i principali stereotipi sui rom

abbiamo preso i principali stereotipi italiani sui rom e li abbiamo verificati

appello per rom e sinti

di Claudia Torrisi

cfr il nostro documentario Romanì di Roma di VICE on SkyTG24.

Non serve seguire con una certa costanza la pagina Facebook di Matteo Salvini per capire che quello dei “rom” sia un tema capace di richiamare improvvisamente all’attenti il pubblico italiano. Ieri era il video della rom picchiata in tram a Milano dopo un presunto furto, settimana scorsa la bufala sul padiglione a Expo, oggi il dibattito sui finti poveri e gli sprechi dei fondi per l’assistenza alle famiglie da parte del comune di Roma.

E dagli autobus ai bar, ai giornali, ai social e ai talk show televisivi, c’è un copione che si ripete in maniera pressoché identica: gli zingari sono un problema e giustificano spesso qualsiasi affermazione.

Solo lo scorso marzo per esempio l’eurodeputato della Lega Nord Gianluca Buonanno ha definito i rom ” la feccia della società“, guadagnandosi numerosi applausi dal pubblico di Piazza Pulita. Intervistato ai microfoni della Zanzara, il sindaco di Albettone (Vicenza) Joe Formaggio, ha recentemente dichiarato che se ci fosse un’invasione di rom, li aspetterebbe “con i fucili spianati al confine del paese.”

Sempre poche settimane fa, durante la trasmissione Mattino 5, sono state intervistate due ragazze rom del campo di Castel Romano. Nel servizio le due confessavano di rubare “sulla metropolitana di Roma” e guadagnare anche mille euro al giorno, fregandosene delle vecchiette—”tanto poi muoiono.”

Pochi giorni dopo, la trasmissione Servizio Pubblico ha diffuso un filmato in cui una delle due ragazzine confessa di aver ricevuto 20 euro dalla giornalista di Mattino 5 “per dire queste cose.” La ragazza si è giustificata dicendo che, quando è stata fermata dalla troupe di Canale 5, aveva fumato erba. Vero o no, è innegabile la certa soddisfazione provocata dal primo video, che pubblicato sulla sua pagina da Matteo Salvini aveva scatenato una slavina di commenti razzisti (alimentati in parte anche dalle sue affermazioni sulla necessità di radere al suolo i campi).

Ma se questo è quello che ci propongono politica e media, è anche vero che nonostante se ne faccia un gran parlare gli italiani dei rom sanno poco o niente. Secondo i dati raccolti dal Pew Research Center e pubblicati a maggio del 2014, infatti, i rom sono la minoranza più discriminata in Europa e d’Italia.

Secondo l’indagine dell’Istituto per gli Studi sulla Pubblica Opinione (ISPO) di qualche anno fa, però, solo lo 0,1 per cento degli intervistati ha dimostrato di avere una conoscenza base di rom e sinti. La maggior parte dei cittadini ha informazioni parziali o molto limitate, mentre il 42 per cento non sa praticamente nulla.

Il fatto che ci sia tutta questa disinformazione non è senza conseguenze. Come si legge in un’indagine dell’associazione Naga “c’è una connessione tra quello che dei rom non si dice e l’immagine che ne emerge. Più i rom sono lontani dalla nostra conoscenza diretta, più è facile pensare a loro in base a stereotipi”.

Per capire quanto questo sia vero, ho raccolto alcune delle incrollabili certezze che si sentono più spesso dire in giro quando si parla di rom.

“L’ITALIA È INVASA DAGLI ZINGARI”

Tra migranti, potenziali terroristi e stranieri di ogni provenienza, una delle più grandi paure nostrane è che il suolo italico venga invaso. Per quanto riguarda i rom, è radicata la convinzione che questi siano già “troppi”.

Secondo una ricerca del Ministero dell’Interno, il 35 per cento degli italiani pensa che i rom nel nostro paese siano molti più di quanti sono in realtà. L’8 per cento è convinto che il numero si aggiri intorno ai 2 milioni. La verità è che sono 10 volte di meno.

