preghiera è fare silenzio interiore per accogliere la parola del Signore

nel silenzio il mistero della tua Presenza

“Al mattino si alzò quando ancora era buio e, uscito di casa, si ritirò in un luogo deserto e là pregava” (Vangelo di Marco 1,35)
da Altranarrazione

eccomi in preghiera. In perfetta solitudine, in perfetta intimità, questo momento è solo per il Signore

Taci scoraggiamento per i peccati commessi. Ascolta la Misericordia di Dio che risolleva da qualsiasi abisso.
Taci distrazione. Ascolta il silenzio di Dio che ti insegna a percepire nel profondo.
Taci programmazione di attività. Ascolta la creatività di Dio che sa aprire strade nel deserto.
Taci esigenza di utilità. Ascolta la gratuità di Dio che ti invita a trovare nel dono di se stessi il senso dell’esistere.
Taci abitudine. Ascolta la novità di Dio che rinnova il mistero della sua presenza.
Taci legalismo. Ascolta la Giustizia di Dio che conosce e compatisce le nostre fragilità.

 

e adesso in perfetto silenzio per accogliere il Signore

 

La Parola di Dio è delicatezza, non si sovrappone ad altre voci.
È pazienza, sa attendere il suo turno.
È mitezza, pacifica l’anima, sollecita lo sguardo ad allargarsi e ad andare oltre i motivi razionali di conflitto e contrarietà.
È profezia, non consente di soprassedere alla pratica della giustizia.
È consolazione, dona la forza per non soccombere davanti alla sofferenza.
È speranza, propone alternative di senso al vuoto scavato dalla superbia dell’uomo.
È guarigione, riesce a sanare le ferite che resistono ai rimedi umani.
È contraddizione, smaschera le falsità degli idoli.

Ti adoro, ti amo, Signore ed esulto perché capovolgi le logiche del mondo

 

Dio non è così …

chi è stato?

Sap 14,30: concepirono un’idea falsa di Dio

«È incredibile l’abuso che noi occidentali abbiamo fatto della Bibbia per dominare il mondo»

Alex Zanotelli

 

Chi ha trasformato Colui che salva in colui che giudica e punisce?
Chi ha trasformato Colui che è compassione e tenerezza in colui che minaccia ritorsioni?
Chi ha trasformato Colui che è Amore in un contabilizzatore di colpe?
Chi ha trasformato Colui che è Padre in colui che valuta i meriti?
Chi ha trasformato Colui che è sposo fedele e innamorato in colui che ci accoglie solo a certe condizioni e ci vuole sempre diversi?
Chi ha trasformato Colui che si umilia per noi in colui che ci guarda dall’alto.
Chi ha trasformato Colui che si identifica con i sofferenti in colui che si allea con gli oppressori della terra?
Chi ha parlato senza conoscere Dio?(*)

(*)“Il Dio che si rivela in Gesù capovolge le idee che l’uomo religioso si fa di Dio”.

(D. Bonhoeffer, in Conflitti cristologici con il magistero di Josè Ignacio Gonzàlez Faus, Concilium 3/2008, p. 145).

la croce è ben altro che un orpello da portare al collo o un identificativo da esibire …

la croce

«Dio viene respinto e brutalmente eliminato con la croce quando si avvicina troppo a noi e non ci è più possibile farcene un’immagine che ci convenga e che possiamo forgiare a nostro piacimento»

D. Schellong

Il venerdì santo è il giorno in cui l’uomo rifiuta la convivenza, fondata sull’amore e sul riconoscimento reciproco, immaginata da Dio, preferendo le dinamiche conflittuali e di sopraffazione imposte dal Potere. È il giorno in cui prevale l’antropologia deformata sulla narrazione veritiera. È il giorno di cui non sperimentiamo ancora del tutto la fine. È il giorno in cui siamo chiamati ad abbracciare la croce per ribadire il nostro impegno per la giustizia di Dio e cioè per l’instaurazione del suo Regno. È il giorno in cui siamo chiamati a ribadire da che parte stiamo: sulla croce con i crocifissi o con i manipolatori, i falsi testimoni, i pusillanimi, con la ragione di Stato e di religione, con chi deride gli sventurati. La croce è il testimone che il Dio difensore degli orfani e delle vedove ci ha lasciato. Chi lo ama prosegue il tragitto prendendola su di sé. La croce non come strumento di penitenza, o peggio come simbolo di remissività verso le iniquità del mondo, ma come possibile conseguenza dell’impegno per le vittime della disumanizzazione accettata (per convenienza) dalla maggioranza. La croce rappresenta il sogno infranto di Dio che il discepolo è chiamato a far rivivere. A qualunque costo. Anche della vita. Le croci si trovano sulle strade solitarie ed impervie percorse dai profeti. Chi, invece, non alza la voce contro l’oppressione, chi pronuncia parola di compromesso, generiche e mai di denuncia dei responsabili del malessere sociale incontra incarichi e poltrone, non certo croci.

