È una delle grandi sfide che la teologia mondiale è chiamata urgentemente a raccogliere. Di più: è un imperativo etico e una priorità irrinunciabile per tutta l’umanità. Ma, di sicuro, la questione del pluralismo religioso è anche un campo minato per i teologi, come hanno sperimentato tutti coloro che – dal belga p. Jacques Dupuis (scomparso nel 2004) al gesuita statunitense p. Roger Haight, dal religioso dello Sri Lanka p. Tissa Balasuriya (morto nel 2013) al vietnamita emigrato in Usa Peter Phan, dal galiziano Andrés Torres Queiruga allo spagnolo-nicaraguense José María Vigil – si sono impegnati in vario modo su questioni relative all’unicità salvifica di Cristo, alla funzione della Chiesa nel piano di salvezza, al valore salvifico delle altre religioni, esponendosi a censure, emarginazione, processi e rappresaglie.
Perché, di certo, per la Chiesa cattolica, uscita con fatica dall’assioma esclusivista “fuori dalla Chiesa non c’è salvezza”, il salto dal paradigma inclusivista oggi dominante (secondo cui la salvezza è possibile anche attraverso le altre religioni, “incluse” in qualche modo nell’unico piano di salvezza che ha come centro Cristo) a quello pluralista (in base a cui le religioni non cristiane sono vie di salvezza valide per se stesse e non per una presunta loro partecipazione al mistero di Cristo) è tutt’altro che scontato, mettendo in discussione elementi importanti dell’identità cristiana come la categoria del popolo eletto, la concezione della missione o lo stesso dogma cristologico. Potrebbe sembrare un po’ come la ricerca della quadratura del cerchio: conciliare la piena fedeltà alla testimonianza cristiana con l’impegno in un autentico dialogo interreligioso. Eppure, come ha affermato un altro importante teologo del pluralismo religioso, lo statunitense Paul Knitter, affinché oggi sia possibile fare una scelta religiosa, è sempre più evidente la necessità che ciò avvenga «in maniera interreligiosa», cioè «riconoscendo che esistono altri modi validi di essere religiosi». È, questa, appunto, la strada seguita dal teologo brasiliano Faustino Teixeira, già allievo di Dupuis alla Pontificia Università Gregoriana, docente nel Programma di specializzazione in Scienza della Religione presso l’Università Federale di Juiz de Fora, in Minas Gerais, e autore di diversi libri sui temi del dialogo interreligioso, del pluralismo religioso e della mistica comparata delle religioni, l’ultimo dei quali è stato appena pubblicato da Pazzini Editore con il titolo Cercatori cristiani in dialogo con l’Islam (2015, pp. 139, 14 euro), in cui Teixeira ripercorre le vite di alcuni di questi “dialoganti” cristiani, mistici e profeti che, dalla loro esperienza di frontiera, indicano la rotta da seguire ai credenti del XXI secolo: Louis Massignon, Abd-El-Jalil, Louis Gardet, Georges Anawati, Serge De Beaurecueil, Christian De Chergé, Paolo Dall’Oglio.
commento al Vangelo della domenica delle palme (20 marzo 2016) di P. Alberto Maggi:
Lc 19,28-40
In quel tempo, Gesù camminava davanti a tutti salendo verso Gerusalemme. Quando fu vicino a Bètfage e a Betània, presso il monte detto degli Ulivi, inviò due discepoli dicendo: «Andate nel villaggio di fronte; entrando, troverete un puledro legato, sul quale non è mai salito nessuno. Slegatelo e conducetelo qui. E se qualcuno vi domanda: “Perché lo slegate?”, risponderete così: “Il Signore ne ha bisogno”». Gli inviati andarono e trovarono come aveva loro detto. Mentre slegavano il puledro, i proprietari dissero loro: «Perché slegate il puledro?». Essi risposero: «Il Signore ne ha bisogno». Lo condussero allora da Gesù; e gettati i loro mantelli sul puledro, vi fecero salire Gesù. Mentre egli avanzava, stendevano i loro mantelli sulla strada. Era ormai vicino alla discesa del monte degli Ulivi, quando tutta la folla dei discepoli, pieni di gioia, cominciò a lodare Dio a gran voce per tutti i prodigi che avevano veduto, dicendo: «Benedetto colui che viene, il re, nel nome del Signore. Pace in cielo e gloria nel più alto dei cieli!». Alcuni farisei tra la folla gli dissero: «Maestro, rimprovera i tuoi discepoli». Ma egli rispose: «Io vi dico che, se questi taceranno, grideranno le pietre».