I rom sono la minoranza più consistente in Europa: nell’Ue vivono circa 9-10 milioni (il 2 percento della popolazione totale), anche se è difficile avere stime ufficiali. Nel nostro paese, però, ne vivono tra i 120 mila e 180 mila, una delle percentuali più basse..

“DEVONO TORNARSENE A CASA LORO”

Questa frase è un evergreen della “lotta allo straniero”. Solo che con i rom risulta un po’ complicato. Circa la metà ( 70mila) dei rom e sinti presenti nel nostro paese ha la cittadinanza italiana. Un dato che in Emilia Romagna arriva fino al 95,9 percento della popolazione rom. Ci sono gruppi romanì presenti in Italia da oltre sei secoli, soprattutto al sud, e sinti di recente insediamento, cittadini italiani, residenti soprattutto al centro nord. La maggior parte di loro, dunque, è già “a casa sua”.

La minoranza di rom di recentissima immigrazione è arrivata in Italia con le guerre balcaniche. Sono profughi senza documenti validi, per lo più apolidi, i cui figli sono nati in Italia. Altri, invece, sono romeni e bulgari, quindi cittadini comunitari regolari.

“SONO NOMADI E VOGLIONO STARE NEI CAMPI”

Secondo il rapporto dell’Associazione 21 luglio, solo il 3 percento dei rom presenti in Italia “risulta perseguire uno stile di vita effettivamente itinerante”. La quasi totalità vive stabilmente in un posto. Nonostante siano considerati il segno più visibile della presenza dei rom, solo in 40 mila vivono nei campi.

Il presupposto che non vogliano una casa non è così corretto e pacifico. Semplicemente, spesso non riescono ad averla, intrappolati nella dinamica del ghetto. D’altra parte, ogni volta che si paventa l’ipotesi di includere queste persone in politiche abitative, succede il finimondo.

“CI COSTANO UN SACCO DI SOLDI”

Questo è vero. Ma dipende dal fatto che l’Italia non riesce a uscire dalla logica dei campi. Secondo il rapporto Centri di raccolta s.p.a. curato dall’Associazione 21 Luglio, nel 2014 il Comune di Roma ha speso il 30 percento in più del 2013 per 242 famiglie rom, ma le prospettive di integrazione rimangono a zero. Oltre il 90 percento delle risorse investite ogni anno dal comune, infatti, riguarda i costi di gestione e amministrazione, mentre ben poco rimane per l’inclusione e le politiche sociali. Secondo alcune stime, ogni sgombero costa mille euro per persona.

Insomma, segregare costa e per qualcuno è un grosso affare che giova anche a cooperative e associazioni. Del resto, Salvatore Buzzi in un’intercettazione dell’inchiesta Mafia Capitale lo diceva chiaro: “Noi quest’anni abbiamo chiuso con quaranta milioni ma tutti i soldi utili li abbiamo fatti sugli zingari, sull’emergenza alloggiativa e sugli immigrati, tutti gli altri settori finiscono a zero.”

“SONO SPORCHI”

Per quanto riguarda i circa 40 mila rom dei campi, il rapporto 2014della 21 Luglio sottolinea come buona parte di questi insediamenti rientri “nella definizione di ‘baraccopoli’ adottata dalla UN-HABITAT delle Nazioni Unite.” Sono luoghi spesso al di fuori del tessuto urbano con scarsi, se non assenti, collegamenti con il trasporto pubblico. “I già carenti servizi e infrastrutture presenti nei campi risultano spesso deteriorati dall’usura e/o dal dimensionamento inadeguato, traducendosi in condizioni igienico sanitarie spesso critiche, di cui topi e scarafaggi sono un inequivocabile indicatore.”

“PORTANO VIA I BAMBINI”

Esiste una leggenda che racconta di una bambina sparita in un centro commerciale e ritrovata in bagno con i capelli rasati sotto la gonna di una zingara. È una storiella universale, successa in tutti i comuni italiani a un’amica della cugina di una conoscente.

