leggera di fine inverno. Qualcuno, occhi tristi e pelle scura, vendeva le ultime rose ai passanti . Guardando bene si vedevano anche quelli che si lasciavano andare: alla solitudine, alla vecchiaia, alla depressione, che si lasciavano morire di droga o di dolore.

Allora il diavolo disse a Gesù: “Tutto questo è mio! Tutto sarà tuo se ti inginocchi davanti a me!”. Signore, perché non gli hai dato del bugiardo? Dicendogli, e dicendo a noi, che non è vero, che non tutto è suo, che la città non è il suo regno, che ci sono giusti e bambini e innamorati e poeti. Lascia che ti mostri una cosa, Signore, proprio a Te che non hai reagito. Nella città, che il Nemico dice sua, ci sono luoghi dove per tutto il giorno si asciugano lacrime, dove donne e uomini intercedono per la città, la collegano al cielo, e altri che provano a fare del loro poco qualcosa che serva a qualcuno. Ci sono madri che danno la vita per i figli e gente onesta perfino nelle piccole cose; ci sono padri che trasmettono rettitudine ai figli e occhi diritti. C’è il grido del male, lo sento forte, e mi stordisce a giorni, ma più ancora c’è il silenzioso lievitare del bene. Signore, se guardi bene nella città che il diavolo dice sua, non c’è solo competizione, puoi incontrare la passione per la giustizia, il sottovoce dell’onestà, gente limpida senza secondi fini. E se vieni ancora un po’ più vicino, puoi incontrare anche me, perché ci sono anch’io e sono tra quelli che credono ancora nell’amore, e non si consultano con le loro paure ma con i sogni. Buttati, ti ha detto, verranno gli angeli a portarti sulle mani! Io lo so che verranno, quando con l’ultimo, con il più grande atto di fede, mi butterò in Te nel giorno della mia morte, fidandomi. Se c’è un angelo nel cielo sopra Milano, chiedo che mi accompagni nell’ultimo viaggio, tenendomi per mano, perché ho un po’ paura, e mi dica in quell’ultimo tratto di cielo solo questo: “Vieni, hai tentato di amare, il tuo desiderio di amore era già amore”! Non chiedo altro, ma che lo dica con un sorriso.

il commento al vangelo della domenica

Gesù è stato tentato come noi
il commento di E. Bianchi al vangelo della I domenica di Quaresima, anno C
Lc 4,1-13
 

¹Gesù, pieno di Spirito Santo, si allontanò dal Giordano ed era guidato dallo Spirito nel deserto, ²per quaranta giorni, tentato dal diavolo. Non mangiò nulla in quei giorni, ma quando furono terminati, ebbe fame. ³Allora il diavolo gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, di’ a questa pietra che diventi pane». Gesù gli rispose: «Sta scritto: Non di solo pane vivrà l’uomo». Il diavolo lo condusse in alto, gli mostrò in un istante tutti i regni della terra e gli disse: «Ti darò tutto questo potere e la loro gloria, perché a me è stata data e io la do a chi voglio. Perciò, se ti prostrerai in adorazione dinanzi a me, tutto sarà tuo». Gesù gli rispose: «Sta scritto: Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto». Lo condusse a Gerusalemme, lo pose sul punto più alto del tempio e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, gèttati giù di qui; ¹⁰sta scritto infatti:

Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo
affinché essi ti custodiscano;

¹¹e anche:

Essi ti porteranno sulle loro mani
perché il tuo piede non inciampi in una pietra».

¹²Gesù gli rispose: «È stato detto: Non metterai alla prova il Signore Dio tuo».
¹³Dopo aver esaurito ogni tentazione, il diavolo si allontanò da lui fino al momento fissato. 

E’ la prima domenica del tempo di Quaresima, tempo severo ma “favorevole” (2Cor 6,2) per il cristiano: soprattutto, tempo di lotta contro le tentazioni. Per questo la chiesa all’inizio di questo tempo ci offre sempre il racconto delle tentazioni di Gesù nel deserto, tentazioni che secondo Luca saranno sempre presenti nella sua vita, fino alla fine (cf. Lc 23,35-39). Anche Gesù sapeva che sta scritto: “Figlio, se vuoi servire il Signore, preparati alla tentazione” (Sir 2,1). 