Nella domenica delle Palme la chiesa ci presenta nella liturgia l’ingresso di Gesù a Gerusalemme secondo il vangelo di Luca capitolo 19, dai versetti 28 al 40. Per comprendere quello che l’evangelista ci scrive dobbiamo tener presente la profezia nel libro del profeta Zaccaria, capitolo 9 versetto 9. Leggiamo questa profezia che ci fa comprendere quanto poi l’evangelista svilupperà. Esulta grandemente figlia di Sion, cioè Gerusalemme, ma indica anche tutto il popolo, giubila figlia di Gerusalemme. Ecco a te viene il tuo re. Egli è giusto e vittorioso. E fino a qui era l’attesa del re, del messia, del liberatore di Israele, ma poi Zaccaria presenta una novità, un’immagine clamorosa. Umile cavalca un asino, un puledro figlio d’asina. La cavalcatura regale normalmente era la mula o il cavallo. Non si era mai visto un re cavalcare un puledro d’asino. Il profeta vuole indicare che c’è una modalità di essere messia completamente differente da quella che era l’attesa. Un messia modesto, un messia umile, un messia che cavalca la cavalcatura che era quella del popolo, ma non solo. Farà sparire i carri da Efraim e i cavalli da Gerusalemme. I carri sono i carri da guerra. L’arco di guerra sarà spezzato, annuncerà la pace alle genti. Questa era la profezia di Zaccaria. Ma una profezia che era stata come accantonata, come dimenticata, perché il messia che doveva venire doveva essere il figlio di Davide, cioè uno che, come il grande re che riuscì ad unificare le tribù di Israele, attraverso il potere, la forza e la violenza, restaurasse il defunto regno di Israele. Allora leggiamo a questo punto come l’evangelista ci presenta tutto questo. Dette queste cose, si riferisce alla parabola delle mine, la parabola dei talenti, nelle quali c’è un gruppo di persone che non desidera che un tale venga nominato loro re. Quindi c’è il rifiuto della regalità, anticipa quello che sarà il rifiuto da parte del popolo di Gesù come re. Gesù camminava davanti a tutti salendo verso Gerusalemme. E’ la tappa finale del suo viaggio. Quando fu vicino a Bètfage e a Betània… E’ una caratteristica di tutti gli evangelisti mai alludere alla morte di Gesù senza poi mettere un riferimento alla sua risurrezione. Se Gerusalemme sarà la città in cui Gesù sarà assassinato, Betania sarà il luogo della risurrezione e dell’ascensione di Gesù. Presso il monte detto degli Ulivi, inviò due discepoli dicendo: “Andate nel villaggio di fronte”. Il villaggio nei vangeli ha sempre un significato negativo, il villaggio è il luogo della tradizione, il luogo dove le novità vengono sempre viste con sospetto, quindi quest’immagine del villaggio è quella di un luogo attaccato al passato e che rifiuta il nuovo. Entrando, troverete un puledro legato, sul quale non è mai salito nessuno, (letteralmente nessuno mai degli uomini). Slegatelo e conducetelo qui. E’ importante in questo brano l’uso del verbo slegare che sarà ripetuto per ben quattro volte. Qual è il significato che l’evangelista vuole dare a questo che di per sé sembra illogico. Cos’è che devono slegare? Devono slegare questa profezia che era stata come incatenata, come legata, perché non volevano un messia modesto, un messia di pace. Questo devono slegare. Ma per primi sono i discepoli che si devono convincere di questo. E se qualcuno vi domanda: “Perché lo slegate?”, risponderete così: “Il Signore ne ha bisogno”». Gli inviati andarono e trovarono come aveva loro detto. Abbiamo detto che il discorso sembra irreale, illogico. Questi che arrivano lì e slegano questo puledro e, scrive l’evangelista, mentre slegavano il puledro, i proprietari dissero loro: «Perché slegate il puledro?». Essi risposero: «Il Signore ne ha bisogno». “Ah va bene!” Quindi è un discorso irreale. Ma l’evangelista, attraverso questa illogicità della narrazione, ci vuol far comprendere il significato: Gesù slega questa profezia che era rimasta legata perché a nessuno interessava un re così. E mentre i signori (cioè i proprietari) legano, il Signore Gesù è colui che scioglie. Lo condussero allora da Gesù; e gettati i loro mantelli sul puledro… il mantello nella simbologia ebraica indica la persona, l’identità della persona, allora i discepoli accettano questo messia di pace e lo gettano sul puledro, questo veicolo di pace. Mentre egli avanzava, stendevano i loro mantelli sulla strada. Cioè ci sono altri che non comprendono questo, allora si rifanno al gesto di intronizzazione del re quando il popolo stendeva il mantello – il mantello come abbiamo detto indica la persona – sulla strada e il re ci passava sopra, o a cavallo o a piedi, e significava sottomissione. Questa ambiguità nel testo porterà alla fine tragica di Gesù quando verrà abbandonato. Quando si accorgono che non è il re, il messia, il liberatore, il trionfatore con la violenza, lo stesso popolo che ora lo acclama, sarà quello che griderà poi: “Crocifiggi!” Era ormai vicino alla discesa del monte degli Ulivi, quando tutta la folla dei discepoli, pieni di gioia, cominciò a lodare Dio a gran voce per tutti i prodigi che avevano veduto, dicendo … E qui c’è la citazione di un salmo, il salmo 118, quello dell’intronizzazione del messia: “Benedetto colui che viene, il re, nel nome del Signore.” E poi l’evangelista ci aggiunge l’annuncio che gli angeli hanno fatto a pastori per indicare la nascita di Gesù. “Pace in cielo e gloria nel più alto dei cieli!». Gesù è un messia di pace, è un messia che è il dono di Dio. Questa acclamazione da parte dei discepoli provoca la reazione furibonda dei farisei. Alcuni farisei tra la folla gli dissero: “Maestro, rimprovera i tuoi discepoli”. Questo verbo rimproverare si usa per i demoni, gli indemoniati. Per i farisei è come se i discepoli fossero posseduti da un’ideologia demoniaca acclamando un messia non violento, non l’accettano. Ma egli rispose: “Io vi dico che, se questi taceranno, grideranno le pietre”. E si rifà ad una profezia conosciuta, quella del profeta Abacuc in cui le pietre gridano contro l’ingiustizia. L’ingiustizia sarà la morte del messia liberatore.
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