preghiera è liberazioine degli oppressi

preghiera per la liberazione degli oppressi

“Chiesa e teologia devono rompere con l'idolatria del sistema dominante per imparare a discernere la presenza inquietante di Dio nel mondo degli oppressi" (P. Richard)

Vieni, Signore!
Scendi a liberare gli oppressi dalla mano dei Faraoni di oggi.
Hai ascoltato il loro grido, conosci le loro sofferenze, hai visto i tormenti sopportati semplicemente per non perire (1).
Piegati dalla fatica e dalle umiliazioni non hanno più la forza né per ribellarsi né per sperare in un giorno diverso.
Mangiano polvere. Signore, liberali!
Converti il cuore dei loro oppressori. Guariscili dalla perversione del profitto e dell’accumulo. Dona loro di sperimentare la gioia che viene dalla solidarietà e dalle relazioni senza calcolo. Libera il cuore di questi schiavi della ricchezza e del potere che sfruttano i loro fratelli.
Vieni, Signore!
Manda noi dai Faraoni di oggi che vivono asserragliati nelle loro proprietà sporche del sangue dei poveri e nelle false sicurezze sporche del sangue dei disoccupati e dei precari.
Manda noi ad annunciare la liberazione, che il tempo è compiuto, che il tuo Regno è vicino, che il tuo Regno è in mezzo a noi (2).
Vieni, Signore!
Fa’ che noi possiamo partecipare all’Esodo del tuo popolo (dei poveri, degli oppressi, dei piccoli, degli ultimi) verso la terra che hai preparato, verso la fratellanza che hai sognato, verso la dimora della Giustizia e della Misericordia.
Realizza, ti preghiamo, ancora una volta questa Parola:

«Così dice il Signore Dio
che crea i cieli e li dispiega,
distende la terra con ciò che vi nasce,
dà il respiro alla gente che la abita
e l’alito a quanti camminano su di essa:
“Io, il Signore, ti ho chiamato per la giustizia
e ti ho preso per mano;
ti ho formato e ti ho stabilito come alleanza del popolo
e luce delle nazioni,
perché tu apra gli occhi ai ciechi
e faccia uscire dal carcere i prigionieri,
dalla reclusione coloro che abitano nelle tenebre.
Io sono il Signore: questo è il mio nome;
non cederò la mia gloria ad altri,
né il mio onore agli idoli.
I primi fatti, ecco, sono avvenuti
e i nuovi io preannunzio;
prima che spuntino,
ve li faccio sentire”» (3).

(1) Cfr. Esodo 3, 7-12
(2) Cfr Vangelo di Marco 1,14-15; Vangelo di Luca 17,21
(3) Isaia 42,6-9

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preghiera è fare silenzio interiore per accogliere la parola del Signore

nel silenzio il mistero della tua Presenza

“Al mattino si alzò quando ancora era buio e, uscito di casa, si ritirò in un luogo deserto e là pregava” (Vangelo di Marco 1,35)
da Altranarrazione

eccomi in preghiera. In perfetta solitudine, in perfetta intimità, questo momento è solo per il Signore

Taci scoraggiamento per i peccati commessi. Ascolta la Misericordia di Dio che risolleva da qualsiasi abisso.
Taci distrazione. Ascolta il silenzio di Dio che ti insegna a percepire nel profondo.
Taci programmazione di attività. Ascolta la creatività di Dio che sa aprire strade nel deserto.
Taci esigenza di utilità. Ascolta la gratuità di Dio che ti invita a trovare nel dono di se stessi il senso dell’esistere.
Taci abitudine. Ascolta la novità di Dio che rinnova il mistero della sua presenza.
Taci legalismo. Ascolta la Giustizia di Dio che conosce e compatisce le nostre fragilità.