Una ricerca dell’università di Verona del 2008 ha dimostrato che sui 30 casi riportati dall’Ansa fra 1985 e il 2007 non esistono episodi di rapimento di minori a opera di un gruppo rom. Tra i casi più recenti, inoltre, non sono mancate le smentite.

Secondo il rapporto ” Mia Madre era rom“, invece, un minore rom, rispetto a un suo coetaneo che non lo è, ha 60 possibilità in più di essere segnalato alla procura della Repubblica presso il tribunale per i minorenni e circa 50 possibilità in più che per lui venga aperta una procedura di adottabilità.

Alberto Prunetti ha riportato su Carmilla la storia di Elviza M., bambina rom del campo Casilino 700, che il 14 giugno 1999 “fu tolta ai genitori—sulla base del presupposto che l’avessero rubata: ‘troppo bella per essere una zingara’, dissero le autorità, guardando gli occhi celesti della bambina, lontani dallo stereotipo del rom scuro.” Il padre dovette correre dalla Romania e presentarsi al tribunale per mostrare ai giudici di avere gli occhi azzurri. È una storia molto simile a quella accaduta in Grecia nel 2013, che in Italia ha scatenato un’isteria collettiva senza precedenti.

“HANNO UN SACCO DI AGEVOLAZIONI E PRIVILEGI”

Non esistono leggi che garantiscano un sostegno economico ai rom. Chi ne parla si riferisce in maniera distorta alla legge 390 del 1992, che permetteva ai Comuni che ospitavano persone in fuga dalla ex Jugoslavia di avere dei fondi da utilizzare per borse lavoro o gestione delle strutture abitative. Nessun profugo ha mai avuto accesso a questi finanziamenti, riservati ai Comuni.

Secondo un’indagine condotta dall’European Union Agency for Fundamental Rights un rom su tre è disoccupato, il 20 per cento non ha copertura sanitaria e il 90 percento vive al di sotto della soglia di povertà. D’altro canto, in Italia si è sviluppata anche una classe media, spesso costretta a celare o dissimulare la propria origine per evitare ripercussioni.

SFRUTTANO I BAMBINI”

Lo stereotipo vuole i minori rom sfruttati come mendicanti in metropolitana e picchiati se non portano abbastanza denaro. Secondo ParlareCivile, “quello che emerge è che l’isolamento delle comunità rom segregate nei campi conserva la vecchia mentalità.” Nei campi rom “esiste ancora l’uso dei minori in attività di acquisizione del reddito per la famiglia. Un esempio è chiedere l’elemosina, il ‘mangèl’(…) Quando una comunità rom si arricchisce questa pratica viene abbandonata, il che significa che la mendicità è senz’altro legata alle condizioni economiche delle famiglie.”

È anche un circolo vizioso: più li teniamo nella marginalità, più i bambini rom continuano ad avere solo l’1 percento di probabilità di frequentare la scuola superiore e il 20 per cento di probabilità di non cominciare affatto un percorso scolastico regolare.

“RUBANO E DELINQUONO PER CULTURA”

Circa due mesi fa, il tribunale civile di Roma ha condannato la casa editrice Simone, ordinando il ritiro dal mercato di un libro di diritto penale rivolto ad aspiranti avvocati in cui veniva associato il termine zingaro alla commissione di reati. Questo caso è, probabilmente, il punto d’arrivo di una delle convinzioni più ferme degli italiani sui rom: rubano, tutti. Recentemente, Daniela Santanché ha dichiarato di avere paura “quando si avvicina una zingara”, perché “il furto ce l’hanno nell’animo”.

Non esistono dati che certifichino una maggiore incidenza di furti e crimini nella popolazione rom rispetto al resto dei cittadini, se non il fatto che nella marginalità si delinque più facilmente. Ma è un discorso applicabile anche ai quartieri più disagiati delle nostre città. Esiste, piuttosto, secondo l’Unar, una “generalizzata tendenza a legare all’immagine dei rom e dei sinti, ogni forma di devianza e criminalità”.