Gesù era stato immerso nel Giordano dal suo maestro Giovanni il Battista, e durante quell’immersione lo Spirito santo era sceso su di lui dal cielo aperto, mentre la voce del Padre gli diceva: “Tu sei il mio Figlio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento” (Lc 3,22). È stato l’evento che ha cambiato la vita di Gesù, le ha dato una nuova forma, perché da quel momento egli non è più solo il discepolo del Battista, ma è unto come profeta, ripieno dello Spirito. Per questo lascia Giovanni e gli altri membri della comunità e si allontana dal Giordano, inoltrandosi nel deserto di Giuda. Proprio lo Spirito che è sceso su di lui lo spinge a questo ritiro, alla solitudine, per pensare innanzitutto alla missione che lo attende. Lo Spirito lo ha abilitato, lo ha spinto con forza verso questa nuova forma di vita, che vedrà Gesù quale predicatore e profeta, ma egli deve fare opera di discernimento: come attuerà la sua missione? Con quale stile realizzerà la sua vocazione? Come continuerà a essere in ascolto di Dio, il Padre che lo ha generato (cf. Sal 2,7, che secondo alcuni codici costituisce il contenuto della voce del Padre al battesimo)? Come si opporrà a tutto ciò che contraddice la volontà divina? 

Il ritiro nel deserto è dunque necessario: un ritiro di quaranta giorni, lungo, ma con un limite temporale perché in vista di qualcos’altro. Gesù sa che andare nel deserto significa in primo luogo spogliazione di tutto ciò che uno ha; sa che la solitudine è dimenticare ciò che uno è per gli altri; sa che la penuria di cibo è verifica dei propri limiti umani, della propria condizione di fragilità, dunque di mortalità. Ma solo nella radicale nudità l’uomo conosce la verità profonda di se stesso e del mondo in cui è venuto: e in questa spogliazione la prova, la tentazione è necessaria, da essa non si può essere esenti. Già questo passo di Gesù indica come egli avesse alla base della sua scelta l’adesione alla realtà, alla condizione umana. Quel tempo di quaranta giorni – già vissuto da Mosè (cf. Es 24,18; 34,28; Dt 9,9-11.18.25) e da Elia (cf. 1Re 19,8), già sperimentato nei quarant’anni di Israele nel deserto (cf. Nm 14,33-34; 32,13; Dt 2,7; 8,2-4; 29,4), dopo l’uscita in libertà dall’immersione nel mar Rosso – è un tempo di prova che implica fatica, rinuncia, scelta.

Luca esemplifica in numero di tre le tentazioni che in realtà per Gesù devono essere state molte, e con sapienza antropologica le riassume in quelle del mangiare, del possedere, del dominare. Ma mettiamoci in ascolto puntuale del testo. “Gesù non mangiò nulla per quaranta giorni, ma quando furono terminati, ebbe fame. Allora il diavolo gli disse: ‘Se tu sei Figlio di Dio, di’ a questa pietra che diventi pane’”. Gesù ha fame, e nel bisogno ecco sorgere la tentazione: sottrarsi alla condizione umana e ricorrere al miracolo, misconoscendo la propria realtà di essere umano. Se sperimento un bisogno impellente, una pulsione forte, quella della fame che morde lo stomaco e provoca le vertigini, come uscirne? Facendo qualsiasi cosa pur di sfuggire al bisogno, si sarebbe tentati di rispondere: una tentazione tanto più forte, quanto più imperioso è il bisogno. Ma Gesù ha digiunato liberamente, non costretto, volendo imparare a dire dei no, a fare una rinuncia. Certamente la tentazione del cibo è unica per Gesù, uomo come noi ma in una vocazione e missione uniche ricevute da Dio, che lo ha appena proclamato suo Figlio amato. Se Gesù può partecipare alla potenza di Dio, perché non ricorrere al miracolo, mutando un sasso del deserto in pane, e così potersi saziare? Con quel miracolo, però, rinuncerebbe a ciò che ha scelto divenendo uomo: spogliarsi degli attributi della sua divinità, condizione che condivideva quale Figlio di Dio, per essere radicalmente in tutto un uomo, un terrestre come ciascuno di noi (cf. Fil 2,6-8). La tentazione è dunque quella di dimenticare l’umanizzazione scelta, di rinunciarvi, e di usare la potenza di Dio per saziare la fame e riempire l’estrema spogliazione. Ma Gesù resiste, perché conosce la parola: “Non di solo pane vivrà l’uomo” (Dt 8,3a). Sì l’uomo non è solo fame di pane, ma anche – come evidenzia il parallelo matteano che cita per intero il passo del Deuteronomio – “di ogni parola che esce dalla bocca di Dio” (Dt 8,3b; Mt 4,4). E non si dimentichi: Gesù moltiplicherà il pane per le folle affamate, per gli altri, mai per sé (cf. Lc 9,12-17)! 