 

e adesso in perfetto silenzio per accogliere il Signore

 

La Parola di Dio è delicatezza, non si sovrappone ad altre voci.
È pazienza, sa attendere il suo turno.
È mitezza, pacifica l’anima, sollecita lo sguardo ad allargarsi e ad andare oltre i motivi razionali di conflitto e contrarietà.
È profezia, non consente di soprassedere alla pratica della giustizia.
È consolazione, dona la forza per non soccombere davanti alla sofferenza.
È speranza, propone alternative di senso al vuoto scavato dalla superbia dell’uomo.
È guarigione, riesce a sanare le ferite che resistono ai rimedi umani.
È contraddizione, smaschera le falsità degli idoli.

Ti adoro, ti amo, Signore ed esulto perché capovolgi le logiche del mondo

 

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E. Bianchi invita alla insurrezione contro la cattiveria e la barbarie

“è tempo di un insurrezione delle coscienze”

intervista a Enzo Bianchi

di Maria Laura Giovagnini

pubblicato su 
“Io Donna”
14 settembre 2019
Sopra una quercia c’era un vecchio gufo. Più sapeva e più taceva, più taceva e più sapeva».
Scolpita sulla pietra, la frase accoglie chi arriva a Bose, la comunità di monaci e monache di chiese cristiane diverse in provincia di Biella diventata un centro di spiritualità di livello internazionale.
«Parole di saggezza popolare che ho scoperto in Puglia – in una casa abbandonata in mezzo alla campagna – e ho fatto copiare: è nel silenzio che la parola diviene autorevole e intelligente, sennò è chiacchiera» spiega Enzo Bianchi, che ha fondato il monastero nel 1965.
Però ai nostri tempi si addice di più una presa di posizione. «È l’ora di un’insurrezione delle coscienze. Dobbiamo assumerci responsabilità, impegnarci in una concreta resistenza alla cattiveria, al disprezzo, altrimenti la barbarie andrà al potere. La storia ci insegna che la violenza verbale può diventare violenza fisica» spiega lui, che aggiunge: «Qui mi chiamano Enzo, in giro c’è chi mi chiama fratel Enzo o padre Enzo… Dipende da cosa sentono in me». E certo non si sottrae, come dimostrano i suoi impegni pubblici di settembre , dove parlerà di umanità, di luce e tenebre…
Già, che significa “restare umani” oggi?
Significa coltivare la fraternità, la mitezza, l’accettazione della diversità, la cura e l’aiuto, il perdono e la misericordia. Ogni persona – di qualunque sesso, etnia, religione – è davvero mio fratello o mia sorella. Abbiamo la stessa dignità e gli stessi diritti, dobbiamo esser rispettati nella rispettiva unicità. All’interno della visione cristiana, l’uomo per eccellenza è proprio Gesù: la sua figura è lo specifico della nostra religione rispetto alle altre. “Dio” è una parola assolutamente insufficiente, si presta a connotazioni molto differenti.
Da cosa ha origine questo rischio di barbarie?
La crisi economica ha portato a un’invidia, a una guerra fra poveri, che ha fatto aumentare la diffidenza. Poi la paura è stata fomentata anche per ragioni politiche, utilitaristiche e ha incattivito tanta gente che fino a qualche anno fa si sarebbe vergognata di certe espressioni, di certi atteggiamenti.
Lei invoca spesso la “sapienza del cuore”. In epoche storiche tanto complesse, non sarà assolutamente insufficiente?
Il cuore deve sempre essere accompagnato dalla ragione, che ci dà la possibilità di discernere, pesare il bene e il male e deve quindi avere il primato: cosa sarebbe la religione senza l’uso della ragione? Solo emozione che potrebbe infiammarsi fino all’intolleranza, al fanatismo .
Come si spiega che tanti cattolici siano attratti da politici razzisti o ultra nazionalisti?