L’associazione Naga ha realizzato tra il 2012 e il 2013 un monitoraggio dei 9 maggiori giornali italiani da cui è emerso che sulla stampa i rom vengono sistematicamente associati a fatti o eventi dannosi. Questo avviene riportando “comportamenti che possono essere considerati negativi, ma che non sono reati” (tipo lavarsi a una fontanella), o anche del tutto neutri (come semplicemente passare in un luogo) ma “associati a toni allarmistici come fossero eventi gravissimi”; oppure raccontando “fatti negativi a cui si associano i rom, anche se il loro coinvolgimento non è provato, non è indicato da indizi e neanche citato esplicitamente”.

Secondo l’indagine, “lo stereotipo è talmente radicato che ha raggiunto il livello ontologico: non serve compiere nessuna azione

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“siamo schiavi dl marketing e della pubblicità che ci rendono infelici”

Latouche: "L'economia ha fallito, il capitalismo è guerra, la globalizzazione violenza"

per Serge Latouche l’economia ha fallito, il capitalismo è guerra e la globalizzazione violenza

il teorico della decrescita felice interviene al Bergamo Festival: “Il libero scambio è come la libera volpe nel libero pollaio”. E poi critica l’Expo: “E’ la vittoria delle multinazionali, non certo dei produttori. Serve un passo indietro, siamo ossessionati dall’accumulo e dai numeri”
di GIULIANO BALESTRERI
  

Di più: la decrescita felice è una delle strade che portano alla pace. E Latouche ne parlerà il 12 maggio al Bergamo Festival (dall’8 al 24 maggio) dedicato al tema “Fare la pace”, anche attraverso l’economia. L’economista francese, in particolare, si concentrerà sulla critica alle dinamiche del capitalismo forzato che allarga la distanza fra chi riesce a mantenere il potere economico e chi ne viene escluso. Ecco perché, secondo Latouche, la decrescita sarebbe garanzia e compensazione di una qualità della vita umana da poter estendere a tutti. Anche per questo “considerare il Pil non ha molto senso: è funzionale solo a logica capitalista, l’ossessione della misura fa parte dell’economicizzazione. Il nostro obiettivo deve essere vivere bene, non meglio”.

Abbiamo sempre pensato che la pace passasse per la crescita e che le recessioni non facessero altro che acuire i conflitti. Lei, invece, ribalta l’assioma.
Fa tutto parte del dibattito. Per anni abbiamo pensato proprio che la crescita permettesse di risolvere più o meno tutti i conflitti sociali, anche grazie a stipendi sempre più elevati. E in effetti abbiamo vissuto un trentennio d’oro, tra la fine della Seconda guerra mondiale e l’inizio degli anni Settanta. Un periodo caratterizzato da crescita economica e trasformazioni sociali di un’intensità senza precedenti. Poi è iniziata la fase successiva, quella dell’accumulazione continua, anche senza crescita. Una guerra vera, tutti contro tutti.

Una guerra?
Sì, un conflitto che ci vede contrapposti gli uni agli altri per accumulare il più possibile, il più rapidamente possibile. E’ una guerra contro la natura, perché non ci accorgiamo che in questo modo distruggiamo più rapidamente il pianeta. Stiamo facendo la guerra agli uomini. Anche un bambino capirebbe quello che politici ed economisti fingono di non vedere: una crescita infinita è per definizione assurda in un pianeta finito, ma non lo capiremo finché non lo avremo distrutto. Per fare la pace dobbiamo abbandonarci all’abbondanza frugale, accontentarci. Dobbiamo imparare a ricostruire i rapporti sociali.