la preghiera non come fuga ma come fonte e fuoco …

rupe inaccessibile

«Non è degno di fede indirizzare parole buone contro l’alienazione economica dell’uomo finché non si lotta contro l’alienazione religiosa che l’uomo stesso crea»

J. Moltmann

 

Dovremmo sentire il dolore degli altri nelle nostre viscere e la loro sventura appartenerci, essendo simile a quella che tocca a noi.

Dovremmo evitare di somministrarci i potentissimi anestetici che le istituzioni ci mettono a disposizione e leggere le cose da dentro, indossandone i panni.

Dovremmo ricordare di non profanare, con l’indifferenza e la superficialità, il luogo sacro più importante: la sofferenza.

Dovremmo camminare sulla stessa strada della disperazione, scrivere la storia degli sconfitti vivendola e subendola, calarci nell’abisso in cui sono stati relegati gli invisibili.

Dovremmo rifiutare cattedre e pulpiti, incoronazioni e riconoscimenti.

Dovremmo chiedere consigli agli esclusi e dare voce agli inascoltati.

Dovremmo spezzare schemi e rigidità, togliere la sordina alla profezia, spostare gli orizzonti.

Dovremmo ri-convertire le strutture impolverate dalla burocratizzazione dei carismi e incrostate dall’autoreferenzialità delle gerarchie.

Dovremmo denunciare e combattere i sistemi economici e politici che valutano le persone in termini di utilità, rifiutare collaborazioni e soprattutto finanziamenti in cambio di una “pacifica” (nel senso di connivente) convivenza.

Dovremmo, ma non ne abbiamo la forza.

E allora preghiamo Dio che ci guidi «su rupe inaccessibile» (1) per insegnarci le sue vie e per liberarci da tre invincibili paure: del condividere, del nulla, della libertà.

(1) Salmo 61

l’amore ‘esagerato’ di Dio

Osea: l’assurdo di Dio

«Dio non ha bisogno per la sua gloria di gente perfetta ma di gente che lo ami»

M. Delbrêl

L’anima si lascia sedurre dagli idoli, perché cerca sicurezze, non sopporta l’angoscia  dei mutamenti a cui è esposta.

L’anima si scopre inconsistente. Così preferisce i punti fermi visibili anche se solo apparenti e illusori rispetto a quelli risolutivi ma invisibili. Non si fida di un amore appena percepibile e perennemente da dissotterrare, continuamente contraddetto, falsificato, dileggiato.

L’anima è in cerca di consensi perché preferisce indossare una maschera piuttosto che cercare la verità in solitudine. È disponibile all’alleanza con Dio ma solo in vista di benefici materiali o spirituali. È a suo agio tra la folla che attende un miracolo o un intervento di tipo magico di distruzione del male. Non sopporta la sofferenza del giusto che si attendeva invece forte e conquistatore. Solo il vincente è utile alla causa personale,  ma cosa farsene di un salvatore che non salva nemmeno se stesso? Quali vantaggi ottenere da uno che soffre e fa quella fine? Meglio aggrapparsi alle soddisfazioni che offre il mondo.

L’anima è infedele perché non sa discernere ma non lo ammette. Non si confronta con l’Unico che conosce davvero non solo il Bene in generale ma quello specifico per ogni persona.

L’anima cerca scorciatoie: si impone obblighi per rispettare l’immagine non autentica che si è costruita, invece di operare scelte nel profondo secondo l’immagine di somiglianza impressa da Dio.

L’anima chiusa alla conoscenza di Dio si aspetta castighi per le sue infedeltà. E si ritrae sempre di più. Se si lasciasse rassicurare scoprirebbe che i contraenti dell’alleanza sono due ma il garante è uno solo: Dio. O meglio scoprirebbe che gli sposi sono due ma uno solo è fedele: Dio(1). Se ascoltasse la sua voce comprenderebbe che Dio non ha scritto nessun codice penale e che alle sue cadute Lui risponde con l’Amore che eccede e che anticipa il pentimento. L’assurdo di Dio che sfugge all’anima è questo: la convinzione che sia proprio il suo perdono a farci convertire, a indurci a tornare e ad avere fiducia(2).