Con la schizofrenia tra religiosità e Vangelo, assai più attestata di quanto si possa immaginare. Una volta c’erano da una parte gli atei e da una parte i religiosi. Oggi fra i religiosi ci sono quelli che seguono il Vangelo e quelli che chiamo “cristiani del campanile”. Il Vangelo divide, non unisce affatto. I peccati commessi per debolezza vengono perdonati (bisogna accoglierli senza disprezzare se stessi o essere coperti di imbarazzo), ma non quelli per malvagità.
Magari si sarebbe più convincenti suggerendo qualche vantaggio egoistico del “restare umani”…
Una certa gioia, serenità di fondo. Da anziano (ormai ho 76 anni), guardando al mio passato, capisco che ciò che conta è l’aver amato e l’essere stato amato. Tutto il resto sfiorisce.
Ecco, il vero senso della vita è: amare ed essere amati. L’unica cosa che ci salva.
Sta venendo meno la speranza nell’aiuto divino, non le pare?
Sì, ma perché c’è meno speranza nell’aiuto umano. Se non si riesce ad aver fiducia, a credere in chi si vede, come si può sperare in un Dio invisibile? Però, se manca la speranza, l’esistenza diventa solo un duro mestiere senza possibilità di felicità.
Mestiere durissimo, pensando a tutto il dolore che ci tocca.
Il dolore resta un enigma pure per il cristiano, che può limitarsi a dire: finché siamo qui su questa terra insieme, cerchiamo di vivere quella gioia e quella pienezza che ci è consentita pur con le contraddizioni della malattia, del male e della morte. Non si tratta di dare un significato alla sofferenza, bensì di dare significato alla vita persino quando si soffre.
A proposito di terra, a Bose c’è un’altra iscrizione che colpisce: «Dio perdona sempre, gli uomini talvolta perdonano, la terra si vendica e non perdona mai…
…e conclude: «Ama la terra come te stesso». È nostra madre, da cui Dio ci ha creati, dobbiamo rispettarla e renderla addirittura più bella.
Non a caso lei è fedele da sempre all’orto fuori dalla sua cella.
Un orto fu persino il regalo (originalissimo) chiesto a 11 anni per l’ammissione alle scuole medie…
Non solo l’orto… Amo il bosco (sono nato nel verde del Monferrato), amo la tavola, gli amici, la compagnia e tutto questo lo vivo nella mia fede cristiana ma senza dissociazione tra le due cose, anzi: l’una potenzia l’altra. Sovente la spiritualità oppone anima a carne, cielo a terra… Noi siamo l’insieme, non possiamo dimenticare una delle dimensioni.
Da dove le arriva questa visione “concreta”?
Sono per carattere aderente alla realtà e, probabilmente, per vicende personali: mia madre è morta quando avevo otto anni, sono rimasto con mio padre in una condizione di povertà e precarietà… Quel che mi ha sempre sorretto è stato sentire il Vangelo come una stella polare che poteva guidarmi. La fede cristiana è stata il dono più grande di mamma, molto religiosa.
Però non si è mai identificato nella chiesa di Roma, ha mantenuto apertura e curiosità
Credo sia il risultato di aver avuto una madre cattolica e un padre comunista che mi ripeteva: «Enzo resta libero, gira, ascolta tutti, incontra tutti. Fa’ la fame ma compra libri!» Non ho mai considerato nessuno nemico o avversario. Ho avuto la fortuna di conoscere, giovanissimo, il patriarca ecumenico di Costantinopoli, Atenagora. Sono stato segnato dall’incontro con Frère Roger, il priore di Taizé. Ho passato mesi alla periferia di Rouen con l’abbé Pierre, facendomi straccione con lui e con i suoi ultimi… Mi considero privilegiato.
E adesso, lo stato d’animo?
Fondamentalmente sereno, benché la vecchiaia spaventi.
Proprio stamattina ho visitato un coetaneo con l’Alzheimer e sono rimasto turbato: perdere l’autosufficienza è il timore più profondo. E poi c’è la paura della morte, parte integrante della nostra identità umana. Ci sembra ingiusta, ci interroghiamo sul dopo… Questo rende fragili. In compenso, dalla vecchiaia sto imparando la pazienza. Con me stesso e con gli altri.
Qualche rimpianto?
Il rimpianto è una tentazione, ma non ne soffro. Se arriva, so spegnerlo presto.
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