Nella seconda tentazione Gesù vede dall’alto tutti i regni della terra, la loro gloria (dóxa), la loro ricchezza, la loro arroganza, la loro scena mondana. Tutta questa ricchezza può essere a sua disposizione, tutto questo potere (exousía) che è dominio sugli umani e sulla terra può essere da lui esercitato, a una sola condizione: che Gesù adori la ricchezza e il potere, personificati dal diavolo. Se Gesù si sottometterà agli idoli della ricchezza e del potere, questi in cambio saranno nelle sue mani, come strumenti per la sua missione, come garanzia di efficacia: egli riuscirà, riuscirà, in “un’inarrestabile ascesa” (Sal 49,19)… Ma anche di fronte a questa pulsione che abita tutti gli umani Gesù sa dire no. È venuto per servire non per dominare (cf. Mc 10,45; Mt 20,28), è venuto nella povertà, non nella ricchezza (cf. 2Cor 8,9). Ciò non solo non faciliterà la sua missione, ma ne segnerà visibilmente il fallimento secondo l’evidenza mondana; Gesù, però, non pensa alla sua missione come a una conquista, a un grande raduno di credenti su cui dominare. Per questo è libero di rispondere, citando ancora la Torà: “Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto” (Dt 6,13). Ma qui il diavolo fa anche una rivelazione: a lui sono stati consegnati il potere e la gloria di questo mondo ed egli li può dare a chi vuole, a una condizione: diventare suoi ministri. Dunque, chi ha potere e gloria mondani, lo sappia o no, è un ministro del diavolo! 

Segue poi la tentazione più alta, per questo l’ultima, la grande tentazione che per pudore non spiego pienamente ma alla quale solo alludo. Non è solo la tentazione di mettere Dio alla prova, forzandogli la mano, ma è anche la tentazione della “nientità”. Dal punto più alto della costruzione religiosa per eccellenza, il tempio, Gesù vede sotto di sé l’abisso, che è anche il nulla, il vuoto, perché la ragione ci dice che nell’abisso non c’è niente, neanche Dio, ma si è abbandonati per sempre, come se non si fosse mai nati: l’abisso dà le vertigini… Cosa deve fare Gesù davanti a questo buco nero? Gettarsi giù, costringendo il Dio che lo ha dichiarato Figlio a fare il miracolo, cioè inviando angeli a salvarlo per impedirgli la caduta, come lo tenta il diavolo citando la Scrittura (cf. Sal 91,11-12)? Oppure accettare la sua situazione, quella di chi vede il fallimento, il vuoto, ma resta fedele a Dio e non lo tenta, non lo provoca (cf. Dt 6,16)? Sì, questa è la tentazione delle tentazioni, già provata da Israele nel deserto quando, di fronte alle difficoltà, alle contraddizioni e all’apparente smentita delle promesse di Dio, si domandava sgomento: “Il Signore è in mezzo a noi sì o no?” (Es 17,7). Ciò avviene anche nei nostri cuori, quando il sentimento del fallimento dell’intera nostra vita ci coglie, ci sorprende e ci confonde, fino a farci dire dentro di noi: “È stato tutto un inganno! Dio non c’era nei nostri inizi, oppure, Dio ci ha abbandonato!”. Questa è la tentazione che vuole contraddire la fede, la fiducia posta in Dio: non bestemmiandolo, non litigando con lui, ma semplicemente negandolo, cioè estromettendolo dal proprio orizzonte e dalla vita. 