 

(1) “Ti farò mia sposa per sempre, ti farò mia sposa nella giustizia e nel diritto, nella benevolenza e nell’amore, ti farò mia sposa nella fedeltà e tu conoscerai il Signore”.

Osea 2, 21-22

Il mio popolo è duro a convertirsi: chiamato a guardare in alto nessuno sa sollevare lo sguardo. Come potrei abbandonarti, Efraim, come consegnarti ad altri, Israele? Come potrei trattarti al pari di Admà, ridurti allo stato di Seboìm? Il mio cuore si commuove dentro di me, il mio intimo freme di compassione. Non darò sfogo all’ardore della mia ira, non tornerò a distruggere Efraim, perché sono Dio e non uomo; sono il Santo in mezzo a te e non verrò nella mia ira. Seguiranno il Signore ed egli ruggirà come un leone: quando ruggirà, accorreranno i suoi figli dall’occidente, accorreranno come uccelli dall’Egitto, come colombe dall’Assiria e li farò abitare nelle loro case. Oracolo del Signore”.

(2)“Il messaggio di Osea ha qualcosa di sconcertante. La nostra logica religiosa segue il passaggio peccato-conversione-perdono. La grande novità di Osea, che lo situa su un piano diverso e lo fa un precursore del Nuovo Testamento, è che egli inverte l’ordine: il perdono precede la conversione. Dio perdona prima che il popolo si converta, e sebbene non si sia convertito”.

(Luis Alonso Schökel, I profeti, traduzione e commento di L. Alonso Schokel e J. L. Sicre Diaz, ed. italiana a cura di Gianfranco Ravasi, Borla, Roma 1984, p. 976).

il vangelo postula il continuo cambiamento delle strutture ingiuste della società

trasformare la società

«La realtà della dimensione sociale del peccato esige una conversione personale che si traduca nella lotta per la trasformazione sociale delle strutture peccaminose»

T. Mifsud

 

Ci hanno convinto dell’immodificabilità della realtà e di conseguenza della distanza di Dio dalla storia dell’uomo. Se cerchiamo la semplice sopravvivenza materiale conviene certamente prendere atto dell’esistente e adeguarsi. Si tratterà di scegliersi il posto migliore a discapito di un nostro simile trasformato in nemico. Dovremo, è vero, sopportare la fatica di difenderlo ma la legge e le armi di solito vengono in soccorso di chi sceglie il compromesso con il regime dell’iniquità. Si diventa come loro, infatti il potere ha la capacità di convincere l’uomo che il cinismo sia necessario per proteggere la propria vita e quella dei familiari. Diventiamo dei cani rabbiosi e accettiamo un criminale come padrone che ci tiene al guinzaglio in cambio di qualcosa nella ciotola. Il Vangelo predica invece che l’uomo non si realizza nella sopravvivenza, nel lasciare le cose come stanno, ma nella trasformazione della realtà*.

L’attuale assetto sociale è il frutto di logiche economico-finanziarie che rappresentano tutto il male possibile per l’uomo. Il Vangelo vive in esilio, ai margini, nelle minoranze, nei luoghi dove abitano le vittime di quelle scelte e di quei compromessi, fuori dagli spazi istituzionali, convenzionali ed ufficiali. Il Vangelo attende qualcuno che sia disposto a perdere la vita ossia la reputazione, l’approvazione di quelli che contano, l’immagine di plastica, per esistere, al contrario, secondo l’immagine autentica che Dio non impone ma che costruisce insieme a noi. Una società che si muove agli ordini del Capitale non può considerarsi cristiana anche se abitata da milioni di persone che si definiscono cristiane. Non basta una definizione per determinare la realtà che parla di oppressione e ingiustizia piuttosto che di compassione e di comunità. Di conseguenza occorrerebbe modificare la terminologia scegliendo tra: capitalisti, competitivi, selettivi, emarginatori, speculatori, indifferenti etc. Altrimenti la parola cristiano risulta o comica o ipocrita.

* “L’evangelizzazione deve calare profondamente nel cuore dell’uomo e dei popoli; perciò la sua dinamica tende alla conversione personale e alla trasformazione sociale”.

(Documento di Puebla, 362)

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