Un cambio rotta radicale. Sapersi accontentare, essere felici con quello che si ha non è certo nel dna di una società improntata sulla concorrenza. 
E’ evidente che un certo livello di concorrenza porti beneficio a consumatori, ma deve portarlo a consumatori che siano anche cittadini. La concorrenza non deve distruggere il tessuto sociale. Il livello di competitività dovrebbe ricalcare quello delle città italiane del Rinascimento, quando le sfide era sui miglioramenti della vita. Adesso invece siamo schiavi del marketing e della pubblicità che hanno l’obiettivo di creare bisogni che non abbiamo, rendendoci infelici. Invece non capiamo che potremmo vivere serenamente con tutto quello che abbiamo. Basti pensare che il 40% del cibo prodotto va direttamente nella spazzatura: scade senza che nessuno lo comperi. La globalizzazione estremizza la concorrenza, perché superando i confini azzera i limiti imposti dalla stato sociale e diventa distruttiva. Sapersi accontentare è una forma di ricchezza: non si tratta di rinunciare, ma semplicemente di non dare alla moneta più dell’importanza che ha realmente.

I consumatori però possono trarre beneficio dallo concorrenza.
Benefici effimeri: in cambio di prezzi più bassi, ottengono salari sempre più bassi. Penso al tessuto industriale italiano distrutto dalla concorrenza cinese e poi agli stessi contadini cinesi messi in crisi dall’agricoltura occidentale. Stiamo assistendo a una guerra. Non possiamo illuderci che la concorrenza sia davvero libera e leale, non lo sarà mai: ci sono leggi fiscali e sociali. E per i piccoli non c’è la possibilità di controbilanciare i poteri. Siamo di fronte a una violenza incontrollata. Il Ttip, il trattato di libero scambio da Stati Uniti ed Europa, sarebbe solo l’ultima catastrofe: il libero scambio è il protezionismo dei predatori.

Come si fa la pace?
Dobbiamo decolonizzare la nostra mente dall’invenzione dell’economia. Dobbiamo ricordare come siamo stati economicizzati. Abbiamo iniziato noi occidentali, fin dai tempi di Aristotele, creando una religione che distrugge le felicità. Dobbiamo essere noi, adesso, a invertire la rotta. Il progetto economico, capitalista è nato nel Medioevo, ma la sua forza è esplosa con la rivoluzione industriale e la capacità di fare denaro con il denaro. Eppure lo stesso Aristotele aveva capito che così si sarebbe distrutta la società. Ci sono voluti secoli per cancellare la società pre economica, ci vorranno secoli per tornare indietro.

Oggi preferisce definirsi filosofo, ma lei nasce come economista.
Sì, perché ho perso la fede nell’economia. Ho capito che si tratta di una menzogna, l’ho capito in Laos dove la gente vive felice senza avere una vera economia perché quella serva solo a distruggere l’equilibrio. E’ una religione occidentale che ci rende infelici.

Eppure ai vertici della politica gli economisti sono molti.
E infatti hanno una visione molto corta della realtà. Mario Monti, per esempio, non mi è piaciuto; Enrico Letta, invece, sì: ha una visione più aperta, è pronto alla scambio. Io mi sono allontanato dalla politica politicante, anche perché il progetto della decrescita non è politico, ma sociale. Per avere successo ha bisogno soprattutto di un movimento dal basso come quello neozapatista in Chiapas che poi si è diffuso anche in Ecuador e in Bolivia. Ma ci sono esempi anche in Europa: Syriza in Grecia e Podemos in Spagna si avvicinano alla strada. Insomma vedo molto passi in avanti.

A proposito, Bergamo è vicina a Milano. Potrebbe essere un’occasione per visitare l’Expo.
Non mi interessa. Non è una vera esposizione dei produttori, è una fiera per le multinazionali come Coca Cola. Mi sarebbe piaciuto se l’avesse fatto il mio amico Carlo Petrini. Si poteva fare un evento come Terra Madre: vado sempre a Torino al Salone del Gusto, ma questo no, non mi interessa. E’ il trionfo della globalizzazione, non si parla della produzione. E poi non si parla di  alimentazione: noi, per esempio, mangiamo troppa carne. Troppa e di cattiva qualità. Ci facciamo male alla salute. Dovremmo riscoprire la dieta meditterranea. Però, nonostante tutto, sul fronte dell’alimentazione vedo progressi. Basti pensare al successo del movimento Slow Food.

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