Gesù ha subito queste tentazioni in quanto uomo come noi. Non ci ha dato una finzione esemplare, ma ha veramente vissuto questi abissi, imparando così ad aderire alla realtà: “Pur essendo Figlio, imparò l’obbedienza dalle cose che patì” (Eb 5,8). Dopo questa prova del deserto, Gesù ormai sa come svolgere la missione e come portare a termine la sua vocazione, consapevole che lo Spirito santo è con lui e che della forza dello Spirito è ripieno. Questa però non è per Gesù una vittoria definitiva: il diavolo tornerà a tentarlo, “al momento fissato”, cercando sempre di renderlo diviso, in modo che la sua volontà sia in contraddizione con la volontà del Padre. Ma Gesù realizzerà sempre la parola di Dio e sarà sempre vincitore su ogni tentazione! Uguale a noi in tutto, eccetto che nel peccato (cf. Eb 2,17; 4,15): per questo trionferà sulla morte e, quale Risorto, vivrà per sempre quale Signore del mondo.

il commento al vangelo della domenica

la tentazione ti spinge a scegliere la tua bussola


La tentazione ti spinge a scegliere la tua bussola
il commento di Ermes Ronchi al vangelo della I Domenica di Quaresima Anno B

In quel tempo, lo Spirito sospinse Gesù nel deserto e nel deserto rimase quaranta giorni, tentato da Satana. Stava con le bestie selvatiche e gli angeli lo servivano. Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù andò nella Galilea, proclamando il vangelo di Dio, e diceva: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo».

Lo Spirito sospinse Gesù nel deserto e vi rimase quaranta giorni, tentato da Satana. La tentazione? Una scelta tra due amori. Vivere è scegliere. La tentazione ti chiede di scegliere la bussola, la stella polare per il tuo cuore. Se non scegli non vivi, non a pieno cuore. Al punto che l’apostolo Giacomo, camminando lungo questo filo sottile ma fortissimo, ci fa sobbalzare: considerate perfetta letizia subire ogni sorta di prove e di tentazioni. Quasi a dirci che essere tentati forse è perfino bello, che di certo è assolutamente vitale, per la verità e la libertà della persona.
L’arcobaleno, lanciato sull’arca di Noè tra cielo e terra, dopo quaranta giorni di navigazione nel diluvio, prende nuove radici nel deserto, nei quaranta giorni di Gesù. Ne intravvedo i colori nelle parole: stava con le fiere e gli angeli lo servivano. Affiora la nostalgia del giardino dell’Eden, l’eco della grande alleanza dopo il diluvio. Gesù ricostruisce l’armonia perduta e anche l’infinito si allinea. E nulla che faccia più paura.
Ma quelle bestie che Gesù incontra, sono anche il simbolo delle nostre parti oscure, gli spazi d’ombra che ci abitano, ciò che non mi permette di essere completamente libero o felice, che mi rallenta, che mi spaventa: le nostre bestie selvatiche che un giorno ci hanno graffiato, sbranato, artigliato. Gesù stava con… Impariamo con lui a stare lì, a guardarle in faccia, a nominarle. Non le devi né ignorare né temere, non le devi neppure uccidere, ma dar loro un nome, che è come conoscerle, e poi dare loro una direzione: sono la tua parte di caos, ma chi te le fa incontrare è lo Spirito Santo. Anche a te, come a Israele, Dio parla nel tempo della prova, nel deserto, lo fa attraverso la tua debolezza, che diventa il tuo punto di forza. Forse non guarirai del tutto i tuoi problemi, ma la maturità dell’uomo consiste nell’avviare un percorso, con pazienza (tu maturi non quando risolvi tutto, ma quando hai pazienza e armonia con tutto). Allora ti accorgi che Dio parla a te nella fragilità e che lo Spirito è colui che ti permette di re-innamorarti della realtà tutta intera, a partire dai tuoi deserti.
Dopo che Giovanni fu arrestato Gesù andò nella Galilea proclamando il vangelo di Dio. E diceva: il Regno di Dio è vicino.
Gesù proclama il “vangelo di Dio”. Dio come una “bella notizia”. Non era ovvio per niente. Non tutta la Bibbia è vangelo; non tutta è bella, gioiosa notizia; alle volte è minaccia e giudizio, spesso è precetto e ingiunzione. Ma la caratteristica originale del rabbi di Nazaret è annunciare vangelo, una parola che conforta la vita, una notizia gioiosa: Dio si è fatto vicino, è un alleato amabile, è un abbraccio, un arcobaleno, un bacio su ogni creatura.
(Letture: Genesi 9,8-15; Salmo 24; Prima Lettera di san Pietro apostolo 3,18-22; Marco 1,12-15)

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